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domenica 11 luglio 2010

PAULO COELHO: *Sulla Sponda del Fiume Piedra mi sono seduta e ho pianto* - *MONTE CINQUE*


Paulo Coelho,
Sulla sponda del fiume
Piedra mi sono seduta
e ho pianto.
Titolo originale:
Na margem do rio Piedra eu sentei e chorei.
Traduzione di Rita Desti.
Copyright 1994 by Paulo Coelho.
Editora Rocco LTDA, Rio de Janeiro, 1994
1996 by RCS Libri & Grandi Opere S.p.A.
Per
I.C. e S.B., la cui comunione amorosa
mi ha fatto scoprire il volto femminile di Dio;
Monica Antunes, compagna della prima ora,
che con il suo entusiasmo e il suo amore
sparge il fuoco per il mondo;
Paulo Rocco, per l'allegria delle battaglie
che abbiamo sostenuto insieme e per la dignità
delle lotte che abbiamo combattuto tra di noi;
Matthew Lore, per non aver dimenticato
una saggia citazione da I Ching:
"La perseveranza è favorevole."
"Ma alla sapienza è stata resa
giustizia da tutti i suoi figli."
Luca, 7, 35
Nota dell'Autore.
Un missionario spagnolo stava visitando un'isola, quando
incontrò tre sacerdoti aztechi.
"Come pregate?" domandò loro.
"Abbiamo una sola preghiera," gli rispose uno. "Diciamo:
'Dio, tu sei tre, noi siamo tre. Abbi pietà di noi."'
"Una bella preghiera," disse il missionario, "ma non è
esattamente il tipo di preghiera che Dio possa ascoltare. Ve
ne insegnerò una migliore."
E il prete insegnò loro una preghiera cattolica. Poi proseguì
nel suo cammino di evangelizzazione. Anni dopo, ormai
sulla nave che lo riconduceva in Spagna, si trovò a passare di
nuovo per quell'isola. Dalla tolda, vide i tre sacerdoti sulla
spiaggia e li salutò.
In quel momento, i tre cominciarono a camminare sulle
acque, verso di lui. "Padre! Padre!" chiamò uno, avvicinandosi
alla nave. "Insegnaci di nuovo la preghiera ascoltata da
Dio, perché non abbiamo saputo ricordarla!"
"Non importa," disse il missionario assistendo al miracolo.
E chiese perdono a Dio per non aver capito prima che il
Signore parlava tutte le lingue.
Questa storia esemplifica molto bene ciò che cerco di raccontare
in questo libro. Raramente ci rendiamo conto che
siamo circondati da ciò che è straordinario. I miracoli avvengono
intorno a noi, i segnali di Dio ci indicano la strada, gli
angeli chiedono di essere ascoltati. Ma noi abbiamo imparato
che ci sono determinate formule e regole per avvicinarci a
Dio e quindi non prestiamo attenzione a nulla di tutto ciò.
Non comprendiamo che il Signore si trova là dove lo lasciano
entrare.
Le pratiche religiose tradizionali sono importanti: ci consentono
di condividere con gli altri l'esperienza dell'adorazione
e della preghiera. Ma non possiamo mai dimenticare
che l'esperienza spirituale è soprattutto un'esperienza pratica
dell'amore. E nell'amore non esistono regole. Possiamo tentare
di seguire dei manuali, di controllare il cuore, di avere
una strategia di comportamento. Ma sono tutte cose insignificanti.
Decide il cuore. E quanto decide è ciò che conta.
Lo abbiamo provato tutti nella vita. In un qualche
momento, tutti abbiamo esclamato fra le lacrime: "Sto soffrendo
per un amore per cui non vale la pena." Soffriamo
perché pensiamo di dare più di quanto riceviamo. Soffriamo
perché il nostro amore non è riconosciuto. Soffriamo perché
non riusciamo a imporre le nostre regole.
Soffriamo inutilmente, perché il seme della nostra crescita
sta proprio nell'amore. Quanto più amiamo, tanto più siamo
vicini all'esperienza spirituale. I veri illuminati, con l'anima
infervorata dall'amore, vincevano tutti i preconcetti dell'epoca.
Cantavano, ridevano, pregavano a voce alta, danzavano,
condividevano ciò che san Paolo ha definito la "santa follia".
Erano pieni di gioia, perché chi ama riesce a vincere il
mondo, non ha paura di perdere nulla. Il vero amore è un
atto di totale abbandono.
Sulla sponda delfiume Piedra mi sono seduta e ho pianto è
un libro sull'importanza di questo abbandono. Pilar e il suo
compagno, personaggi fittizi, sono il simbolo dei numerosi
conflitti che ci accompagnano nella ricerca dell'Altro. Prima
o poi dobbiamo vincere le nostre paure, giacché il cammino
spirituale si compie attraverso l'esperienza quotidiana dell'amore.
Diceva il monaco Thomas Merton: "La vita spirituale si
riassume nell'amare. Non si ama perché si vuol fare il bene
di qualcuno, aiutarlo, proteggerlo. Agendo in questa maniera,
ci comportiamo come se vedessimo il prossimo come
semplice oggetto e noi stessi come esseri generosi e saggi. Ma
questo non ha nulla a che vedere con l'amore. Amare significa
comunicare con l'altro e scoprire in lui una particella di
Dio."
Che il pianto di Pilar sulla sponda del fiume Piedra possa
condurci sul cammino di questa comunione.
PAULO COELHO.
Sulla sponda del fiume Piedra
mi sono seduta e ho pianto. Narra la leggenda che tutto ciò
che cade nell'acqua di questo fiume. Ie foglie, gli insetti, le
piume degli uccelli, si trasforma nelle pietre del suo letto.
Ah, se solo potessi strapparmi il cuore dal petto e lanciarlo
nella corrente, allora non ci sarebbero più dolore né nostalgìa
né ricordi.
Sulla sponda del fiume Piedra mi sono seduta e ho pianto.
Il freddo dell'inverno mi ha fatto sentire le lacrime sul viso:
lacrime calde che si sono confuse con le acque gelate che
scorrono davanti a me. In qualche punto, il fiume si unisce
con un altro, poi con un altro ancora, finché, lontano dai
miei occhi e dal mio cuore, tutte le acque si confondono con
il mare.
Che le mie lacrime scorrano lontano, perché il mio amore
non sappia mai che un giorno ho pianto per lui. Che le mie
lacrime scivolino via, e solo allora dimenticherò il fiume
Piedra, il monastero, la chiesa sui Pirenei, la bruma, i cammini
che abbiamo percorso insieme.
Dimenticherò le strade, le montagne e i campi dei miei
sogni: sogni che mi appartenevano e che io non conoscevo.
Ricordo il mio istante magico, quel momento in cui un "sì"
o un "no" può cambiare tutta la nostra esistenza. Sembra che
sia accaduto tanto tempo fa, eppure è solo da una settimana
che ho ritrovato il mio amato e l'ho perduto.
Nelle sponde del fiume Piedra, ho scritto questa storia. Le
mie mani erano gelate, le gambe intorpidite dalla posizione,
e io avevo bisogno di fermarmi spesso.
Forse l'amore ci fa invecchiare anzitempo e ci rende giovani
quando la gioYentù è passata. Ma come non rammentare
quei momenti? Perciò ho scritto, per trasformare la tristezza
in nostalgia, la solitudine in ricordi. Perché, dopo aver raccontato
a me stessa questa storia, io la potessi lanciare nel
fiume Piedra. Era questo l'insegnamento della donna che mi
ha accolto. Allora, per ricordare le parole di una santa, "le
acque avrebbero potuto spegnere ciò che il fuoco ha scritto".
Tutte le storie d'amore sono uguali.
Avevamo trascorso insieme l'infanzia e l'adolescenza. Lui se
n'era andato, come tutti i giovani se ne vanno dalle piccole
città. Aveva detto che voleva conoscere il mondo, che i suoi
sogni si proiettavano al di là delle campagne di Soria.
Per alcuni anni non ne ebbi notizia. Di tanto in tanto
ricevevo una lettera, e questo era tutto, perché lui non è mai
più tornato fra i boschi e sulle strade della nostra infanzia.
Quando terminai gli studi, mi trasferii a Saragozza. E scoprii
che aveva ragione: Soria era una città piccola e il suo
unico poeta famoso aveva detto che solo camminando si può
percorrere un sentiero. Entrai all'università e mi fidanzai.
Cominciai a studiare per un concorso che forse non avrebbe
mai proclamato un vincitore. Lavorai come commessa, mi
pagai gli studi, fui bocciata al concorso, lasciai il mio fidanzato.
Le sue lettere, allora, cominciarono ad arrivare più frequentemente
e, vedendo i francobolli di paesi diversi, io provavo
un po' d'invidia. Lui era l'amico più vecchio che sapeva
tutto, che girava il mondo, che si lasciava crescere le ali,
mentre io cercavo di mettere radici.
Inaspettatamente le sue lettere cominciarono a parlare di
Dio: provenivano sempre dallo stesso paese, la Francia. In
una di esse, mi disse che desiderava entrare in seminario e
dedicare la sua vita alla preghiera. Gli risposi chiedendogli di
aspettare, di vivere ancora la sua libertà, prima di impegnarsi
in qualcosa di tanto serio.
Quando rilessi la mia lettera, decisi di stracciarla: chi ero
per parlare di libertà e di impegno? Queste cose le conosceva
lui, non certo io.'
Un giorno seppi che stava tenendo un ciclo di conferenze.
Ne fui sorpresa perché mi sembrava troppo giovane per insegnare
qualcosa agli altri. Ma, due settimane fa, mi ha mandato
un biglietto per dirmi che avrebbe parlato per un gruppo
ristretto di persone a Madrid. E ci teneva che fossi presente.
Ho viaggiato per quattro ore, da Saragozza a Madrid, perché
volevo rivederlo. Volevo ascoltarlo. Volevo sedermi con
lui in un bar, ricordare i tempi in cui giocavamo insieme e
credevamo che il mondo fosse troppo grande per essere
attraversato.
Sabato, 4 dicembre 1993.
La conferenza si teneva in un luogo più austero di quanto
avessi immaginato e c era più gente di quanta me ne aspettassi.
Non capivo come mai.
'Dev'essere diventato famoso,' ho pensato. Non mi aveva
detto nulla nelle sue lettere. Avrei voluto parlare con i presenti,
domandare loro che cosa stessero facendo lì, ma non
ne ho avuto il coraggio.
Sono rimasta sorpresa nel vederlo entrare. Era diverso dal
ragazzo che conoscevo. Ma, è chiaro, in undici anni le persone
cambiano. Era più carino, e i suoi occhi splendevano di
una luce particolare.
"Ci sta restituendo ciò che era nostro," ha detto una
donna accanto a me.
Era una frase strana.
"Che cosa sta restituendo?" le ho chiesto.
"Quello che ci è stato rubato. La religione."
"No, non ce la sta restituendo," ha aggiunto una donna
più giovane, seduta alla mia destra. "Non si può restituire
quanto ci appartiene."
"Allora lei, che cosa sta facendo qui?" ha domandato irritata
la prima donna.
"Voglio ascoltarlo. Voglio vedere come la pensano, perché
in passato ci hanno già messe al rogo e potrebbero volerlo
fare ancora."
"Lui è una voce solitaria," ha detto la donna. "Sta facendo
il possibile."
La giovane ha sorriso ironicamente; poi si è girata, per
chiudere la conversazione.
"Per un seminarista, è un atteggiamento coraggioso," ha
proseguito la donna, guardandomi come per cercare un consenso.
Io, che non ci capivo niente, sono rimasta in silenzio, così
la donna ha desistito. La giovane accanto mi ha strizzato
l'occhio, come se fossi la sua alleata.
Io, però, stavo in silenzio per un'altra ragione. Pensavo alla
parola che aveva pronunciato: "Seminarista."
Non era possibile. Lui mi avrebbe avvertito.
Lui ha iniziato a parlare, ma io non riuscivo a concentrarmi.
'Avrei dovuto vestirmi meglio,' pensavo, senza capire il perché
di tanta preoccupazione. Lui mi aveva notato in platea e
io cercavo di decifrare i suoi pensieri: come avrei potuto
essere ora? Qual era la differenza fra una ragazza di diciotto
anni e una donna di ventinove?
La sua voce era la stessa. Eppure le parole erano cambiate.
"E necessario correre dei rischi," diceva lui. "Riusciamo a
comprendere il miracolo della vita solo quando lasciamo che
l'inatteso accada.
"Tutti i giorni, con il sole Dio ci concede un momento in
cui è possibile cambiare ciò che ci rende infelici. Tutti i giorni
fingiamo di non percepire questo momento, ci diciamo
che non esiste, che l'oggi è uguale a ieri e identico al domani.
Ma chi presta attenzione il proprio giorno, scopre l'istante
magico: un istante che può nascondersi nel momento
in cui, la mattina, infiliamo la chiave nella toppa, nell'istante
di silenzio subito dopo la cena, nelle mille e una cosa che
ci sembrano uguali. Questo momento esiste: un momento
in cui tutta la forza delle stelle ci pervade e ci consente di
fare miracoli.
"A volte la felicità è una benedizione, ma generalmente è
una conquista. L'istante magico del giorno ci aiuta a cambiare,
ci spinge ad andare in cerca dei nostri sogni. Soffriremo,
affronteremo momenti difficili, ricaveremo molte disillusioni:
ma tutto è transitorio e non lascia alcun segno. E, nel
futuro, potremo guardare indietro con orgoglio e fede.
"Meschino colui che ha avuto paura di correre rischi.
Perché forse non sarà mai deluso, non avrà disillusioni, né
soffrirà come coloro che hanno un sogno da perseguire. Ma
quando quell'uomo guarderà dietro di sé, perché capita sempre
di guardare indietro, sentirà il proprio cuore dire: 'Che
cosa ne hai fatto dei miracoli di cui Dio ha disseminato i
tuoi giorni? Come hai impiegato le doti che il tuo Maestro ti
ha affidato? Le hai sotterrate in una fossa profonda, perché
avevi paura di perderle. Allora la tua eredità è questa: la certezza
di aver sprecato la tua vita.'
"Meschino colui che sente queste parole. Allora crederà ai
miracoli, ma gli istanti magici della vita saranno ormai passati."
E stato circondato dalla gente appena ha finito di parlare.
Ho atteso, preoccupata per l'impressione che avrei suscitato
in lui dopo tanti anni Mi sentivo una bambina, insicura,
gelosa perché non conoscevo i suoi nuovi amici, tesa perché
prestava più attenzione agli altri che a me.
Allora si è avvicinato. E arrossito, e non era più l'uomo
che diceva cose tanto importanti: era di nuovo il ragazzo che
si nascondeva con me nella cappella di San Saturnino, per
parlarmi del suo sogno di girare il mondo, mentre i nostri
genitori si rivolgevano alla polizia, pensando che fossimo
annegati nel fiume.
"Ciao, Pilar," ha detto.
L'ho baciato sulla guancia.
Avrei potuto rivolgergli qualche parola di elogio. Avrei
potuto essere stanca di trovarmi in mezzo a tanta gente.
Avrei potuto fare qualche buffo commento sulla nostra
infanzia, dirgli che ero orgogliosa di vederlo tanto ammirato
dagli altri. Avrei potuto spiegargli che dovevo andarmene
subito per prendere l'ultima corriera della sera per Saragozza.
"Avrei potuto": non riusciremo mai a comprendere il
significato di questa frase. Perché in ogni momento della
nostra vita ci sono cose che sarebbero potute accadere, ma
che alla fine non sono avvenute. Ci sono istanti magici che
passano inosservati quando, all'improvviso, la mano del
destino muta il nostro universo.
Ed è accaduto in quel momento. Invece di tutte le cose
che avrei potuto fare, ho pronunciato una frase che, una settimana
dopo, mi avrebbe portato davanti a questo fiume a
scrivere queste righe.
"Possiamo prendere un caffè?" gli ho chiesto.
E lui, voltandosi verso di me, ha afferrato la mano che il
destino gli offriva.
"Ho tanto bisogno di parlare con te. Domani ho una conferenza
a Bilbao. Sono in macchina."
"Io devo tornare a Saragozza," ho risposto, ignorando che
si trattava della mia ultima via d'uscita.
Ma, in una frazione di secondo, forse perché ero di nuovo
la bambina di un tempo, forse perché non siamo noi a scrivere
i momenti migliori della nostra vitaO ho detto:
"C'è la festa dell'Immacolata. Posso accompagnarti a
Bilbao e poi tornare indietro."
Il commento sul "seminarista" ce l'avevo lì, sulla punta
della lingua.
"Vuoi domandarmi qualcosa?" ha detto lui, notando la
mia espressione.
"Sì," ho risposto, dissimulando una certa indifferenza.
"Prima della conferenza, una donna ha detto che le stavi
restitlendo ciò che le apparteneva."
"Nulla di importante."
"Per me, lo è. Non so niente della tua vita, sono sorpresa
di vedere tutta questa gente."
Lui ha riso e si è girato per rivolgersi alle altre persone.
"Un momento," ho detto, trattenendolo per un braccio.
"Non hai risposto alla mia domanda."
"Niente che possa interessarti, Pilar."
"In ogni modo, voglio saperlo."
Ha tratto un respiro profondo, poi mi ha condotto in un
angolo della sala.
"Le tre grandi religioni monoteiste - ebraismo, cattolicesimo,
islamismo - sono maschili. I sacerdoti sono uomini. Gli
uomini governano i dogmi e stabiliscono le leggi."
"E che cosa intendeva dire quella donna?"
Lui ha tentennato un po'. Ma, alla fine, ha risposto:
"Che io ho una visione diversa delle cose. Che credo nel
volto femminile di Dio."
Ho tirato un sospiro di sollievo: quella donna si sbagliava.
Lui non poteva essere un seminarista, perché i seminaristi
non hanno una visione diversa delle cose.
"Ti sei spiegato molto bene," ho detto.
La giovane che mi aveva strizzato l'occhio mi aspettava alla
porta.
"So che apparteniamo alla stessa tradizione," mi ha detto.
"Io mi chiamo Brida."
"Non so di che cosa tu stia parlando," le ho risposto.
"Lo sai benissimo," ha replicato, ridendo.
Mi ha preso sottobraccio e siamo uscite insieme, prima
che avessi il tempo di chiarire. La serata non era molto fredda,
e io non sapevo che cosa fare fino al mattino seguente.
"Dove andiamo?" le ho domandato.
"Alla statua della Dea," mi ha risposto.
"Mi serve un albergo economico dove passare la notte."
"Poi te lo indico."
Avrei preferito sedermi in un bar, chiacchierare ancora,
sapere il più possibile su di lui. Ma non volevo discutere: mi
sono lasciata guidare lungo il Paseo de Castellana, mentre
rivedevo Madrid dopo tanti anni.
In mezzo al viale, lei si è fermata e ha indicato il cielo.
"Lei è là," ha detto.
La luna piena brillava fra i rami spogli.
"E bella," ho commentato.
Ma lei non mi ascoltava. Ha aperto le braccia a croce, ha
rivolto all'insù i palmi delle mani, ed è rimasta lì a contemplare
la luna.
'Dove sono andata a cacciarmi,' ho pensato. 'Sono venuta
per assistere a una conferenza e sono finita nel Paseo de
Castellana con questa matta. Domani parto per Bilbao.'
"Oh, specchio della dea Terra," ha cominciato a dire la
giovane, tenendo gli occhi chiusi. "Insegnaci il nostro potere,
fa' che gli uomini ci comprendano. Nascendo, brillando
morendo e resuscitando nel cielo, ci hai mostrato il ciclo del
seme e del frutto."
La giovane ha teso le braccia verso il cielo, restando a
lungo in questa posizione. I passanti guardavano e ridevano,
ma lei non se ne rendeva neppure conto. Io, invece, mi vergognavo
da morire solo a starle accanto.
"Avevo bisogno di farlo," ha detto alla fine, dopo un prolungato
inchino alla luna. "Perché la Dea ci protegga."
"Ma insomma, di che cosa stai parlando?"
"Della stessa cosa di cui ha parlato il tuo amico, ma con
parole vere."
A quel punto, mi sono pentita di non aver prestato attenzione
alla conferenza. Adesso mi risultava impossibile sapere
che cosa avesse detto.
"Noi conosciamo il volto femminile di Dio," ha spiegato
la giovane quando abbiamo ripreso a camminare. "Noi
donne che comprendiamo e amiamo la Grande Madre.
Abbiamo pagato la nostra sapienza con le persecuzioni e i
roghi, ma siamo sopravvissute. E adesso comprendiamo i
suoi misteri."
I roghi. Le streghe.
Ho guardato più attentamente la donna al mio fianco. Era
bella; i capelli rossi le arrivavano fino a metà schiena.
"Mentre gli uomini si allontanavano per cacciare, noi
rimanevamo nelle caverne, nel ventre della Madre, occupandoci
dei figli," ha proseguito. "E lì che la Grande Madre ci
ha insegnato tutto. L'uomo viveva in movimento, mentre
noi restavamo nel ventre della Madre. Questo ci ha fatto
capire che i semi si trasformano in piante; abbiamo rivelato
quest'arcano ai nostri uomini. Abbiamo cotto il primo pane
per nutrirli. Abbiamo modellato il primo vaso perché bevessero.
Poi siamo riuscite a comprendere il ciclo della creazione,
perché il nostro corpo seguiva il ritmo della luna."
All'improvviso, si è fermata. "Eccola là."
Ho guardato. In mezzo a una piazza invasa dal traffico,
c'era una fontana.-Al centro della fontana, una scultura raffigurava
una donna sopra un carro trainato da leoni.
"E piazza Cibelet" ho detto, con l'intenzione di dimostrarle
che conoscevo Madrid. Avevo già visto quella piazza in
decine di cartoline.
Ma lei non mi ascoltava. Stava in mezzo alla strada, cercando
di evitare le automobili.
"Andiamo più vicino!" ha gridato, chiamandomi fra le
macchine.
Ho deciso di raggiungerla solo per domandarle l'indicazione
di un albergo. Quella follia mi stava stancando, e poi
avevo bisogno di dormire.
Siamo arrivate alla fontana insieme: io con il cuore che
batteva all'impazzata e lei con un sorriso sulle labbra.
"L'acqua!" diceva. "L'acqua è la sua manifestazione!"
"Per favore, mi serve il nome di un albergo economico."
Lei ha immerso le mani nell'acqua della fontana.
"Fallo anche tu," mi ha invitato. "Tocca l'acqua."
"Assolutamente no. Comunque non voglio certo proibirti
di farlo. Io vado a cercare un albergo."
"Solo un altro momento."
La giovane ha tirato fuori dalla borsa un piccolo flauto e
ha cominciato a suonare. La musica sembrava avere un effetto
ipnotico: il rumore del traffico è diminuito a poco a poco,
e il mio cuore si è calmato. Mi sono seduta sul bordo della
fontana ad ascoltare l'acqua e il flauto, con gli occhi fissi
sulla luna piena sopra di noi. Qualcosa mi diceva che, malgrado
non potessi ancora comprenderla appieno, lì c'era una
parte della mia natura di donna.
Non so per quanto tempo lei abbia suonato. Quando ha
smesso, si è girata verso la fontana.
"Cibele," ha detto. "Una delle manifestazìoni della
Grande Madre. Che regola i raccolti, nutre le città, restituisce
alla donna il proprio ruolo di sacerdotessa."
"Chi sei?" le ho domandato. "Perché mi hai chiesto di
accompagnarti?"
Si è girata verso di me. '`Sono colei che tu credi che io sia.
Appartengo alla religione della Terra."
"Che cosa vuoi da me?" ho insistito.
"Posso leggere nei tuoi occhi. Posso leggere nel tuo cuore.
Ti innamorerai. E soffrirai."
"Io?"
"Sai bene di che cosa sto parlando. Ho visto come ti guardava.
Lui ti ama."
Quella donna era matta.
"Perciò ti ho chiesto di venire con me," ha proseguito.
"Perché lui è importante. Anche se dice qualche sciocchezza,
almeno riconosce la Grande Madre. Non lasciare che si
perda. Aiutalo."
"Tu non sai quello che dici. Sei perduta nelle tue fantasie,"
ho replicato, mentre svicolavo di nuovo fra le macchine,
giurandomi di non pensare mai più alle parole di lei.
Domenica, 5 dicembre 1993.
Ci siamo fermati a prendere un caffè.
"La vita ti ha insegnato molte cose," ho detto, tentando di
tener viva la conversazione.
"Mi ha insegnato che possiamo apprendere, che possiamo
cambiare," ha risposto lui. "Anche se questo sembra impossibile."
Stava tagliando corto. Avevamo parlato pochissimo nelle
due ore di viaggio fino a quel bar lungo la strada.
All'inizio, ho cercato di riportare i ricordi al periodo della
nostra infanzia, ma lui si mostrava interessato solo per educazione.
Non mi stava neppure a sentire e mi faceva domande
su cose di cui gli avevo già parlato.
Sembrava che ci fosse qualcosa di sbagliato. Come se il
tempo e la distanza lo avessero allontanato per sempre dal
mio mondo.
`Lui parla di istanti magici,' ho pensato. 'Che differenza
c'è rispetto alle strade seguite da Carmen, Santiago o Maria?'
Il suo universo era sicuramente un altro, Soria si riassumeva
in un ricordo lontanissimo, immobile nel tempo, con gli
amici d'infanzia ancora bloccati in quel periodo remoto e i
vecchi tuttora in vita a fare ancora ciò che facevano ventinove
anni addietro.
Cominciavo a pentirmi di aver accettato il passaggio.
Quando lui ha cambiato di nuovo argomento, mentre prendevamo
il caffè, ho deciso di non insistere oltre.
Le rimanenti due ore, fino a Bilbao, sono state una vera tortura.
Lui fissava la strada, io guardavo fuori dal finestrino, e
nessuno nascondeva il malessere che si era creato. La macchina
presa a nolo non aveva la radio, e l'unica cosa da fare era
sopportare il silenzio.
"Chiediamo dov'è la stazione delle corriere," ho detto, appena
usciti dall'autostrada. "C'è una linea diretta per Saragozza.
Era l'ora del riposo pomeridiano e si vedeva poca gente
nelle strade. Abbiamo superato un uomo, poi una giovane
coppia, ma lui non Si è fermato per chiedere informazioni.
"Sai già dov'è?" ho domandato, dopo un po'.
"Dov'è che cosa?"
Continuava a non ascoltare ciò che dicevo.
All'improvviso, ho capito il suo silenzio. Di che cosa poteva
parlare con una donna che non si era mai avventurata per
il mondo? Che divertimento c'era nel trovarsi accanto a
qualcuno che ha paura dell'ignoto, che preferisce un impiego
sicuro e un matrimonio convenzionale?
Io, povera me, parlavo dei nostri amici d'infanzia, dei
ricordi impolverati di un paese insignificante. Erano il mio
unico argomento.
"Puoi lasciarmi anche qui," ho detto, quando siamo arrivati
a quello che sembrava il centro della città. Tentavo di
apparire naturale, ma mi sentivo stupida, infantile e irritante.
Lui non ha fermato l'automobile.
"Devo prendere la corriera per tornare a Saragozza," ho
insistito.
"Non sono mai stato in questo posto. Non so dove sia il
mio albergo. Non so dove si tenga la conferenza. Non so
dove si trovi la stazione delle corriere."
"Me la cavo da sola. non preoccuparti."
Lui ha rallentato, ma ha continuato a guidare.
"Vorrei... ha cominciato a dire.
E per due volte non è riuscito a completare la frase. Io
immaginavo che avrebbe voluto ringraziarmi per la compagnia,
mandare i saluti agli amici e, in questo modo, alleviare
quella sgradevole situazione.
"Vorrei che venissi con me alla conferenza, stasera," ha
detto, alla fine.
Mi sono stupita. Forse stava tentando di prendere tempo
per rimediare al silenzio opprimente del viaggio.
'Vorrei tanto che venissi con me," ha ripetuto.
Potevo anche essere una ragazza di campagna, senza grandi
storie da raccontare, senza lo spirito e l'avvenenza delle
donne di città. Ma la vita di campagna, anche se non rende
la donna più elegante o preparata, insegna ad ascoltare il
cuore. E a intenderne gli istinti.
Con mia sorpresa, il mio istinto mi diceva che in quel
momento lui era sincero.
Ho tirato un respiro di sollievo. Non sarei rimasta per nessuna
conferenza, è chiaro, ma almeno il caro amico di un
tempo sembrava esser tornato e mi invitava a condividere le
sue avventure, i suoi discorsi e le sue vittorie.
"Grazie per l'invito," ho risposto. "Ma non ho soldi per l'albergo
e devo tornare ai miei studi."
"I soldi li ho io. Puoi stare nella mia camera. Ne chiederemo
una a due letti."
Ho notato che stava cominciando a sudare, maìgrado il
freddo. Il mio cuore ha preso a inviarmi segnali d'allarme
che non riuscivo a identificare. La sensazione di gioia dei
momenti precedenti era stata soppiantata da una grande
confusione.
All'improvviso, ha fermato la macchina e mi ha guardato
negli occhi.
Nessuno riesce a mentire. Nessuno riesce a nascondere
nulla quando guarda negli occhi.
E ogni donna. con un minimo di sensibilità, riesce a leggere
negli occhi di un uomo innamorato. Per quanto assurdo
sembri, per quanto fuori luogo e tempo possa manifestarsi
questo amore. D'un tratto, mi sono ricordata delle parole
che la giovane donna dai capelli rossi aveva detto vicino alla
fontana.
Non era possibile. Ma era vero.
Mai, mai nella mia vita avevo immaginato che, dopo tanto
tempo, lui si ricordasse ancora di me. Eravamo bambini,
vivevamo insieme e avevamo esplorato il mondo tenendoci
per mano. Iolo amavo, ammesso che un bambino riesca a
intendere appieno il significato dell'amore. Ma era accaduto
molto tempo prima, in un'altra vita, dove l'innocenza consente
al cuore di aprirsi su quanto di meglio vi sia da vivere.
Adesso eravamo adulti e responsabili. Le cose dell'infanzia
appartenevano a un mondo passato.
L'ho guardato di nuovo negli occhi. Non volevo, o non
riuscivo, a credergli.
"Ho quest'ultima conferenza, e poi ci sono le feste
dell'Immacolata Concezione. Bisognerà andare fin sulle
montagne," ha proseguito. "Devo mostrarti qualcosa."
L'uomo brillante che parlava di istanti magici era lì davanti
a me e si comportava in modo implausibile. Procedeva
troppo in fretta, era insicuro, faceva proposte confuse. Era
duro vederlo sotto questo aspetto.
Ho aperto la portiera e sono scesa, appoggiandomi all'automobile.
Sono rimasta lì a guardare il viale quasi deserto.
Ho acceso una sigaretta, cercando di non pensare. Potevo
dissimulare, fingere di non capire, tentare di convincermi
che fosse veramente la proposta di un uomo a un'amica d'infanzia.
Forse aveva viaggiato per molto tempo e cominciava
a confondere le cose.
O forse ero io che stavo esagerando.
Lui è balzato fuori dall'automobile e si è seduto accanto a
me.
"Vorrei che restassi per la conferenza, stasera," ha ripetuto.
"Ma, se non puoi, capirò."
Ecco. Il mondo aveva compiuto un giro completo e ritornava
a posto. Non era nulla di ciò che pensavo: lui non insisteva
più, era pronto a lasciarmi partire. Gli uomini innamorati
non si comportano in questa maniera.
Mi sono sentita stupida e sollevata allo stesso tempo. Sì,
potevo restare, almeno un giorno. Avremmo cenato insieme
e ci saremmo ubriacati un po', cosa che non avevamo mai
fatto da bambini. Era una buona occasione per dimenticare
le sciocchezze che avevo pensato alcuni minuti prima, un'ottima
opportunità per rompere quel ghiaccio che ci aveva
accompagnati fin da Madrid.
Un giorno non avrebbe fatto alcuna differenza. Almeno
avrei avuto qualcosa da raccontare alle mie amiche.
"Letti separati," ho detto, con un tono scherzoso. "E
paghi la cena perché, nonostante l'età, sono ancora una studentessa.
Non ho soldi."
Abbiamo depositato le valigie nella camera dell'albergo e
siamo scesi per recarci a piedi fino alla sala della conferenza.
Siamo arrivati in anticipo, e così ci siamo seduti in un bar.
"Voglio darti una cosa," ha detto lui, consegnandomi un
pacchettino rosso.
L'ho aperto subito. Dentro c'era una medaglia vecchia e
arrugginita, con la Madonna delle Grazie da un lato e il
Sacro Cuore di Gesù dall'altro.
"Era tua," ha detto, vedendo la mia espressione di sorpresa.
Il mio cuore ha ricominciato a inviarmi segnali d'allarme.
Era autunno, come adesso, e avevamo forse una decina
d'anni. Ero seduto con te nella piazza dove c'è la grande
quercia. Stavo per dirti qualcosa, qualcosa che provavo da
settimane. Appena cominciai, mi dicesti di aver perduto la
tua medaglia nella cappella di San Saturnino e mi chiedesti
di andarla a cercare."
Me ne ricordavo. Ah, Dio, se me ne ricordavo!
"Riuscii a trovarla. Ma, tornato nella piazza, non ebbi più
il coraggio di dirti quello che mi ero ripetuto tante volte," ha
proseguito. "Allora promisi a me stesso che ti avrei riconsegnato
la medaglia solo quando avessi potuto completare la
frase che avevo iniziato. E accaduto quasi vent'anni fa. Per
molto tempo, ho tentato di dimenticare, ma quella frase era
sempre presente. Non posso più vivere tenendomela dentro."
