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sabato 22 agosto 2009

Ma cos'è L a Coscienza ? di Luciano Piccarisi - 2a parte

[Curato da Alessandro Corsi - porsenna45@gmail.com - re.porsenna@yahoo.it ]


I L L A B I R I N T O D E L L A M E N T E


C O S C I E N Z A e C O N S A P E V O L E Z Z A



Ma cos'è la Coscienza?
di Luciano Piccarisi

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Daniel Clement Dennett, filosofo americano, ritiene che noi siamo dei computer organici. La coscienza è un’esperienza interiore ineffabile, a sé stante rispetto al flusso indistinto di percezioni personali. Non sapremo mai se i gerani sul balcone del vicino procurano a lui la stessa sensazione di rosso che hanno per noi. Dobbiamo convincerci che “le nostre menti sono semplicemente quello che i nostri cervelli fanno” (34). Per capire l’architettura della mente occore usare un metodo ‘ l’ingegneria inversa’, una specie di tecnica chee parte dai problemi adattativi dei nostri antenati e cerca di dedurre gli adattamenti psicologici che si sarebbero evoluti per risolverli. Non ci sono dentro di noi essenze magiche, spiriti, fantasmi, siamo animali come gli altri. La maggior parte delle cellule del nostro corpo discende dalla cellula uovo e dallo spermatozoo la cui unione ha dato inizio alla nostra vita e, per dirla francamente, nessuna di loro sa niente di noi. Non pensano a nulla, solo a creare energia, metabolismo, crescita, respirazione, trasporto dell’ossigeno, alla relazione con il mondo, ecc. Ogni cellula svolge il suo compito e, tutt’insieme, fanno il vostro essere, con sensibilità e razionalità compresa.Non c’è neppure alcun quartier generale che sovrintende a tutto. Nessun capo, supervisore consapevole e necessario. Non c’è un teatro dove si mette in scena quel che la coscienza deve vedere e deve sapere, è stata l’evoluzione dell’insieme armonico del corpo che ci ha reso un’unità. Siamo in realtà fatti di sottoinsiemi, moduli, pezzettini, scomparti, distinti e con una certa autonomia. Tutti caricati con dosi di conoscenza parziale via via sempre più elementare e che interagiscono fra loro per realizzare il compito complessivo. Sempre più piccoli e più semplici fino al neurone, e a quel punto sono stati, per così dire, ‘scaricati ‘ (35).

Leibiniz sfidò la nostra immaginazione con una vivida pompa d’intuizione, c’invitò ad entrare in un mulino e a notare che non c’è niente di speciale; solo ‘pezzi che si spingono a vicenda’. Un antenato straordinario di tutte le stanze cinesi (36), come quella descritta da Searle.Alla gente non piace molto sentire dire che siamo soltanto delle macchine, ma questo è causato dal fatto che essi si riferiscono ad un’idea di macchina troppo semplicistica. Certo siamo macchine capaci di dire: io ho un cervello, ma "il guaio con i cervelli è che, quando ci guardi dentro, scopri che non c’è nessuno in casa." (37). Un robot opportunamente programmato, con un cervello costitutito da un calcolatore a base di silicio, sarebbe cosciente, avrebbe un sé. Raccontiamo storie con le idee. Le menti sono piene d’idee. Da una parte sono ricettacoli e dall’altra trasmettitori di idee che si replicano e che si riproducono da cervello in cervello. Idee che si replicano ed evolvono. Intuizione suggerita da Richard Dawkins nel suo Il gene egoista, nel quale ha introdotto l’idea dei memi, analoghi ai geni. “Essi sono quasi come dei virus che replicano le idee. Le leggi della selezione naturale valgono anche qui (...) Anche se la Bibbia non è il vostro libro preferito, non si può negare che essa è sicuramente il testo più replicato al mondo. Questo per via delle idee che vi sono contenute” (38).Il sé è un’utile finzione, tanti folletti (stati mentali) in competizione cercano di farsi strada, di aver maggior peso politico, successo e fama; quelli che vincono si aggiudicano le risposte motorie, comprese quelle verbali. Ci sono molteplici versioni che possono risultare e io sono colui che verbalizza la successione del processo; di quella provvisoria e di quella che infine è dominante. Bisogna estirpare il dominio del soprannaturale dalle menti: la coscienza è un’utile illusione.

Richard Dawkins è professore a Oxoford e la prende da lontano: le cellule uovo e gli spermatozoi provengono dai cromosomi e dai geni, a loro volta prodotti dai primi esseri replicanti apparsi sulla Terra, nel brodo primordiale. Stampini che formano un genere di negativo quasi identico all’originale. Gli equivalenti moderni sono le molecole di DNA dei geni. I geni tengono a fare sempre i loro interessi, vale a dire a riprodursi; per forza, altrimenti scomparirebbero per sempre (geni egoisti). Siamo macchine ed è proprio tramite noi, che li trasferiamo in continuazione in nuove macchine, che loro vanno sempre avanti, cercando l'eterno. Sono i veri immortali. Una catena d’organismi, uno dietro all’altro, tutti noi serviamo solo a trasportare i geni. Siamo le loro macchine per la sopravvivenza.Non ce ne rendiamo conto. Siamo tutti animali, ma in uno di questi animali si creò casualmente il linguaggio e s’andò formando un nuovo brodo di coltura: la cultura umana. Il nuovo replicante, il meme, è l’unità di trasmissione culturale, come il gene è quello di trasmissione biologica. Costituito da idee, modi di dire, tecniche di fabbricazione di vasi o d’archi, insomma qualunque cosa si replichi e venga trasmessa da cervello in cervello attraverso qualsiasi mezzo di copiatura disponibile, è un meme. Il gene e il meme sono due diversi tipi di replicanti ma l’evoluzione memetica rispetto alla genetica è di gran lunga più veloce.L’uomo è l’animale per eccellenza che copia. Infatti ”fra i gruppi tribali sopravvissuti, la fabbricazione d’arnesi di pietra, la tessitura, le tecniche di pesca, la costruzione di tetti di paglia, fucinatura e l’arte di accendere il fuoco o cucinare, sono state tutte apprese per imitazione” (39).Infine siamo giunti a tutto ciò che d’artificiale oggi ci circonda. Proprio come l'evoluzione dei geni ha creato tutto ciò che di naturale sta intorno a noi. Il replicatore, qualunque aspetto esso prenda, è la vera unità di selezione. I geni controllano il comportamento animale fatto di credenze e di desideri, da forme di calcolo o di computazione, immagazzinate nel cervello con le stesse modalità con cui l’informazione è immagazzinata in qualsiasi porzione di materia. I desideri sono gli scopi come gli obiettivi dei programmi d’intelligenza artificiale. La mente dunque compie dei calcoli riconducibili alla sottostante attività neurofisiologica. La macchina dei memi, la mente umana, è un’altra cosa, ha una cosa che nessun' altra macchina biologica o artificiale può avere. “Abbiamo il potere di andare contro i nostri geni (…) qualcosa che non è mai esistito nell’intera storia del mondo (40).

Per Steven Pinker, psicologo di Harvard, i vari problemi dei nostri antenati erano sottocompiti di un unico grande problema dei loro geni: massimizzare il numero di copie capaci di giungere alla generazione successiva (41). La mente è costituita da una serie di moduli, ognuno dotato di una specializzazione che ne fa un esperto in un singolo terreno d’interazione con il mondo, modellato per selezione naturale e specificato dal programma genetico. In ogni modulo vi è sedimentata l’intelligenza dell’intera filogenesi.Pensare è calcolare, è una sorta di computazione. Non esiste alcuna anima immateriale che manovri le leve del nostro comportamento, la mente è ciò che il cervello fa, elaborando l’informazione. Se telefono a mia madre in un’altra città, il messaggio rimane uguale, parte dalle mie labbra e arriva alle sue orecchie passando attraverso la vibrazione dell’aria, l’elettricità del filo, cariche di silicio, luce guizzante, cavi a fibre ottiche, onde elettromagnetiche, cascate di neuromodulatori e sostanze chimiche nella sua testa; e lei lo ripete intatto a mio padre seduto sul lato opposto del divano. Allo stesso modo un dato programma può correre su computer fatti di tubi a vuoto, commutatori, elettromagneti, transistor, circuiti integrati o piccioni viaggiatori con alla fine gli stessi risultati. Tale intuizione espressa per la prima volta dal matematico A.Turing è detta ora teoria computazionale della mente, una delle grandi idee della storia della cultura perché risolve uno degli enigmi che costituiscono il problema di come connettere il mondo immateriale con quello materiale, e com’è che il mio pensiero si traduce in movimento.Un elemento che ha reso insoliti gli esseri umani è che noi siamo entrati in una nicchia cognitiva, abbiamo cioè partecipato alla naturale corsa agli armamenti non in termini evoluzionistici ma utilizzando il ragionamento di tipo causa-effetto e interiorizzando modelli di funzionamento della realtà, il che ci ha permesso di manipolare il mondo a nostro vantaggio. Il linguaggio è un modo per trasmettere informazioni strutturate e possiede la proprietà cruciale dell’informazione: può essere duplicata senza essere persa (42).