Ha finito il caffè, si è acceso una sigaretta e ha fissato a
lungo il soffitto. Poi si è rivolto a me.
"La frase è molto semplice," ha detto. "Io ti amo."
"A volte siamo preda di una sensazione di tristezza che non
riusciamo a controllare," diceva lui. "Intuiamo che l'istante
magico di quel giorno è passato e noi non abbiamo fatto
niente. La vita nasconde la propria magia e la propria arte.
Dobbiamo ascoltare il bambino che eravamo un tempo e
che ancora esiste in noi. Questo bimbo è in grado di capire
gli istanti magici. Noi sappiamo come soffocarne il pianto,
ma non possiamo farne tacere la voce.
"Il bambino che eravamo un tempo è sempre presente.
Beati i fanciulli, perché loro è il regno dei cieli.
"Se non rinasceremo, se non torneremo a guardare la vita
con l'innocenza e l'entusiasmo dell'infanzia, non ci sarà più
significato nel vivere.
"Esistono molte maniere di suicidarsi. Coloro che tentano
di annientare il proprio corpo offendono la legge di Dio. Ma
anche quelli che cercano di uccidere l'anima violano la legge
divina, benché il loro crimine sia meno visibile agli occhi
dell uomo.
"Prestiamo dunque attenzione a ciò che ci dice il bambino
che serbiamo nel cuore. Non vergogniamocene. Non lasciamo
che abbia paura, perché quel bimbo è solo e non viene
ascoltato quasi mai.
"Consentiamogli di prendere le redini della nostra esistenza.
Questo bambino sa che ogni giorno è diverso dall'altro.
Facciamo in modo che si senta di nuovo amato. Compiaciamolo,
anche se ciò significa comportarci in una maniera per
noi desueta, anche se sembra una sciocchezza agli occhi degli
altri.
"E bene ricordare che la saggezza degli uomini è follia
davanti a Dio. Se ascolteremo il bambino che abbiamo nell'anima,
i nostri occhi torneranno a brillare. Se non perderemo
il contatto con questo bimbo, non smarriremo il rapporto
con la vita.
Intorno a me, i colori hanno cominciato a intensificarsi; ho
sentito che stava parlando a voce più alta e faceva più rumore,
posando il bicchiere sul tavolo.
Un gruppo di una decina di persone era andato a cena
dopo la conferenza. Tutti parlavano simultaneamente, e io
sorridevo: sorridevo perché era una serata diversa. Dopo
molti anni, la prima che non avevo pianificato.
Che gioia!
Quando avevo deciso di andare a Madrid, i miei sentimenti
e le mie azioni erano ancora sotto controllo. All'improvviso,
tutto era mutato. Adesso ero lì, in una città nella
quale non avevo mai messo piede, benché si trovasse a meno
di tre ore dal mio luogo natale. Seduta a quel tavolo dove
conoscevo una sola persona e dove tutti mi parlavano come
se mi frequentassero da lungo tempo. Ero stupita di me stessa
perché ero in grado di chiacchierare, di bere e di divertirmi
come loro.
Mi trovavo lì perché, d'un tratto, la vita mi aveva consegnato
alla Vita. Non provavo alcuna colpa, paura o vergogna.
Più mi avvicinavo a lui e lo ascoltavo e più mi convincevo
che aveva ragione: esistono momenti in cui è ancora
necessario correre dei rischi, fare dei passi folli.
'Trascorro intere giornate inchiodata a quei libri e a quei
quaderni, facendo uno sforzo sovrumano per comprare la
mia stessa schiavitù,' ho pensato. 'Per quale motivo voglio
questo impiego? Di che cosa mi arricchirà come essere
umano o come donna?'
Di nulla. Io non ero nata per passare la mia vita dietro a
un tavolo, aiutando i giudici a sbrigare i loro processi.
'Non posso pensare così della mia vita. Dovrò riprenderla
questa settimana stessa.'
Doveva essere l'effetto del vino. In fin dei conti, chi non
lavora, non mangia.
'E un sogno. Finirà.'
Ma di quanto tempo avrei potuto prolungare questo
sogno? Per la prima volta, ho pensato di accompagnarlo, nei
giorni seguenti, fino alle montagne. D'altronde, stava per
iniziare una settimana di festa.
"Lei chi è?" mi ha domandato una bella donna seduta al
nostro tavolo.
"Un'amica d'infanzia," ho risposto.
"Faceva già queste cose, da bambino?" ha proseguito.
"Quali cose?"
Al tavolo, la conversazione sembrava prima essersi affievolita
e pOi spenta.
"Lo sa," ha insistito la donna. "I miracoli."
"Parlava già bene," ho replicato, senza capire ciò che andava
dicendo.
Tutti hanno riso, anche lui. E io non comprendevo il
motivo di quella risata. Ma il vino mi aveva liberata: non
avevo bisogno di controllare tutto ciò che stava succedendo.
Mi sono fermata. Lasciando vagare lo sguardo, ho fatto un
commento su qualcosa che un attimo dopo ho dimenticato.
E di nuovo ho pensato ai giorni di festa.
Era bello trovarsi lì, conoscere gente nuova. Discutevano
di cose serie, facendo commenti divertenti, e io avevo la sensazione
di essere partecipe di ciò che accadeva nel mondo.
Per lo meno quella sera non ero la donna che assisteva alla
vita attraverso la televisione e i giornali.
Una volta tornata a Saragozza, avrei avuto molto da raccontare.
Se avessi accettato l'invito per la festa dell`Immacolata,
avrei potuto passare un anno intero vivendo di ricordi.
'Aveva davvero ragione lui a non prestare attenzione alle
mie parole su Soria,' ho riflettuto. E ho provato pena per me
stessa: da anni, il cassetto della mia memoria custodiva le
stesse storie.
"Beva un altro goccio," mi ha detto un uomo dai capelli
bianchi, riempiendomi il bicchiere.
Ho bevuto. Ho pensato alle poche cose che avrei avuto da
raccontare ai miei figli e nipoti.
"Conto su di te," mi ha detto lui, adagio, in modo che
solo io potessi sentirlo. "Andiamo fino in Francia."
Il vino mi rendeva più libera di dire ciò che pensavo.
"Solo se si riuscirà a chiarire una cosa," ho ribattuto.
"Che cosa?"
"Quello che mi hai detto prima della conferenza. Al bar."
"La medaglia?"
"No," ho risposto, guardandolo negli occhi e facendo il
possibile per sembrare sobria. "Quello che hai detto..."
"Poi ne parliamo," ha concluso lui, cambiando argomento.
La dichiarazione d'amore. Non avevamo avuto il tempo di
parlarne, ma avrei potuto convincerlo che si trattava di
tutt'altro.
"Se vuoi che ti accompagni nel viaggio, bisogna che mi
ascolti," ho detto.
"Non voglio parlarne qui. Ci stiamo divertendo."
"Tu sei andato via molto presto da Soria," ho insistito. "Io
sono soltanto un legame con il tuo paese. Ti ho lasciato vicino
alle tue radici, e questo ti ha dato la forza per andare
avanti. Ma solo questo. Non può esistere nessun amore."
Mi ha ascoltato senza fare alcun commento. Qualcuno lo
ha chiamato perché voleva sentire la sua opinione riguardo a
qualcosa e io non sono riuscita a proseguire.
'Per lo meno ho chiarito quello che penso,' mi sono detta.
Non poteva esistere un amore del genere, se non nelle favole.
Perché, nella vita reale, è necessario che l'amore sia possibile.
Anche se non c'è un riscontro immediato, l'amore riesce
a sopravvivere solo quando esiste la speranza, sia pur lontana,
che conquisteremo la persona amata.
Il resto è fantasia.
Come se indovinasse il mio pensiero, dall'altro capo del
tavolo lui si è rivolto a me con un brindisi.
"All'amore!" ha esclamato.
Anche lui era un po' brillo. Ho deciso di cogliere l'occasione.
"Ai saggi, capaci di capire che certi amori sono sciocchezze
dell'infanzia," ho detto.
"Colui che è saggio, lo è soltanto perché ama. E colui che
è sciocco, lo è solamente perché pensa di poter capire l'amore,"
ha risposto lui.
Gli altri hanno udito il commento e, un minuto dopo, si
è accesa un'animata discussione sull'amore. Tutti avevano
un'opinione precisa, difendevano i propri punti di vista con
le unghie e con i denti. Ci sono volute diverse bottiglie di
vino perché i commensali si calmassero. Alla fine, qualcuno
ha detto che si era fatto tardi e che il padrone del ristorante
voleva chiudere.
"Avremo cinque giorni di festa," ha gridato un uomo da
un altro tavolo. "Se il padrone vuole chiudere il ristorante è
perché stavate parlando di cose serie!"
Tutti hanno riso, meno lui.
"E dove dovremmo parlare di cose serie?" ha domandato
all'ubriaco dell'altro tavolo.
"In chiesa!" ha risposto quello. E stavolta l'intero ristorante
è scoppiato a ridere.
Lui si è alzato. Ho pensato che stesse andando a litigare.
Tutti sembravano tornati all'adolescenza, quando i litigi
riempiono la notte, insieme ai baci, alle carezze proibite, alla
musica alta e alla velocità.
Ma si è limitato a prendermi per mano e a dirigersi verso
la porta.
"E meglio prenderla sul ridere," ha detto. "Si sta facendo
tardi."
Pioveva a Bilbao, e anche nel mondo. Chi ama ha bisogno di
sapere se perderà e se ritroverà. Lui stava riuscendo a mantenere
perfettamente in equilibrio questi due aspetti. Era allegro
e cantava, mentre rientravamo in albergo.
Sono i pazzi che hanno inventato l'amore.
Benché ancora con la sensazione del vino e dei colori forti, a
poco a poco stavo acquistando un po' di equilibrio. Avevo
bisogno di mantenere il controllo della situazione, perché
volevo fare questo viaggio.
Sarebbe stato facile mantenere il controllo, giacché non
ero innamorata. Chi è in grado di domare il proprio cuore, e
capace di conquistare il mondo.
Le parole della canzone dicevano
Un poema e una cornetta
possono far vagare il cuore.
'Mi piacerebbe lasciar vagare il mio cuore,' pensavo. 'Se riuscissi
a concederlo, sia pure soltanto per un fine-settimana,
questa pioggia sul viso avrebbe un altro sapore. Se amare
fosse facile, starei abbracciata a lui, e le parole della canzone
racconterebbero una storia che è la nostra storia. Se dopo
questi giorni di festa non esistesse Saragozza, finirei per desiderare
che l'effetto dell'alcool non passasse mai e sarei libera
di baciarlo, di accarezzarlo, di dire e di ascoltare le cose che si
confidano gli innamorati.
E invece no. Non posso.
Non voglio.
La canzone dlice:
Usciamo a volare, amata mia.
Sì, usciamo e voliamo. Alle mie condizioni.
Lui non sa ancora che la mia risposta al suo invito è: "Sì."
Per quale motivo, voglio correre questo rischio? Perché in
questo momento sono ubriaca e stanca dei miei giorni sempre
uguali.
Ma la stanchezza passerà. E io desidererò tornare subito a
Saragozza, la città dove ho scelto di vivere. Mi aspettano gli
studi, mi attende un concorso. Mi aspetta un marito di cui
ho bisogno e che non sarà difficile incontrare.
Mi attende una vita tranquilla, con figli e nipoti, con lo
stipendio sicuro e le ferie annuali. Non immagino i suoi terrori,
ma conosco i miei. Non ho bisogno di paure nuove: mi
bastano quelle che ho.
Non potrei mai innamorarmi di uno come lui. Lo conosco
troppo bene, abbiamo vissuto insieme molto tempo, so
delle sue debolezze e dei suoi timori. Non riesco ad ammirarlo
come fanno gli altri.
So che l'amore è come le dighe: se lasci una breccia dove
possa infiltrarsi un filo d'acqua, a poco a poco questo fa saltare
le barriere. E arriva un momento in cui nessuno riesce
più a controllare la forza della corrente.
Se le barriere crollano, l'amore si impossessa di tutto. E
non importa più ciò che è possibile o impossibile, non
importa se possiamo continuare ad avere la persona amata
accanto a noi: amare significa perdere il controllo.
'No, non posso lasciare alcuna breccia. Per piccola che sia.'
"Un momento!"
D'un tratto, ha smesso di cantare. I passi rapidi risuonavano
sul suolo bagnato.
"Andiamo," ha detto, tirandomi per un braccio.
"Aspetti!" gridava un uomo. "Ho bisogno di parlarle!"
Ma lui affrettava sempre più il passo.
"Non ce l'ha con noi," ha detto. "Andiamo in albergo."
Ce l'aveva con noi: non c'era nessuno in quella strada. Il
mio cuore ha preso a battere all'impazzata, e l'effetto dell'alcool
è sparito di colpo. Mi sono ricordata che Bilbao è nei
Paesi Baschi e che gli attentati terroristici sono frequenti. I
passi hanno cominciato ad avvicinarsi.
"Andiamo," ha ripetuto lui, affrettandosi.
Ma era tardi. La figura di un uomo, bagnato dalla testa ai
piedi, si è interposta fra noi.
"Fermatevi, per favore!" ha detto l'uomo. "Per amor di
Dio!"
Ero terrorizzata, cercavo un posto dove rifugiarmi, una
macchina della polizia che potesse spuntare come per miracolo.
D'istinto, gli ho afferrato il braccio, ma lui mi ha allontanato
le mani.
"Per favore!" ha esclamato l'uomo. "Ho saputo che lei era
in città. Ho bisogno del suo aiuto. Si tratta di mio figlio!"
L'uomo è scoppiato a piangere e si è inginocchiato.
'`Per favore!" ripeteva. "Per favore!"
Lui, traendo un respiro profondo, ha chinato il capo,
chiudendo gli occhi. Per alcuni istanti, è rimasto in silenzio,
e tutto ciò che si poteva sentire era il rumore della pioggia
frammisto ai singhiozzi dell'uomo inginocchiato sulla strada.
"Torna in albergo, Pilar," ha detto, alla fine. "E dormi. Io
arriverò all'alba."
Lunedì, 6 dicembre 1993.
L'amore è disseminato di trappole. Quando vuole manifestarsi,
mostra soltanto la sua luce e non ci permette di vedere
le ombre che quello stesso chiaro provoca.
"Guardati intorno," ha detto lui. "Sdraiamoci per terra,
ascoltiamo il battito del cuore del pianeta."
"Non adesso," gli ho risposto. "Non mi va di sporcarmi
l'unica giacca che ho con me."
Abbiamo camminato per colline ricoperte di uliveti.
Dopo la pioggia del giorno prima a Bilbao, il sole di quel
mattino mi dava la sensazione di vivere in un sogno. Non
avevo neppure un paio di occhiali scuri: non avevo portato
niente con me, perché intendevo tornare a Saragozza il giorno
stesso. Ho dovuto dormire con una camicia che mi ha
prestato lui; mi sono comprata una camicetta nei pressi dell'albergo,
per poter lavare quella che indossavo.
"Sarai stufo di vedermi con lo stesso vestito," ho detto
scherzando, per vedere se un argomento banale mi riportava
alla realtà.
"Sono felice perché sei qui."
Non aveva più riparlato di amore dalla restituzione della
medaglia, ma era di buon umore e sembrava essere tornato ai
diciott'anni. Camminava al mio fianco, immerso anche lui
nel chiarore del mattino.
"Che cosa devi fare laggiù?" ho domandato, indicando le
vette dei Pirenei all'orizzonte.
"Al di là di quelle montagne c'è la Francia," ha risposto
lui, sorridendo.
"La geografia l'ho studiata. Voglio solo sapere perché dobbiamo
andare fin laggiù."
Per un po' di tempo non ha detto nulla, limitandosi a sorridere.
"Perché tu veda una casa. Può darsi che ti interessi."
"Se pensi di vendermi un immobile, scordatelo. Non ho
soldi."
Per me era identico stare in un paese della Navarra o arrivare
fino in Francia. Comunque non volevo passare i giorni
di festa a Saragozza.
'Vedi?' ho sentito il mio cervello dire al cuore. 'Sei soddisfatta
di avere accettato l'invito. Sei cambiata e non te ne
rendi conto.'
No, non ero cambiata affatto. Mi ero soltanto rilassata un
po.
"Osserva le pietre."
Erano rotonde, senza spigoli Sembravano ciottoli del
mare. Eppure il mare non era mai arrivato nelle campagne
della Navarra.
"I piedi dei lavoratori, dei pellegrini, degli avventurieri
hanno modellato queste pietre," ha detto lui. "Ed esse sono
cambiate, proprio come i viaggiatori."
"Sono stati i viaggi a insegnarti tutto ciò che sai?"
"No. Sono stati i miracoli della Rivelazione."
Io non ho capito e non ho neppure cercato di approfondire
la cosa. Ero immersa nel sole, nella campagna, nelle montagne
all'orizzonte.
"Dove stiamo andando, adesso?" ho domandato.
"In nessun posto. Ci stiamo godendo la mattinata, il sole,
il paesaggio. Davanti a noi abbiamo un lungo viaggio in
macchina."
Lui ha tentennato per un momento, poi mi ha domandato:
"Hai conservato la medaglia?"
"Sì," gli ho risposto, e mi sono messa a camminare con
passo più svelto. Non volevo che toccasse l'argomento:
avrebbe potuto rovinare la gioia e la libertà della mattinata.
A un certo punto ci è apparso un paese. Simile alle città
medievali, si trovava in cima a un colle e io, a distanza, potevo
vedere la torre della chiesa e le rovine di un castello.
"Arriviamo fin lassù?" gli ho chiesto.
Lui era in dubbio, ma ha finito per acconsentire. Lungo il
cammino, abbiamo trovato una cappella e io ho voluto
entrare. Non ero più capace di pregare, ma il silenzio delle
chiese tranquillizza sempre.
'Non sentirti in colpa,' mi sono detta. 'Se è innamorato, è
un problema suo.'
Mi aveva domandato della medaglia. Sapevo che si aspettava
che riprendessi la conversazione del bar. Ma, allo stesso
tempo, aveva paura di ascoltare ciò che non voleva sentire,
perciò non andava avanti, sorvolava sull'argomento.
Può darsi che mi amasse davvero. Ma saremmo riusciti a trasformare
questo amore in qualcosa di diverso, di più profondo?
'Ridicolo,' ho pensato. 'Non esiste niente di più profondo
dell'amore. Nei racconti d'infanzia, le principesse baciano i
rospi, e questi si trasformano in principi. Nella vita reale, le
principesse baciano i principi, e questi si trasformano in
rospi.'
Dopo quasi mezz'ora di cammino, siamo arrivati alla cappella.
Un vecchio se ne stava seduto sui gradini
Si trattava della prima persona che vedevamo dall'inizio
del nostro cammino. Era la fine di ottobre, e le campagne
erano di nuovo nelle mani del Signore che fertilizza la terra
con la sua benedizione e consente all'uomo di ricavare il proprio
sostentamento con il sudore della fronte
"Buon giorno," gli ha detto lui.
"Buon giorno."
"Come si chiama quel paese?"
"San Martín de Unx.'
"Unx?" ho chiesto io. "Sembra un nome da gnomo!"
Il vecchio non ha afferrato la battuta. Con poca voglia, mi
sono avviata alla porta della cappella
"Non può entrare," ha sentenziato il vecchio. "Si chiude a
mezzogiorno. Se vuole, può tornare alle quattro."
La porta era aperta. Io riuscivo a vedere l'interno della
cappella, ma confusamente, per via della forte luce esterna.
"Solo un minuto. Vorrei dire una preghiera."
"Mi dispiace molto. E già chiusa."
Lui era rimasto ad ascoltare la mia conversazione con il
vecchio, senza dire nulla.
"Va bene, andiamo via," ho detto io. "Non serve a nulla
stare qui a discutere."
Lui continuava a guardarmi, ma i suoi occhi erano assenti,
distanti.
"Non vuoi vedere la cappella?" mi ha chiesto.
Sapevo che il mio atteggiamento non gli era piaciuto.
Deve avermi trovato debole, codarda, incapace di lottare per
ciò che desideravo. Senza bisogno di alcun bacio. la principessa
si era trasformata in rospo.
"Ti ricordi ieri?" gli ho chiesto. "Al bar hai troncato la
conversazione perché non avevi voglia di discutere. Adesso
che io faccio la stessa cosa, mi rimproveri."
Il vecchio ascoltava impassibile la nostra discussione.
Doveva essere contento perché stava accadendo qualcosa
proprio lì, davanti a lui, in un luogo dove tutte le mattine,
tutti i pomeriggi e tutte le sere erano uguali.
"La porta della chiesa è aperta," ha detto lui, rivolgendosi
al vecchio. "Se vuole dei soldi, possiamo darle qualcosa. Ma
lei vuole vedere la chiesa."
"L'orario è passato."
"Va bene. Ma entreremo comunque."
Mi ha preso per il braccio e siamo entrati insieme.
Il mio cuore ha fatto un balzo. Il vecchio sarebbe potuto
diventare aggressivo, avrebbe potuto chiamare la polizia,
rovinarci il viaggio.
"Perché lo stai facendo?"
"Perché tu vuoi vedere la cappella," ha risposto lui.
Io non sono riuscita neppure a guardare che cosa c'era
dentro; quella discussione e il mio atteggiamento avevano
tolto ogni fascino a una mattinata quasi perfetta.
Il mio udito era attento a ciò che succedeva fuori: da un
minuto all'altro mi immaginavo il vecchio allontanarsi e le
guardie del paese arrivare.
'Profanatori di cappelle. Ladri. State facendo qualcosa di
proibito, state violando la legge. Il vecchio ha detto che era
chiusa, che non era più l'orario di visita!' ho pensato che
dicessero. Quell'uomo era un povero vecchio, incapace di
fermarci, ma le guardie sarebbero state ancora più dure, perché
avevamo mancato di rispetto a un anziano.
Mi sono trattenuta all'interno solo il tempo sufficiente a
mostrare di essere a mio agio. Il cuore continuava a battermi
talmente forte che avevo addirittura paura che lui ne percepisse
il rumore.
"Possiamo andare," ho detto, dopo aver lasciato passare il
tempo necessario per recitare un'Ave Maria.
"Non aver paura, Pilar. Non puoi 'controinscenare'."
Non desideravo che quella discussione con il vecchio si
trasformasse in un litigio con lui. Dovevo mantenere la
calma.
"Non so che cosa significhi 'controinscenare'," ho risposto.
"Certe persone vivono in lotta con altre, con se stesse, con
la vita. Allora si inventano opere teatrali immaginarie e adattano
il copione alle proprie frustrazioni."
"Ne conosco molte così. Ho capito di cosa stai parlando."
"La cosa peggiore, però, è che non possono rappresentare
quest'opera da soli," ha continuato lui. "Allora cominciano a
convocare altri attori
"E quanto ha fatto quel tipo là fuori. Voleva vendicarsi di
qualcosa e ha scelto noi. Se avessimo accettato la sua proibizione,
ce ne saremmo pentiti. Gli avremmo permesso di
includerci nella sua vita meschina e nelle sue frustrazioni.
"L'aggressività di quell'uomo era visibile: è stato facile evitare
di 'controinscenare'. Altri, invece, ci 'convocano' quando
cominciano a comportarsi da vittime, lamentandosi per le
ingiustizie della vita, chiedendoci di essere d'accordo, di dare
consigli, di partecipare."
Mi ha guardato negli occhi.
"Attenzione," ha detto. "Quando si entra in questo gioco,
se ne esce sempre sconfitti."
Aveva ragione. Io, comunque, mi sentivo alquanto a disagio
là dentro.
"Ho pregato. Ho fatto ciò che desideravo. Adesso possiamo
uscire."
Siamo usciti. Il contrasto fra l'oscurità della cappella e la
luce intensa all'esterno mi ha accecato per alcuni istanti.
Appena i miei occhi me lo hanno permesso, ho visto che il
vecchio non c'era più.
"Andiamo a pranzo," ha detto lui, avviandosi verso l'abitato.
A pranzo ho bevuto due bicchieri di vino. Non avevo mai
bevuto tanto in vita mia. Stavo diventando un'alcolizzata.
'Che esagerazione!'
Chiacchierando con il cameriere, lui ha scoperto che nei
dintorni c'erano delle rovine romane. Io cercavo di seguire la
conversazione, ma non riuscivo a nascondere il mio malumore.
La principessa era diventata un rospo. Ma che importava?
A chi avevo bisogno di dimostrare qualcosa se non ero alla
ricerca di niente, né uomo, né amore?
'Lo sapevo,' ho pensato. 'Lo sapevo che avrei spezzato l'equilibrio
del mio mondo. Il cervello mi aveva avvisato, ma il
cuore non ha voluto seguirne il consiglio.'
Ho dovuto pagare un prezzo alto per ottenere quel poco
che possedevo. Ho dovuto rinunciare a tanti desideri, recedere
da tanti cammini. Ho sacrificato i miei sogni in nome
di uno più grande: la pace dello spirito. Ora non volevo
allontanarmene.
"Sei tesa," ha detto lui, interrompendo la conversazione
con il cameriere.
"Sì, è vero. Penso che quel vecchio sia andato a chiamare
la polizia. Questa è una piccola cittadina: credo che sappiano
dove ci troviamo. La tua ostinazione a pranzare qui potrebbe
mettere fine ai nostri giorni di festa."
Lui ha continuato a rigirare tra le mani il bicchiere d'acqua
minerale. Doveva sapere che non si trattava affatto di
questo. In verità, mi vergognavo. Perché mai trattiamo così
le nostre vite? Perché mai scorgiamo la pagliuzza nell'occhio
e non vediamo le montagne, le campagne e gli uliveti?
"Ascolta: non accadrà niente di tutto ciò," ha detto lui.
"Quel vecchio se n'è già tornato a casa e non si ricorda neanche
più dell'episodio. Abbi fiducia in me."
'Non è per questo che sono tesa, sciocco,' ho pensato.
"Ascolta con più attenzione il tuo cuore," ha continuato
lui.
"E proprio questo: lo sto ascoltando," ho risposto. "E preferisco
andare via da qui. Non mi sento a mio agio."
"Non bere più durante il giorno. Non serve a niente."
Fino a quel momento mi ero controllata. Adesso era ora di
dire tutta la verità.
"Tu pensi di sapere tutto," ho detto. "Parli di istanti magici,
di bambini che vivono dentro di noi. Non so proprio che
cosa tu stia facendo accanto a me."
Lui ha riso.
"Io ti ammiro," mi ha detto. "E ammiro la lotta che stai
sostenendo contro il tuo cuore."
"Quale lotta?"
"Niente," ha risposto.
Ma io sapevo che cosa intendeva dire.
"Non illuderti," ho aggiunto. "Se vuoi, possiamo parlarne.
Ti sbagli riguardo ai miei sentimenti."
Lui ha smesso di rigirare il bicchiere e, fissandomi, mi ha
detto:
"No, non mi sbaglio. So che non mi ami."
Il che mi ha lasciato ancora più disorientata.
"Ma io lotterò," ha proseguito lui. "Esistono cose nella
vita per le quali vale la pena di lottare sino alla fine."
Le sue parole mi hanno lasciata ammutolita.
"Tu ne vali la pena," ha concluso.
Ho distolto lo sguardo, cercando di fingere un interesse
per le decorazioni del ristorante. Prima mi sentivo un rospo,
ma in quel momento ero di nuovo una principessa.
'Voglio credere alle sue parole,' ho pensato, guardando un
quadro con pescatori e barche. 'Non cambierà nulla, ma per
lo meno non mi sentirò tanto debole, tanto incapace.'
"Scusa la mia aggressività," gli ho detto.
Lui ha sorriso. Dopo aver chiamato il cameriere, ha saldato
il conto.
Sulla via del ritorno, ero più confusa. Davo la colpa al sole,
ma non era così: eravamo in autunno inoltrato, e il sole non
riscaldava affatto. Forse era colpa del vecchio, ma quel tipo
era uscito dalla mia vita da un bel pezzo.
Forse era tutta colpa della novità. Le scarpe nuove danno
un po' fastidio. Per la vita non è diverso: ci coglie alla sprovvista
e ci obbliga a incamminarci verso l'ignoto quando noi
non lo vogliamo, quando non ne abbiamo bisogno.
Tentavo di concentrarmi sul paesaggio, ma non riuscivo
più a vedere le campagne ricoperte di ulivi, la cittadella sul
monte, la cappella con il vecchio davanti alla porta. Niente
di tutto ciò mi era familiare.
Ricordavo l'ubriacatura del giorno prima e la canzone che
cantava lui:
I tramonti di Buenos Aires hanno un certo...
Come si può dire?
Be' escidicasa, vaiperArenales...
Perché mai Buenos Aires se eravamo a Bilbao? Che strada era
questa: Arenales? Che cosa voleva lui?
"Qual è la canzone che cantavi ieri?'` ho chiesto.
"Ballata per un folle," ha detto lui. "Perché me lo domandi
soltanto oggi?"
aNiente," ho risposto.
Invece sì, un motivo c'era. Sapevo che cantava quella canzone
perché era una trappola. Mi aveva insegnato le parole.
E io che avrei dovuto imparare le materie per l'esame!
Avrebbe potuto cantare una canzone conosciuta, che io
avevo già sentito migliaia di volte. Ma aveva preferito qualcosa
che io non avessi mai ascoltato.
Era una trappola. In questo modo, quando in futuro la
radio, o un disco, avrebbero suonato questa canzone, mi
sarei ricordata di lui, di Bilbao, di quel periodo in cui l'autunno
della mia vita si era trasformato di nuovo in primavera.
Mi sarei ricordata l'eccitazione, l'avventura, il bambino
che rinasce, Dio solo sa dove.
Doveva aver pensato tutto questo. Lui era saggio, esperto,
vissuto, e sapeva come conquistare la donna che desiderava.
'Sto diventando matta,' mi sono detta. Immaginavo di
essere alcolizzata perché ho bevuto due giorni di seguito.
Pensavo che lui conoscesse tutti i trucchi. Che mi controllasse
e mi governasse con la sua dolcezza.
"Ammiro la lotta che stai sostenendo contro il tuo cuore,"
aveva detto lui, quando eravamo al ristorante.
Ma si sbagliava. Perché ho già lottato contro il mio cuore
e l'ho vinto tanto tempo fa. Non mi sarei innamorata dell'impossibile.
Conoscevo i miei limiti e la mia capacità di
soffrire.
"Di' qualcosa," l'ho pregato, mentre tornavamo alla macchina.
"Che cosa?"
"Qualsiasi cosa. Parlami."
E ha attaccato a raccontarmi delle apparizioni della
Madonna, a Fatima. Non so dove avesse scovato questo
argomento, ma la storia dei tre pastorelli che avevano parlato
alla Madonna riusciva a distrarmi.
A poco a poco il mio cuore si è calmato. Sì, conoscevo
bene i miei limiti e sapevo controllarmi.
Siamo arrivati di sera, con una nebbia talmente fitta da non
consentirci di distinguere dove ci trovassimo. Scorgevo solo
una piazzetta, un lampione, alcune case medievali male illuminate
dalla luce gialla e un pozzo.
"La nebbia!" ha esclamato, eccitato.
Sono rimasta lì senza capire.
"Siamo a Saint-Savin," ha concluso.
Il nome non mi diceva nulla. Ma eravamo in Francia, e
questo mi eccitava.
"Perché questo luogo?" ho domandato.
"Per via di quella casa che voglio venderti," ha risposto lui,
ridendo. "Inoltre, ho promesso che sarei tornato nel giorno
dell'Immacolata Concezione."
"Qui?"
"Qui vicino."
Ha fermato l'automobile. Quando ne siamo scesi, mi ha
preso per mano e abbiamo cominciato a camminare nella
nebbia.
"Questo luogo è entrato nella mia vita senza che me lo
aspettassi," ha detto.
'Anche tu,' ho pensato.
"Qui, un giorno, ho creduto di avere smarrito il cammino.
E invece non era così: in verità, lo avevo ritrovato."
"Parli per enigmi," ho detto.
"E' qui che ho capito quanto mi mancavi nella vita."
Mi sono guardata intorno. Non riuscivo a comprenderne
il motivo.
"Cos'ha a che vedere con il tuo cammino, tutto questo?"
"Vedremo di trovare una camera, perché gli unici due
alberghi di questo paese sono aperti soltanto in estate. Poi
ceneremo in un buon ristorante, distesi. senza la paura della
polizia, senza aver bisogno di ritornare di corsa in macchina.
E quando il vino ci scioglierà la lingua, chiacchiereremo a
lungo."
Siamo scoppiati a ridere. Ormai ero più rilassata. Durante
il viaggio, mi ero resa conto delle sciocchezze che avevo pensato.
Mentre attraversavamo la catena montuosa che separa
la Francia dalla Spagna, ho chiesto a Dio di lavare la mia
anima dalla tensione e dalla paura.
Ormai ero stanca di interpretare un ruolo infantile, comportandomi
come tante amiche che avevano paura dell'amore
impossibile, anche se non sapevano neppure bene che cosa
fosse "l'amore impossibile". Continuando così, avrei perduto
tutto quello che di buono potevano concedermi quei pochi
giorni insieme a lui.
'Attenzione,' ho pensato. `Attenzione alla breccia nella
diga. Se dovesse aprirsi, niente al mondo riuscirebbe a chiuderla.'
"Che la vergine ci protegga da qui in avanti," ha detto lui.
Non ho risposto.
"Perché non hai detto: 'Amen'?" ha domandato allora.