Jerry Fodor, filosofo alla Rutgers Univerity è convinto che la psicologia del senso comune sia letteralmente vera e che tutto ciò che noi pensiamo sulla nostra mente accade realmente proprio come immaginiamo che accada. Nelle nostre teste ci sono veramente le intenzioni, con un contenuto e che sono la causa di quel che facciamo come in realtà noi tutti pensiamo che facciano. La scienza non deve far altro che spiegare come tutto ciò accade. La CTM, la teoria computazionale della mente, presenta forti analogie con il funzionamento del computer. Entrano gli stimoli da una parte, dati d’informazione sottoforma di input, vengono processati ed elaborati, ed escono come risposte dall’altra. Tuttavia ”esistono aspetti mentali superiori nei confronti dei quali l’attuale armamentario di modelli, teorie e tecniche sperimentali computazionali non offre praticamente alcuna comprensione” (43).Turing ha dimostrato che una macchina dotata di semplici operazioni può operare in infinite combinazioni, se dotata di un’organizzazione sintattica molto semplice e può produrre risultati straordinariamente complessi, una sorta di pensiero computazionale. La mente è modulare ma solo in periferia. Il processo dell’evoluzione ha fornito di tanti settori specializzati, che sanno benissimo fare quello che fanno e sono ignoranti su tutto il resto. Sono incapsulati all’informazione, chiusi nel loro compito e impegnati a svolgere esclusivamente il loro mestiere; altri compiti darebbero solo fastidio. Come minicomputer analizzano gli input in entrata e forniscono risposte in uscita; vi sono quelli perfettamente automatici ad esempio il riflesso d’ammiccamento e quelli un po’meno, quello della deambulazione. Tutti però calcolano quello che è di loro competenza con i limiti e le capacità proprie disinteressando d’altro; ed è proprio questa specializzazione che li rende così efficienti. Insomma la mente si rappresenta il mondo con la sua a razionalità e lo fa tramite le sue capacità sintattiche e il modo concreto per farlo lo ha suggerito Turing.Basta dare le istruzioni idonee e la macchina può fare cose simili a un pensiero. Pertanto anche la macchina della mente, manipola questi stati mentali rappresentanti stati del mondo tramite un suo linguaggio del pensiero o mentalese. Ciò da conto della nostra capacità di produrre ed afferrare un numero infinito di pensieri a partire da una collezione finita di concetti. A questo livello però i moduli non ci bastano più, la cognizione globale è diversa.“Alla fine ha bisogno di integrare il risultato di tutte queste computazioni modulari, e non vedo come potremmo avere un modulo per fare questo” (44). L’evoluzione ha aperto la strada ai processi dei sistemi centrali, mettendo in atto una sostanziale demodularizzazione, perciò il grado di conferma assegnato ad una data ipotesi è sensibile alle proprietà dell’intero sistema di credenze. Noi rispecchiamo il mondo e “il mondo è un sistema causale connesso e noi non conosciamo come le connessioni sono arrangiate” (45).Il destino non è certo determinato dai geni, la mente non è un computer e noi non la comprendiamo per niente; la coscienza “non rappresenta solo un problema ma un mistero” (46).