"Perché non lo ritengo più tanto importante. C'è stato un
tempo in cui la religione faceva parte della mia vita, ma
ormai è passato."
Lui ha fatto una sorta di giravolta e ci siamo incamminati
verso la macchina.
'`Prego ancora," ho proseguito. "L'ho fatto mentre attraversavamo
i Pirenei. Ma è qualcosa di automatico: non so
neppure se ho ancora fiducia."
"Per quale motivo?"
"Perché ho sofferto e Dio non mi ha ascoltato. Perché, più
volte nella vita, ho tentato di amare con tutto il cuore e, alla
fine, l'amore è stato calpestato, tradito. Se Dio è amore,
avrebbe dovuto avere maggior cura del mio sentimento."
"Dio è amore. Ma chi conosce molto bene l'argomento è
la Vergine.",
Lì sono scoppiata in una risata. Quando l'ho guardato di
nuovo, ho visto che era serio: non era stata una battuta.
"La Vergine conosce il mistero del concedersi in maniera
totale," ha proseguito. "E, avendo amato e sofferto, ci ha
liberati dal dolore. Così come Gesù ci ha liberati dal peccato."
"Gesù era il figlio di Dio. La Vergine era solo una donna a
cui è stata concessa la grazia di accoglierlo nel proprio ventre,"
ho risposto. Volevo porre rimedio a quella risata fuori
luogo; volevo che sapesse che rispettavo la sua fede. Ma sulla
fede e sull'amore non c'è da discutere, soprattutto in un bel
posto come quello.
Ha aperto la portiera dell'automobile e ha preso le due
borse. Quando ho tentato di recuperare il mio bagaglio, ha
sorriso.
"Lascia che porti io la tua borsa," ha detto.
'Da quanto tempo nessuno mi tratta in questo modo!' ho
pensato.
Abbiamo bussato alla prima porta; la donna ci ha detto
che non affittava camere. Alla seconda, nessuno è venuto ad
aprire. Alla terza, un vecchietto ci ha accolto con gentilezza
ma, visionando la camera, abbiamo scoperto che c'era soltanto
un letto matrimoniale. Ho rifiutato.
"Forse sarebbe meglio andare in un paese più grande," ho
suggerito quando siamo usciti.
"Troveremo una camera," ha risposto lui. "Conosci l'esercizio
dell'Altro? Fa parte di una storia scritta cento anni fa, il
cui autore..."
"Dimenticati dell'autore e raccontami la storia," gli ho
detto, mentre ci avviavamo a piedi verso l'unica piazza di
Saint-Savin.
`'Un tizio incontra un vecchio amico che vive tentando di
sfondare, ma senza risultato. "Dovrò dargli qualche spicciolo,"
pensa. Ma poi, proprio quella notte, scopre che il suo
vecchio amico è ricco ed è venuto a pagare tutti i debiti contratti
nel corso degli anni.
"Si recano in un bar che frequentavano nei tempi andati e
lui paga da bere a tutti. Quando gli chiedono il motivo di
tanto successo, risponde che fino ad alcuni giorni addietro
stava vivendo l'Altro.
"`Che cos'è l'Altro?' domandano.
"'L'Altro è colui che mi hanno insegnato a essere, ma che
non sono io. L'Altro crede che sia obbligo degli uomini trascorrere
la vita pensando al modo di accumulare denaro per
non morire di fame da vecchi. Tanto pensa e tanto progetta
che, alla fine, scopre di essere vivo solo quando i suoi giorni
sulla terra stanno volgendo al termine. Ma allora è troppo
tardi.'
"'E tu, chi sei?'
"'Io sono quello che chiunque di noi può essere, se ascolterà
il proprio cuore. Uno che si meraviglia davanti al mistero
della vita, che è aperto ai miracoli, che prova gioia ed
entusiasmo per ciò che fa. Solo che l'Altro, per paura di
deludere, non mi lasciava agire.'
"'Ma la sofferenza esiste,' dicono le persone nel bar.
"Esistono le sconfitte. Ma nessuno può sfuggirvi. "Perciò è
meglio perdere alcuni combattimenti nella lotta per i propri
sogni, piuttosto che essere sconfitto senza neppure conoscere
il motivo per cui stai lottando.'
"'Soltanto questo?' domandano gli avventori.
"Sì. Quando l'ho scoperto, mi sono svegliato deciso a
essere ciò che realmente ho sempre desiderato. L'Altro è
rimasto lì, nella mia camera, a guardarmi, ma non l'ho più
fatto entrare, anche se talvolta ha cercato di spaventarmi,
mettendomi in guardia sui rischi di non pensare al futuro.'
"'Dal momento in cui ho scacciato l'Altro dalla mia vita,
l'energia divina ha operato i suoi miracoli."'
'Credo che questa storia l'abbia inventata lui. Può essere
bella, ma non è vera,' ho pensato, mentre continuavamo a
cercare un luogo dove fermarci. Saint-Savin non aveva più di
trenta case: ben presto avremmo dovuto fare ciò che avevo
suggerito io, cioè andare in un paese più grande.
Per quanto entusiasmo avesse lui, per quanto l'Altro fosse
ormai lontano dalla sua vita, gli abitanti di Saint-Savin non
sapevano che il suo sogno era trascorrere lì quella notte, e
non gli avrebbero dato alcun aiuto. Eppure, mentre lui raccontava
la storia, mi sembrava di vedere me stessa: le paure,
l'insicurezza, la voglia di non scorgere tutto ciò che è meraviglioso,
perché domani può finire e noi soffriremo.
Gli dèi lanciano i dadi, ma non domandano se vogliamo
partecipare al gioco. Non vogliono sapere se hai lasciato un
uomo, una casa, un lavoro, una carriera, un sogno. Gli dèi
non badano al fatto che tu vuoi avere una vita in cui ogni
cosa sia al proprio posto, in cui ogni desiderio si possa esaudire
con il lavoro e la pertinacia. Gli dèi non tengono conto
dei nostri piani e delle nostre speranze. In qualche luogo dell'universo,
loro lanciano i dadi e, casualmente, vieni scelto
tu. Da quel momento in poi, vincere o perdere è solo questione
di opportunità.
Gli dèi lanciano i dadi e liberano l'amore dalla sua gabbia.
Questa forza può creare o può distruggere, a seconda della
direzione in cui soffiava il vento nel momento in cui si è
liberata dalla prigione.
Per il momento, questa forza stava soffiando verso di lui.
Ma i venti sono capricciosi come gli dèi e io, in fondo al mio
essere, cominciavo a sentire qualche raffica.
Come se il destino volesse mostrarmi che la storia dell'Altro
era vera e che l'universo cospira sempre a favore dei sognatori,
abbiamo trovato una casa dove fermarci, con una camera
a due letti. Per prima cosa ho fatto un bagno, ho lavato la
biancheria e indossato la camicetta che avevo comprato. Mi
sono sentita come nuova, e questo mi ha dato maggiore sicurezza.
'Chissà se all'Altra piace questa camicetta?' ho riso fra me
e me.
Dopo aver cenato con i padroni di casa - anche I ristoranti
erano chiusi in autunno e in inverno -, lui ha chiesto una
bottiglia di vino, promettendo di comprarne un'altra il giorno
seguente.
Ci siamo messi le giacche, abbiamo preso in prestito due
bicchieri e siamo usciti.
"Andiamo a sederci sul bordo del pozzo," ho detto io.
appena fuori.
Siamo rimasti lì, a bere per allontanare il freddo e la tensione.
"Sembra che l'Altro sia di nuovo penetrato in te," ho
scherzato. "Il tuo umore è peggiorato."
Lui ha riso.
"Ho detto che avremmo trovato una camera e l'abbiamo
trovata. L'universo ci aiuta sempre a lottare per i nostri
sogni, per quanto sciocchi possano sembrare. Perché sono i
nostri e soltanto noi sappiamo quanto ci costa sognarli."
La nebbia che il lampione colorava di giallo, non ci lasciava
distinguere neppure il lato opposto della piazza.
Ho tratto un respiro profondo. L'argomento non poteva
più essere rimandato.
"Dobbiamo ancora parlare dell'amore," ho proseguito.
Non possiamo più evitarlo. Sai come ho passato questi giorni.
Quanto a me, l'argomento non sarebbe neppure venuto
fuori. Ma, giacché è accaduto, non riesco a non pensarci."
Amare è pericoloso."
"Lo so,' ho risposto. "Ho già amato. Amare è come una
droga. All inizio viene la sensazione di euforia, di totale
abbandono. Poi, il giorno dopo, vuoi di più. Non hai ancora
preso il vizio, ma la sensazione ti è piaciuta e credi di poterla
tenere sotto controllo. Pensi alla persona amata per due
minuti e te ne dimentichi per tre ore.
"Ma, a poco a poco, ti abitui a quella persona e cominci a
dipendere da lei in ogni cosa. Allora la pensi per tre ore e te
ne dimentichi per due minuti. Se quella persona non ti è
vicina, provi le stesse sensazioni dei drogati ai quali manca la
droga. A quel punto, come i drogati rubano e si umiliano
per ottenere ciò di cui hanno bisogno, sei disposto a fare
qualsiasi cosa per l'amore."
"Che esempio orribile," ha detto lui.
Era davvero un esempio orribile, del tutto inadatto al
vino, al pozzo, alle case medievali intorno alla piazzetta Ma
era la verità. Se lui aveva fatto tanti passi per via dell'amore,
bisognava che ne conoscesse i rischi.
"Perciò dobbiamo amare soltanto chi possiamo avere vicino,
ho concluso.
Si è fermato a lungo a guardare la nebbia. Sembrava che
non mi avrebbe più chiesto di navigare insieme nelle acque
pericolose di un discorso sull'amore. Ero stata dura, ma non
c'era altra via.
'Chiudiamo l'argomento,' ho pensato. La convivenza di
tre giorni - e, per giunta, il fatto che mi avesse visto sempre
con gli stessi vestiti - è stata sufficiente per fargli cambiare
idea. Il mio orgoglio di donna si è sentito ferito, ma il cuore
ha preso a battere più sollevato.
'Ma io voglio davvero tutto questo?' mi sono domandata.
Perché già cominciavo a sentire le tempeste che i venti dell'amore
portano con sé. E già iniziavo a notare una breccia
nella barriera della diga.
Siamo rimasti lì a bere a lungo, senza toccare alcun argomento
serio. Abbiamo fatto qualche commento sui padroni
di casa e sul santo fondatore del paese. Poi lui mi ha raccontato
alcune leggende sulla chiesa al di là della piazzetta, che
riuscivo a distinguere a stento per via della nebbia.
"Sei distratta," ha detto, a un certo punto.
Sì, la mia mente stava vagando. Avrei voluto essere lì con
qualcuno che lasciasse il mio cuore tranquillo, con qualcuno
con cui poter vivere quell'istante, senza la paura di perderlo
il giorno seguente. Allora il tempo sarebbe passato più lentamente:
avremmo potuto restare in silenzio, c'era il resto della
vita per parlare. E io non avrei avuto bisogno di preoccuparmi
di argomenti seri, di decisioni difficili, di parole dure.
Siamo rimasti in silenzio. e questo era un segnale. Per la
prima volta restavamo in silenzio, benché avessi notato soltanto
allora che si era alzato per andare a prendere un'altra
bottiglia di vino.
In silenzio. Ho ascoltato il suono dei suoi passi che ritornavano
verso il pozzo dove eravamo seduti da più di un'ora.
a bere e a guardare la nebbia.
Per la prima volta siamo rimasti in silenzio per davvero.
Non era il silenzio opprimente della macchina, del viaggio
da Madrid a Bilbao. Non era il silenzio del mio cuore
impaurito quando ero nella cappella vicino a San Martín de
Unx.
Era un silenzio che parlava. Un silenzio che mi diceva che
non era più necessario stare a spiegarci le cose l'un l'altro.
Lui si era fermato. Ora mi stava guardando e ciò che vedeva
doveva essere bello: una donna seduta sul bordo di un
pozzo, in una notte di nebbia, sotto la luce di un lampione.
Le case medievali, la chiesa dell'XI secolo e il silenzio.
La seconda bottiglia di vino era già quasi a metà quando ho
deciso di parlare.
"Stamattina mi stavo convincendo di essere alcolizzata.
Non faccio che bere. In questi tre giorni, ho bevuto più di
quanto abbia fatto durante tutto l'anno scorso.`'
Mi ha sfiorato il capo con la mano, senza dire nulla. Io
sentivo il suo tocco e non facevo niente per allontanarlo.
"Raccontami qualcosa della tua vita," gli ho chiesto.
"Non ci sono grandi misteri. Esiste il mio cammino, e io
faccio il possibile per percorrerlo con dignità."
"Qual è il tuo cammino?"
"Il cammino di chi cerca l'amore."
Ha perso tempo giocherellando con la bottiglia quasi
vuota.
"E l'amore è un cammino complicato," ha concluso.
"Perché, in questo percorso, o gli eventi ci innalzano al
cielo, o ci scagliano giù all'inferno," ho detto, senza tuttavia
avere la certezza che si stesse riferendo a me.
Lui non ha aggiunto niente. Forse era ancora immerso
nell'oceano del silenzio.
A me, invece, il vino ha sciolto di nuovo la lingua e ho
sentito la necessità di parlare.
"Hai detto che qualcosa qui, in questo posto, ha modificato
la tua rotta."
"Penso di sì. Non ne sono ancora certo, ed è per questo
che ho voluto portarti fin qui."
"E una prova?"
"No. E una maniera di concedersi. Affìnché lei mi aiuti a
prendere la decisione migliore."
"Lei chi?"
"La Vergine?"
La Vergine. Avrei dovuto immaginarlo. Mi stupiva vedere
come tanti anni di viaggi, di scoperte, di nuovi orizzonti,
non lo avessero liberato dal cattolicesimo dell'infanzia.
Almeno in questo, i nostri amici e io eravamo progrediti:
non vivevamo più sotto il peso della colpa e dei peccati.
"E sorprendente come, dopo tutto quello che hai passato,
tu abbia mantenuto ancora la stessa fede."
"Non l'ho mantenuta. L'ho perduta e poi recuperata."
"Ma, questa fede nelle Vergini? In cose impossibili e fantastiche?
Non hai avuto una vita sessuale attiva?"
"Normale. Mi sono innamorato di molte donne."
Ho sentito una punta di gelosia e mi sono stupita della
mia reazione. Ma la lotta interiore sembrava essersi placata e
non volevo risvegliarla.
"Per quale motivo lei è 'la Vergine'? Perché non ci mostrano
la Madonna come una donna normale, uguale alle altre?"
Ha scolato quel poco che restava nella bottiglia. Quindi
mi ha chiesto se ne volevo un'altra, e io gli ho detto di no.
"Voglio solo che tu mi risponda. Ogniqualvolta affrontiamo
certi argomenti, ti metti a parlare d'altro."
"Lei era una donna normale. Ebbe altri figli. La Bibbia ci
racconta che Gesù aveva due fratelli. La verginità nel concepimento
di Gesù si deve ad altro: Maria inizia una nuova era
di grazia. Lì comincia un'altra tappa. Lei è la sposa cosmica,
la terra che si apre al cielo e si lascia fertilizzare.
"In quel momento, grazie al suo coraggio di accettare il
destino, lei consente che Dio scenda sulla terra. E si trasforma
nella Grande Madre."
Non riuscivo a seguire le sue parole. Lui se ne è accorto.
"Lei è il volto femminile di Dio. Possiede una propria
divinità."
Ha pronunciato queste parole in maniera tesa, quasi forzata,
come se stesse commettendo un peccato.
"Una Dea?" ho chiesto.
Ho atteso perché me lo spiegasse meglio, ma lui non ha
proseguito il discorso. Solo qualche minuto prima, pensavo
con ironia al suo cattolicesimo. Adesso le sue parole mi sembravano
blasfeme.
"Chi è la Vergine? Che cos'è la Dea?" Sono stata io a
riprendere l'argomento.
"E difficile spiegarlo," ha detto lui, con un fare sempre più
impacciato. "Ho con me qualcosa di scritto. Puoi leggerlo, se
vuoi."
"Adesso non intendo leggere niente, voglio che me lo spieghi
tu,' ho Insistito.
Lui cercava la bottiglia di vino che però era vuota. Non ci
ricordavamo già più che cosa ci avesse portato al pozzo.
C'era qualcosa di importante nell'aria, come se le sue parole
stessero compiendo un miracolo.
"Continua a parlare," ho insistito.
"Il suo simbolo è l'acqua, la nebbia intorno a lei. La Dea
usa l'acqua per manifestarsi."
La nebbia sembrava acquistare vita e trasformarsi in qualcosa
di sacro, benché io continuassi a non capire bene ciò
che lui stava dicendo.
"Non voglio certo parlarti di storia. Se vuoi saperne qualcosa,
puoi leggere il testo che ho portato con me. Ma sappi
che questa donna - la Dea, la Vergine Maria, la Shekhinah
giudaica, la Grande Madre, Iside, Sofia, serva e signora - è
presente in tutte le religionì della terra. E stata dimenticata,
proibita, mascherata, ma il suo culto si è tramandato di millennio
in millennio ed è giunto fino a noi.
"Uno dei volti di Dio è il volto di una donna."
L'ho guardato in viso. I suoi occhi brillavano e fissavano la
nebbia davanti a noi. Ho capito che non avevo più bisogno
d'insistere perché continuasse.
"Lei è presente nel primo capitolo della Bibbia, quando lo
spirito di Dio aleggia sulle acque, e lui le pone al di sotto e al
di sopra delle stelle. E il matrimonio mistico della terra con
il cielo. Lei è presente nell'ultimo capitolo della Bibbia,
quando
lo Spirito e la sposa dicono: 'Vieni!'
E chi ascolta ripeta: 'Vieni!'
Chi ha sete, venga,
chi vuole attinga gratuitamente lacqua della vita."
"Perché il simbolo del volto femminile di Dio è l'acqua?"
"Non lo so. Ma generalmente lei sceglie questo mezzo per
manifestarsi. Forse perché è la fonte della vita: veniamo
generati nell'acqua, vi rimaniamo per nove mesi. L'acqua è il
simbolo del potere della donna a cui nessun uomo, per
quanto illuminato o perfetto sia, può aspirare."
Si è fermato per un attimo, ma ha ripreso subito a parlare.
"In ogni religione e in ogni tradizione, lei si manifesta in
diverse maniere, ma si disvela sempre. Siccome sono cattolico,
la riconosco quando sono davanti alla Vergine Maria."
Mi ha preso per mano e, dopo neppure cinque minuti di
strada, siamo usciti da Saint-Savin. Lungo il percorso, siamo
passati vicino a una colonna, sulla cui cima c'era qualcosa di
strano: una croce con la raffigurazione della Vergine al pOStO
di Gesù Cristo. Ripensando alle sue parole, mi sono stupita
della coincidenza.
Adesso eravamo completamente circondati dall'oscurità e
dalla nebbia. Cominciavo a immaginarmi nell'acqua, nel
ventre materno, dove il tempo e il pensiero non esistono.
Tutto ciò che stava dicendo sembrava avere un incredibile
senso. Ripensavo a quella donna alla conferenza. Alla giovane
che mi aveva condotto nella piazza. Anche lei aveva detto
che l'acqua era il simbolo della Dea.
"A venti chilometri da qui c'è una grotta," ha proseguito
lui. "L'11 febbraio 1858, una giovinetta raccoglieva legna nei
dintorni insieme ad altri due bambini. Era una creatura fragile,
asmatica, la cui povertà rasentava la miseria. In quella
giornata d'inverno, ebbe paura di attraversare un piccolo
ruscello: poteva bagnarsi, ammalarsi, e i suoi genitori avevano
bisogno di quel poco denaro che lei guadagnava come
pastorella.
"Fu allora che comparve una donna vestita di bianco, con
due rose dorate sui piedi. Si rivolse alla giovinetta come se
questa fosse una principessa, la pregò di ritornare in quello
stesso posto un certo numero di volte e poi svanì. Gli altri
due bambini, che avevano assistito alla scena come in trance,
senza perdere tempo diffusero la notizia dell'accaduto.
"Da quel momento iniziò per lei un lungo calvario. Fu
imprigionata e le fu ordinato di rinnegare tutto. Fu tentata
con denaro, affinché chiedesse favori speciali all'Apparizione.
Nei primi giorni, la sua famiglia fu insultata pubblicamente:
si diceva che lei facesse tutto ciò per atrirare l'attenzione
della gente.
"La giovinetta, che si chiamava Bernadette, non aveva la
minima idea di quello che aveva visto e continuava a vedere.
Chiamava la donna che le era apparsa 'Quella' e i suoi genitori,
addolorati, si rivolsero al prete del paese per avere aiuto.
Questi suggerì alla giovinetta di domandare alla signora,
come si chiamava.
"Bernadette fece come le aveva detto il prete, ma l'unica
risposta che ottenne fu un sorriso. 'Quella' le apparve diciotto
volte, la maggior parte delle quali, senza dire nulla. Una
di queste volte, però, chiese alla giovinetta di baciare per
terra. Pur senza capire, Bernadette fece ciò che le venne ordinato.
Un altro giorno, la signora le chiese di scavare una
fossa dentro la grotta. Bernadette obbedì e, all'istante, affiorò
una pozza di acqua fangosa. Lì dentro, infatti, venivano
custoditi i maiali.
"'Bevi quest'acqua,' le disse la signora.
"Ma l'acqua era talmente sporca che Bernadette la raccolse
e poi la buttò via per tre volte, senza avere il coraggio di
avvicinarla alle labbra. Ma infine obbedì, anche se con ripugnanza.
Nel punto dove aveva scavato, cominciò a sgorgare
altra acqua. Un uomo, cieco da un occhio, dopo essersene
passato alcune gocce sul viso recuperò la vista. Una donna,
disperata perché il figlio appena nato le stava morendo,
immerse il piccino nella fonte in un giorno in cui la temperatura
era scesa sotto lo zero. Il piccino guarì.
"A poco a poco la notizia si diffuse e le persone cominciarono
ad accorrere a migliaia. La giovinetta continuò a chiedere
alla signora quale fosse il suo nome, ma lei si limitò a
sorridere. Finché, un bel giorno, si rivolse a Bernadette e
disse: 'Io sono l'Immacolata Concezione.'
"Soddisfatta, la giovane pastorella corse a raccontarlo al
parroco.
"'Non è possibile,' disse lui. 'Nessuno può essere l'albero e
il frutto allo stesso tempo, figliola. Torna laggiù e bagnala
con l'acqua benedetta.
"Per il prete, soltanto Dio poteva esistere fin dal principio,
e Dio, tutto sta a indicarlo, è un uomo."
Lui ha fatto una lunga pausa. E poi ha proseguito:
"Bernadette bagnò la signora con acqua benedetta. E
l'Apparizione sorrise con tenerezza, nient'altro.
"Il 16 luglio la donna apparve per l'ultima volta. Poco
dopo Bernadette entrò in convento, senza sapere di avere
cambiato completamente il destino di quel piccolo paese nei
pressi della grotta. La fonte continua a riversare acqua e i
miracoli si succedevano.
"La storia si diffonde prima in Francia e poi nel mondo
intero. La città cresce e si trasforma. Cominciano ad arrivare
e a insediarsi i commercianti. Si aprono alberghi e locande.
Bernadette muore e viene sepolta lontano: non aveva mai
realmente saputo ciò che stava accadendo.
"Alcuni, per mettere in difficoltà la Chiesa - visto che, a
questo punto, il Vaticano ammette le apparizioni--, cominciano
a inventare falsi miracoli che vengono poi smascherati.
La Chiesa reagisce con rigore: da una certa data in poi,
accetta come miracoli solo quei fenomeni che vengono sottoposti
a una serie di esami rigorosi compiuti da commissioni
mediche e scientifiche.
"Ma l'acqua sgorga ancora e le guarigioni continuano."
Mi è sembrato di sentire qualche cosa vicino a noi. Ho avuto
paura, ma lui non si è mosso. La nebbia possedeva vita e storia.
Mi sono fermata a pensare a tutto quello che stava raccóntando
e alla domanda di cui non ho capito la risposta:
come sapeva tutto ciò?
Ho pensato al volto femminile di Dio. L'uomo accanto a
me aveva un'anima piena di conflitti. Poco tempo prima, mi
aveva scritto dicendo di voler entrare in un seminario cattolico,
ma era convinto che Dio avesse un volto femminile
Lui stava in silenzio. Io continuavo a sentirmi nel ventre
della Madre Terra, senza tempo e senza spazio. La storia di
Bernadette sembrava svolgersi davanti ai miei occhi, nella
nebbia che ci circondava.
Poi lui ha ripreso a parlare.
"Bernadette non sapeva due cose importantissime," ha
detto. "La prima era che, ancor prima che la religione cristiana
giungesse in questi luoghi, queste montagne erano abitate
dai celti e la Dea era il principale oggetto di devozione di
questa cultura. Generazioni e generazioni riconoscevano il
volto femminile di Dio e condividevano il suo amore e la sua
gloria."
"E la seconda?"
"La seconda era che, poco prima che Bernadette avesse le
visioni, le alte autorità del Vaticano si erano riunite in segreto.
Quasi nessuno sapeva che cosa succedesse durante quelle
riunioni e sicuramente il prete di Lourdes non doveva averne
la minima idea. I vertici della Chiesa cattolica stavano decidendo
se dichiarare il dogma dell'Immacolata Concezione.
Infine fu dichiarato con la bolla papale Inquabilis Deus. Ma
senza chiarire esattamente, al grande pubblico. che cosa
significasse."
"E tu, che cosa c'entri con tutto ciò?" ho chiesto.
"Io sono un suo discepolo. Ho appreso con lei," ha detto,
non rendendosi conto di svelare la fonte di tutto ciò che
sapeva.
"Tu la vedi?"
"Sì."
Siamo tornati nella piazza e abbiamo percorso i pochi metri
che ci separavano dalla chiesa. Ho visto il pozzo, la luce del
lampione e la bottiglia di vino con i due bicchieri sul bordo.
'Devono esserci stati due innamorati,' ho pensato allora.
'Silenziosi, mentre i loro cuori si parlavano. E quando i loro
cuori si sono detti tutto, hanno cominciato a condividere i
grandi misteri.'
Ancora una volta non si era parlato affatto di amore. Non
importava. Ho capito di trovarmi davanti a qualcosa di
molto serio e dovevo approfittarne per capire tutto ciò che
mi era possibile. Per alcuni momenti ho pensato ai miei
studi, a Saragozza, all'uomo della vita che volevo incontrare:
ma adesso tutto mi sembrava lontano, circondato dalla stessa
nebbia che aleggiava su Saint-Savin.
"Perché mi hai raccontato la storia di Bernadette?" ho
domandato.
"Il motivo preciso non lo so," ha risposto lui, senza guardarmi
negli occhi. "Forse perché siamo vicini a Lourdes. O
perché dopodomani è il giorno dell'Immacolata Concezione.
Oppure perché voglio dimostrarti che il mio mondo non è
tanto solitario e folle come può sembrare. Altre persone ne
fanno parte. E credono a ciò che affermano."
"Non ho mai detto che il tuo mondo sia folle. Forse è
folle il mio: sto sprecando il periodo più importante della
mia vita appresso a quaderni e studi che non mi faranno
certo uscire da un luogo che già conosco.`'
Ho sentito che era più sollevato: lo capivo.
Mi aspettavo che continuasse a parlare della Dea, ma si è
voltato verso di me dicendo: "Andiamo a dormire. Abbiamo
bevuto molto."
Martedì, 7 dicembre 1993.
Lui si è addormentato subito. Io sono rimasta a lungo sveglia,
pensando alla nebbia, alla piazza, al vino e alla conversazione.
Ho letto il manoscritto che mi ha prestato e mi sono
sentita felice. Se Dio esistesse veramente, sarebbe Padre e
Madre.
Poi ho spento la luce e sono rimasta a pensare al silenzio
che c'era vicino al pozzo. E stato proprio nei momenti in cui
non abbiamo parlato che ho capito quanto gli fossi vicina.
Nessuno di noi aveva detto niente. E inutile parlare dell'amore,
perché l'amore ha una propria voce e parla da sé.
Quella sera, sul bordo del pozzo, il silenzio ha concesso ai
nostri cuori di avvicinarsi e di conoscersi meglio. Il mio
cuore, allora, ha ascoltato ciò che il suo cuore diceva e si è
sentito felice.
Prima di chiudere gli occhi, ho deciso di fare quello che
lui definiva l"'esercizio dell'Altro".
'Sono qui in questa camera,' ho pensato. 'Lontano da
tutto ciò a cui sono abituata, parlo di cose per le quali non
ho mai provato alcun interesse e passo la notte in un paese
dove non ho mai messo piede prima. Posso fingere, per alcuni
minuti, di essere diversa.'
Mi sono messa a immaginare come mi sarebbe piaciuto
vivere quel momento. Mi sarebbe piaciuto essere piena di
gioia, curiosa, felice. Vivere intensamente ogni istante, dissetarmi
con l'acqua della vita. Avere di nuovo fiducia nei
sogni. Essere capace di lottare per ciò che desideravo.
Amare un uomo che mi amava.
Si, era davvero questa la donna che avrei voluto essere e
che, all'improvviso, compariva e si trasformava in me.
Ho sentito la mia anima inondata dalla luce di un Dio, o
di una Dea, in cui non credevo più. E ho percepito che, in
quel momento, l'Altra abbandonava il mio corpo e si sedeva
in un angolo della piccola camera. Io guardavo la donna che
ero stata fino ad allora: era debole, ma fingeva di essere forte.
Aveva paura di tutto, ma diceva a se stessa che non si trattava
di paura, bensì della saggezza di chi conosce la realtà.
Costruiva pareti intorno alle finestre da cui penetrava la
gioia del sole, affinché i suoi mobili non si sbiadissero.
Ho visto l'Altra seduta nell'angolo della camera, fragile,
stanca, delusa. Controllava e schiavizzava quello che avrebbe
dovuto essere sempre libero: i sentimenti. Tentava di giudicare
l'amore futuro in base alla sofferenza passata.
L'amore è sempre nuovo. Non importa che amiamo una,
due, dieci volte nella vita: ci troviamo sempre davanti a una
situazione che non conosciamo. L'amore può condurci all'inferno
o in paradiso, comunque ci porta sempre in qualche
luogo. E necessario accettarlo, perché esso è ciò che alimenta
la nostra esistenza. Se non lo accettiamo, moriremo di fame
pur vedendo i rami dell'albero della vita carichi di frutti: non
avremo il coraggio di tendere la mano e di coglierli. E necessario
ricercare l'amore là dove si trova, anche se ciò potrebbe
significare ore, giorni, settimane di delusione e di tristezza.
Perché, nel momento in cui partiamo in cerca dell'amore,
anche l'amore muove per venirci incontro.
E ci salva.
Quando l'Altra si è allontanata da me, il mio cuore ha ripreso
a parlarmi. Mi ha raccontato che il foro nel muro della
diga lasciava passare un piccolo flusso, i venti spiravano in
tutte le direzioni e lui era felice perché io lo ascoltavo di
nuovo.
Il mio cuore mi diceva che ero innamorata. E mi sono
addormentata contenta, con un sorriso sulle labbra.
Quando mi sono svegliata, la finestra era aperta e lui stava
guardando le montagne. Per alcuni minuti, non ho detto
niente, pronta a chiudere gli occhi se avesse girato il capo.
Come se capisse ciò che stavo pensando, si è voltato e mi
ha guardato negli occhi.
"Buon giorno," ha detto.
"Buon giorno. Chiudi la finestra, entra freddo."
L'Altra era comparsa senza preavviso. Tentava ancora di
cambiare la direzione del vento, di scoprire difetti, di dire
che, no, non era possibile. Ma sapeva che era tardi
"Ho bisogno di cambiarmi," ho detto.
"Ti aspetto di sotto," ha risposto lui.
E allora mi sono alzata, ho allontanato dal pensiero l'Altra,
ho riaperto la finestra, ho fatto entrare il sole. Il sole che
inondava tutto: le montagne ammantate di neve, il suolo
ricoperto di foglie secche, il fiume che non vedevo, ma sentivo.
Il sole si è riflesso sui miei seni, ha illuminato il mio corpo
nudo, eppure non sentivo freddo, perché un calore mi consumava:
il calore di una scintilla che si trasforma in fiamma
della fiamma che si muta in fuoco, del fuoco che si apre nell'incendio
impossibile da controllare. Lo sapevo.
E lo volevo.
Sapevo che da quel momento in poi avrei conosciuto i
cieli e gli inferni, la gioia e il dolore, il sogno e lo sconforto,
e che non potevo più trattenere i venti che spiravano dagli
angoli remoti dell'anima. Sapevo che da quel mattino mi
avrebbe guidata l'amore, benché fosse già presente fin dall'infanzia,
da quando lo avevo visto per la prima volta.
Perché non l'ho mai dimenticato, anche se mi ero giudicata
indegna di lottare per lui. Era un amore difficile, irto di barriere
che non volevo superare.
Ho ricordato la piazza di Soria, il momento in cui gli
avevo chiesto di cercarmi la medaglia che avevo perduto. Io
sapevo, sì, sapevo che cosa stava per dirmi e non volevo sentirlo,
perché lui era come certi ragazzi che un bel giorno se
ne partono in cerca di denaro, di avventure o di sogni. Io
avevo bisogno di un amore possibile: il mio cuore e il mio
corpo erano ancora vergini, e un principe azzurro mi sarebbe
venuto incontro.
A quell'epoca me ne intendevo poco di amore. Quando
l'ho rivisto alla conferenza e poi ho accettato l'invito, ho creduto
che la donna matura fosse capace di controllare il cuore
della bambina che ha lottato tanto per incontrare il suo principe
azzurro. Poi, quando aveva parlato dei bambini sempre
presenti in noi, avevo risentito la voce della piccina di un
tempo, della principessa che aveva paura di amare e di perdere.
Per quattro giorni avevo tentato di ignorare la voce del
mio cuore, ma questa gridava sempre più forte, lasciando
l'Altra disperata. Nell'angolo più remoto della mia anima, io
esistevo ancora e credevo ai sogni. Prima che l'Altra dicesse
qualche cosa, avevo accettato il passaggio e il viaggio: avevo
deciso di correre i rischi.
Ed è per questo, per quel poco di me che restava, che l'amore
mi è venuto di nuovo incontro, dopo avermi cercato ai
quattro angoli del mondo. L'amore mi è venuto ancora
incontro, benché l'Altra avesse costruito una barriera di preconcetti,
di certezze e di libri in una tranquilla via di
Saragozza.
Ho aperto la finestra e il mio cuore. Il sole ha inondato la
camera e l'amore ha pervaso la mia anima.
Abbiamo vagato per ore a digiuno, nella neve; lungo la strada,
abbiamo preso il primo caffè del mattino in un piccolo
paese di cui non saprò mai il nome: lì c'è una fontana con
una scultura raffigurante un serpente e una colomba fusi in
un unica creatura.
Vedendola, ha sorriso.
"E un segnale. Il maschile e il femminile uniti nella stessa
figura."
"Non avevo mai pensato a quello che mi hai detto ieri,"
ho commentato. "Eppure, è logico."
"Maschio e femmina Dio li creò," ha detto lui, ripetendo
una frase della Genesi. "Perché così era a sua immagine e
somiglianza: maschio e femmina."
Ho visto un nuovo bagliore nei suoi occhi. Era felice e
rideva di qualunque sciocchezza. Attaccava a parlare con le
poche persone che incontravamo strada facendo: contadini
con abiti grigi che si recavano al lavoro, scalatori in abbigliamento
colorato che si preparavano ad arrampicarsi su qualche
picco. Io restavo zitta, perché il mio francese è pessimo.
Ma la mia anima gioiva nel vederlo così.
Era tale la sua felicità che, parlando con lui, sorridevano
tutti. Forse il suo cuore gli aveva detto qualcosa e adesso lui
sapeva che io lo amavo, anche se mi comportavo ancora
come una vecchia amica d'infanzia.
"Sembri più contento," ho detto a un certo punto.
"Perché ho sempre sognato di trovarmi qui con te, fra
queste montagne, a cogliere i frutti dorati del sole."
"I frutti dorati del sole": un verso scritto tanto tempo fa
che lui ripeteva adesso, al momento giusto.
"e' un altro il motivo della tua gioia," ho commentato,
mentre lasciavamo quuel paesino con la strana fontana.
"Quale?"
"Tu sai che sono contenta. E merito tuo se oggi mi trovo
qui, a scalare picchi reali, lontana dalle montagne di quaderni
e di libri. Mi stai rendendo felice. E la felicità è qualcosa
che si moltiplica quando viene condivisa."
"Hai fatto l'esercizio dell'Altro?"
"Sì, come lo sai?"
"Perché anche tu sei cambiata. E perché apprendiamo
questo esercizio sempre al momento giusto."
L'Altra mi ha seguito per tutta la mattina. Tentava di riavvicinarsi.
Ma, via via che i minuti passavano, la sua voce si
affievoliva sempre più e la sua immagine cominciava a dissolversi.
Mi veniva in mente il finale dei film dell'orrore,
quando il mostro diventa polvere.
Abbiamo superato un'altra colonna con l'immagine della
Vergine sulla croce.
"A che cosa stai pensando?" ha domandato.
"Ai vampiri. Alle creature della notte che, rinchiuse in se
stesse, disperatamente cercano compagnia. Ma sono incapaci
di amare. Ecco perché, secondo la leggenda, solo un piolo
conficcato nel cuore può ucciderle. Quando ciò accade, il
loro cuore libera l'energia dell'amore e distrugge il male."
"Non ci avevo mai pensato prima. Ma è giusto."
Io ero riuscita a conficcare questo piolo. Il cuore, finalmente
libero dalle maledizioni, era ormai conscio di tutto. Per
l'Altra non c'era più posto.
Mille volte ho provato il desiderio di prendergli la mano e
altrettante volte sono rimasta immobile, senza far nulla. Ero
un po' confusa: avrei voluto dirgli che lo amavo, ma non
sapevo da dove cominciare.
Abbiamo parlato di montagne e di fiumi. Ci siamo smarriti
nella foresta per quasi un'ora, ma poi abbiamo ritrovato
il sentiero. Abbiamo mangiato panini e bevuto neve sciolta.
Quando il sole ha cominciato a tramontare, abbiamo deciso
di tornare a Saint-Savin.
Il suono dei nostri passi riecheggiava tra le pareti di pietra.
D'istinto ho portato la mano alla fonte dell'acqua benedetta
e mi sono fatta il segno della croce. Ho ripensato a ciò che
mi aveva detto: "L'acqua è il simbolo della Dea."
"Andiamo fin laggiù," ha detto lui.
Abbiamo quindi attraversato la chiesa vuota e buia dove,
sotto l'altare maggiore, c'è la tomba di san Savino, un eremita
vissuto agli inizi del primo millennio. Le pareti della chiesa
sono state abbattute e ricostruite più volte.
Certi luoghi sono così: possono essere rasi al suolo da
guerre, persecuzioni e indifferenza, ma restano sacri. Chi vi
passa, allora, sente che manca qualcosa e lo ricostruisce.
C'era un'immagine di Cristo crocifisso che mi ha suscitato
una strana sensazione: avevo la netta impressione che il suo
capo si muovesse, seguendomi.
"Fermiamoci qui."
Eravamo davanti a un altare dedicato alla Madonna.
"Guarda la statua."
Maria con il figlio in braccio. Gesù Bambino che indicava
verso l'alto.
Ho commentato con lui ciò che vedevo.
"Guarda con più attenzione," ha insistito.
Ho cercato di osservare ogni dettaglio della scultLra
lignea: la pittura dorata, il piedistallo, la perfezione delle pieghe
del mantello. Ma solo quando ho notato il dito di Gesù
ho capito che cosa intendesse dire.
In realtà, benché fosse Maria a tenerlo fra le braccia, era
Gesù a sostenere lei. Il braccio del bambino, rivolto al cielo,
sembrava trasportare la Vergine verso l'alto: verso la dimora
del suo sposo celeste.
"L'artista che ha fatto questa scultura, più di seicento anni
fa, sapeva quello che voleva esprimere," ha commentato lui.
Si sono uditi dei passi sul pavimento di legno. Una donna
è entrata e ha acceso una candela davanti all'altare maggiore.
Noi non ci siamo mossi per alcuni minuti, rispettando il
silenzio della sua preghiera.
'L'amore non viene mai a poco a poco,' pensavo mentre lo
vedevo assorto nella contemplazione della Vergine. Il giorno
prima, il mondo aveva un senso anche senza la sua presenza.
Adesso avevo bisogno che lui mi fosse accanto per poter
distinguere l'autentico fulgore delle cose.
Quando la donna è uscita, lui ha ripreso a parlare.
"L'artista conosceva la Grande Madre, la Dea, il volto misericordioso
di Dio. Finora non sono riuscito a rispondere a
una tua domanda. Mi hai chiesto: 'Dove hai appreso tutto
ciò?"'
E vero, gliel'avevo domandato, e lui mi aveva già risposto.
Ma ho taciuto.
"Ebbene, l'ho appreso come questo artista," ha proseguito.
"Ho accettato l'amore che scaturiva dall'alto. Mi sono lasciato
guidare. Ricorderai certamente quella lettera in cui ti
dicevo che volevo entrare in un monastero. Non te l'ho mai
raccontato ma, alla fine, ci sono entrato."
Mi sono subito ricordata la conversazione prima della
conferenza. Il mio cuore ha cominciato a battere più velocemente
e io ho cercato di fissare lo sguardo sulla Vergine. Lei
sorrideva.
'Non è possibile.' ho pensato. 'Ci sarà pure entrato, ma ne
è uscito. Per favore, dimmi che sei uscito dal seminario.'
"Avevo già vissuto intensamente la mia gioventù," ha proseguito
lui, senza intuire i miei pensieri. "Conoscevo altri
popoli e altri paesaggi. Avevo già cercato Dio ai quattro
angoli del pianeta. Mi ero già innamorato di altre donne e
avevo lavorato per molti uomini. facendo diversi mestieri."
Altra fitta. "E' necessario che io faccia attenzione perché
l'Altra non ritorni,' mi sono detta, mantenendo lo sguardo
fisso sul sorriso della Vergine.
"Il mistero della vita mi affascinava, volevo comprenderlo
fino in fondo. Ricercai le risposte dove mi si diceva che qualcuno
sapeva qualcosa. Andai in India e in Egitto. Conobbi
maestri di magia e di meditazione. Vissi con alchimisti e
sacerdoti. E scoprii ciò che avevo bisogno di scoprire che la
verità è sempre là dove esiste la fede."
La verità è sempre là dove esiste la fede. Ho guardato di
nuovo la chiesa intorno a me, le pietre consumate, tante
volte abbattute e quindi ricollocate al loro posto. Che cosa
spingeva l'uomo a insistere, a impegnarsi tanto per ricostruire
quel piccolo tempio, in un luogo remoto, fra montagne
così alte?
La fede.
"I buddisti erano dalla parte della ragione, così come gli
induisti, gli indios, i musulmani e gli ebrei. Ogniqualvolta
l'uomo avesse seguito, con sincerità d'animo, il cammino
della fede. sarebbe stato in grado di unirsi a Dio e compiere
miracoli.
"Ma limitarsi a saperlo non serviva: era necessario fare una
scelta. Scelsi la Chiesa cattolica perché in essa sono stato
educato, e la mia infanzia è impregnata dei suoi misteri. Se
fossi nato ebreo, avrei scelto l'ebraismo. Dio è lo stesso,
anche se ha mille nomi: ma per chiamarlo si deve sceglierne
uno."
Di nuovo i passi nella chiesa.
Si è avvicinato un uomo, fermandosi a guardarci. Poi ha raggiunto
l'altare maggiore e ha tolto i due candelabri. Doveva
essere il custode della chiesa.
Mi sono ricordata del sorvegliante di quell'altra cappella
che non voleva lasciarci entrare. Ma stavolta l'uomo non ci
ha detto niente.
"Stasera ho un appuntamento," ha detto lui, appena l'uomo
è uscito.
"Per favore, continua quello che stavi raccontando. Non
cambiare argomento."
"Entrai in un seminario qui vicino. Per quattro anni, studiai
più che potei. In quel periodo, presi contatto con gli
Illuminati, con i Crismatici, con le diverse correnti che cercavano
di aprire porte chiuse da lungo tempo. Scoprii che
Dio non era quel giustiziere che mi spaventava nell'infanzia.
C'era tutto un movimento per tornare all'innocenza originaria
del cristianesimo."
"Intendi dire che, dopo duemila anni, bisognerebbe consentire
a Gesù di far parte della Chiesa," ho detto, con una
certa ironia.
"Puoi anche scherzarci, ma è proprio così. Cominciai ad
apprendere con uno dei superiori del monastero. Mi insegnò
che bisognerebbe sempre accettare il fuoco della Rivelazione,
lo Spirito Santo."
A mano a mano che udivo le sue parole, il cuore mi si
stringeva. La Vergine continuava a sorridere e Gesù Bambino
aveva un'espressione gioiosa. Anch'io lo avevo creduto un
giorno, ma poi il tempo, l'età e la sensazione di essere una
persona più logica e più pratica, avevano finito per allontanarmi
dalla religione.
Ho pensato a quanto grande fosse il desiderio di recuperare
quella fede dell'infanzia che mi aveva accompagnato per
moltissimi anni, facendomi credere negli angeli e nei miracoli.
Ma era impossibile riaverla con un semplice atto di
volontà.
"Il mio superiore mi diceva che, se avessi creduto di sapere,
alla fine avrei saputo," ha proseguito. "Cominciai a parlare
da solo quando ero nella mia cella. fregai perché lo Spirito
Santo si manifestasse e mi insegnasse tutto ciò che avevo
bisogno di sapere. A poco a poco cominciai a scoprire che,
mentre parlavo da solo, una voce più saggia diceva le cose al
posto mio."
"Capita anche a me," ho detto, interrompendolo.
Lui si aspettava che proseguissi. Ma io non sono riuscita
ad aggiungere altro.
"Ti ascolto," ha insistito lui.
Qualcosa mi aveva bloccato la lingua. Lui diceva cose
tanto belle; io non sapevo esprimermi con altrettanta nobiltà.
"L'Altra sta cercando di tornare," ha detto lui, come se
indovinasse il mio pensiero. "L'Altra ha sempre paura di dire
delle sciocchezze."
"Sì," ho risposto, facendo il possibile per vincere la paura.
"Molto spesso, quando parlo con qualcuno e mi entusiasmo
per un argomento. finisco per dire cose che non ho mai pensato
prima. E come se attivassi un'intelligenza che non mi
appartiene e che, della vita, ne capisce molto più di me. Ma
capita di rado. Di solito, in qualsiasi conversazione, io preferisco
ascoltare. Così ho l'impressione di apprendere qualcosa
di nuovo, anche se finisco sempre per dimenticare tutto."
"La nostra grande sorpresa siamo noi stessi," ha detto lui.
"Una fede grande quanto un granellino di senape può smuovere
quelle montagne laggiù. E ciò che ho appreso. E oggi
mi sorprendo quando ascolto le mie stesse parole.
"Gli apostoli erano pescatori, analfabeti e ignoranti. Ma
accettarono la fiamma che scendeva dal cielo. Non si vergognarono
della propria ignoranza: ebbero fede nello Spirito
Santo.
"E questo il dono per chi vorrà accettarlo. Basta solo credere,
accettare e non aver paura di commettere errori."
La Vergine continuava a sorridere lì davanti a me. Lei aveva
avuto moltissimi motivi per piangere, eppure sorrideva.
"Continua a raccontare," ho detto.
"Si tratta di questo," ha risposto. "Accettare il dono. Allora
il dono si manifesta."
"Non è proprio così."
"Non mi capisci?"
"Sì, ti capisco. Ma sono come tutti gli altri: ho paura.
Penso che questo si verifichi per te, o per il mio vicino, ma
non certo per me. Mai."
"Un giorno cambierà. Quando capirai che siamo come
quel bambino che è qui davanti a noi e che ci sta guardando."
"Ma fino ad allora, penseremo tutti di essere giunti vicino
alla luce e non riusciremo ad accendere la nostra fiamma."
Non mi ha risposto.
"Non hai finito di raccontarmi la storia del seminario," ho
detto, dopo un po'.
"Sono ancora in seminario."
E prima che potessi reagire, si è alzato, incamminandosi
verso il centro della chiesa.
Io non mi sono mossa. Mi girava la testa, non capivo nulla
di quanto stava accadendo. In seminario!
Era meglio non pensare. La diga si era rotta, l'amore inondava
la mia anima e io non potevo più controllarlo. C'era
ancora una via d'uscita: l'Altra. Lei era dura perché debole,
fredda perché timorosa, ma io non la volevo più. Non potevo
più vedere la vita attraverso i suoi occhi.
Un suono ha interrotto i miei pensieri: un suono acuto,
prolungato, come di un flauto gigantesco. Il mio cuore ha
fatto un balzo.
Un altro suono. E poi un altro. Ho guardato dietro di me:
c'era una scala di legno che conduceva a una sorta di piattaforma,
in contrasto con l'armonia e la bellezza gelida della
pietra. Su di essa si poteva ammirare un antico organo.
E lui era lassù. Non distinguevo il suo viso perché era
buio, ma sapevo che era lì.
Mi sono alzata e lui mi ha chiamata.
"Pilar!" ha detto, con voce carica di emozione. "Resta
dove sei!"
Ho obbedito.
"Che la Grande Madre mi ispiri," ha proseguito. "Che la
musica sia la mia preghiera di oggi."
E ha cominciato a suonare l'Ave Maria. Dovevano essere le
sei del pomeriggio, l'ora dell'Angelus, l'ora in cui la luce e le
tenebre si confondono. Il suono dell'organo riecheggiava
nella chiesa vuota, si fondeva con le pietre e le statue cariche
di storia e di fede.
Ho chiuso gli occhi e ho lasciato che la musica mi pervadesse,
si fondesse con me, che purificasse la mia anima dalle
paure e dalle colpe, che mi facesse rammentare che ero pur
sempre migliore di quanto pensassi, più forte di quanto credessi.
Ho provato un immenso desiderio di mettermi a pregare.
Da quando avevo lasciato il cammino della fede era la prima
volta che accadeva una simile cosa. Benché fossi seduta su un
banco, la mia anima era lì inginocchiata ai piedi di quella
Signora davanti a me, al cospetto di quella donna che aveva
detto:
"Sì,
quando avrebbe potuto dire:
"No",
e l'angelo ne avrebbe cercata un'altra, e lei non avrebbe
avuto alcun peccato agli occhi del Signore, perché Dio conosce
ogni debolezza dei propri figli. Ma lei aveva detto:
"Sia fatta la tua volontà",
anche quando comprese di ricevere, insieme alle parole
dell'angelo, tutto il dolore e la sofferenza del proprio destino.
E gli occhi del suo cuore riuscirono a scorgere il diletto figlio
allontanarsi da casa, gli uomini che lo seguivano e poi lo
negavano, ma:
"Sia fatta la tua volontà".
anche quando, nel momento più sacro della vita di una
donna, dovette giacere con gli animali di una stalla per partorire,
perché così volevano le Scritture:
`'Sia fatta la tua volontà",
anche quando, addolorata, cercò il figlio per le strade e lo
ritrovò nel tempio. E lui le chiese di non ostacolarlo, perché
aveva altri doveri e altri compiti da eseguire:
"Sia fatta la tua volontà",
anche se sapeva che avrebbe continuato a cercarlo per il
resto dei suoi giorni, con il cuore trafitto dal dolore, temendo
ogni istante per la sua vita e sapendo che era perseguitato
e minacciato:
"Sia fatta la tua volontà",
anche se, incontrandolo in mezzo alla folla, non era riuscita
ad avvicinarsi a lui:
"Sia fatta la tua volontà",
anche se, dopo aver chiesto a un uomo di avvisarlo che lei
era lì, il figlio le aveva fatto rispondere: "Mia madre e i miei
fratelli sono questi che sono con me."
"Sia fatta la tua volontà",
anche se, alla fine, tutti erano fuggiti e ai piedi della croce,
a sopportare le risa dei nemici e la vigliaccheria degli arnici,
erano rimasti solo lei. un'altra donna e un uomo:
"Sia fatta la tua volontà."
Sia fatta la tua volontà, Signore. Perché tu conosci la debolezza
del cuore dei tuoi figli e a ciascuno concedi solo il fardello
che può sopportare. Che tu comprenda il mio amore,
perché è l'unica cosa che possiedo realmente, l'unica cosa
che potrò portare con me nell'altra vita. Fa' che esso si mantenga
coraggioso, puro e sempre vivo, malgrado gli abissi e le
trappole del mondo.
Il suono dell'organo era cessato e il sole si era nascosto dietro
le montagne, come se entrambi fossero regolati dalla stessa
mano. La sua supplica era stata ascoltata; la musica era stata
la sua preghiera. Ho aperto gli occhi: la chiesa era completamente
buia, se non fosse stato per quella candela solitaria
che illuminava la statua della Vergine.
Ho sentito di nuovo i suoi passi, che ritornavano a me. La
luce di quell'unica candela ha illuminato le mie lacrime e il
mio sorriso: non era bello come quello della Vergine, ma
dimostrava che il mio cuore era vivo.
Lui è rimasto lì a fissarmi, mentre io guardavo lui. La mia
mano ha cercato la sua e l'ha trovata. Adesso, era il suo cuore
a battere con più rapidità: riuscivo quasi a sentirlo, perché
eravamo di nuovo in silenzio.
La mia anima, però, era serena e il mio cuore in pace.
Ho stretto forte la sua mano e lui mi ha abbracciata. Siamo
rimasti lì, ai piedi della Vergine, non so per quanto, perché il
tempo sembrava essersi fermato.
Lei ci guardava. La giovane adolescente di campagna che
ha detto "sì" al proprio destino. La donna che ha accettato di
portare nel proprio ventre il figlio di Dio e nel cuore l'amore
della Dea. Lei era in grado di capire
Io non volevo chiedere niente. Erano bastati i momenti
trascorsi nella chiesa, quel pomeriggio, per giustificare il
viaggio. Erano suffìcienti i quattro giorni vissuti con lui per
salvare quell'intero anno in cui non era accaduto nulla di
particolare.
Perciò non volevo chiedere niente. Siamo usciti dalla chiesa
tenendoci per mano e siamo tornati in camera. Mi girava
la testa: il seminario, la Grande Madre. l'appuntamento che
lui aveva quella sera.
Allora mi sono resa conto che entrambi volevamo legare le
nostre anime allo stesso destino. Ma c'era un seminario in
Francia, c'era Saragozza. Ho sentito il mio cuore stringersi.
Ho guardato le case medievali, il pozzo della notte precedente.
Ho ricordato il silenzio e l'espressione triste dell'Altra
che ero stata un tempo.
'Dio, sto tentando di recuperare la fede. Non mi abbandonare,'
ho chiesto, allontanando la paura.
Lui ha dormito un po', io sono rimasta di nuovo sveglia. a
fissare il riquadro buio della finestra. Poi ci siamo alzati,
abbiamo cenato con la famiglia che, a tavola, non parlava
mai e infine lui ha chiesto la chiave di casa.
"Torneremo tardi," ha spiegato alla donna.
"I giovani devono divertirsi," ha commentato lei. "E trascorrere
i giorni di festa nel miglior modo possibile."
"Devo domandarti una cosa," ho detto, appena siamo saliti
in macchina. "Ho tentato di evitarlo, ma non ci riesco."
"Il seminario?" mi ha prevenuto lui.
"Proprio così. Non capisco."
'Anche se capire non ha più importanza,' ho pensato.
"Ti ho sempre amato," ha cominciato lui. "Ho avuto altre
donne, ma ho sempre amato te. Portavo con me la medaglia
pensando che un giorno te l'avrei restituita e avrei trovato il
coraggio di dirti: 'Ti amo.'
"Tutti i cammini del mondo mi riconducevano a te. Ti
scrivevo lettere e aprivo ogni tua risposta con paura. perché
temevo che, in qualcuna di esse, avresti potuto dirmi che
avevi incontrato un altro uomo.
"Poi sentii il richiamo della vita spirituale. O meglio lo
accettai perché, proprio come nel tuo caso, era già presente
in me fin dall'infanzia. Scoprii che Dio era troppo importante
per la mia vita e che non sarei stato felice se non avessi
seguito la mia vocazione. In ogni povero che ho incontrato
nel mondo c'era il viso di Cristo: e io non potevo fare a
meno di vederlo."
Poi ha smesso di parlare e io ho deciso di non insistere.
Venti minuti dopo, ha fermato la macchina e siamo scesi.
"Siamo a Lourdes," ha detto. "Dovresti vedere questo
posto in estate.
Quello che riuscivo a scorgere ora erano strade deserte,
negozi chiusi, alberghi con le grate all'ingresso principale.
"D'estate, ci vengono sei milioni di persone," ha proseguito
lui, entusiasta.
"A me sembra una città fantasma."
Abbiamo attraversato un ponte. Davanti a noi c'era un
immenso portone di ferro, fiancheggiato da angeli, con un
battente aperto. Siamo entrati.
"Continua quello che stavi dicendo," l'ho pregato, anche
se poco prima avevo deciso di non insistere. "Parlami di
come vedevi il viso di Cristo nelle persone povere."
Ho compreso allora che non voleva proseguire quel
discorso. Forse non era né il luogo né il momento adatto.
Ma visto che aveva iniziato, bisognava che finisse.
Abbiamo preso a passeggiare lungo un ampio viale, fiancheggiato
da campi ricoperti di neve. In fondo, distinguevo la
sagoma di una cattedrale.
"Continua," ho ripetuto.
"Lo sai già: entrai in seminario. Durante il primo anno,
chiesi a Dio di aiutarmi a trasformare il mio amore per te in
un amore per tutti gli uomini. Il secondo anno, sentii che
Dio mi stava ascoltando. Il terzo anno, benché la nostalgia
fosse ancora molto intensa, ero ormai certo che questo
amore si stava mutando in carità, preghiera e aiuto ai bisognosi."
"Allora perché mi hai cercato di nuovo? Perché hai riacceso
in me questo fuoco? Perché mi hai parlato dell'esercizio
dell'Altro e mi hai fatto prendere coscienza della meschinità
della mia vita?"
Le parole mi venivano fuori confuse, esitanti. Lo vedevo
sempre più vicino al seminario e sempre più lontano da me.
"Perché sei tornato? Perché me ne parli ora, quando hai
visto che sto cominciando ad amarti?"
Lui ha preso tempo prima di rispondere. Alla fine, ha
detto: "Lo troverai stupido."
"Nient'affatto. Non ho più paura di sembrare ridicola. Me
lo hai insegnato tu."
"Due mesi fa, il mio superiore mi ha chiesto di accompagnarlo
a casa di una donna che era morta e che aveva lasciato
tutti I SUOi beni al nostro seminario. La donna viveva a
Saint-Savin e il mio superiore doveva fare l'inventario dei
beni."
La cattedrale, laggiù in fondo, si avvicinava sempre più.
L'intuizione mi diceva che, non appena vi fossimo giunti,
ogni discorso Si sarebbe interrotto.
"Non fermarti," ho aggiunto. "Merito una spiegazione,
adesso.
"Ricordo il momento in cui entrai in quella casa. Le finestre
si affacciavano sui Pirenei e il fulgore del sole, potenziato
dal chiarore della neve, si diffondeva ovunque. Cominciai a
fare una lista delle cose, ma pochi minuti dopo mi ero già
fermato.
"Avevo scoperto che quella donna aveva i miei stessi gusti
Possedeva dischi che avrei comprato anch'io: musiche che mi
sarebbe piaciuto ascoltare ammirando il paesaggio. Gli scaffali
erano pieni di libri: molti di essi li avevo già letti, mentre
gli altri avrei certamente voluto leggerli. Osservai i mobili, i
quadri, i piccoli oggetti disseminati per le stanze: era come se
li avessi scelti io.
"Da quel giorno, non sono più riuscito a fare a meno di
pensare alla casa. Ogni volta che entravo nella cappella per
pregare, mi rendevo conto che la mia rinuncia non era stata
totale. Mi immaginavo lì con te, in una casa uguale a quella,
ad ascoltare quei dischi, a guardare la neve sulle montagne e
il fuoco nel caminetto. Immaginavo i nostri figli correre per
la casa e giocare nei campi intorno a Saint-Savin."
Benché non fossi mai entrata in quella casa, sapevo esattamente
com'era. E ho desiderato che lui non aggiungesse
altro, per poter sognare.
Ma lui ha proseguito:
"Due settimane fa non ce l'ho fatta più a sopportare la tristezza
della mia anima. Sono andato dal mio superiore, gli
ho raccontato tutto quello che mi stava succedendo. Gli ho
parlato del mio amore per te e di ciò che avevo provato
quando ero andato in quella casa per fare l'inventario."
Ha preso a piovere: una pioggerella sottile, impalpabile,
che scendeva lenta. Così ho chinato il capo e mi sono stretta
nella giacca. Avevo una gran paura di ascoltare il resto della
storia.
"Allora il mio superiore mi ha detto: 'Esistono numerose
strade per servire il Signore. Se pensi che sia questo il tuo
destino, allora seguilo. Solo chi è felice può effondere felicità.'
"'Non so se sia questo il mio destino,' ho risposto al mio
superiore. 'Quando, alla fine, sono entrato in questo monastero,
ho ritrovato la pace del cuore.'
"'Allora va' e chiarisci qualsiasi dubbio tu possa avere,' ha
detto. 'Rimani pure nel mondo, o rientra in seminario: purché
tu possa ritrovare te stesso nel luogo che sceglierai. Un
regno diviso non può resistere agli assalti dell'avversario.
Così un essere umano diviso non può far fronte alla vita con
dignità.'"
Ha infilato la mano in una tasca e mi ha dato qualcosa:
una chiave.
"Il mio superiore mi ha prestato la chiave di quella casa.
Ha detto che poteva anche aspettare un po' prima di venderne
gli oggetti. So che desiderava che io vi ritornassi con te.
E' lui che mi ha organizzato la conferenza a Madrid, affinché ci
incontrassimo di nuovo."
Ho guardato la chiave e ho sorriso. Intanto, dentro di me
era come se le campane suonassero e il cielo si stesse aprendo.
Lui avrebbe servito Dio in un'altra maniera, al mio fianco.
Per questo avrei lottato.
"Prendi questa chiave," ha detto.
Ho teso la mano. E ho riposto la chiave in tasca.
Adesso la basilica era davanti a noi. Prima che potessi dire
una sola parola, qualcuno lo ha visto e si è avvicinato per
salutarlo.
La pioggerella scendeva con insistenza e io non sapevo
quanto ci saremmo trattenuti; continuavo a pensare che
avevo solo quegli abiti, quindi non potevo bagnarmi.
Tentavo di concentrarmi su questo problema. Non volevo
pensare alla casa, a tutto ciò che era sospeso fra il cielo e la
terra, in attesa della mano del destino.
Lui mi ha chiamato, per presentarmi alcune persone. Ci
hanno chiesto dove alloggiavamo, e quando lui ha menzionato
Saint-Savin, qualcuno ha ricordato che proprio lì c'era
la tomba di un santo eremita. Dicevano che era stato quel
santo a scoprire il pozzo che si trova nella piazza e che, in
origine, il paese era stato costruito come rifugio per quei religiosi
che abbandonavano la vita delle città e si recavano sulle
montagne alla ricerca di Dio.
"Ci vivono ancora," ha confermato un tizio.
Io non potevo dire se questa storia fosse vera e non sapevo
neppure chi fossero "loro".
Pian piano si sono avvicinate altre persone e il gruppo si è
diretto verso la grotta. Un uomo, più anziano, ha cercato di
parlarmi in francese. Ma poi, vedendo che non capivo, ha
provato con uno spagnolo incerto.
"Lei è in compagnia di una persona molto particolare," ha
detto. "Un uomo che fa miracoli."
Non ho risposto, ma ho ripensato a quella sera a Bilbao,
quando un uomo disperato era venuto a cercarlo. Lui non
mi aveva detto dov'era poi andato, né ciò mi interessava.
Adesso il mio pensiero rimaneva concentrato su una casa che
sapevo raffigurarmi con precisione. Ne conoscevo i libri, i
dischi, il paesaggio e gli arredi.
In qualche angolo del mondo, una casa reale stava aspettando
noi. Una casa dove avrei atteso in tranquillità il suo
ritorno. Una casa dove avrei potuto aspettare che ritornasse
da scuola una bambina o un bambino che avrebbe riempito
l'ambiente con la sua gioia e il suo disordine.
Il gruppo si è incamminato in silenzio, sotto la pioggia,
finché siamo giunti al luogo delle apparizioni. Era esattamente
come lo avevo immaginato: la grotta, la statua della
Madonna e una fonte, protetta da un vetro, dov'era avvenuto
il miracolo dell'acqua. C'erano alcuni pellegrini che pregavano,
mentre altri se ne stavano seduti all'interno, in silenzio
con gli occhi chiusi. Davanti alla grotta scorreva un
fiume, e il rumore delle sue acque mi ha infuso tranquillità.
Vedendo la statua, ho espresso una supplica; ho chiesto alla
Vergine di aiutarmi, perché il mio cuore non soffrisse più.
'Se il dolore dovrà sopraggiungere, che ciò avvenga presto,'
ho detto. 'Perché ho tutta una vita davanti e devo viverla
nel miglior modo possibile. Se lui deve fare una scelta, che
la faccia subito. Così lo aspetterò. Oppure lo dimenticherò.
Aspettare è doloroso. Dimenticare è doloroso. Ma non sapere
quale decisione prendere è la peggiore delle sofferenze.'
In fondo al cuore, ho sentito che la Vergine aveva ascoltato
la mia richiesta.
Mercoledì, 8 dicembre 1993.
Quando l'orologio della basilica ha battuto la mezzanotte, il
gruppo intorno a noi si era infoltito considerevolmente.
Eravamo quasi un centinaio di persone, fra cui alcuni
sacerdoti e alcune suore, fermi lì sotto la pioggia, a guardare
la statua.
"Salve Nostra Signora dell'Immacolata Concezione!" ha
esclamato qualcuno vicino a me non appena i rintocchi dell'orologio
sono cessati.
"Salve!" hanno risposto tutti, in uno scroscio prolungato
di applausi.
Subito si è avvicinato un guardiano, pregandoci di non
fare rumore. Stavamo disturbando gli altri pellegrini.
"Siamo venuti da lontano," ha spiegato uno del nostro
gruppo.
"Anche loro," ha risposto il guardiano, indicando le altre
persone raccolte in preghiera sotto la pioggia. "E stanno pregando
in silenzio. '
Ho desiderato con tutta me stessa che il guardiano mettesse
fine a quell'incontro. Avrei voluto essere sola con lui, lontano
da lì, per tenergli le mani e dirgli ciò che provavo.