NOTE

34) Dennett D.C. (2003) Freedom Evolves, trad. it. L’evoluzione della libertà, 2004, Cortina, Milano, p. XII

35) Dennett D.C. (1978) Brainstorms. Philosophical Essays on Mind and Psycology, tr. it. Brainstorms. Saggi filosofici sulla mente e la psicologia, 1991, Adephi, Milano, p. 81

36) Dennett D.C. (2005) Sweet Dreams. Philosophical Obstacles to a Science of Consciousness, Massachusetts Institute of Technology, trad. it. Sweet Dreams. Illusioni filosofiche sulla coscienza, 2006, Cortina, Milano, p. 3

37) Dennett D.C. (1991) Consciousness Explained, Boston, Little, Brown, tr. it. Coscienza 1993, Rizzoli, Milano p. 40-41

38) Dennett D.C. (2007) Il credente e la formica, MicroMega, 2, Gruppo Editoriale Espresso, p. 17

39) Dennett D.C. (2006) Dove nascono le idee, Di Renzo editore, Roma, p. 58

40) Dawkins R. (1976) The Selfish Gene Oxoford University Press, tr.it. Il Gene Egoista. La parte immortale di ogni essere vivente, 1995, I ed Oscar saggi, Mondadori, Milano, p. 34

41) Pinker S. (1997) How the Mind Works, tr. it. Come funziona la mente, 2000, Mondadori, Milano, p. 25

42) Pinker S. (2007) Come è nata la mente, MicroMega, 2, Gruppo editoriale Espresso, p. 76

43) Fodor J.A. (2001) La mente non funziona così, Laterza, Roma-Bari, p. 5

44) Fodor J.A. (1998) I problemi della psicologia darwinista, in Adenzato M. Meini C. (2006) Psicologia evoluzionistica, B. Boringhieri, Torino, p. 91

45) Fodor J.A. (1983) The modularity of Mind , the MIT Press, Cambridge (Mass.) tr. it. 1988, La mente modulare, Il Mulino, Bologna, p. 105).

46) FodorJ. A. (1992) The Big Idea: Can There Be a Science of Mind? in Times. Literary Supplement, luglio, p. 5

Ma che cos’è la coscienza?Di Luciano Peccarisi


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Antonio Damasio, neurologo dell’Iowa, ipotizza che la coscienza emerga dalle “zone di convergenza“, aree del cervello situate in vari posti; “con tutta probabilità alcune sono situate nella corteccia di rivestimento del cervello e altre nei nuclei in zone sotto corticali” (47). Gli organismi superiori hanno bisogno di un livello mentale di integrazione maggiore dei microbi. Le immagini mentali di cui noi, e gli animali superiori, facciamo esperienza consentirebbero una facilità di manipolazione dell'informazione e quindi di comprensione in un mondo complesso. ” Senza le immagini mentali, l'organismo non sarebbe in grado di eseguire un'integrazione tempestiva e su larga scala dell'informazione essenziale alla sua sopravvivenza” (48).La coscienza fornisce il senso del sé, di esistenza, che introduce, nel livello di elaborazione mentale, l’idea che tutte le attività correnti rappresentate nel cervello e nella mente siano attinenti al suo singolo organismo. Emozione e ragione non sono domini separati, basta pensare come gli estremi dell’ansia e della rabbia da una parte, e della tristezza dall’altra, riducono significamene l’efficacia dell’attività mentale: quando siamo tristi generiamo meno pensieri. (49).Distinguo la coscienza nucleare dalla coscienza estesa, ma all’inizio vi è solo un proto-sé, dato dall'insieme delle funzioni somatiche, che mantengono in vita il corpo. Poi impariamo a riconoscerci come parte separata dal mondo esterno. Dalla coscienza nucleare emerge quello che chiama sé nucleare che rende consapevoli e di esistere, qui ed ora. In quelli che hanno perso del tutto la memoria ad esempio permane solo questo sé, e con quello ci si può gestire solo istante per istante.Dalla coscienza estesa invece si forma il sé autobiografico che da conto della nostra esistenza, ci rende protagonisti della nostra vita. Ci garantisce d’essere oggi la persona che eravamo ieri, e quello che sarà anche domani. Questo livello della coscienza richiede il linguaggio perché solo attraverso di esso possiamo formare quella storia, la nostra storia, in cui prendono posto i ricordi, le speranze, i rimpianti e così via.Immaginate dei musicisti che suonano senza spartito, ebbene tu sei la musica mentre la musica suona: cioè non sei tu che ascolti la musica, che era l'ipotesi di Cartesio, l'homunculus che stava a guardare. Tu sei la musica mentre la musica suona, ciascuno di noi è l'insieme delle strutture e dei funzionamenti cerebrali che la storia personale di ciascuno di noi, storia genetica e interazione ambientale, ha costruito.