Avevamo bisogno di chiacchierare ancora della casa, fare
progetti, parlare d'amore. Io dovevo tranquillizzarlo, dimostrargli
il mio affetto, dirgli che avrei potuto realizzare il suo
sogno: perché sarei stata al suo fianco, aiutandolo.
Subito dopo il guardiano si è allontanato e uno dei sacerdoti
ha cominciato a recitare il rosario, sottovoce. Quando siamo
giunti al Credo che conclude una prima parte di preghiere,
tutti sono rimasti in silenzio, con gli occhi chiusi.
"Chi sono queste persone?" ho domandato.
"Carismatici," ha risposto lui.
Era una parola che avevo già sentito, ma non sapevo esattamente
di che cosa si trattasse. Lui lo ha capito.
"Sono quelli che accettano il fuoco dello Spirito Santo,"
ha cominciato a spiegare. "Il fuoco che Gesù ha lasciato, con
il quale ben pochi hanno acceso le loro candele. Sono persone
ancora molto vicine alla verità originale del cristianesimo,
quando tutti erano in grado di compiere miracoli. Sono persone
guidate dalla Donna Vestita di Sole," ha concluso indicando
con lo sguardo la Vergine.
Il gruppo ha preso a cantare sottovoce, quasi obbedisse a
un cenno invisibile.
"Stai tremando dal freddo. Non è necessario che tu partecipi,"
ha detto.
"Tu rimani qui?"
"Sì. Questa è la mia vita."
"Allora voglio restare anch'io," ho risposto, anche se avrei
preferito essere ben lontana da lì. "Se questo è il tuo mondo,
voglio imparare a farne parte."
Il gruppo continuava a cantare. Ho chiuso gli occhi, cercando
di seguire quel canto, anche se non parlo il francese.
Ripetevo le parole senza comprenderne il significato, basandomi
solo sul suono. Ma ciò mi aiutava a far passare il
tempo più in fretta.
Ben presto tutto sarebbe finito. Poi, noi due soli saremmo
potuti tornare a Saint-Savin.
Ho continuato a cantare senza pensare. A poco a poco, ho
cominciato a rendermi conto che la musica s'impossessava di
me, come se avesse una vita propria e fosse capace di ipnotizzarmi.
Lentamente il freddo è passato; non mi curavo più
della pioggia, né del fatto di avere con me solo quegli abiti.
La musica mi faceva sentire bene, rallegrava il mio spirito,
mi riportava all'epoca in cui Dio mi era più vicino e mi aiutava.
Quando ormai stavo quasi per cedere del tutto, il canto è
cessato.
Ho aperto gli occhi. Questa volta non si trattava del guardiano,
ma di un prete, che si stava rivolgendo a un sacerdote
del nostro gruppo. Hanno parlato per un po' a voce bassa,
poi il prete si è allontanato.
Allora il sacerdote si è rivolto a noi, dicendo: "Dovremo
recitare le nostre preghiere al di là del fiume."
In silenzio, ci siamo incamminati verso il luogo da lui
indicato. Abbiamo attraversato il ponte che si trova quasi
davanti alla grotta, raggiungendo l'altra sponda. Il posto era
ancora più bello: alberi, aperta campagna e il fiume, che ora
scorreva fra noi e la grotta. Potevamo distinguere con chiarezza
la statua illuminata e alzare la voce, senza avere la spiacevole
sensazione di disturbare la preghiera degli altri.
Questa impressione deve essersi trasmessa all'intero gruppo.
Tutti hanno cominciato a cantare più forte, volgendo lo
sguardo verso l'alto e sorridendo con le gocce di pioggia sul
volto. Qualcuno ha alzato le braccia per primo e, dopo un
minuto, tutti le avevano alzate e le facevano ondeggiare
seguendo il ritmo del canto.
Io mi sforzavo di abbandonarmi, ma nello stesso tempo
volevo prestare attenzione a quello che stava accadendo
intorno.
Accanto a me, un sacerdote cantava in spagnolo, e io tentavo
di ripetere le sue parole. Erano invocazioni allo Spirito
Santo, alla Vergine, affinché fossero presenti e diffondessero
le loro benedizioni e i loro poteri su ciascuno degli astanti.
"Possa il dono delle lingue scendere su di noi," ha detto
un altro sacerdote, ripetendo la stessa frase in spagnolo, in
italiano e in francese.
Non sono riuscita a capire bene che cosa sia accaduto
subito dopo. Ognuno dei presenti ha cominciato a parlare in
una lingua sconosciuta. Più che una lingua, sembravano
suoni provenienti direttamente dall'anima, privi di ogni
significato logico. Ho subito ripensato alla nostra conversazione
in chiesa, quando lui mi aveva parlato della
Rivelazione, del fatto che la saggezza consisteva nell'ascoltare
la propria anima.
'Forse è il linguaggio degli angeli,' ho pensato, tentando di
imitare ciò che facevano gli altri, ma sentendomi ridicola.
Tutti guardavano la Vergine al di là del fiume e sembravano
in trance. L'ho cercato con gli occhi e l'ho visto lì, poco
distante da me. Teneva le mani alzate e anche lui pronunciava
frasi incomprensibili con rapidità, come se stesse parlando
direttamente con la Madonna. Sorrideva, annuiva e, di tanto
in tanto, mostrava un'espressione sorpresa.
'E il suo mondo,' ho pensato.
E questo ha cominciato a spaventarmi. L'uomo che desideravo
al mio fianco affermava che Dio era anche donna,
parlava lingue incomprensibili, entrava in trance e sembrava
vicino agli angeli. La casa in montagna ha cominciato a
parermi meno reale, come se facesse parte di un mondo che
lui aveva ormai lasciato dietro di sé.
Tutti i giorni successivi alla conferenza di Madrid mi sembravano
parte di un sogno, di un viaggio al di fuori del
tempo e dello spazio della mia vita. Eppure, il sogno aveva il
sapore di un mondo, di un romanzo, il sapore di nuove
avventure.
Per quanto opponessi resistenza, sapevo che l'amore può
infiammare facilmente il cuore di una donna: era solo una
questione di tempo; poi, alla fine, avrei consentito al vento
di spirare e all'acqua di distruggere le barriere della diga. Per
quanto poco fossi preparata all'evento, avevo già amato in
precedenza e ritenevo di sapere come contrastare quel sentimento.
Ma lì c'era qualcosa che non riuscivo a comprendere. Non
era questo il cattolicesimo che mi avevano Insegnato a scuola.
Non era così che mi raffiguravo l'uomo della mia vita.
'L'uomo della mia vita. Che strano!' mi sono detta, sorpresa
dal mio stesso pensiero.
Davanti al fiume e alla grotta, ho provato paura e gelosia.
Paura perché tutto lì mi era nuovo, e ciò che è nuovo mi ha
sempre spaventato. Gelosia perché, a poco a poco, cominciavo
a capire che il suo amore era più grande di quanto immaginassi:
si estendeva su terreni che io non avrei mai attraversato.
'Nostra Signora, perdonami,- ho detto. 'Perdonami se mi
sto dimostrando meschina, piccola, se sto contendendo l'esclusiva
dell'amore di quest'uomo. E se la sua vocazione fosse
veramente quella di allontanarsi dal mondo, di rinchiudersi
in seminario e di parlare con gli angeli?`
Per quanto tempo avrebbe resistito prima di lasciare la
casa, i dischi e i libri e fare ritorno al suo vero cammino?
Oppure, anche se non fosse mai più rientrato in seminario,
quale sarebbe stato il prezzo che avrei dovuto pagare per
tenerlo lontano dal suo vero sogno?
Tutti, tranne me, sembravano concentrati su ciò che stavano
facendo. Io tenevo gli occhi fissi su di lui, che parlava la
lingua degli angeli.
Alla paura e alla gelosia è subentrata la solitudine. Gli angeli
avevano qualcuno con cui parlare e io ero sola.
Non so che cosa mi abbia spinto a cercare di parlare quella
strana lingua. Forse l'immensa necessità di ritrovarmi con
lui, di esprimere ciò che stavo provando. Forse perché avevo
bisogno di far sì che la mia anima mi parlasse ancora il mio
cuore aveva molti dubbi e voleva delle risposte.
Non sapevo bene che cosa fare. Avevo la sensazione di
essere molto ridicola. Ma lì c'erano uomini e donne di tutte
le età, sacerdoti e laici, novizie e suore, studenti e vecchi.
Questo mi ha dato un po' di coraggio e ho chiesto allo
Spirito Santo di farmi superare l'ostacolo della paura.
'Tenta,' mi sono detta. 'Basta aprire la bocca e avere il
coraggio di pronunciare delle parole, pur senza capirle.
Tenta.
Ho deciso di tentare. Ma, prima, ho chiesto che quella
notte, a conclusione di una giornata tanto lunga da non riuscire
neppure a ricordare bene quando fosse iniziata, potesse
essere per me un epifania, un nuovo inizio.
Dio deve avermi ascoltata. Le parole hanno iniziato a uscire
più libere e a perdere lentamente il significato del linguaggio
umano.
Provavo meno vergogna, e la fiducia ha preso forza: adesso
la lingua scorreva in libertà. Benché non capissi nulla, ciò
che stavo dicendo assumeva un significato per la mia anima.
L'avere avuto coraggio sufficiente per pronunciare parole
prive di significato cominciava a rendermi euforica. Ero libera,
non avevo bisogno di ricercare o di dare spiegazioni delle
mie azioni. E questa libertà mi ìnnalzava verso il cielo, dove
un Amore maggiore che tutto perdona e giammai si sente
abbandonato, mi accoglieva.
'Ho l'impressione che sto recuperando la fede,' pensavo,
sorpresa dai miracoli che l'amore può compiere. Sentivo
accanto a me la Vergine accogliermi in un abbraccio, coprirmi
e riscaldarmi con il suo mantello. Quelle strane parole
uscivano sempre con più rapidità dalle mie labbra.
Senza rendermene conto, ho cominciato a piangere. La
gioia colmava il mio cuore, lo inondava. Era più forte della
paura, della meschina certezza, del mio tentativo di controllare
ogni secondo della mia vita.
Sapevo che quel pianto era un dono: a scuola, infatti, le
suore mi avevano insegnato che, nell'estasi, i santi piangevano.
Allora ho aperto gli occhi, ho contemplato il cielo buio e
ho sentito le mie lacrime fondersi con la pioggia. La terra era
viva; scendendo dall'alto, l'acqua riportava il miracolo dei
cieli. E noi eravamo parte di questo miracolo.
"Che bello, Dio può essere donna," ho mormorato, mentre
gli altri cantavano. `'Se ciò è vero, è il suo volto femminile
che ci ha insegnato ad amare.'`
"Pregheremo in tende di otto persone," ha detto il sacerdote,
in spagnolo, in italiano e, quindi, in francese.
Mi sono di nuovo ritrovata disorientata: non riuscivo a
capire bene ciò che stava accadendo. Qualcuno mi si è avvicinato
e mi ha messo un braccio intorno alle spalle. Lo stesso
ha fatto un'altra persona dall'altro lato. Si è così formato un
cerchio di otto persone abbracciate. Quindi ci siamo chinati
in avanti, fino a che le nostre teste si sono sfiorate.
Avevamo assunto la forma di una tenda. La pioggia adesso
scendeva più forte, ma nessuno se ne curava. La posizione
aiutava a concentrare tutte le nostre energie e il nostro calore.
"Che l'Immacolata Concezione aiuti mio figlio e gli faccia
scoprire il suo cammino," ha detto la voce dell'uomo che mi
abbracciava sulla destra. "Vi chiedo di recitare insieme
un'Ave Maria per mio figlio."
"Amen," hanno risposto tutti. E allora abbiamo recitato
l'Ave Maria.
"Che l'Immacolata Concezione mi illumini e risvegli in
me il dono della guarigione," ha detto la voce di una donna
della nostra tenda. "Recitiamo un'Ave Maria."
Tutti insieme abbiamo ripetuto "Amen" e poi abbiamo
pregato. Ciascuno esprimeva una richiesta e tutti partecipavano
alla preghiera. Ero sorpresa di me stessa, perché stavo
pregando come una bambina e, come una bimba, credevo
che quelle grazie sarebbero state concesse.
Per una frazione di secondo, il gruppo è rimasto in silenzio.
Ho capito che era arrivato il mio turno di esprimere la
richiesta. In qualsiasi altra circostanza, mi sarei vergognata
da morire e non sarei riuscita a dir niente. Ma c'era una
Presenza che mi infondeva fiducia.
"Che l'Immacolata Concezione mi insegni ad amare come
lei," ho detto allora. "Che questo amore faccia crescere me e
l'uomo al quale è rivolto. Recitiamo un'Ave Maria."
Abbiamo pregato insieme e di nuovo quella sensazione di
libertà si è diffusa tra noi. Per anni, avevo contrastato il mio
cuore, perché avevo paura della tristezza, della sofferenza,
dell'abbandono. Avevo sempre saputo che il vero amore è al
di sopra di tutto e che sarebbe stato meglio morire, piuttosto
che cessare di amare.
Ma pensavo che solo gli altri ne avessero il coraggio. In
quel momento, invece, scoprivo di esserne capace anch'io.
Anche se avesse dovuto significare partenza, solitudine, tristezza,
l'amore valeva comunque ogni centesimo del suo
prezzo.
'Non posso continuare a pensare a queste cose: devo concentrarmi
sul rituale.'
Il sacerdote che guidava il gruppo ci ha chiesto di sciogliere
le tende e quindi di pregare per gli ammalati. Adesso la
gente pregava, cantava, danzava sotto la pioggia, adorando
Dio e la Vergine Maria. Di tanto in tanto, riprendeva a parlare
strane lingue e a ondeggiare le braccia in direzione del
cielo.
"Chi dei presenti ha una nuora malata, sappia che sta guarendo,"
ha detto a un certo punto una donna.
Riprendevano poi le preghiere e, con esse, i canti e la
gioia. Ogni tanto si udiva la voce di quella donna: "Chi di
questo gruppo ha perduto la madre di recente, deve aver
fede e sapere che lei si trova nella gloria dei cieli."
In seguito lui mi ha spiegato che questo è il dono della
profezia: certe persone sono in grado di presentire ciò che sta
accadendo in un luogo distante o ciò che avverrà di lì a poco
tempo.
Ma, sebbene non lo avessi mai creduto possibile, ormai
avevo fiducia nella voce che parlava di miracoli. Mi aspettavo
che, da un momento all'altro, la donna dicesse qualcosa
sull'amore di due persone presenti. Speravo di udirla proclamare
che questo amore era benedetto dagli angeli, dai santi,
da Dio e dalla Dea.
Non so quanto tempo sia durato quel rito. Le persone hanno
continuato a parlare lingue strane; hanno cantato, danzato
con le braccia rivolte al cielo, pregato per il vicino; hanno
chiesto miracoli e reso testimonianza di grazie loro concesse.
Alla fine, il prete che conduceva la cerimonia ha detto:
"Adesso pregheremo per tutti coloro che hanno partecipato
per la prima volta a questo rinnovamento carismatico."
Non dovevo essere l'unica, quindi. La cosa mi ha tranquillizzato.
Tutti hanno intonato una preghiera. Mi sono limitata ad
ascoltare, chiedendo che la grazia scendesse su di me.
Ne ha veramente bisogno.
"Adesso riceveremo la benedizione," ha detto il prete.
Tutti si sono girati verso la grotta illuminata, sulla sponda
opposta del fiume. Il prete ha recitato diverse preghiere e ci
ha benedetti. Tutti si sono baciati, augurandosi un "felice
giorno deJl'Immacolata Concezione". Alla fine, ciascuno ha
ripreso la propria strada
Lui si è avvicinato a me. Aveva un'espressione più gioiosa del
solito.
"Sei tutta bagnata," ha detto.
"Anche tu," ho risposto, sorridendo.
Abbiamo preso l'automobile e siamo tornati a Saint-Savin.
Avevo desiderato con ardore questo momento, ma adesso
che era giunto, non sapevo più che cosa dire. Non riuscivo a
dir nulla né della casa sulle montagne né del rito, dei libri,
dei dischi, delle strane lingue e delle preghiere a tenda.
Lui viveva in due mondi. In qualche luogo, nel corso del
tempo, questi due mondi si fondevano in uno solo: bisognava
che io scoprissi come.
Ma le parole, in quel momento, non servivano a nulla.
L'amore si scopre soltanto amando.
"Ho solo un altro maglione," mi ha detto quando siamo
arrivati in camera. "Puoi prenderlo. Domani me ne comprerò
un'altro."
"Mettiamo i vestiti sopra il calorifero. Domani saranno
asciutti," ho risposto. "In ogni modo, ho ancora la camicetta
che ho lavato ieri."
Per alcuni istanti, nessuno ha detto una parola. Silenzio.
Niente.
Abiti. Nudità. Freddo.
Lui, alla fine, ha tirato fuori dalla piccola valigia un'altra
maglietta.
"Ti servirà per dormire," ha detto.
"Grazie," ho risposto.
Ho spento la luce. Nel buio, mi sono tolta i vestiti bagnati
e li ho distesi sopra il radiatore, portando il termostato al
massimo.
Il chiarore del lampione, fuori, gli permetteva di scorgere
la mia silhouette, di intuire che ero nuda. Ho indossato la
maglietta e mi sono infilata sotto le coperte del mio letto.
"Ti amo," gli ho sentito dire.
"Sto imparando ad amarti," ho risposto.
Si è acceso una sigaretta.
"Pensi che arriverà il momento giusto?" mi ha domandato.
Sapevo di che cosa stava parlando. Mi sono alzata e sono
andata a sedermi sul bordo del suo letto.
Di tanto in tanto, la sigaretta gli illuminava il viso. Lui mi
ha preso la mano e siamo rimasti così per alcuni istanti. Poi
gli ho accarezzato i capelli.
"Non avresti dovuto domandarlo," ho risposto, alla fine.
"L'amore non fa molte domande perché, se cominciamo a
pensare, allora iniziamo ad avere paura. E una paura inspiegabile,
e non serve a niente tentare di esprimerla a parole.
"Forse è la paura di essere disprezzata, di non essere accettata,
di rompere l'incantesimo. Sembra ridicolo, ma è così.
Perciò non si fanno domande: si agisce. Come tu stesso hai
già detto tante volte, si corrono i rischi."
"Lo so. Io non ho mai domandato nulla, prima."
"Tu possiedi già il mio cuore," ho replicato, fingendo di
non aver sentito le sue parole. "Domani potresti andar via. E
ricorderemo sempre il miracolo di questi giorni: l'amore
romantico, la possibilità, il sogno.
"Ma io penso che Dio, nella sua infinita saggezza, abbia
nascosto l'inferno in mezzo al paradiso. Per fare in modo che
stessimo sempre attenti. Per non farci dimenticare la colonna
del Rigore mentre viviamo la gioia della Misericordia.'`
Le sue mani hanno sfiorato i miei capelli.
"Impari presto," ha detto.
Io stessa ero sorpresa di ciò che avevo detto. Ma, se si
accetta di sapere, alla fine si sa realmente.
"Non penserai che faccia la difficile," ho detto. "Ho avuto
molti uomini. Ho fatto l'amore con qualcuno che neppure
conoscevo molto bene.
"Anch'io," ha risposto lui.
Tentava di comportarsi con naturalezza ma, da come mi
sfiorava il capo mi sono accorta che le mie parole erano
state difficili da comprendere.
"Eppure, da stamattina la mia verginità si è misteriosamente
ricreata. Non tentare di capire, perché solo una donna
può sapere ciò che intendo dire. Sto riscoprendo l'amore. E
per questo ci vuole del tempo."
Ha lasciato i miei capelli e mi ha sfiorato il viso. Io l'ho
baciato con dolcezza sulle labbra e sono tornata nel mio
letto.
Non riuscivo a capire bene le ragioni del mio comportamento.
Non sapevo se avessi fatto quello per legarlo di più a
me o per dargli maggiore libertà.
Ma era stata una lunga giornata. Ero troppo stanca per
pensarci.
Ho trascorso una notte di pace immensa. A un certo
momento, mi è parso di essere sveglia, anche se in realtà
continuavo a dormire. Una presenza femminile mi ha preso
in braccio, ed era come se la conoscessi da lungo tempo, perché
mi sentivo protetta e amata.
Mi sono svegliata alle sette, con un caldo terribile. Mi sono
allora ricordata di aver messo il calorifero al massimo, per far
asciugare i vestiti.
Era ancora buio: ho cercato di alzarmi senza fare rumore,
per non disturbarlo.
Appena alzata, però, mi sono resa conto che lui non c'era.
Mi sono lasciata prendere dal panico.
All'improvviso, si è risvegliata anche l'Altra, e ha iniziato a
dirmi: 'Lo vedi? Appena hai acconsentito, lui è scomparso.
Come tutti gli uomini.'
Il panico aumentava di minuto in minuto. Non potevo
perdere il controllo. Ma l'Altra non smetteva di parlare:
'Sono ancora qui,' diceva. 'Hai permesso che il vento cambiasse
direzione, hai aperto la porta e l'amore sta inondando
la tua vita. Se agiremo in fretta, riusciremo a riprendere il
controllo.`
Dovevo reagire. Dovevo prendere provvedimenti.
'Se n'è andato via,' ha proseguito l'Altra. 'Devi uscire da
questo finimondo. La tua vita a Saragozza è ancora intatta:
tornaci di corsa. Prima di perdere ciò che ti sei guadagnata
con tanta fatica.'
'Avrà i suoi motivi,' ho pensato io.
'Gli uomini hanno sempre dei motivi,' ha risposto l'Altra.
Fatto sta che finiscono sempre per lasciare le donne.'
'Allora devo trovare il modo di fare ritorno in Spagna.
Bisogna che la mente rimanga occupata per tutto il tempo.'
'Passiamo al lato pratico: i soldi,' ha detto l'Altra.
Io non avevo una lira. Bisognava che scendessi, che facessi
una telefonata a carico dei miei genitori e aspettassi che mi
spedissero il denaro per il biglietto di ritorno.
Ma oggi è festa, e i soldi arriveranno solo domani. Come
faccio a mangiare? Come chiedere ai padroni di casa di
aspettare due giorni per ricevere il pagamento?
'Meglio non dire niente,' ha risposto l'Altra. Sì, lei aveva
esperienza, sapeva affrontare situazioni del genere. Non era
l'innamorata che perde il controllo, ma la donna che sa ciò
che desidera. Avrei dovuto rimanere lì, come se niente fosse
accaduto, come se lui dovesse tornare. E, una volta ricevuti i
soldi, avrei pagato i debiti e me ne sarei andata.
'Molto bene,' ha detto l'Altra. 'Stai tornando a essere
quella di un tempo. Non sentirti triste, perché un giorno
incontrerai un uomo. Qualcuno che tu possa amare senza
rischi.'
Sono andata a prendere i miei vestiti sul termosifone.
Erano asciutti. Dovevo trovare una banca in uno di quei
paesini; dovevo telefonare, prendere al più presto provvedimenti.
Finché pensavo a queste cose, non avrei avuto il
tempo di piangere né di provare nostalgia.
Solo allora ho notato un biglietto:
Sono andato al seminario. Prepara i bagagli (ah! ah! ah!), partiamo
stasera per la Spagna. Tornerò nel tardo pomeriggio.
E concludeva dicendo:
Tí amo.
Ho stretto il biglietto al petto, mi sono sentita meschina e
sollevata allo stesso tempo. Ho sentito l'Altra ritrarsi, sorpresa
da quel messaggio.
Lo amavo anch'io. Un minuto dopo l'altro, un secondo
dopo l'altro, questo amore si ingrandiva e mi trasformava.
Avevo riacquistato la fede nel futuro e, a poco a poco, stavo
riguadagnando la fede in Dio.
E tutto ciò grazie all'amore.
'Non voglio più parlare con le mie tenebre,' mi sono
ripromessa, chiudendo una volta per tutte la porta all'Altra.
'Una caduta dal terzo piano è dannosa quanto una dal centesimo.
Se proprio dovrò cadere, che sia da un punto molto
alto.
"Non esca di nuovo a digiuno," ha detto la donna.
"Non sapevo che lei parlasse spagnolo," ho risposto, sorpresa.
"La frontiera è vicina. I turisti vengono a Lourdes in estate.
Se non conoscessi lo spagnolo, non potrei affittare camere."
Stava preparando del pane tostato e caffellatte. Io ho predisposto
il mio spirito ad affrontare quella nuova giornata:
ogni ora, infatti, sarebbe stata lunga un anno. Desideravo
tanto che quella colazione mi distraesse un po'.
"Da quanto tempo siete sposati," mi ha domandato.
"E stato il primo amore della mia vita," ho risposto. Era
sufficiente.
"Vede quei picchi laggiù? Il primo amore della mia vita è
morto su una di quelle montagne."
"Ma poi ha incontrato qualcun altro."
"Sì, è vero. E sono riuscita a essere di nuovo felice. Il
destino è curioso: quasi nessuno dei miei conoscenti si è sposato
col primo amore della propria vita. E quei pochi che lo
hanno fatto, continuano a ripetermi di aver perduto qualcosa
di importante, di non aver vissuto tutto ciò che dovevano.
Quindi ha smesso di parlare di colpo.
"Mi scusi," ha detto. "Non volevo offenderla."
"Non mi ha offeso."
"Guardo sempre quel pozzo là fuori. E penso: 'Prima, nessuno
sapeva dove fosse l'acqua, finché san Savino non decise
di scavare e la scoprì. Se non lo avesse fatto, il paese sarebbe
ancora laggiù, nei pressi del fiume."'
"E che cosa c'entra questo con l'amore?"
"Questo pozzo ha portato qui tanta gente, con le sue speranze,
i suoi sogni e i suoi conflitti. Qualcuno ha osato cercare
l'acqua: l'acqua è stata scoperta e tutti le si sono riuniti
intorno. Sono convinta che, quando cerchiamo l'amore con
coraggio, esso si rivela e noi finiamo con l'attirare altro
amore. Se qualcuno ci desidera, ci desiderano tutti. Se invece
siamo soli, ci isoliamo sempre di più. La vita è strana."
"Ha mai sentito parlare di un libro intitolato / Ching?" ho
domandato.
"No, mai."
"Racconta che è possibile spostare una città, ma che risulta
impossibile muovere un pozzo. Gli amanti si incontrano,
si dissetano, costruiscono le case, allevano i figli proprio
intorno al pozzo. Ma se uno di loro decide di allontanarsi, il
pozzo non può seguirlo. E l'amore rimane lì, abbandonato,
anche se pieno della stessa acqua pura di prima."
"Lei parla come una donna matura che ha sofferto molto,
figliola," ha detto la donna.
"No. Ho sempre avuto paura. Non ho mai scavato il
pozzo. Ora che lo sto facendo, non voglio scordare i rischi."
Allora ho sentito qualcosa darmi fastidio nella tasca dei
pantaloni. Quando mi sono resa conto di che cosa si trattava,
mi si è gelato il cuore. Ho finito il mio caffè in fretta.
La chiave. Avevo la chiave.
"Qui c'era una donna che, quando è morta, ha lasciato
tutto al seminario di Tarbes," ho detto. "Sa dov'è la sua casa?"
La donna ha aperto la porta e me l'ha indicata. Era una
delle case medievali della piazzetta, il cui retro si affacciava
sulla vallata e sulle montagne.
"Circa due mesi fa sono stati qui due preti," ha detto.
Mi ha guardato, con aria dubbiosa.
"E uno di loro somigliava a suo marito," ha concluso,
dopo una lunga pausa.
"Era lui," ho risposto mentre uscivo, contenta di aver permesso
alla bambina che era in me di fare una birichinata.
Sono rimasta ferma davanti alla casa, senza sapere che fare. La
nebbia ricopriva tutto: mi sembrava di stare in un sogno grigio,
dove figure strane ci guidano in luoghi ancora più strani.
Le mie dita rigiravano nervosamente la chiave.
Con tutta quella nebbia, sarebbe stato impossibile vedere
le montagne dalla finestra. La casa doveva essere buia, senza
sole, con le tende chiuse. E senz'altro tristissima, senza la sua
presenza accanto a me.
Ho guardato l'orologio. Le nove.
Dovevo fare qualcosa: qualcosa che mi desse una mano a
far passare il tempo, che mi aiutasse ad aspettare.
Aspettare. E la prima lezione che ho appreso sull'amore. Il
giorno si trascina, tu fai migliaia di progetti, immagini tutti i
discorsi possibili, ti riprometti di cambiare il tuo comportamento
in certe cose e diventi ansiosa, sempre più ansiosa,
finché il tuo amato non arriva. A quel punto, non sai più
che cosa dire. Quelle ore d'attesa si sono trasformate in tensione,
e la tensione è diventata paura: una paura che ci
costringe a vergognarci di mostrare il nostro affetto.
'Non so se devo entrare,' ho pensato, ricordando le parole
del giorno precedente: quella casa era il simbolo di un sogno.
Ma non potevo starmene ferma lì davanti tutto il giorno.
Mi sono fatta coraggio, ho tirato fuori la chiave dalla tasca e
mi sono avviata alla porta.
"Pilar!"
La voce, con un forte accento francese, proveniva dalla
nebbia. Ero più sorpresa che spaventata. Poteva essere l'uomo
che ci aveva affittato la camera, ma non ricordavo di
avergli detto il mio nome.
"Pilar!" ha ripetuto la voce, adesso più vicina.
Ho guardato verso la piazza, immersa nella nebbia. Una
sagoma Si stava avvicinando. Camminava rapidamente.
L'incubo delle strane figure nella nebbia si stava trasformando
in realtà.
"Aspetti," ha detto. "Voglio parlarle."
Quando mi si è avvicinato, ho visto che era un prete. La
sua figura assomigliava piuttosto alla caricatura del prete di
campagna: basso, grassottello, con qualche capello bianco
sulla testa quasi calva.
"Salve," ha detto, tendendomi la mano e sorridendo amabilmente.
Un po' stordita, ho risposto al saluto.
"Peccato che la nebbia nasconda tutto," ha detto lui, guardando
la casa. "Saint-Savin si trova su una montagna, e la
vista dalla casa è bellissima. Dalle finestre si possono ammirare
la vallata e i picchi ghiacciati. Probabilmente lo sa."
Ho capito in un istante chi era: il superiore del convento.
"Come mai si trova qui?" ho domandato. "E come sa il
mio nome?"
"Vuole entrare?" ha detto lui, eludendo l'argomento.
"No. Voglio che risponda a ciò che le ho chiesto."
Sfregandosi le mani, per riscaldarle un po', si è seduto li
davanti. Io mi sono seduta accanto a lui. La nebbia, sempre
più fitta, aveva già nascosto la chiesa, che si trovava appena a
una ventina di metri da noi. L'unica cosa che riuscivamo a
vedere era il pozzo. Ho ripensato alle parole di quella donna.
"Lei è presente," ho detto allora.
"Lei chi?"
"La Dea," ho risposto. "Lei è questa nebbia."
"Allora lui gliene ha parlato!" ha esclamato, ridendo. "Be'
io preferisco chiamarla la Vergine Maria. Mi è più familiare."
"Come mai si trova qui? Come sa il mio nome?" ho ripetuto.
"Sono venuto perché desideravo vedervi. Qualcuno che
faceva parte del gruppo dei Carismatici ieri notte mi ha
detto che alloggiavate a Saint-Savin. E questo è un paese
molto piccolo."
"Lui è andato al seminario."
Il prete ha smesso di sorridere e ha scosso il capo.
"Che peccato," ha detto, come se parlasse da solo.
"Peccato perché è andato al seminario?"
"No, lì non c'è. Vengo appunto da lì."
Per alcuni minuti, non ha aggiunto altro. Ho ripensato
alla sensazione che avevo provato al risveglio: i soldi, i provvedimenti
da prendere, la telefonata ai miei genitori, il
biglietto. Ma avevo giurato e avrei mantenuto la parola.
Accanto a me c'era un prete. Da bambina, ero solita raccontare
tutto ai preti.
"Sono esausta," ho detto alla fine. rompendo quel silenzio.
"Meno di una settimana fa, sapevo chi ero e che cosa volevo
dalla vita. Adesso mi sembra che una tempesta mi scagli da
una parte all'altra, senza che io possa farci niente."
"Resista," ha detto lui. "É importante."
Quel commento mi ha sorpresa.
"Non si spaventi," ha proseguito lui, come se intuisse il
mio pensiero. "So che la Chiesa ha bisogno di nuovi sacerdoti
e lui sarebbe un prete eccellente. Ma il prezzo che dovrebbe
pagare è troppo alto."
"Dov'è adesso? Mi ha lasciato qui ed è tornato in
Spagna?"
"In Spagna? Lui non ha niente da fare in Spagna," ha
detto il prete. "La sua casa è il monastero che si trova a pochi
chilometri da qui. Ma lì non c'è. E io so dove poterlo trovare.
Nelle sue parole ho ritrovato un po' di coraggio e di gioia.
Per lo meno non era partito.
Ma il prete non sorrideva più.
"Non si rianimi troppo," ha proseguito lui, indovinando
di nuovo i miei pensieri. "Sarebbe stato meglio se fosse tornato
in Spagna."
Il prete si è alzato e mi ha chiesto di accompagnarlo.
Riuscivamo a vedere solo a pochi metri davanti a noi, ma lui
sembrava sapere dove andare.
Siamo usciti da Saint-Savin per la stessa strada dove, due
sere prima (o forse erano passati cinque anni?), avevo ascoltato
la storia di Bernadette.
"Dove stiamo andando?" ho domandato.
"A prenderlo," ha risposto il prete.