Noam Chomsky è stato il primo a porre in modo chiaro l’idea che un bambino non può apprendere il linguaggio così facilmente solo ascoltando parlare gli altri. Le scimmie ascoltando parlare l’uomo non imparano a parlare. E questo rivela ancor più chiaramente la misura con cui il linguaggio umano sembra essere un fenomeno unico, senza significative analogie nel mondo animale. Lungi dall’essere acquisito nel corso dello sviluppo, il linguaggio dipende da un innato modulo grammaticale, che come una sorta d’organo mentale, assicura che tutte le lingue umane siano costruite in base ad una grammatica universale, che costituisce l’insieme di regole linguistiche che si presumono installate e cablate nel cervello umano. Con il programma di grammatica generativa (la capacità di tutti i cervelli umani, di generare un linguaggio interno) si cerca di definire proprio i principi e i modi di computazione usati dal cervello nell’esprimere pensieri, in quel modo fantasticamente illimitato. La facoltà di linguaggio, non è un’isola nella testa, “ è incassata entro la più ampia architettura della mente (o del cervello), e interagisce con altri sistemi, che impongono condizioni che la facoltà di linguaggio deve soddisfare per essere usata con successo” (50).L’umanità è un fenomeno unico, non si è giunti all’uomo per gradi ma l’evoluzione ha compiuto un salto, il che non significa certo una magia, tuttavia si tratta di un balzo che ha formato un essere di qualità diversa. “Mi pare inconsistente la concezione che il linguaggio umano è semplicemente un caso più complesso di qualcosa che deve essere reperito altrove nel mondo animale” (51). Non c’è nulla di simile in quel mondo.

Merlin Donald è convinto che si siano conservati nell’architettura cerebrale umana anche gli adattamenti precedenti come vestigia cognitive, perciò il cervello umano non parte da zero, non è una tabula rasa. Ha evoluto però nuovi sistemi di rappresentazione della realtà, non solo un linguaggio. Le menti umane sono ibride, si sono cioè formate da ”una combinazione altamente plastica di tutti i precedenti elementi dell’evoluzione cognitiva umana” (52).Il cervello, la cognizione e la cultura degli esseri umani si sono evoluti insieme attraverso tre transizioni: l’abilità mimetica, l’invenzione delle parole e il superamento della memoria biologica con l’arte simbolica e la scrittura. Quando s’inventarono le parole scritte si cominciò a registrare pensieri e ragionamenti, speculazioni, idee parziali, argomenti pro e contro, si registrò il primo fondamentale passo verso un reale progresso della conoscenza. Cominciò a crescere una sorta di memoria esterna. I prodotti di questa vasta cultura esteriorizzata sono divenuti gradualmente disponibili per un numero crescente di persone, il cui unico limite è la propria capacità di copiarli. La mente umana è diversa da qualsiasi altra cosa su questo pianeta non grazie alla sua biologia, che non è qualitativamente unica, ma grazie alla sua abilità di assimilare e generare cultura (53).

Terrence W. Deacon puntualizza che il linguaggio si evolve per adattarsi ai meccanismi cerebrali preesistenti, e il cervello si evolve per adeguarsi a queste nuove potenzialità linguistiche. Immaginiamo che una qualche mutazione genetica abbia prodotto, prima dell'esplosione della capacità linguistiche che caratterizzano la specie Homo sapiens, un cervello con una maggiore capacità associativa capace di gestire un maggior numero di associazioni fra segni e oggetti (associazioni che sono presenti in un gran numero di specie di animali non umane, si pensi al linguaggio delle api). Un numero talmente maggiore che ora un segno non è più soltanto in relazione con l'oggetto corrispondente, ma con altri segni. Questo significa, ad esempio, che diventa possibile pensare ad un oggetto da punti di vista diversi, non soltanto mediante il segno che lo indica (come sa fare anche un'ape), ma anche e soprattutto sfruttando la rete di altri segni con cui è in relazione (come l'ape non sa fare). Questa è la ‘competenza simbolica’ dell’animale uomo; a questo punto si attiva il processo di coevoluzione che porta, sfruttando le potenzialità combinatorie alla formazione delle lingue.Il linguaggio è inseparabile dalla cultura è inseparabile dal riconoscere gli altri come propri simili con cui quindi poter comunicare. La nostra è l’unica specie simbolica.“Gran parte di ciò che determina la struttura del cervello umano, era bagaglio accumulato nel percorso accidentato che precedette l’evoluzione della comunicazione simbolica” (54). Così, in un processo di coevoluzione durato migliaia di anni, le lingue sono diventate via via più adatte al nostro cervello, e viceversa. La stessa diffusione del linguaggio e della comunicazione simbolica rappresenta una pressione selettiva per quelle aree del cervello (le regioni di Broca e Wernicke, i lobi frontali) necessari ad articolarlo ed interpretarlo, quindi l’evoluzione culturale associata alla grande espansione dei cervelli ominidi. Il linguaggio e la rappresentazione simbolica si sviluppano di pari passo con la cultura e l’organizzazione sociale, come il modo più efficiente per garantire la comprensione tra i membri di un medesimo gruppo.

Nicolas Humphrey, professore di psicologia londinese, al razionalismo cartesiano, al ‘Penso dunque sono’, preferisce il suo ‘Sento dunque sono’. La coscienza si identifica con le sensazioni. Con quello che in inglese si chiama il feeling, il sentire, piuttosto che con le forme più alte dell’attività mentale. Occorre una nuova indagine sul ruolo giocato dalle sensazioni nella costruzione della mente, e su quel tipo così particolare di percezione del Sé. Le sensazioni non sono cose che accadono, come sembra a prima vista, bensì cose che facciamo. L'intelligenza artificiale, s’interessa come si elaborano i pensieri, si prendono le decisioni, si ritrovano le memorie e si formulano verbalmente. La sensazione non lascerebbe grandi tracce nella memoria; il gusto del formaggio o il sapore del vino ad esempio non sono cose interessanti. Invece sono proprio le sensazioni più elementari che costituiscono quel fenomeno globale chiamato coscienza. Ed il modo in cui sono vissute e percepite dalle persone e identificate come proprie. Un computer non può provare sensazioni, pertanto come potrà mai avere una forma di coscienza? Pensiamo di essere qualcosa di più del nostro nudo corpo, abbiamo un Sé, che sembra “abitare un diverso universo di essere spirituale” (55). La sensazione cosciente soggettiva (per esempio di un colore) va distinta dalla percezione oggettiva (che può essere del tutto inconscia) e che è utile e che ci serve per funzionare adeguatamente nel mondo. Quella soggettiva è una nostra produzione autonoma, destinata a dare maggior valore alla nostra esistenza, a costruirci un Sé con cui valga la pena d’identificarsi. Ci sono patologie che lo dimostrano, ad esempio le agnosie (mancanza di conoscenza settoriale) con sensazione intatta ma percezione compromessa; sentono il nome riferito ma non cosa significa. Nella visione cieca è compromessa la sensazione ma la percezione è parzialmente presente: il soggetto si giudica cieco ma in realtà riesce troppo spesso a riconoscere gli oggetti indicati per essere un caso. Ho dedicato allo studio di Helen, una scimmia cieca, sette anni di addestramento. Bene, dopo questo tempo “ non ci si accorgeva più della cecità di Helen, che sembrava assolutamente normale: poteva girare correndo intorno ad una stanza, evitare ostacoli, trovare noci o frutti deposti sul pavimento. Aveva persino una visione tridimensionale, perché riusciva a catturare le mosche. Eppure le mancava completamente la corteccia visiva, cioè l'apparato cerebrale considerato necessario per la vista” (56). Un mio collaboratore (57) riuscì poi a trovare le stesse capacità in persone cieche da danni neurologici alla corteccia visiva, convinte della propria cecità, assolutamente certe di non vedere. In realtà avevano una visione priva di coscienza. Sapevano cioè sia indicare la fonte di una sorgente luminosa, senza essere coscienti della percezione. La sensazione di possedere una coscienza ovviamente non è campata per aria. Abbiamo quello che chiamo occhio della mente: una proprietà esclusiva della mente stessa che consente al cervello di osservare se stesso al lavoro. Questa abilità, presumo temporanemente sospesa nei sonnambuli ed assente negli individui con certi tipi di danni cerebrali, permette lo sguardo interiore. Acquisiamo un’identità costante nel presente esteso in cui scorre il tempo della coscienza. Il soggetto si rende conto della propria esperienza, decide le proprie azioni, lo sa e ne è fiero. Gli uomini sono gli esseri più intelligenti, credo che “ il ruolo primario dell’intelligenza creativa sia di mantenere insieme la società” (58), tuttavia con la coscienza della propria soggettività, acquistano un nuovo interesse nella propria sopravvivenza individuale. Inoltre cominciano ad attribuire un valore anche al Sé degli altri individui, cosa che non esiste negli altri animali. La coscienza conta proprio perché a contare è il suo scopo.FineTra le varie teorie sulla coscienza, dice Di Francesco, vi è un punto di discriminazione: la certezza soggettiva che ne ha ognuno di noi e la poca importanza viceversa che le attribuisce la scienza, fenomeni mentali quali l’identità narrativa o l’autoascrizione linguistica di contenuti ad esempio, “non sono individuati in termini di attività neuronale” (59).Rimanendo così in un’area di nessuno, preda, oggi molto meno che in passato, di astrologi, santoni, teologi, artisti e chiromanti. Si potrebbe dividere la mente, grosso modo, in due parti (60), una che ‘guarda’ il mondo esterno (come fanno gli animali) esplorabile oggettivamente con le armi della scienza. E una che ‘guarda’ il proprio interno (essenzialmente umana): la coscienza; indagabile per la sua funzionalità dalla scienza ma rimanendone fuori circa il contenuto, “una danza dei simboli aal’interno del cranio” (61). Due facce della stessa medaglia certo, ma profondamente diverse.Luciano Peccarisi