"Padre, lei mi confonde," ho detto mentre camminavamo.
"E come se si fosse rattristato quando le ho comunicato che
lui non c'era."
"Che cosa ne sa, figliola, della vita religiosa?"
"Molto poco: che i preti fanno voto di povertà, castità e
obbedienza."
Ho riflettuto un attimo, poi ho deciso di proseguire.
"E che giudicano i peccati degli altri, anche se poi li commettono
loro stessi. Pensano di sapere tutto del matrimonio
e dell'amore, ma non si sposano mai. Minacciano con le
fiamme dell'inferno errori che poi commettono anche loro.
E ci presentano Dio come un essere vendicativo che incolpa
gli uomini per la morte del suo unico figlio."
Il prete ha sorriso.
"Lei ha avuto un'eccellente educazione cattolica," ha
detto. "Ma io non le sto domandando del cattolicesimo.
Bensì della vita spirituale dei religiosi."
Dapprima non ho reagito. Quindi ho detto: "Veramente
non saprei. Sono persone che abbandonano tutto e partono
alla ricerca di Dio."
"E lo trovano?"
"Questo deve saperlo lei. Io non ne ho idea."
Accorgendosi del mio affanno, il prete ha rallentato il passo.
Quindi ha ripreso a parlare:
"Lei è in errore. Chi parte alla ricerca di Dio, perde il proprio
tempo. Può percorrere numerosi cammini, avvicinarsi a
moltissime religioni e sette, ma in questa maniera non lo
troverà mai.
"Dio è qui, ora, accanto a noi. Possiamo vederlo in questa
nebbia, in questo suolo, in questi abiti, in queste scarpe. I
suoi angeli vegliano mentre noi dormiamo e ci aiutano quando
lavoriamo. Per ritrovare Dio, basta guardarsi intorno.
"Ma non è facile. Più Dio ci rende partecipi del proprio
mistero, più noi ci sentiamo disorientati: perché lui ci chiede
continuamente di seguire i nostri sogni e il nostro cuore. Ma
comportarsi così è difficile, perché siamo abituati a vivere in
maniera del tutto diversa. E scopriamo, con nostra sorpresa,
che Dio ci vuole felici, perché lui è il Padre."
"E la Madre," ho aggiunto.
La nebbia cominciava ad alzarsi. Io riuscivo a scorgere una
piccola casa di contadini dove una donna stava raccogliendo
legna.
"Sì, e la Madre," ha soggiunto. "Per avere una vita spirituale,
non c'è bisogno di entrare in un seminario né di praticare
il digiuno, l'astinenza e la castità.
"Basta avere fede e accettare Dio. Da quel momento, ciascuno
di noi si trasforma nel suo cammino, noi diventiamo
il veicolo dei suoi miracoli."
"Lui mi ha parlato di lei, padre," l'ho interrotto. "E mi ha
insegnato queste cose."
"Spero che lui accetti i suoi doni," mi ha risposto. "Perché
non è andata sempre così. Del resto, ce lo insegna la storia.
Osiride viene fatto a pezzi in Egitto. Gli dèi greci litigano a
causa delle donne e degli uomini della terra. Gli aztechi cacciano
Quetzalcoatl. Gli dèi vichinghi assistono all'incendio
del Walhalla a causa di una donna. Gesù è crocifisso. Per
quale motivo?"
Non sapevo rispondere.
"Perché Dio scende sulla terra per mostrarci il nostro
potere. Noi facciamo parte del suo sogno, e lui vuole un
sogno felice. Ma, se ammettiamo a noi stessi che Dio ci ha
creato per la felicità, dobbiamo dedurre che tutto quello che
ci porta alla tristezza e alla sconfitta è colpa nostra. E questo
il motivo per cui uccidiamo Dio. Sulla croce, nel fuoco, nell'esilio,
o nel nostro cuore."
"Ma quelli che lo comprendono..."
"Loro trasformano il mondo. A costo di grandi sacrifici.'`
La donna che raccoglieva legna, vedendo il prete, ci è
venuta incontro di corsa.
"Padre, grazie!" ha esclamato, baciandogli le mani. "Quel
giovane ha guarito mio marito!"
"E stata la Vergine a guarirlo," ha risposto il prete, affrettando
il passo. "Lui ne è solo uno strumento."
"E' stato lui. Entri, la prego."
All'improvviso, mi sono ricordata della notte precedente.
Mentre stavamo entrando nella basilica, qualcuno mi aveva
sussurrato: "Lei è in compagnia di un uomo che fa miracoli!"
"Abbiamo fretta," ha detto il prete.
"No, non è vero," ho risposto io, con il grande imbarazzo
di parlare una lingua che non era la mia: il francese. "Ho
freddo e vorrei bere un caffè."
La donna mi ha preso per mano e ci ha fatti entrare. La
casa era confortevole, ma priva di lusso: pareti di pietra, il
pavimento e il soffitto di legno. Seduto davanti al camino
acceso, c'era un uomo sulla sessantina. Appena ha visto il
prete, si è alzato per baciargli la mano.
"Stia seduto," ha detto il sacerdote. "Deve ancora riprendersi."
"Sono già ingrassato di dieci chili," ha risposto lui. "Ma
ancora non posso aiutare mia moglie."
"Non si preoccupi. Ben presto starà meglio di prima."
"Dov'è quel giovane," ha domandato l'uomo.
"L'ho visto passare, diretto là dove va sempre," ha detto la
donna. "Solo che oggi era in macchina."
Il prete mi ha guardato, senza dire niente.
"Ci dia la sua benedizione, padre," lo ha pregato la donna.
"Il potere di quel giovane..."
"... della Vergine," l'ha interrotta il prete.
"... della Vergine Madre. Questo potere è anche il suo
potere, padre. E lei che lo ha portato qui."
Questa volta il sacerdote ha evitato il mio sguardo.
"Benedica mio marito, padre," insisteva la donna.
Il prete ha tratto un profondo respiro. Poi, rivolto all'uomo,
ha detto: "Si metta in piedi davanti a me."
Il vecchio ha obbedito. Il prete ha chiuso gli occhi e recitato
un'Ave Maria. Poi ha invocato lo Spirito Santo, richiedendone
la presenza e l'aiuto per quell'uomo.
Poi, d'un tratto, ha cominciato a parlare con rapidità.
Benché in realtà io non riuscissi a seguire bene ciò che diceva,
mi sembrava una preghiera di esorcismo. Le sue mani
sfioravano le spalle dell'uomo, scivolavano giù lungo le braccia,
fino alle dita delle mani. Ha ripetuto questo gesto più
volte.
Nel camino, il fuoco ha cominciato a crepitare con più
vivacità. Poteva essere una coincidenza, ma il prete sembrava
addentrarsi in terreni che mi erano sconosciuti e che interferivano
con gli elementi.
Allo scoppiettare dei ciocchi sul fuoco, la donna e io ci
spaventavamo. Il prete non se ne accorgeva neppure: era
concentrato sul suo compito. Lui, come aveva detto prima,
era uno strumento della Vergine. Parlava in quella strana lingua.
E le parole venivano fuori con una velocità sorprendente.
Le sue mani non si muovevano più; adesso erano posate
sulle spalle dell'uomo fermo davanti a lui.
Il rito si è concluso all'improvviso, proprio com'era iniziato.
Il prete si è voltato e ha impartito la benedizione, tracciando
con la mano destra un grande segno della croce.
"Che Dio sia sem,pre in questa casa," ha concluso.
E, rivolgendosi a me, mi ha pregata di riprendere il cammino.
"Ma manca il caffè," ha detto la donna, appena ha visto
che ci stavamo avviando.
"Se prendo un caffè adesso, non dormo più," ha risposto
il prete.
La donna ha riso; poi ha mormorato qualcosa, una frase
del tipo: "E ancora presto." Non ho capito bene, perché eravamo
già in strada.
"Padre, quella donna ha detto che un giovane le ha guarito
il marito. E stato lui."
"Sì, è stato lui."
Ho cominciato a sentirmi male. Ripensavo al giorno precedente,
a Bilbao, alla conferenza a Madrid, alle persone che
parlavano di miracoli; ripensavo alla presenza che avevo sentito
mentre pregavo abbracciata agli altri.
Amavo un uomo che era capace di guarire. Un uomo che
poteva servire il prossimo, recare sollievo alla sofferenza,
restituire la salute agli infermi e la speranza ai loro cari. Una
missione che non rientrava in una casa con le tendine bianche,
i dischi e i libri preferiti.
"Non se ne faccia una colpa, figliola," ha detto.
"Padre, lei mi legge nei pensieri."
"Sì, è vero," mi ha risposto. "Anch'io possiedo un dono e
cerco di esserne degno. La Vergine mi ha insegnato a immergermi
nel turbine delle emozioni umane, per guidarle nel
miglior modo possibile."
"Anche lei, padre, fa miracoli."
"Io non so guarire. Ma possiedo uno dei doni dello
Spirito Santo."
"Allora può leggere il mio cuore, padre. E sa che io lo
amo: di un amore che diventa sempre più grande, istante
dopo istante. Abbiamo scoperto insieme il mondo, e insieme
vi abbiamo vissuto. Lui è stato presente in ogni giorno della
mia vita, che lo volesse o no."
Che cosa avrei potuto dire a quel prete che camminava al
mio fianco? Lui non avrebbe mai capito che avevo avuto altri
uomini, che mi ero innamorata e che se mi fossi sposata sarei
stata felice. Quando ero ancora bambina, avevo scoperto e
poi dimenticato l'amore in una piazza di Soria. Ma, a quanto
pare, non era stata una buona opera. Erano bastati tre giorni
perché tutto ritornasse.
"Ho il diritto di essere felice, padre. Ho recuperato ciò che
avevo perduto: non voglio perderlo di nuovo. Intendo lottare
per la mia felicità.
"Se rinunciassi alla lotta, rinuncerei anche alla vita spirituale.
Come ha detto lei, padre, significherebbe allontanare
Dio, il mio potere e la mia forza di donna. Io lotterò per
lui."
Ora sapevo bene che cosa era venuto a fare quell'uomo
basso e grasso. Voleva convincermi a lasciarlo, perché lui
aveva una missione più importante da compiere.
No, non potevo credere che il prete che camminava al mio
fianco desiderava che ci sposassimo e vivessimo in una casa
uguale a quella di Saint-Savin. Lo diceva per ingannarmi,
perché abbassassi le difese, per convincermi con un sorriso
del contrario.
Lui mi ha letto i pensieri, ma ha taciuto. O forse mi stavo
sbagliando, forse non era neanche capace di indovinare ciò
che gli altri pensavano. Intanto la nebbia si stava dissipando
con rapidità: adesso riuscivo a vedere la strada, il costone
della montagna, il terreno e gli alberi ricoperti di neve.
Anche le mie emozioni si stavano facendo chiare.
Sciocchezze! Se era vero che quel prete sapeva leggere i
pensieri, ebbene, che lo facesse allora, e scoprisse tutto!
Anche il fatto che il giorno prima lui avrebbe voluto fare l'amore
con me e che io avevo rifiutato. E ne ero pentita.
Il giorno prima ero convinta che, se lui avesse scelto di
andarsene, avrei potuto sempre ricordare il vecchio amico
d'infanzia. Ma era una stupidaggine. Anche se il suo sesso
non era penetrato in me, qualcosa di più profondo lo aveva
fatto e mi aveva colpito al cuore.
"Padre, io lo amo," ho ripetuto.
"Anch'io. L'amore fa sempre compiere qualche sciocchezza.
Nel mio caso, mi costringe a tentare di allontanarlo dal
suo destino."
"Non sarà facile allontanarmi, padre. Ieri, mentre pregavamo
davanti alla grotta, ho scoperto che anch'io posso risvegliare
quei doni di cui parla lei. Li userò per tenerlo con me."
"Lo spero!" ha esclamato, accennando un sorriso. "Spero
che lei ci riesca!"
Si è fermato e ha tirato fuori un rosario dalla tasca. Poi,
tenendolo fra le dita, mi ha guardato negli occhi.
"Gesù ha detto che non si deve giurare e io non sto giurando.
Ma le dico, alla presenza di quanto mi è sacro, che il
mio desiderio non è che lui segua la vita religiosa convenzionale.
Non vorrei che fosse ordinato sacerdote. Lui può servire
Dio in altre maniere. Al suo fianco."
Stentavo a credere che stesse dicendo la verità. Ma era
così.
"Eccolo laggiù," ha detto il prete.
Mi sono voltata. Un'automobile era ferma poco più avanti.
La stessa con cui eravamo arrivati dalla Spagna.
"Viene sempre a piedi," ha aggiunto il prete, sorridendo.
'`Questa volta, ha voluto darci l'impressione di essere andato
lontano."
La neve aveva inzuppato le mie scarpe da tennis. Ma il prete
calzava dei sandali aperti, con un paio di calze di lana. Perciò
ho deciso di non lamentarmi.
Se resisteva lui, avrei potuto farlo anch'io. Abbiamo iniziato
la salita verso le cime ghiacciate.
"Quanto tempo dovremo camminare?"
"Mezz'ora al massimo."
"Dove stiamo andando?"
"A incontrare lui. E gli altri."
Mi sono resa conto che non voleva aggiungere altro. Forse
aveva bisogno di tutte le energie per la salita. Abbiamo continuato
a camminare in silenzio; la nebbia si era ormai dissolta
e cominciava a splendere il disco giallo del sole.
Per la prima volta, riuscivo a vedere tutta la vallata: un
fiume che scorreva a fondovalle, qualche paesino sparso qua
e là, e Saint-Savin sul pendio della montagna. Ho riconosciuto
la torre della chiesa, un cimitero che prima non avevo
notato e le case medievali affacciate sul fiume.
Poco sotto, dove eravamo passati alcuni minuti prima, un
pastore stava guidando il suo gregge di pecore.
"Sono stanco," ha detto il prete. "Fermiamoci un po'."
Abbiamo ripulito dalla neve la superficie di una pietra e ci
siamo seduti. Il prete era sudato, ma doveva avere i piedi
gelidi.
"Che san Giacomo mi conservi le energie, voglio percorrere
il suo cammino ancora una volta," ha detto lui, voltandosi
verso di me.
Non avevo capito, ma ho preferito cambiare argomento.
"Ci sono delle orme sulla neve," ho detto.
"Alcune sono di cacciatori. Altre di quegli uomini e donne
che vogliono rivivere la tradizione."
"Quale tradizione?"
"Quella di san Savino: ritirarsi dal mondo, trasferirsi su
queste montagne, contemplare la gloria di Dio."
"Padre, ho bisogno di capire una cosa. Fino a ieri, ero in
compagnia di un uomo in dubbio se seguire la vita religiosa
o il matrimonio. Oggi ho scoperto che quest'uomo compie
dei miracoli."
"Tutti noi li facciamo," ha detto lui. "Gesù disse: 'Se la
nostra fede sarà grande quanto ùn granellino di senape,
potremo dire a una montagna: "Muoviti", e lei si muoverà."'
"Non voglio una lezione di religione, padre. Amo un
uomo e voglio conoscerlo meglio, capirlo, aiutarlo. Non mi
importa ciò che tutti possono o non possono fare."
Il prete ha tratto un profondo respiro e, dopo un attimo
di indecisione, ha iniziato a parlare:
"Uno scienziato che studiava le scimmie, in un'isola
dell'Indonesia, riuscì a insegnare a una di esse a lavare le
patate nel fiume, prima di mangiarle. Il cibo ripulito dalla
sabbia e dalla sporcizia, era più gustoso.
"Lo scienziato che stava effettuando un esperimento sulla
capacità di apprendimento degli scimpanzé non poteva
neanche immaginare che cosa sarebbe accaduto alla fine. Fu
infatti sorpreso nello scoprire che tutte le scimmie dell'isola
cominciarono a imitare la prima.
"Finché un bel giorno, quando ormai un numero cospicuo
di scimmie aveva imparato a lavare le patate, anche le
scimmie delle altre isole dell'arcipelago iniziarono a fare lo
stesso. La cosa più sorprendente, però, è che queste ultime
impararono a farlo senza avere mai avuto alcun contatto con
l'isola dove era in corso l'esperimento."
A quel punto si è fermato.
"Ha capito?"
"No," ho risposto.
"Esistono numerosi studi scientifici al riguardo. La spiegazione
più comune è che, quando un determinato numero di
individui evolve, finisce per evolversi tutta la razza. Non sappiamo
quanti individui siano necessari, ma siamo sicuri che
è così."
"Come la storia dell'Immacolata," ho detto io. "E apparsa
ai saggi del Vaticano e alla pastorella ignorante."
"Il mondo possiede un'anima, e giunge un momento in
cui quest'anima agisce in tutto e in tutti nello stesso momento.
"Un'anima femminile."
Lui si è messo a ridere, senza tuttavia farmi capire che cosa
significasse quella risata.
"Tra parentesi, il dogma dell'Immacolata non ha riguardato
solo il Vaticano," ha aggiunto. "Otto milioni di persone
hanno firmato urla petizione al papa. Le firme provenivano
da ogni parte del mondo. La cosa era già nell'aria."
"E questo il primo passo, padre?"
"Di che cosa?"
"Del cammino che condurrà la Madonna a essere considerata
l'incarnazione del volto femminile di Dio. In definitiva,
abbiamo già accettato che Gesù abbia rappresentato il suo
volto maschile."
"Che cosa intende dire?"
"Quanto tempo ci vorrà perché si possa accettare una
Santissima Trinità dove compaia la donna? La Santissima
Trinità della Madre, del Figlio e dello Spirito Santo?"
"Riprendiamo a camminare," ha detto lui. "Fa troppo
freddo per rimanere fermi qui."
"Poco fa, stava osservando i miei sandali," ha detto.
"Mi ha davvero letto nel pensiero, padre?" gli ho domandato.
Non mi ha risposto.
"Voglio raccontarle qualcosa sulla storia della fondazione
del nostro ordine religioso," ha detto. "Siamo Carmelitani
Scalzi e seguiamo le regole stabilite da santa Teresa di Avila. I
sandali rientrano in queste: essere capaci di dominare il
corpo significa saper padroneggiare lo spirito.
' Teresa era una donna bellissima. Era stata messa in convento
dal padre perché ricevesse un'educazione più raffinata.
Un bel giorno, mentre camminava per un corridoio, iniziò a
parlare con Gesù. Cadeva in estasi in modo talmente intenso
e profondo che lei vi si abbandonò totalmente. Ben presto la
sua vita cambiò del tutto. Essendosi resa conto che i conventi
carmelitani erano stati tramutati in agenzie matrimoniali,
decise di fondare un ordine che seguisse gli insegnamenti
originari di Cristo e del Carmelo.
"Santa Teresa dovette conquistare se stessa e affrontare i
grandi poteri del suo tempo: la Chiesa e lo Stato. Ma andò
avanti comunque, decisa a compiere la sua missione.
"Un giorno, proprio quando la sua anima era stata vittima
di una debolezza, una donna coperta di stracci si presentò
nella casa dove lei alloggiava. Voleva assolutamente parlare
con Teresa. Il padrone di casa le offrì l'elemosina, ma quella
rifiutò: se ne sarebbe andata solo dopo aver parlato con Teresa.
"Per tre giorni attese fuori dalla porta, senza mangiare e
senza bere. La santa, impietosita, la invitò a entrare.
"'No,' disse il padrone di casa. 'E matta.'
"'Se prestassi orecchio a tutti, finirei per pensare di essere
io, la matta, rispose madre Teresa. 'Può darsi che questa
donna abbia la mia stessa follia: quella di Cristo sulla croce.'"
"Santa Teresa parlava con Cristo," ho detto.
"Infatti," mi ha risposto.
"Ma riprendiamo la storia. La donna fu dunque ricevuta
da madre Teresa. Disse di chiamarsi Maria de Jesus Yepes, di
Granada. Era novizia carmelitana quando la Vergine le era
apparsa, chiedendole di fondare un convento secondo le regole
originarie dell'ordine."
'Come santa Teresa,' ho pensato.
"Maria de Jesus era uscita dal convento il giorno stesso
della visione e aveva camminato scalza fino a Roma. Il suo
pellegrinaggio era durato due anni, durante i quali aveva
dormito all'aperto, patendo il freddo e il caldo, e vivendo
delle elemosine e della carità altrui. Era stato un miracolo il
fatto che fosse arrivata a Roma. Ma ancora più miracoloso
era stato l'essere ricevuta da Pio IV."
"Perché il papa, come Teresa e come molte altre persone,
stava pensando la stessa cosa," ho concluso.
Proprio come Bernadette non conosceva la decisione del
Vaticano, proprio come le scimmie di altre isole non potevano
essere al corrente dell'esperimento in atto, proprio come
Maria de Jesus e Teresa ignoravano ciò che l'una e l'altra stavano
pensando.
Qualcosa cominciava ad aver significato.
Adesso camminavamo in un bosco. I rami più alti, secchi e
ricoperti di neve, ricevevano i primi raggi del sole. La nebbia
si era dissipata totalmente.
' So dove vuole arrivare, padre."
"Sì. Il mondo vive un momento in cui tanta gente sta
ricevendo lo stesso ordine."
"Segua i suoi sogni, trasformi la sua vita in un cammino
che conduca a Dio. Realizzi i suoi miracoli. Guarisca gli
ammalati. Faccia profezie. Ascolti il suo angelo custode. Si
trasformi. Sia un guerriero e si dimostri felice di ogni suo
combattimento."
"Corra i suoi rischi."
Adesso il sole inondava tutto. La neve brillava, e l'eccessivo
splendore mi abbagliava la vista. Ma, nello stesso tempo,
sembrava avvalorare ciò che stava dicendo il prete.
"E lui che cosa c'entra con tutto questo?"
"Le ho parlato dell'aspetto eroico della storia, figliola. Ma
lei non sa nulla dell'anima di questi eroi." Ha fatto una
lunga pausa. Poi ha proseguito: "La sofferenza. Nei momenti
di trasformazione nascono i martiri. Prima che gli individui
possano seguire i propri sogni, è necessario che altri si sacrifichino
per loro. Che affrontino il ridicolo, la persecuzione, il
discredito delle loro opere."
"La Chiesa ha bruciato le streghe, padre."
"Sì. E Roma ha dato i cristiani in pasto ai leoni. Chi è
morto sul rogo o nell'arena è asceso alla gloria eterna. E stato
meglio così.
"Ma, oggigiorno, i guerrieri della Luce affrontano qualcosa
di peggiore della morte dei martiri. Sono consumati a
poco a poco dalla vergogna e dall'umiliazione. E accaduto a
santa Teresa che ha sofferto per il resto della vita. E accaduto
a Maria de Jesus. E accaduto ai pastorelli di Fatima: Jacinta e
Francisco sono morti dopo pochi mesi; Lucia si è rinchiusa
in un convento da cui non è mai più uscita."
"Ma questo non è avvenuto per Bernadette."
"Invece sì. Ha dovuto sopportare la prigione, l'umiliazione,
il discredito. Lui deve avergliene parlato, figliola. Deve
averle detto delle parole dell'Apparizione."
"Qualcosa," ho risposto.
"Nelle apparizioni di Lourdes, le frasi della Madonna sono
talmente poche da riempire appena una mezza pagina di
quaderno. La Vergine, comunque, ha detto chiaramente alla
pastorella: 'Non ti prometto felicità in questo mondo.' Per
quale motivo con una delle sue poche frasi intendeva prevenire
e consolare Bernadette? Perché lei conosceva il dolore
che attendeva la giovinetta da quel momento in poi, se avesse
accettato la missione."
lo guardavo il sole, la neve, gli alberi spogli.
"Lui è un rivoluzionario," ha proseguito il prete, e il tono
della sua voce era umile. "Possiede il potere, parla con
Nostra Signora. Se riuscirà a concentrare la sua energia,
potrà costituire l'avanguardia, essere uno dei primi a guidare
la trasformazione spirituale dell'umanità. Il mondo sta
vivendo un momento molto importante.
"Eppure, se questa sarà la sua scelta, egli soffrirà profondamente.
Le sue rivelazioni sono giunte in anticipo. Io conosco
abbastanza l'animo umano per sapere ciò che l'aspetta."
Il prete si è voltato verso di me e mi ha stretto le spalle.
"La prego," ha detto. "Lo allontani dalla sofferenza e dalla
tragedia che lo attendono. Lui non resisterà."
"Comprendo il suo amore per lui, padre."
Lui ha scosso il capo.
"No, lei non capisce. Lei è ancora troppo giovane per
conoscere le malvagità del mondo. Anche lei, in questo
momento, si vede come una rivoluzionaria. Vuole cambiare
il mondo insieme a lui, aprire nuovi cammini, far sì che la
storia del vostro amore si trasformi in qualcosa di leggendario,
che sarà raccontato di generazione in generazione. Lei
pensa ancora che l'amore possa prevalere."
"E non può essere così?"
"Si, è possibile. Ma al momento giusto. Quando le battaglie
celesti saranno concluse una volta per tutte."
"Io lo amo. E non ho bisogno di aspettare le battaglie
celesti per far prevalere il mio amore."
Il suo sguardo si è fatto distante.
"Sulle sponde dei fiumi di Babilonia ci siamo seduti e
abbiamo pianto," ha detto. come se parlasse da solo. "Ai salici
di quella terra abbiamo appeso le nostre cetre."
"Che tristezza!" ho esclamato.
"Sono le prime righe di un salmo. Parla dell'esilio, di coloro
che desiderano tornare nel proprio paese e non possono.
E questo esilio durerà ancora. Che cosa posso fare per tentare
di alleviare la sofferenza di qualcuno che desidera tornare
anzitempo in paradiso?"
"Nulla, padre. Assolutamente nulla."
"Eccolo laggiù," ha detto il prete.
L'ho visto. Doveva essere a circa duecento metri da noi, stava
in ginocchio sulla neve. Era senza camicia e, malgrado la
distanza, ho notato che la sua pelle era violacea per il freddo.
Teneva il capo chino e le mani giunte in preghiera. Non
so se fossi influenzata dal rituale a cui avevo assistito la notte
precedente o dalla donna che raccoglieva legna, ma ho avuto
la sensazione di guardare un essere dotato di un'eccezionale
forza spirituale. Un essere che non apparteneva più a questo
mondo, ma viveva in comunione con Dio e con gli spiriti
illuminati del paradiso. Il bagliore della neve intorno a lui
sembrava accentuare questa impressione.
"Su questo monte, ce ne sono altri come lui," ha detto il
prete. "In costante adorazione, in comunione con l'esperienza
di Dio e della Vergine. Esseri che ascoltano gli angeli, i
santi, le profezie, le parole di saggezza e trasmettono rutto
ciò a un piccolo gruppo di fedeli. Finché continuerà così,
non ci sarà alcun problema.
"Ma lui non rimarrà qui. Percorrerà il mondo e predicherà
il messaggio della Grande Madre. Ma per adesso la Chiesa
non vuole. E il mondo ha già in mano le pietre da scagliare
SUI primi che toccheranno questo argomento."
"E i fiori da lanciare a coloro che seguiranno."
"Sì. Ma non è il suo caso."
Il prete si è incamminato verso di lui.
"Dove sta andando?"
"A risvegliarlo dalla trance. A dirgli che lei, figliola, mi è
piaciuta. E che benedico questa unione. Voglio farlo qui, in
questo luogo per lui sacro.
Ho cominciato a sentire un po' di nausea, come quando si
ha paura, ma non se ne comprende il motivo.
' Ho bisogno di pensare, padre. Non so se sia davvero giusto."
"Non è giusto," ha risposto. "Molti genitori sbagliano con
i propri figli perché pensano di sapere ciò che è meglio per
loro. Io non sono suo padre e so che mi sto comportando in
maniera sbagliata. Ma questo è il mio destino."
La mia ansia aumentava sempre di più.
"Non interrompiamolo," ho detto. "Lasciamo che finisca
la sua contemplazione."
"Lui non dovrebbe essere qui. Dovrebbe essere insieme a
lei."
"Forse sta comunicando con la Vergine."
"Può darsi. Comunque, dobbiamo avvicinarci. Se mi
vedrà insieme a lei, capirà che le ho detto tutto. Lui sa come
la penso."
"Oggi è il giorno dell'Immacolata Concezione," ho insistito.
"Un giorno molto particolare per lui. Ho notato la sua
gioia ieri notte, davanti alla grotta."
"L'Immacolata è importante per tutti noi," mi ha risposto
il prete. "Ma adesso sono io che non voglio discutere di religione:
andiamo."
"Perché adesso, padre? Perché proprio in questo istante?"
"Perché so che sta decidendo il suo futuro. E può darsi
che scelga il cammino sbagliato."
Mi sono voltata e ho ripreso la strada per cui eravamo saliti.
Il prete mi ha seguito.
"Che cosa sta facendo? Non si rende conto che lei è l'unica
che può salvarlo? Non si accorge che lui la ama e che per
lei abbandonerebbe tutto?"
I miei passi si facevano sempre più rapidi, e per il prete era
difficile starmi dietro. Comunque, ha continuato a camminare
al mio fian-co.
"In questo preciso momento, lui sta scegliendo! Può darsi
che stia decidendo di lasciarla!" mi diceva il prete. "Lotti per
ciò che ama!"
Non mi sono fermata. Camminavo sempre più in fretta,
lasciando alle mie spalle la montagna, il prete e le scelte.
L'uomo che mi rincorreva leggeva i miei pensieri e perciò
sapeva bene che sarebbe stato inutile qualsiasi tentativo di
farmi tornare indietro. Eppure insisteva, ragionava, lottava
fino allo stremo.
Quando siamo arrivati nel punto in cui ci eravamo riposati
mezz ora prima, mi sono accasciata, esausta. Non pensavo
a nulla. Volevo fuggire, restare sola, avere il tempo di riflettere.
Il prete mi ha raggiunto alcuni minuti dopo, anche lui
sfiancato dalla corsa.
"Vede queste montagne intorno a noi?" mi ha domandato.
"Le montagne non pregano: loro sono la preghiera di
Dio. Sono così perché hanno trovato il proprio posto nel
mondo e qui rimarranno. Erano qui già prima che l'uomo
guardasse il cielo, sentisse il tuono e domandasse chi aveva
creato tutto ciò. Noi nasciamo. soffriamo, moriamo, e le
montagne sono sempre lI.
"C'è un momento in cui si ha bisogno di comprendere se
valga la pena fare tanti sforzi. Per quale motivo non tentare
di essere come queste montagne: sagge, antiche e al posto
giusto? Per quale motivo rischiare tutto per trasformare una
mezza dozzina di persone che dimenticano subito ciò che è
stato loro insegnato e partono per una nuova avventura? "Per
quale motivo non attendere che un gruppo di scimmieuomini
apprenda e che la conoscenza si diffonda senza sofferenza
in tutte le altre isole?"
"Lo crede davvero, padre?"
E rimasto in silenzio per alcuni istanti.
"Sta leggendo i miei pensieri?"
"No. Ma se lei, padre, pensasse questo, non avrebbe scelto
la vita religiosa." .
"Molte volte tento di capire il mio destino," ha detto lui.
"Ma non ci riesco. Ho accettato di far parte dell'esercito di
Dio, e tutto ciò che ho fatto è tentare di spiegare agli uomini
che esistono la miseria, il dolore, l'ingiustizia. Chiedo loro di
essere dei buoni cristiani ed essi mi domandano: 'Come
posso credere in Dio, quando esiste tanta sofferenza nel
mondo?'
"E tento di spiegare ciò che non ha spiegazione. Cerco di
dire che esiste un piano, una battaglia fra angeli, e che tutti
siamo coinvolti in questa lotta. Tento di dire che, quando un
certo numero di individui avrà abbastanza fede per cambiare
questo scenario, tutti gli altri, in ogni angolo del pianeta,
saranno beneficiati da questo cambiamento. Ma loro non mi
credono. Non fanno niente."
"Sono come le montagne," ho detto io. "Sono belle.
Chiunque arrivi davanti alle montagne, non può fare a
meno di pensare alla grandiosità della creazione. Sono prove
vive dell'amore di Dio verso gli uomini, ma il destino di
queste montagne è solo quello di rendere una testimonianza.
Non sono come i fiumi, che si muovono e trasformano il
paesaggio."
"Ma per quale motivo non essere come loro?"
"Forse perché il destino delle montagne deve essere terribile,"
ho risposto. "Sono obbligate a contemplare per sempre
lo stesso paesaggio."
Il prete non ha aggiunto altro.
"Io studiavo per diventare una montagna," ho proseguito.
"Avevo ogni cosa al posto giusto. Avrei avuto un impiego, mi
sarei sposata, avrei insegnato ai figli la religione dei miei
genitori, malgrado non Ci credessi più.
"Oggi sono decisa a lasciare tutto ciò e a seguire l'uomo
che amo. Ed è un bene che io abbia abbandonato l'idea di
essere una montagna: non l'avrei sopportato a lungo."
Lei parla con saggezza.
"Sono sorpresa di me stessa. Prima, riuscivo a parlare solo
dell'infanzia."
Mi sono alzata e ho ripreso la via del ritorno. Il prete,
rispettando il mio silenzio, non ha più parlato fino a quando
siamo giunti sulla strada.
Ho preso le sue mani e le ho baciate.
"Adesso me ne andrò. Ma voglio dirle, padre, che la comprendo
e che capisco il suo amore per lui."
Il prete ha sorriso e mi ha benedetto.
"Anch'io comprendo il suo amore per lui," ha concluso.
Ho trascorso il resto della giornata vagando per la vallata.
Ho scorrazzato nella neve, ho visitato un villaggio nei pressi
di Saint-Savin, ho mangiato un panino, mi sono trattenuta a
guardare alcuni ragazzi che giocavano a pallone.
Nella chiesa di un altro paese, ho acceso una candela. Ho
chiuso gli occhi e ho ripetuto le preghiere che avevo imparato
il giorno prima. Poi ho cominciato a pronunciare parole
prive di senso, concentrandomi sull'immagine di un crocifisso
dietro l'altare. A poco a poco, il dono delle lingue si
impossessava di me. Era più facile di quanto pensassi.
Poteva sembrare una stupidaggine: pronunciare frasi,
parole che non si conoscono e che non hanno significato
nella nostra lingua. Ma era lo Spirito Santo a parlare con la
mia anima, e stava dicendo proprio ciò che lei aveva bisogno
di sentire.
Quando mi è parso di essere purifìcata a sufficienza, ho
chiuso gli occhi e recitato:
"Nostra Signora, restituiscimi la fede. Che anch'io possa
essere uno strumento della tua opera. Concedimi l'opportunità
di apprendere attraverso il mio amore. Perché l'amore
non ha mai allontanato nessuno dai propri sogni.
"Che io sia compagna e alleata dell'uomo che amo. Che
egli faccia tutto ciò che dovrà fare, al mio fianco."
Quando sono rientrata a Saint-Savin, era quasi buio. La
macchina era parcheggiata davanti alla casa in cui avevamo
affittato la camera.
"Dove sei stata?" mi ha domandato lui, appena mi ha
vista.
"Ho camminato e pregato," ho risposto.
Mi ha abbracciata forte.
"Per un po', ho avuto paura che te ne fossi andata. Sei la
cosa più preziosa che ho su questa terra."
"Anche tu," ho risposto.
Ci siamo fermati in un piccolo villaggio vicino a San Martin
de Unx. Il valico dei Pirenei aveva richiesto più tempo del
previsto, a causa della pioggia e della neve del giorno precedente.
"Bisogna trovare qualcosa di aperto," ha detto lui, balzando
giù dalla macchina. "Ho fame."
Non mi sono mossa.
"Vieni," ha insistito, aprendomi lo sportello.
"Vorrei farti una domanda. Una domanda che non ti ho
ancora rivolto da quando ci siamo rincontrati."
All'improvviso, è diventato serio. Ho riso di quella sua
preoccupazione.
"E' una domanda molto importante?"
"Sì, molto," ho replicato, tentando di sembrare seria. "Ed
è questa: 'Dove stiamo andando?"'
Siamo scoppiati a ridere.
"A Saragozza," ha risposto lui, sollevato.
Sono scesa dall'automobile e siamo andati a cercare un
ristorante aperto. Doveva essere praticamente impossibile, a
quell'ora.
'No, non è impossibile. L'Altra non è più con me. I miracoli
avvengono,' mi sono detta.
"Quando devi essere a Barcellona?" gli ho domandato,
dopo un attimo.
Non mi ha risposto. D'un tratto, la sua espressione si è
fatta seria.
'Devo evitare questo tipo di domande,' ho pensato. 'Può
sembrare che stia tentando di controllare la sua vita.'
Abbiamo camminato per un po` senza dire nulla. Nella
piazza del paesino c'era un'insegna illuminata: "Mesón El
Sol."
"Quello è aperto. Andiamo a mangiare," ha detto.
I peperoni rossi con le acciughe erano disposti sul piatto a
forma di stella. Accanto c'era quel formaggio tipico, in fette
quasi trasparenti. Al centro del tavolo, una candela accesa e
una bottiglia di vino Rioja quasi a metà.
"Era una taverna medievale," ha spiegato il ragazzo che ci
serviva.
Non c'era quasi nessuno nel locale a quell'ora della notte.
Lui si è alzato, ha raggiunto il telefono, poi è tornato al tavolo.
Avrei voluto domandargli chi aveva chiamato, ma sono
riuscita a controllarmi.
"Siamo aperti fino alle due e mezzo del mattino," ha proseguito
il ragazzo. "Se volete, potremo fornirvi altro prosciutto,
formaggio e vino. Potete fermarvi nella piazza. L'alcool
terrà lontano il freddo."
"Non ci tratterremo così a lungo," ha risposto lui.
"Dobbiamo arrivare a Saragozza prima dell'alba."
Il cameriere è ritornato al banco. Abbiamo riempito di
nuovo i bicchieri. Si stava ripresentando quella leggerezza
che avevo provato a Bilbao, la dolce ubriachezza del Rioja,
che aiuta a dire e ad ascoltare le cose difficili.
"Sei stanco di guidare e stiamo bevendo," ho detto, dopo
una sorsata. "E meglio fermarci da queste parti. Ho visto un
parador, un antico castello trasformato in albergo, mentre
eravamo in macchina."
Lui ha annuito con il capo.
"Guarda il tavolo davanti a noi," ha commentato. "I giapponesi
lo chiamano shibumi: la sofisticazione delle cose semplici.
La gente accumula denaro, va nei locali costosi e pensa
di essere sofisticata."
Ho bevuto dell'altro vino.
Quell'albergo. Un'altra notte accanto a lui.
La verginità che misteriosamente si era ricreata.
"E curioso sentire un seminarista parlare di sofisticatezza."
ho detto, tentando di concentrarmi su qualcos'altro.
"Be', l'ho appreso in seminario. Quanto più ci avviciniamo
a Dio attraverso la fede, tanto più lui diventa semplice. E
quanto più semplice il Signore diventa, tanto più forte è la
sua presenza.
Lui ha lasciato scivolare la mano sul tavolo di legno.
"Cristo ha appreso la sua missione mentre segava il legno
e costruiva sedie, letti e armadi. Lo ha fatto nelle vesti di
falegname per mostrarci che, qualsiasi cosa si faccia, tutto
può condurci a sperimentare l'amore di Dio."
All'improvviso si è fermato.
"Non voglio parlarne," ha detto. "Voglio parlare di un
altro tipo di amore."
Le sue mani hanno sfiorato il mio viso.
Il vino rendeva le cose più facili per lui. E per me.
"Perché ti sei interrotto all'improvviso? Perché non vuoi
parlare di Dio, della Vergine, del mondo spirituale?"
"Voglio parlare di un altro tipo di amore," ha insistito.
"Quello tra un uomo e una donna, nel quale possono manifestarsi
anche i miracoli."
Gli ho stretto le mani. Lui poteva anche conoscere i grandi
misteri della Dea, ma di amore ne sapeva quanto me.
Anche se aveva viaggiato tanto. E avrebbe dovuto pagare un
prezzo: l'iniziativa. Perché la donna paga il prezzo più alto:
l'abbandono.
Siamo rimasti lì, tenendoci le mani per lungo tempo.
Leggevo nei suoi occhi le paure ancestrali che il vero amore
pone come prove da superare. Scorgevo il ricordo del rifiuto
della notte precedente, il lungo tempo che avevamo trascorso
separati e gli anni nel seminario, passati alla ricerca di un
mondo dove queste cose non accadono.
Leggevo nei suoi occhi tutte le volte che aveva immaginato
questo momento, gli scenari che aveva costruito intorno a
noi, la pettinatura che avrei avuto e il colore dei miei abiti.
Avrei voluto dirgli "sì", lui era il benvenuto, il mio cuore
aveva vinto la battaglia. Avrei voluto confessargli quanto lo
amavo, quanto lo desideravo in quel momento.
Ma sono rimasta in silenzio. Ho assistito, come se si trattasse
di un sogno, alla sua lotta interiore. Ho visto che aveva
davanti a sé il mio "no", la paura di perdermi, le dure parole
che aveva già udito in momenti simili: momenti che abbiamo
attraversato tutti e dai quali abbiamo ricevuto tante ferite.
I suoi occhi si sono illuminati di un bagliore diverso.
Sapevo che stava superando tutti quegli ostacoli.
Allora ho liberato una mano, ho preso un bicchiere e l'ho
spostato sul bordo del tavolo.
"Cadrà," ha detto lui.
"Esatto. Voglio che tU lo faccia cadere."
"Rompere un bicchiere?"
Sì, rompere un bicchiere. Un gesto in apparenza semplice,
ma che implica terrori che non giungeremo mai a comprendere
appieno. Che cosa c'è di sbagliato nel rompere un bicchiere
di poco valore, quando tutti noi, senza volerlo, abbiamo
già fatto la stessa cosa nella vita?
"Rompere un bicchiere?" ha ripetuto. "Per quale motivo?"
"Posso spiegartelo," ho risposto. "Ma, in verità, è solo
così, per romperlo."
"Per te?"
"No, è chiaro."
Lui guardava il bicchiere sul bordo del tavolo, preoccupato
che cadesse.
'E un rito di passaggio, come dici tu stesso,' avrei voluto
spiegargli. 'E la cosa proibita. Non si rompono i bicchieri di
proposito. In un ristorante, o nelle nostre case, ci preoccupiamo
che i bicchieri non finiscano sul bordo del tavolo. Il
nostro universo esige attenzione, affinché i bicchieri non
cadano per terra.'
'Eppure,' pensavo ancora, 'quando li rompiamo senza
volerlo, Ci accorgiarno che non è poi tanto grave. Il cameriere
ci dice: "Non ha importanza", e io non ho mai visto includere
un bicchiere rotto nel conto di un ristorante. Rompere
bicchieri fa parte del caso della vita e non provoca alcun
danno reale: né a noi né al ristorante né al prossimo.'
Ho dato uno scossone al tavolo. Il bicchiere ha ondeggiato,
ma non è caduto.
"Attenta!" ha detto lui, d'istinto.
"Rompi quel bicchiere," ho insistito io.
'Rompi quel bicchiere,' pensavo, 'perché è un gesto simbolico.
Cerca di capire che io, dentro di me, ho rotto cose
ben più importanti di un bicchiere e ne sono felice. Pensa
alla lotta che divampa dentro di te e rompi questo bicchiere.
Perché i nostri genitori ci hanno insegnato a fare attenzione
con i bicchieri e con i corpi. Ci hanno spiegato che le passioni
dell'infanzia sono impossibili, che non dobbiamo distrarre
gli uomini dal sacerdozio, che gli individui non fanno miracoli
e che nessuno parte per un viaggio senza una meta precisa.
Rompi questo bicchiere, per favore, e liberaci da questi
maledetti preconcetti, dalla mania che sia necessario spiegare
tutto e fare solo quello che gli altri approvano.'
"Rompi questo bicchiere," gli ho ripetuto.
Mi ha fissato negli occhi. Poi, lentamente, ha fatto scivolare
la mano sul piano del tavolo, fino a toccare il bicchiere.
Con un movimento rapido, lo ha spinto giù.
Il rumore del vetro infranto ha richiamato l'attenzione di
tutti. Invece di mascherare il gesto chiedendo scusa, lui mi
ha guardata sorridendo e io ho ricambiato il gesto.
"Non ha importanza," ha esclamato il ragazzo che serviva
ai tavoli.
Ma lui non lo ascoltava. Si è alzato e, mettendomi le mani
tra i capelli, mi ha baciato.
Anch'io l'ho afferrato per i capelli, l'ho abbracciato con tutte
le mie forze, gli ho morso le labbra, ho sentito la sua lingua
muoversi nella mia bocca. Era un bacio che attendevo da
molto tempo: un bacio che era nato presso i fiumi della
nostra infanzia, quando non comprendevamo ancora il
significato dell'amore. Un bacio che era rimasto in sospeso
quando, più tardi, giravamo il mondo con il ricordo di una
medaglia, oppure ci nascondevamo dietro pile di libri da studiare
per un concorso. Un bacio che si era perduto tante
volte e che, adesso, veniva finalmente ritrovato. Nella durata
di quel bacio scorrevano anni di ricerche, di delusioni, di
sogni impossibili.
L'ho baciato con forza. Le poche persone presenti nel locale
stavano a guardare. pensando di vedere semplicemente un
bacio. Ma non sapevano che quel lungo minuto era il compendio
della mia e della sua vita, della vita di chiunque
aspetti, sogni e cerchi il proprio cammino sotto il sole.
In quel minuto, c'erano tutti i momenti di gioia che ho
ViSSUtO.
Mi ha strappato i vestiti e penetrato con forza, con paura,
con desiderio. Ho provato un po' di dolore, ma non mi è
importato granché. Del resto, in quel momento non aveva
alcuna importanza neppure il mio piacere. Con le mani gli
accarezzavo il capo, sentivo i suoi gemiti ed ero grata perché
lui stava lì, dentro di me, a farmi sentire come se fosse la
prima volta.
Ci siamo amati per tutta la notte, e l'amore si fondeva con
il sonno e con i sogni. Lo sentivo dentro di me e lo abbracciavo
per accertarmi che tutto ciò stesse accadendo davvero
per impedire che se ne andasse all'improvviso, come quei
cavalieri erranti che, un tempo, abitarono il castello oggi trasformato
in albergo. Le silenziose pareti di pietra sembravano
narrare storie di fanciulle in attesa, di lacrime versate e di
giorni interminabili trascorsi davanti alla finestra, con lo
sguardo rivolto all'orizzonte, in cerca di un segnale di speranza.
Ma ho promesso a me stessa che non sarebbe mai accaduto.
Non lo avrei mai perduto. Lui sarebbe stato sempre con
me: perché, mentre guardavo un crocifisso dietro un altare,
le lingue dello Spirito Santo mi avevano detto che adesso
non stavo commettendo alcun peccato.
Sarei stata per sempre la sua compagna, e insieme avremmo
esplorato il mondo creato di nuovo. Avremmo parlato
della Grande Madre, avremmo lottato a fianco dell'arcangelo
Michele, avremmo vissuto insieme l'agonia e l'estasi dei pionieri.
Questo mi avevano detto le lingue, e io avevo recuperato
la fede. Sapevo che dicevano la verità.
Giovedì, 9 dicembre 1993.
Mi sono svegliata con le sue braccia sopra il petto. Era già
giorno, e le campane di una chiesa vicina suonavano forte.
Mi ha baciato. Mi ha accarezzato il corpo, ancora una volta
"Dobbiamo andare," ha detto. "Le feste si concludono
oggi, le strade saranno molto trafficate.''
"Non voglio andare a Saragozza," ho risposto. "Voglio
venire subito con te. Le banche apriranno fra poco, posso
usare la carta di credito per ritirare dei soldi e per acquistare
qualche vestito."
"Mi hai detto che non hai molti soldi."
"Me la cavo. Devo rompere con il mio passato senza alcuna
pietà. Se tornassi a Saragozza, potrei pensare che sto
facendo una sciocchezza, che manca poco agli esami, che
possiamo stare due mesi separati, fino a quando li avrò finiti.
E se li supererò, non vorrò più lasciare Saragozza. No, non
posso tornare. Devo distruggere i ponti che mi legano alla
donna di un tempo.
"Barcellona," ha mormorato.
"Che cosa?"
"Niente. Proseguiremo il viaggio."
Ma tu hai una conferenza?"
"Mancano ancora due giorni," ha risposto. La sua voce era
strana. "Andiamo in qualche altro posto. Non voglio andare
direttamente a Barcellona."
Mi sono alzata. Non volevo pensare ai problemi: mi ero
svegliata come ci Si risveglia dopo la prima notte d'amore,
con una sorta di imbarazzo e di vergogna.
Mi sono avvicinata alla finestra, ho scostato la tendina e
ho guardato giù nella viuzza. Sui balconi delle case c'erano
panni stesi ad asciugare. Le campane suonavano.
"Ho un'idea," ho detto. ''Andiamo in un posto dove siamo
stati quando eravamo bambini. E dove non sono mai più
ritornata.
"Dove?"
"Andiamo al monastero di Piedra."
Quando siamo usciti dall'albergo, le campane stavano ancora
suonando. Lui ha suggerito di entrare un momento in
chiesa.
"Non abbiamo fatto altro," ho risposto. "Chiese, preghiere,
rituali.
"Abbiamo fatto l'amore," ha detto lui. '`Ci siamo ubriacati
tre volte. Siamo stati sulle montagne. Abbiamo trovato un
equilibrio tra il Rigore e la Misericordia."
Avevo detto una stupidaggine. Dovevo abituarmi a una
nuova vita.
"Scusami," ho detto.
`'Entriamo solo per un momento. Queste campane sono
un segnale.
Aveva ragione lui, ma io me ne sarei resa conto solo il
giorno dopo. Senza aver compreso appieno quel segnale
occulto, siamo saliti in macchina e abbiamo viaggiato per
quattro ore, fino al monastero di Piedra.
Il soffitto era crollato e le poche statue ancora esistenti non
avevano più la testa, tranne una.
Mi sono guardata intorno. In passato, quel luogo doveva
aver fornito un riparo a uomini dalla forte volontà, che
badavano che ogni pietra fosse lustra e che ogni banco venisse
occupato da un potente.
Ma adesso intorno a me c'erano solo rovine: quelle rovine
che, nella mia infanzia, diventavano castelli dove noi due
giocavamo, e dove io cercavo il mio principe azzurro.
Per secoli, i monaci del monastero di Piedra avevano tenuto
in serbo quel frammento di paradiso situato su un altopiano.
Essi possedevano ciò che gli abitati vicini dovevano
mendicare: l'acqua. Lì, il fiume Piedra si apriva in decine di
cascate, ruscelli. laghi, infoltendo tutt'intorno una vegetazione
lussureggiante. Eppure bastava allontanarsi di qualche
centinaio di metri per trovare aridità e desolazione. Il fiume,
dopo aver attraversato quella depressione del terreno, si trasformava
in un sottile rigagnolo, come se lì avesse esaurito la
propria gioventù ed energia.
I monaci lo sapevano, e l'acqua che fornivano ai vicini
costava cara. Innumerevoli lotte fra i religiosi e gli abitanti
del luogo hanno segnato la storia del monastero.
Poi, durante una delle numerose guerre che scossero la
Spagna, il monastero di Piedra fu trasformato in base operativa.
I cavalli scorrazzavano nella navata centrale della chiesa;
i soldati si accampavano fra i banchi, raccontandosi storielle
piccanti e facendo l'amore con le donne dei villaggi vicini.
La vendetta, benché tardiva, era comunque sopraggiunta.
Il monastero venne saccheggiato e distrutto.
I monaci non riuscirono mai più a riavere quel paradiso.
In una delle numerose battaglie giuridiche che seguirono,
qualcuno affermò che gli abitanti dei paesi vicini avevano
eseguito una sentenza di Dio. Cristo aveva detto: "Da' da
bere agli assetati", e i preti erano rimasti sordi alle sue parole.
Così il Signore aveva scacciato quelli che si ritenevano i
padroni della natura.
E questo è forse il motivo per cui, malgrado gran parte del
convento fosse stata ricostruita e successivamente trasformata
in albergo, la chiesa rimaneva tuttora in rovina. I discendenti
delle popolazioni vicine non erano riusciti a dimenticare
il caro prezzo che i loro avi avevano dovuto pagare per
beneficiare di ciò che la natura concede gratuitamente.
"Chi raffigura quell'unica statua con la testa?" ho domandato.
"Santa Teresa di Avila," ha risposto lui. "Lei è potente. E,
malgrado la grande sete di vendetta che recano le guerre,
nessuno ha osato toccarla."
Mi ha preso per mano e siamo usciti. Abbiamo passeggiato
per gli interminabili corridoi del convento, siamo saliti
per le ampie scale di legno e ci siamo fermati a guardare le
farfalle nei giardini interni del chiostro. Io ricordavo quel
monastero in ogni minimo dettaglio. C'ero stata quand'ero
ancora piccola, ma gli antichi ricordi sembrano più vivi di
quelli recenti.
Memoria. Il periodo che precedeva quella settimana sembrava
appartenere a un'altra vita. Un'epoca in cui non sarei più
tornata, perché non era ancora stata sfiorata dalla mano dell'amore.
Mi sentivo come se avessi vissuto per anni lo stesso
giorno: al risveglio, lo stesso umore, gli stessi gesti; di notte
gli stessi sogni.
Ho ripensato ai miei genitori, ai miei nonni, ai tanti
amici. Ho riflettuto su tutto il tempo sprecato lottando per
ottenere ciò che non desideravo.
Perché lo avevo fatto? Non riuscivo a darmi una spiegazione.
Forse la pigrizia mi impediva di pensare ad altri cammini.
Magari avevo paura di ciò che avrebbero pensato gli altri.
Forse era molto faticoso essere diversa. L'essere umano è condannato
a ripetere i passi della generazione precedente, finché
- e a questo punto ho ripensato al padre superiore - un
certo numero di individui comincia a comportarsi in maniera
diversa.
Il mondo allora cambia, e noi mutiamo con esso.
Ma io non volevo più essere così. Il destino mi aveva restituito
ciò che era mio. Adesso mi dava l'opportunità di modificare
me stessa e di contribuire a trasformare il mondo.
Ho pensato di nuovo alle montagne e agli scalatori che
avevamo incontrato durante la passeggiata. Erano giovani,
indossavano abiti colorati per richiamare l'attenzione qualora
si fossero perduti nella neve e conoscevano il sentiero che
conduceva alle vette.
Le pareti erano già segnate con chiodi; per salire con sicurezza,
loro dovevano semplicemente far passare le corde nei
ganci. Era per loro l'avventura di un giorno di festa, ma il
lunedì avrebbero ripreso il lavoro, con la sensazione di aver
sfidato e vinto la natura.
Ma non era affatto così. I veri avventurieri erano stati
coloro che, per primi, avevano tracciato i sentieri. Alcuni
non erano arrivati neppure a metà della strada, precipitando
nei crepacci. Altri avevano perso le dita, incancrenite dal
freddo. Molti non erano tornati mai più. Ma un giorno
qualcuno aveva raggiunto la cima di una di quelle montagne.
I suoi occhi erano stati i primi a vedere quel paesaggio, e il
suo cuore aveva cominciato a battere di gioia. Ora lui, avendo
accettato i rischi, onorava tutti coloro che erano morti
nella stessa impresa.
Può darsi che, giù a valle, le persone pensassero: 'Non c'è
niente lassù, solo un bel paesaggio. Che gusto c'è?'
Ma il primo scalatore sapeva bene che esisteva il piacere:
accettare la sfida e andare avanti. Sapere che nessun giorno
era uguale all'altro, che ogni mattina portava con sé un particolare
miracolo, il proprio momento magico, nel quale i
vecchi universi andavano distrutti e si creavano nuove stelle.
Il primo uomo salito su quelle vette dev'essersi posto la
stessa domanda, guardando le casette a valle, coi loro comignoli
fumanti: 'Il loro giorno sembra sempre uguale: che
gusto c'è?'
Adesso le montagne erano state conquistate, gli astronauti
avevano esplorato lo spazio, non c'era più alcuna isolaneanche
la più piccola sulla terra - che non fosse già stata
scoperta. Restavano da compiere le grandi avventure dello
spirito, e una di esse mi era stata offerta in quei giorni.
Era una benedizione. Il padre superiore non lo aveva capito.
Questi dolori non fanno male.
Beati coloro che possono fare i primi passi. Un giorno
sarebbe stato chiaro che l'uomo era capace di parlare la lingua
degli angeli, che noi tutti possedevamo i doni dello
Spirito Santo e che avremmo potuto compiere miracoli, guarire,
profetizzare e penetrare il senso di ogni cosa.
Non è stato difficile ritrovarne l'entrata. D'estate la luce
illuminava il cammino; ora eravamo le uniche persone in
quel posto, e il tunnel era completamente buio.
"Entriamo lo stesso?" ho domandato.
"Certo. Abbi fiducia in me."
Abbiamo trascorso il pomeriggio nella gola, ricordando la
nostra infanzia. Per lui era una novità: durante il viaggio fino
a Bilbao, infatti, sembrava non avere più interesse per Soria.
Adesso, però, mi chiedeva di ciascuno dei nostri amici,
voleva sapere se erano felici e che cosa facevano nella vita.
Alla fine, siamo giunti alla cascata più grande del Piedra,
dove le acque confluite dai vari fiumiciattoli precipitano da
un'altezza di quasi trenta metri. Siamo rimasti lì sulla sponda
del fiume, fermi, ad ascoltare gli scrosci assordanti e a contemplare
un arcobaleno.
"La Coda del Cavallo," ho detto io, sorpresa di ricordare
ancora un nome che non sentivo più da tanto tempo.
"Mi ricordo..." ha cominciato lui.
"Sì! Lo so che cosa stai per dire!"
Chiaro che lo sapevo! La cascata nascondeva una gigantesca
grotta. Da bambini, rientrando dalla nostra prima gita al
monastero di Piedra, avevamo continuato a parlare di quel
luogo per giorni.
"La caverna," ha concluso lui. "Andiamoci!"
Era impossibile passare sotto quel torrente d'acqua che
precipitava con violenza. Gli antichi monaci avevano costruito
un tunnel che parte dal punto più alto della cascata e
si addentra nella roccia, fino alla parte posteriore della grotta.
Ci siamo infilati nell'apertura accanto alla cascata. Benché
intorno non ci fosse luce, sapevamo dove stavamo andando;
inoltre lui mi aveva detto di avere fiducia.
'Grazie, Signore,' ho pensato, mentre ci addentravamo
sempre più nel cuore della terra. 'Perché io ero una pecora
smarrita, e tu mi hai ricondotto sulla giusta via. Perché la
mia vita era morta, e tu l'hai resuscitata. Perché l'amore non
era più nel mio cuore, e tu mi hai restituito questa grazia.'
Mi appoggiavo alla sua spalla. Il mio amato guidava i miei
passi in quel cammino tenebroso, certo che avremmo ritrovato
la luce e ne avremmo gioito. Forse, in futuro, ci sarebbero
stati momenti in cui la situazione si sarebbe invertita:
allora io avrei guidato lui con lo stesso amore e la stessa
determinazione, per raggiungere un luogo sicuro, dove poter
riposare insieme.
Procedevamo lentamente, e la discesa sembrava non aver
mai fine. Forse, si trattava di un nuovo rito di passaggio: la
fine di una fase della mia vita priva di luce. A mano a mano
che avanzavo nel tunnel, ricordavo il tempo che avevo perduto,
stando nello stesso posto, ostinandomi a voler mettere
radici in un suolo dove non cresceva più nulla.
Ma Dio era buono e mi aveva restituito l'entusiasmo perduto,
le avventure che sognavo, l'uomo che, senza volerlo,
avevo atteso per tutta la vita. Non provavo alcun rimorso per
la sua scelta di lasciare il seminario perché, come aveva detto
il prete, molti erano i modi di servire Dio e il nostro amore li
moltiplicava. D'ora in poi, anch'io avrei avuto l'opportunità
di servire e di aiutare: tutto per merito suo.
Saremmo andati in giro per il mondo, lui per recare
conforto agli altri e io a lui.
'Grazie, Signore, perché mi aiuti a servire. Insegnami a
esserne degna. Dammi la forza di partecipare alla tua missione,
di attraversare insieme a lui la terra, di far rinascere la
mia vita spirituale. Che tutti i giorni della nostra vita possano
essere come questi: da un luogo all'altro, curando gli
ammalati, confortando gli afflitti e facendo conoscere l'amore
che la Grande Madre nutre per tutti noi.'
All'improvviso, abbiamo udito di nuovo il rumore dell'acqua;
la luce ha inondato il nostro cammino e il tunnel nero
si è trasformato in uno degli spettacoli più belli della terra.
Eravamo dentro un'immensa caverna, grande come una cattedrale.
Tre delle pareti erano di pietra; la quarta era la Coda
del Cavallo, e l'acqua scendendo si riversava nel lago verde
smeraldo ai nostri piedi.
I raggi del sole al tramonto attraversavano la cascata,
facendo brillare le pareti bagnate.
Siamo rimasti lì, appoggiati alla roccia, senza dire nulla.
Un tempo, quando eravamo bambini, questo luogo diventava
il nascondiglio dei pirati e serbava i tesori delle nostre
fantasie infantili. Adesso era il miracolo della Madre Terra:
io mi sentivo nel suo ventre, sapevo che lei era lì, ci proteggeva
con le sue pareti rocciose e lavava i nostri peccati con
quel muro d'acqua.
"Grazie," ho detto a voce alta.
"Chi stai ringraziando?"
"Lei. E te, che sei stato lo strumento con cui la fede è tornata
a me."
Si è avvicinato al bordo di quel lago sotterraneo. Ha contemplato
le acque, poi ha sorriso.
"Vieni qui," mi ha pregato.
Io mi sono avvicinata.
"Ti devo dire una cosa che ancora non sai," ha detto.
Le sue parole mi hanno messo in agitazione. Ma il suo
sguardo era sereno, e io mi sono tranquillizzata.
"Tutti gli individui sulla terra possiedono un dono," ha
cominciato. "In alcuni, esso si manifesta spontaneamente;
altri hanno bisogno di lavorare per ritrovarlo. Il mio lavoro si
è protratto per i quattro anni trascorsi in seminario."
Adesso ero io ad aver bisogno di "controinscenare", per
usare il termine che mi aveva insegnato lui quando il vecchio
custode ci aveva impedito l'ingresso nella chiesa. Dovevo fingere
di non sapere nulla.
'Non è sbagliato,' ho pensato. 'Non è un itinerario di frustrazione,
ma di gioia.'
"Che cosa si fa in seminario?" gli ho domandato, cercando
di guadagnare tempo e di interpretare meglio la mia parte.
"Questo non c'entra," ha detto. "Di fatto, posseggo una
virtù. Quando Dio lo desidera, sono capace di guarire."
"E' meraviglioso," ho replicato, tentando di mostrarmi
sorpresa. "Non dovremo spendere soldi con i medici!"
Lui non ha riso. E io mi sono sentita un'idiota
"Ho sviluppato i miei doni grazie alle pratiche carismatiche
a cui hai assistito," ha proseguito. "All'inizio, ne ero sorpreso.
Pregavo, imploravo la presenza dello Spirito Santo,
imponevo le mani sugli ammalati e restituivo loro la salute.
La mia fama si è diffusa, e tutti i giorni le persone facevano
la fila davanti alla porta del seminario, confidando nel mio
aiuto. In ogni ferita infetta e maleodorante, io vedevo le piaghe
di Gesù."
"Sono orgogliosa di te," ho detto.
"Molti nel monastero si sono dimostrati contrari a ciò, ma
il superiore mi ha dato tutto il suo appoggio."
"Continueremo quest'opera. Insieme, per il mondo. Io
pulirò le ferite, tu le benedirai e Dio farà i miracoli."
Lui ha distolto lo sguardo, posandolo sul lago. Sembrava
esserci una presenza in quella caverna: qualcosa di simile a
quanto avevamo visto la notte in cui ci eravamo ubriacati
insieme, al pozzo di Saint-Savin.
aTe l'ho già raccontato, ma lo ripeterò," ha proseguito.
"Una notte, mi svegliai nella stanza perfettamente illuminata.
Vidi il volto della Grande Madre e il suo sguardo d'amore.
Da quel giorno, l'ho rivista ogni tanto. Non sono io a
provocarlo: di tanto in tanto, lei appare.
"All'epoca, ero già al corrente dell'opera dei veri rivoluzionari
della Chiesa. Sapevo che la mia missione sulla terra,
oltre alle guarigioni, era spianare il cammino per l'accettazione
di un Dio-Donna. Il principio femminile e la colonna
della Misericordia sarebbero tornati a ergersi: e, nel cuore
degli uomini, il tempio della Sapienza sarebbe stato ricostruito."
L'ho guardato. La sua espressione, prima tesa, è tornata a
rasserenarsi.
"Tutto ciò aveva un prezzo, che tuttavia ero disposto a
pagare."
Poi si è interrotto, non sapendo come continuare la storia.
"Che cosa intendi dire con 'ero'?"
"Il cammino della Dea si sarebbe potuto aprire solo con
parole e miracoli. Ma non è così che va il mondo. Sarà
molto più dura: occorreranno lacrime, incomprensione e
sofferenza."
'Quel prete,' ho pensato. 'Ha cercato di impaurirlo. Ma io
sarò il suo conforto.'
"Non è un cammino di dolore: è il cammino che porta
alla gloria di servire," ho risposto.
"La maggior parte degli esseri umani diffida dell'amore."
Ho capito che voleva dirmi qualcos'altro, ma non ci riusciva.
Io potevo aiutarlo.
"Stavo pensando a questo," l'ho interrotto. "Pensavo al
primo uomo che ha scalato la vetta più alta dei Pirenei dopo
aver capito che la vita, senza avventura, non aveva alcuna
grazia."
"Che cosa intendi per 'grazia'?" ha domandato lui, e io ho
notato di nuovo una tensione nelle sue parole. "Uno dei
nomi della Grande Madre è 'Nostra Signora delle Grazie'. Le
sue mani generose spargono la benedizione su tutti coloro
che sanno accoglierla.
'`Non dobbiamo mai giudicare la vita degli altri, perché
ciascuno conosce il proprio dolore e la propria rinuncia. Una
cosa è pensare di essere sulla strada giusta, ma tutt'altra è credere
che la tua strada sia l'unica.
"Gesù ha detto: 'La casa del Padre ha molte dimore'. Il
dono è una grazia. Ma lo è anche il saper condurre una vita
con dignità, con amore per il prossimo e con il lavoro. Maria
ebbe uno sposo sulla terra che cercò di dimostrare il valore
del lavoro umile. Benché ciò non sia stato molto evidente, fu
lui che fornì un tetto e il cibo alla moglie e al figlio, affinché
potessero vivere. La sua opera fu importante quanto la loro,
sebbene a essa non venga dato quasi alcun valore."
Io non ho detto niente, e lui mi ha preso la mano
"Perdona la mia intolleranza."