- Di Luciano Peccarisi: La mente può davvero conoscere se stessa?-

Riguardo l'argomento coscienza suggeriamo di Astro Calisi: Sulla Coscienza


NOTE

47) Damasio A. (1999) The Feeling of What Happens. Body and Emotion in the Making of Consciousness, tr. it. 2000, Emozione e coscienza, Adelphi, Milano, p. 270

48) Damasio A. (2003) Looking for Spinosa: Joy, Sorrow and the Feeling Brain, Orlando, tr.it. 2003, Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello, Adelphi, Milano, p. 250

49) Damasio A. et al. (2002) Subcortical and Cortical Brain Activity During the Feeling of Self-generated Emotions, “Nature Neuroscience”, 3, pp. 1049-1056

50) Chomsky N. (2000) New Horizons in the Study of Language and Mind, tr. it. 2005, Nuovi Orizzonti nello studio del Linguaggio e della Mente, Il Saggiatore, Milano, p. 592.

51) Chomsky N. (1972) Language of Mind, Harcourt Brace Jovanovich, New York, trad. it. 1977, Mente e linguaggio, in Id., Saggi linguistici, vol. III, Boringhieri, Torino, p. 212

52) Donald M. (1991) Origins of the modern mind, tr. it. 1996, L’evoluzione della mente, Garzanti, Milano, p. 413

53) Donald M. (2001) A Mind So Rare: The Evolution of Human Consciousness, New York, Norton, p. XIII

54) Deacon T.W. (1997) The Symbolic Species. The Co-evolution of Language and the Brain, tr. it. 2001, La Specie Simbolica.Coevoluzione di linguaggio e cervello, G. Fioriti, Roma, p. 443

55) Humphrey N.K. (2006) Seeing Red. A Study in Consciousness, tr. it. 2007, Rosso. Uno studio sulla coscienza, Codice, Torino p. 95

56) Humphrey N.K. (1974) Vision in a monkey without striate cortex: A case study, in “Perception”, 3, pp. 241-255

57) Weiskrantz L. (1986) Blindsigth. A Case Study and Implictions, Oxford, Clarendon Press

58) Humphrey N.K. (1976) The social Function of Intellect, in P.P.G. Bateson, R.A. Hinde (a cura di) Growing Points in Ethology, Cambridge University Press, Cambridge, p. 307

59) Di Francesco M. (2008) E’ possibile una scienza della coscienza? In Sistemi Intelligenti, Anno XX, n.3 dicembre p. 390

60) Peccarisi L. (2008) Il miraggio di “conosci te stesso”. Coscienza, linguaggio e libero arbitrio, ed. Armando, Roma, 2008, p. 12

61) Hofstadter D. (2007) I Am A Stranger Loop, tr. it. Anelli nell’Io. Che cosa c’è al cuore della coscienza, Mondadori, Milano, p. 334

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