Gli ho baciato la mano e l'ho portata al mio viso.
"E questo che voglio spiegarti," ha proseguito, sorridendo
di nuovo. "Nel momento in cui ti ho ritrovato, ho capito
che non potevo farti soffrire a causa della mia missione."
Io sono stata presa da un'inquietudine.
"Ieri ho mentito. E stata la prima menzogna che abbia
mai detto. E sarà anche l'ultima," ha proseguito. "La verità è
che, invece di andare al seminario, sono stato sulla montagna
a parlare con la Grande Madre.
"Le ho detto che, se fosse stata la sua volontà, mi sarei
allontanato da te e avrei proseguito per la mia strada. Sarei
ritornato a quella porta dove i malati attendevano, avrei
ripreso a visitarli nel cuore della notte, mi sarei piegato alle
incomprensioni di coloro che negano la fede, allo sguardo
cinico di quelli che non credono che l'amore possa salvare.
Se lei me lo avesse chiesto, avrei rinunciato alla cosa che più
desidero al mondo: a te."
Ho ripensato al prete. Aveva ragione. Quella mattina si
stava compiendo un destino.
"Ma," ha proseguito lui, "se fosse stato possibile allontanare
questo calice dalla mia vita, mi sarei impegnato a servire il
mondo attraverso il mio amore per te."
"Che cosa stai dicendo?" gli ho domandato allora, spaventata.
Sembrava che non mi avesse udito.
"Non è necessario spostare le montagne per provare la
fede," ha detto. "Io ero pronto ad affrontare da solo la sofferenza,
ma non a condividerla con te. Se avessi proseguito su
quella strada, non avremmo mai avuto una casa con le tendine
bianche e la vista sui monti."
"Non voglio saperne di questa casa! Non ci sono neppure
voluta entrare!" ho esclamato, cercando di non urlare. "Io
voglio accompagnare te, esserti vicina nella lotta, stare tra
quelli che si avventurano per primi. Non lo capisci? Tu mi
hai restituito la fede!"
Il sole si era spostato, e ora le pareti della caverna erano
illuminate dai suoi raggi. Ma la bellezza di quel momento
cominciava a perdere significato.
Dio ha nascosto l'inferno all'interno del paradiso.
"Tu non conosci..." ha detto lui, mentre i suoi occhi mi
imploravano di comprendere. "Tu non conosci il rischio."
"Ma tu ne eri felice!"
"Io ne sono felice. Ma è il mio rischio."
Volevo interromperlo, ma lui non mi ascoltava.
"Ieri, allora, ho chiesto alla Vergine un miracolo," ha proseguito.
Ho implorato che mi togliesse il dono."
Non riuscivo a credere a ciò che stavo sentendo.
"Possiedo un po' di soldi, e l'esperienza accumulata in
anni di viaggi. Compreremo una casa, troverò un lavoro e
servirò Dio come fece san Giuseppe: con l'umiltà di un essere
anonimo. Non ho più bisogno di miracoli per mantenere
viva la mia fede. Ho bisogno di te."
Ho sentito le gambe indebolirsi, come se stessi per svenire.
"E nel momento in cui ho chiesto alla Vergine di togliermi
il dono, ho cominciato a parlare le lingue," ha proseguito.
"E le lingue mi dicevano: 'Posa le mani per terra. Il dono
uscirà da te e rientrerà nel seno della Madre."'
Ero in preda al panico.
"Non avrai..."
"Sì. Ho fatto ciò che l'ispirazione dello Spirito Santo ordinava.
La nebbia ha cominciato a dissolversi e il sole a brillare
fra le montagne. Ho sentito che la Vergine mi aveva capito,
perché anche lei ha amato profondamente."
"Ma ha seguito il suo uomo! E ha accettato i passi intrapresi
dal figlio!"
"Noi non abbiamo la sua forza, Pilar. Il mio dono passerà
a qualcun altro, non andrà mai sprecato. Ieri, in quel bar, ho
telefonato a Barcellona e ho annullato la conferenza. Andiamo
a Saragozza: tu conosci gente. Possiamo cominciare da lì.
Troverò presto un lavoro."
Non riuscivo più a pensare.
"Pilar!" ha esclamato.
Io stavo già risalendo il tunnel, ma adesso senza alcuna
spalla amica a cui appoggiarmi, seguita dalla folla di ammalati
che sarebbero morti, dalle famiglie che avrebbero sofferto,
dai miracoli che non sarebbero avvenuti, dai sorrisi che
non avrebbero illuminato il mondo e dalle montagne che
sarebbero rimaste sempre nello stesso posto.
Non vedevo nulla: solo il buio quasi palpabile che mi circondava.
Venerdì, 10 dicembre 1993.
Sulla sponda del fiume Piedra mi sono seduta e ho pianto. I
ricordi di quella sera sono confusi e vaghi. So soltanto che
sono stata vicina alla morte, ma non ricordo né il suo volto
né dove mi conducesse.
Vorrei rammentarla, per poterla scacciare dal mio cuore.
Non ci riesco. Dal momento in cui sono uscita da quel tunnel
buio e ho ritrovato un mondo immerso nelle tenebre,
tutto sembra un sogno.
Non una stella brillava nel cielo. Ricordo confusamente di
aver camminato fino alla macchina, di aver preso la piccola
borsa che avevo con me e di aver cominciato a vagare senza
meta. Ho raggiunto la strada, cercando invano di trovare un
passaggio per tornare a Saragozza. Ho finito per arrivare di
nuovo nei giardini del monastero.
Il rumore dell'acqua era sempre presente: c'erano cascate
in ogni angolo, e la presenza della Grande Madre che mi
perseguitava dovunque. Sì, lei aveva amato il mondo: aveva
amato il mondo quanto Dio. Aveva offerto anche il proprio
figlio perché gli uomini lo sacrificassero. Ma poteva comprendere
l'amore di una donna per un uomo?
Poteva anche aver sofferto per amore, ma si trattava di un
amore diverso. Il suo sposo celeste conosceva tutto, faceva
miracoli. Il suo sposo terreno era un umile lavoratore, che
credeva in tutto ciò che i sogni gli raccontavano. Lei non ha
mai saputo che cosa significasse abbandonare o essere abbandonata
da un uomo. Quando Giuseppe pensò di cacciarla di
casa perché la scoprì incinta, lo sposo dei cieli inviò un angelo
per evitare che ciò accadesse.
Il figlio la lasciò. Ma i figli lasciano sempre i genitori. E
facile soffrire per amore del prossimo, per amore del mondo
o di un figlio. E una sofferenza che fa parte della vita, un
dolore nobile e grandioso. E facile soffrire per amore di una
causa o di una missione: nobilita il cuore di chi soffre.
Ma come spiegare la sofferenza a causa di un uomo? E
impossibile. Allora ci si sente in un inferno, perché non esiste
né nobiltà né grandezza: soltanto miseria.
Quella notte, mi sono sdraiata sul suolo gelato, e il freddo
mi ha quasi fatto perdere i sensi. Per alcuni istanti, ho pensato
che sarei morta se non avessi trovato un riparo. E poi? In
una settimana, mi erano state concesse con generosità tutte
le cose più importanti della mia vita, ma mi erano state sottratte
in un minuto, senza che avessi il tempo di dire nulla.
Il mio corpo ha cominciato a tremare di freddo, ma io
non gli ho dato importanza. Si sarebbe fermato da solo, una
volta esaurita tutta l'energia nel tentativo di riscaldarmi:
allora, però, non ci sarebbe stato più nulla da fare. Allora il
mio corpo avrebbe riacquistato la sua normale rilassatezza e
la morte mi avrebbe accolto fra le sue braccia.
Sono rimasta lì a tremare per più di un'ora. Ed è sopraggiunta
la pace.
Prima di chiudere gli occhi, ho cominciato a sentire la
voce di mia madre. Mi raccontava una storia che avevo già
sentito quando ero bambina, senza sospettare che riguardasse
me.
"Un ragazzo e una ragazza si innamorarono perdutamente..."
Sentivo la voce di mia madre, mentre ero tra sogno e
delirio. "E decisero di fidanzarsi. I fidanzati si scambiano
sempre dei doni.
"Il ragazzo era povero e aveva un unico bene: un orologio
ereditato dal nonno. Pensando ai bei capelli dell'amata, decise
di vendere l'orologio per comprare uno stupendo fermaglio
d'argento.
"Anche la giovane aveva pochissimi soldi per acquistare il
dono di fidanzamento. Andò quindi nel negozio del più
importante commerciante del luogo e vendette i suoi capelli.
Con i soldi, comprò una catena d'oro per l'orologio dell'amato.
"Quando si incontrarono, il giorno della festa di fidanzamento,
lei gli diede la catena per un orologio che era stato
venduto e lui le porse il fermaglio per dei capelli che non c'erano
più."
Mi sono svegliata perché un uomo mi scuoteva.
"Beva!" diceva. "Beva, presto!"
Io non sapevo che cosa stesse accadendo, né avevo la forza
di resistere. Mi ha aperto la bocca e mi ha costretto a ingerire
un liquido che mi bruciava dentro. Ho notato che quel tizio
era in maniche di camicia e io avevo indosso il suo mantello.
"Beva ancora!" insisteva.
Pur non sapendo che cosa stesse succedendo, ho obbedito.
Quindi ho chiuso di nuovo gli occhi.
Ho riaperto gli occhi nel convento, e c'era una donna che mi
guardava.
"E stata sul punto di morire," ha detto. "Se non fosse
stato per il custode del monastero, non sarebbe più qui."
A stento, sono riuscita ad alzarmi; non ero però in grado
di capire che cosa stessi facendo. Ho ripensato al giorno precedente,
provando il desiderio che il custode non fosse mai
passato da quelle parti.
Ma la morte era ormai fuggita. Avrei continuato a vivere.
La donna mi ha condotto in cucina e mi ha offerto caffé,
biscotti e pane con l'olio. Non ha fatto domande, né io le ho
spiegato nulla. Quando ho finito di mangiare, mi ha restituito
la borsa.
"Controlli se c'è tutto," ha detto.
"Ci sarà. In realtà, non avevo proprio niente."
"Ha la vita, figliola. Lunga. Ne abbia più cura."
"C'è una città, qui vicino, con una chiesa," ho detto io,
con la voglia di piangere. "Ieri, prima di venire qui, sono
entrata nella chiesa con..." Non sapevo come spiegarlo.
"Con un amico d'infanzia. Ero stufa di visitare chiese, ma le
campane suonavano, e lui ha detto che era un segnale.
Dovevamo entrare."
La donna mi ha riempito la tazza, si è versata un po' di
caffè, sedendosi per ascoltare la mia storia.
"Siamo entrati nella chiesa," ho proseguito. "Non c'era
nessuno, era buio. Ho tentato di scoprire un segnale, ma
tutto ciò che vedevo erano gli stessi altari e gli stessi santi.
All'improvviso, abbiamo udito un rumore nella parte superiore
della navata, vicino all'organo.
Era un gruppo di ragazzi con le chitarre; hanno preso ad
accordarle. Abbiamo deciso di sederci per ascoltare un po' di
musica, prima di riprendere il viaggio. Poco dopo, è entrato
un uomo e si è seduto accanto a noi. Era felice e ha chiesto
ai ragazzi di suonare un paso doble."
"Una musica da corrida!?" ha esclamato la donna. "Spero
che non lo abbiano fatto."
"Si sono rifiutati. Hanno riso e suonato un flamenco. Io e
il mio amico d'infanzia avevamo la sensazione che i cieli fossero
discesi su di noi; la chiesa, il buio accogliente, il suono
delle chitarre e la gioia dell'uomo accanto a noi: era un miracolo,
quello.
"Lentamente, la chiesa si è riempita. I ragazzi continuavano
a suonare dei pezzi di flamenco e chi entrava, contagiato
dalla loro gioia, rideva.
"Il mio amico mi ha chiesto se volevo assistere alla messa
che sarebbe cominciata di lì a poco. Ho risposto di no: avevamo
ancora un lungo viaggio davanti. Così siamo usciti,
ma dopo aver ringraziato Dio per averci concesso un ulteriore
indimenticabile momento della nostra vita.
"Giunti alla porta, abbiamo notato che un folto gruppo di
persone- tantissime, forse tutti gli abitanti di quel piccolo
paese - si stava dirigendo verso la chiesa. Ho pensato che si
trattasse dell'ultimo paese della Spagna totalmente cattolico.
Forse perché le messe lì erano molto animate.
"Salendo in macchina, abbiamo visto un corteo avvicinarsi.
Trasportavano un feretro. Qualcuno era morto: stavamo
assistendo a un funerale. Appena il corteo è arrivato davanti
alla porta della chiesa, i ragazzi hanno interrotto il flamenco,
attaccando un Requiem."
"Che Dio abbia pietà di quell'anima'" ha detto la donna,
facendosi il segno della croce.
"Che ne abbia pietà," ho soggiunto, ripetendo il suo
gesto. "Ma entrare in quella chiesa è stato davvero il segnale
che la tristezza è sempre in attesa, alla fine della storia."
La donna mi ha guardato, senza dire nulla. E uscita, rientrando
dopo qualche momento con alcuni fogli di carta e
una penna.
"Andiamo fuori," ha detto.
Siamo uscite insieme. Stava albeggiando.
"Respiri profondamente," mi ha suggerito. "Lasci che
questo nuovo mattino le entri nei polmoni e le scorra nelle
vene. A quanto pare, lei ieri non si è perduta per caso."
Non ho detto nulla.
"Così come, del resto, non ha capito la storia che mi ha
appena raccontato sul segnale in chiesa," ha proseguito. "Ha
dato importanza solo alla tristezza dell'epilogo. Ha dimenticato
i momenti felici che ha trascorso lì dentro. Ha scordato
la sensazione dei cieli scesi su di voi e che era bello vivere
tutto ciò in compagnia del suo...."
Si è interrotta e ha sorriso.
"... amico d'infanzia," ha concluso, strizzando l'occhio.
"Gesù ha detto: 'Lasciate che i morti seppelliscano i morti'
Perché lui sa che la morte non esiste. La vita esisteva prima
che nascessimo e continuerà a esistere dopo che avremo
lasciato questo mondo."
Ho sentito gli occhi riempirsi di lacrime.
"La stessa cosa succede con l'amore," ha proseguito lei.
"C'era già prima e continuerà a esistere per sempre."
"E come se lei conoscesse la mia vita," ho detto.
"Tutte le storie d'amore hanno molte cose in comune. Ci
sono passata anch'io, in un periodo della mia vita. Ma non
me ne ricordo. Ricordo che l'amore è tornato, con il volto di
un nuovo uomo, di nuove speranze e di nuovi sogni."
Mi ha offerto i fogli di carta e la penna.
"Scriva tutto ciò che sente. Lo tiri fuori dall'anima, lo
metta sulla carta e poi lo butti via. Dice la leggenda che il
fiume Piedra è talmente freddo che tutto ciò che vi cadefoglie,
insetti, piume- si trasforma in pietra. Chissà se non
sarebbe una buona idea buttare nelle sue acque anche la sofferenza!"
Ho preso i fogli. La donna mi ha dato un bacio, dicendomi
che potevo ritornare per il pranzo, se lo desideravo.
"Non dimentichi una cosa," ha esclamato, mentre si
allontanava. "L'amore esiste di continuo. Sono gli uomini
che cambiano!"
Ho riso, e lei ha annuito.
Sono rimasta a guardare il fiume per molto tempo. Ho
pianto tanto, fino a non avere più lacrime.
Poi ho cominciato a scrivere.
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Ho scritto per un giorno intero, poi per un altro e un altro
ancora. Ogni mattina andavo sulla riva del fiume Piedra.
Quando giungeva il tramonto, la donna si avvicinava, mi
prendeva sotto braccio e mi conduceva nella sua camera nell'antico
convento.
Lavava i miei vestiti. preparava la cena, parlava di cose
senza importanza e mi metteva a letto.
Una mattina, quando ormai stavo per finire il manoscritto,
ho udito il rombo di un'automobile. Il mio cuore ha fatto
un balzo, ma io mi sono rifiutata di credere a ciò che mi
diceva. Mi sentivo di nuovo libera, pronta a rientrare nel
mondo e a farne di nuovo parte.
Il momento più difficile era ormai passato, benché la
nostalgia fosse rimasta.
Ma il mio cuore aveva ragione. Pur non alzando gli occhi
dal manoscritto ho sentito la sua presenza e il rumnre dei
suoi passi.
"Pilar." ha detto, sedendosi al mio fianco.
Non ho risposto. Ho continuato a scrivere, ma ormai non
riuscivo più a coordinare i pensieri. Il cuore aveva dei sobbalzi,
tentava di uscire dal mio petto e di incontrare il suo.
Ma io non glielo permettevo.
Lui è rimasto seduto a guardare il fiume, mentre io continuavo
a scrivere. Abbiamo trascorso così tutta la mattina,
senza dire una parola: allora ho ripensato al silenzio di una
notte presso un pozzo, dove ho capito di amarlo.
Quando la mia mano non è più riuscita a resistere alla
stanchezza, ho fatto una breve sosta. Allora lui ha detto:
"Sono uscito dalla caverna quando era ormai buio; non ti
ho trovata. Allora sono andato a Saragozza. E poi a Soria.
Avrei percorso il mondo intero per te. Ho deciso di ritornare
al monastero di Piedra per vedere se mi riusciva di trovarti.
Lì ho incontrato una donna che mi ha indicato dov'eri; ha
detto che mi hai atteso per tutti questi giorni."
Gli occhi mi si sono riempiti di lacrime.
"Resterò seduto qui, al tuo fianco, finché rimarrai di fronte
a questo fiume. E se te ne andrai a dormire, io dormirò
davanti alla casa dove vivi. E se tu partirai, io seguirò i tuoi
passi. Fino a quando mi dirai: 'Va' via.' Solo allora me ne
andrò. Ma ti amerò per il resto della vita."
Ormai non riuscivo più a nascondere il pianto. Mi sono
resa conto che piangeva anche lui.
"Voglio che tu sappia una cosa..." ha cominciato.
"Non dire nulla. Leggi," ho risposto, tendendogli le pagine
che tenevo in grembo.
Sono rimasta tutto il pomeriggio a guardare le acque del
fiume Piedra. La donna ci ha portato dei panini e del vino;
ha fatto qualche commento sul tempo e poi ci ha lasciati di
nuovo soli. Più di una volta lui ha interrotto la lettura ed è
rimasto con lo sguardo fisso all'orizzonte, assorto nei suoi
pensieri.
A un certo punto, ho deciso di fare un giro per il bosco,
tra le piccole cascate, tra quei pendii pieni di storie e di
significati. Quando è giunto il tramonto, sono tornata dove
lo avevo lasciato.
"Grazie," ha detto, nel restituirmi le pagine. "E perdonami."
Sulla sponda del fiume Piedra mi sono seduta e ho pianto.
"Il tuo amore mi ha salvato e mi restituisce ai miei sogni,"
ha proseguito.
Non ho detto nulla, non mi sono mossa.
"Conosci il salmo 137?" mi ha domandato.
Ho fatto cenno di no. Avevo paura di parlare.
"Sulle sponde dei fiumi di Babilonia..."
"Sì, sì, lo conosco," ho detto, avvertendo a poco a poco il
mio ritorno alla vita. "E il canto dell'esule. Parla degli uomini
che appesero le loro cetre, perché non potevano intonare
la musica bramata dal loro cuore."
"Ma poi l'autore piange, nostalgico della terra dei propri
sogni e promette a se stesso:
Se ti dimentico, Gerusalemme,
si paralizzi la mia mano destra.
Mi si attacchi la lingua alpalato,
se mi dimentico di te, Gerusalemme."
Ho sorriso di nuovo.
"Io lo stavo dimenticando. E tu me lo hai fatto ricordare."
"Pensi che il tuo dono tornerà?" ho domandato.
"Non lo so. Ma Dio mi ha sempre dato una seconda
opportunità nella vita. Ora me la sta dando con te. E mi aiuterà
a ritrovare il mio cammino."
"Il nostro," l'ho interrotto di nuovo.
"Sì, il nostro."
Afferrandomi le mani, mi ha aiutato ad alzarmi.
"Va' a prendere le tue cose," ha detto. "I sogni richiedono
fatica."
gennaio 1994.
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M O N T E C I N Q U E
Paulo Coehlo

Paulo Coelho
Monte Cinque
traduzione di
Rita Desti
prima edizione Bompiani marzo 1998
terza edizione Bompiani giugno 1998
Per A. M., guerriero della luce
NOTA DELL'AUTORE
Nel mio libro L'Alchimista, la tesi centrale Š contenuta in una frase che il re Melchisedec rivolge al
pastore Santiago: "Quando desideri qualcosa, tutto l'Universo cospira perch‚ tu la ottenga."
A questo io credo fermamente. Tuttavia, l'atto di vivere il proprio destino presuppone una serie di
tappe che sono molto al di l… della nostra comprensione, e il cui obiettivo Š sempre quello di
ricondurci al cammino della nostra Leggenda Personale: o di farci apprendere le lezioni necessarie
per compiere il nostro destino. Penso di poter illustrare meglio ci• che intendo raccontando un
episodio della mia vita.
Il 12 agosto 1979 mi addormentai con un'unica certezza: a trent'anni, stavo riuscendo ad arrivare al
culmine della mia carriera come discografico. Lavoravo come direttore artistico presso la CBS del
Brasile, avevo appena ricevuto un invito per andare negli Stati Uniti a parlare con i proprietari della
casa discografica, i quali sicuramente mi avrebbero offerto tutte le possibilit… per realizzare quanto
desideravo fare nel mio campo. Certo il mio grande sogno, quello di scrivere, era stato messo da
parte, ma che importava? In fin dei conti, la vita reale era molto diversa da come me l'ero
immaginata: non c'era spazio in Brasile per vivere di letteratura.
Quella notte presi una decisione e abbandonai il mio sogno: dovevo adattarmi alle circostanze e
cogliere le occasioni. Se il mio cuore avesse reclamato avrei potuto ingannarlo, componendo testi
musicali quando lo avessi desiderato e, di tanto in tanto, scrivendo su qualche giornale. Ero convinto,
del resto, che la mia vita aveva preso una diversa rotta, ma non per questo era meno eccitante: un
brillante futuro mi attendeva nelle multinazionali della musica.
Quando mi svegliai, ricevetti una telefonata dal presidente: venivo licenziato, senza ulteriori
spiegazioni. Per quanto abbia bussato a varie porte nei due anni successivi, non sono pi— riuscito a
ottenere un lavoro in quel campo.
Nel concludere la stesura di Monte Cinque, ho ripensato a questo episodio, e a tante altre
manifestazioni dell'inevitabile nella mia vita. Ogni volta che mi sentivo completamente padrone della
situazione, capitava qualcosa che mi faceva crollare. Allora mi domandavo: perch‚? Sar• forse
condannato ad arrivare sempre vicino, ma senza oltrepassare mai la linea dell'arrivo? E Dio pu•
essere tanto crudele da farmi intravedere le palme all'orizzonte, solo per farmi morire di sete in mezzo
al deserto?
Mi ci Š voluto molto tempo per capire che non era affatto cos•. Ci sono cose che vengono poste nella
nostra vita per ricondurci al vero cammino della nostra Leggenda Personale. Altre si presentano per
darci la possibilit… di mettere in pratica quanto abbiamo appreso. E altre ancora sopraggiungono per
darci un insegnamento.
Nel mio libro Diario di un mago, ho cercato di mostrare che questi insegnamenti non devono
necessariamente accompagnarsi a dolore e sofferenza: bastano disciplina e attenzione. Sebbene
questa comprensione sia divenuta un'importante benedizione nella mia vita, non sono tuttavia riuscito
a capire alcuni momenti difficili che ho attraversato, sia pure con tutta la disciplina e l'attenzione.
Uno degli esempi Š il caso citato all'inizio: ero un buon professionista, mi sforzavo al massimo per
dare il meglio di me stesso, e avevo idee che ancora oggi considero buone. Ma l'inevitabile Š
accaduto, proprio nel momento in cui mi sentivo pi— sicuro e fiducioso. Penso di non essere solo in
questo tipo di esperienza: l'inevitabile ha sfiorato la vita di ogni essere umano su questa terra. Alcuni
si sono ripresi, altri hanno ceduto: ma tutti abbiamo gi… provato cosa significa sfiorare la tragedia.
Perch‚? Per dare una risposta a me stesso, ho lasciato che Elia mi conducesse attraverso i giorni e le
notti di Akbar.
"E aggiunse: 'Nessun profeta Š bene accetto in patria. Vi dico anche: c'erano molte vedove in Israele
al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il
paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone."'
Luca, 4, 24Ä26
PROLOGO
All'inizio dell'anno 870 a.C., una nazione conosciuta come Fenicia, che gli israeliti chiamavano
Libano, celebrava quasi tre secoli di pace. I suoi abitanti potevano ben essere orgogliosi delle proprie
imprese: poich‚ non erano politicamente forti, erano stati costretti a sviluppare una invidiabile
capacit… di commerciare, unica maniera per garantirsi la sopravvivenza in un mondo devastato da
continue guerre. Un'alleanza stipulata intorno all'anno 1000 a.C. con il re Salomone di Israele aveva
loro consentito di modernizzare la flotta mercantile e di espandere il commercio. Da allora, la Fenicia
non aveva mai smesso di crescere.
I suoi navigatori erano giunti in luoghi distanti quali la Spagna e l'Oceano Atlantico, e secondo alcune
teorie, tuttavia non ancora confermate, avrebbero lasciato delle iscrizioni nel nordÄest e nel sud del
Brasile. Trasportavano vetro, cedro, armi, ferro e avorio. Gli abitanti delle grandi citt… come Sidone,
Tiro e Biblo conoscevano i numeri, i calcoli astronomici, l'uso del vino, e usavano, da quasi duecento
anni, un insieme di caratteri per scrivere cui i greci avevano dato il nome di alfabeto.
All'inizio dell'anno 870 a.C., in un luogo lontano chiamato Ninive, era riunito un consiglio di guerra.
Un gruppo di generali assiri aveva deciso di inviare i
propri eserciti a conquistare le nazioni situate lungo la costa, sul mare Mediterraneo. La Fenicia era
stata scelta come il primo paese da invadere.
All'inizio dell'anno 870 a.C., due uomini nascosti in una stalla di Gileade, in Israele, attendevano di
morire nelle ore successive.
PRIMA PARTE
"Ho servito un Signore che adesso mi abbandona nelle mani dei miei nemici," disse Elia.
"Dio Š Dio," rispose il levita. "Egli non disse a MosŠ se era buono o cattivo. Egli disse solo: Io sono.
Egli Š dunque tutto ci• che esiste sotto il sole: il fulmine che distrugge la casa, e la mano dell'uomo
che la ricostruisce."
Parlare era l'unica maniera per dissipare la paura. Da un momento all'altro i soldati avrebbero aperto
la porta della stalla dove si trovavano, li avrebbero scoperti e offerto loro l'unica scelta possibile:
adorare Baal, il dio fenicio, o essere condannati a morte. Stavano perquisendo casa per casa,
convertendo o condannando a morte i profeti.
Forse il levita si sarebbe convertito e sarebbe cos• sfuggito alla morte. Ma Elia non aveva scelta: tutto
stava accadendo per colpa sua, e Gezabele voleva comunque la sua morte.
"E'stato un angelo del Signore a costringermi a parlare con il re Acab e ad annunciargli che non
avrebbe piovuto finch‚ Baal fosse stato adorato in Israele", disse, quasi chiedendo perdono per avere
prestato ascolto alle parole dell'angelo. "Ma Dio agisce lentamente; quando la siccit… comincer… a
fare effetto, la principessa Gezabele avr… gi… distrutto tutti coloro che saranno rimasti fedeli al
Signore."
Il levita non disse nulla. Stava riflettendo se convertirsi a Baal o morire in nome del Signore.
"Chi Š Dio?" prosegu• Elia. "E'forse Lui che impugna la spada del soldato che uccide quanti non
tradiscono la fede dei nostri patriarchi? E'stato Lui a porre una principessa straniera sul trono del
nostro paese, in modo che tutte queste sventure potessero accadere alla nostra generazione? Dio
uccide i fedeli, gli innocenti, coloro che seguono la legge di MosŠ?"
Il levita prese la sua decisione: avrebbe preferito morire. A quel punto cominci• a ridere, perch‚ l'idea
della morte non lo spaventava pi—. Si rivolse al giovane profeta al suo fianco e cerc• di
tranquillizzarlo:
"Domandalo a Lui, giacch‚ dubiti delle Sue decisioni," disse. "Io ho accettato ormai il mio destino."
"Il Signore non pu• desiderare che siamo tutti spietatamente massacrati," soggiunse Elia.
"Dio pu• tutto. Qualora si limitasse a fare soltanto ci• che chiamiamo Bene, non potremmo definirlo
Onnipotente. Egli dominerebbe soltanto una parte dell'universo, ed esisterebbe qualcuno pi— potente
di Lui, che sorveglia e giudica le Sue azioni. In tal caso, io adorerei questo qualcuno pi— potente."
"Se Egli pu• tutto, perch‚ non risparmia dalla sofferenza coloro che lo amano? Perch‚ non ci salva,
invece di concedere potere e gloria ai Suoi nemici?"
"Non lo so," rispose il levita. "Ma una ragione c'Š, e spero di conoscerla presto."
"Non hai alcuna risposta per questa domanda."
"No, non ce l'ho."
Rimasero in silenzio. Elia sudava freddo.
"Tu sei terrorizzato, ma io ormai ho accettato il mio destino," gli disse il levita. "Uscir• e metter• fine
a questa agonia. Ogni volta che sento un grido l… fuori, io soffro, immaginando come sar… quando
giunger… la mia ora. Per tutto il tempo che siamo rimasti qui rinchiusi sono gi… morto un centinaio
di volte, e avrei potuto morire solo una volta. Giacch‚ sar• decapitato, che avvenga il pi—
rapidamente possibile."
Aveva ragione. Elia aveva udito le stesse grida, e aveva gi… sofferto al di l… delle proprie capacit…
di resistenza.
"Vengo con te. Sono stanco di lottare per qualche ora di vita in pi—."
Si alz• e apr• la porta della stalla, lasciando che il sole entrasse e mostrasse i due uomini nascosti.
Il levita lo prese per il braccio e cominciarono a camminare. Se non fosse stato per qualche grido ogni
tanto, quello sembrava un giorno normale in una citt… come tante altre: un sole non molto caldo, e
un venticello che proveniva dal lontano oceano, rendendo la temperatura gradevole, impolverate le
strade e le case fatte di creta e paglia.
"Le nostre anime sono imprigionate dal terrore della morte, e la giornata Š bellissima", disse il levita.
"Molte altre volte, quando mi sentivo in pace con Dio e con il mondo, il tempo era orribile, il vento
del deserto mi riempiva gli occhi di sabbia e non mi faceva vedere a un palmo davanti a me. Non
sempre il Suo piano coincide con ci• che siamo o stiamo sentendo, ma ti garantisco che per tutto ci•
Egli ha una ragione."
"Ammiro la tua fede."
Il levita guard• il cielo, come se stesse riflettendo. Poi si rivolse a Elia:
"No, non farlo, e non credere tanto: Š una scommessa che ho fatto con me stesso. Ho scommesso che
Dio esiste."
"Tu sei un profeta," ribatt‚ Elia. "Tu ascolti le voci, e sai che c'Š un altro mondo al di l… di questo."
"Pu• essere una mia fantasia."
"Tu hai visto i segnali di Dio," insistette Elia, cominciando a preoccuparsi per i commenti del
compagno.
"Pu• essere una mia fantasia," fu di nuovo la risposta. "In realt…, l'unica cosa concreta che ho Š la
mia scommessa: mi sono detto che tutto ci• proveniva dall'Altissimo."
La strada era deserta. Le persone, dentro le case, aspettavano che i soldati di Acab portassero a
compimento quanto richiesto loro dalla principessa straniera: uccidere i profeti di Israele. Elia
camminava con il levita, e aveva la sensazione che, dietro ciascuna di quelle finestre e quelle porte,
qualcuno lo stesse osservando, e incolpando di quanto accadeva.
"Non ho chiesto io di essere un profeta. Forse tutto ci• Š anche frutto della mia immaginazione,"
rifletteva Elia.
Ma, dopo quanto era successo nella falegnameria, sapeva che non era cos•.
Fin dall'infanzia, udiva delle voci e parlava con gli angeli. Quando i suoi genitori lo avevano spinto a
cercare un sacerdote di Israele, costui, dopo avergli rivolto molte domande, lo aveva identificato
come un nabi, un profeta, un "uomo dello spirito", colui che "si esalta con la voce di Dio".
Dopo avere trascorso molte ore a parlare con lui, il sacerdote aveva annunciato ai suoi genitori che
tutto ci• che il bambino avesse detto doveva essere preso sul serio.
Quando erano usciti, i genitori avevano preteso da Elia che non raccontasse mai a nessuno ci• che
vedeva o sentiva: essere un profeta significava avere legami con il governo, e questo era sempre
pericoloso.
Comunque sia, Elia non aveva mai pi— sentito nulla che potesse interessare a sacerdoti o re. Parlava
solo con il suo angelo custode, e ascoltava i consigli che riguardavano la sua vita. Ogni tanto aveva
delle visioni che non riusciva a capire: oceani lontani, montagne popolate di strani esseri, ruote con
ali e occhi. Quando le visioni scomparivano, lui, obbediente ai genitori, faceva di tutto per
dimenticarle il pi— rapidamente possibile.
Per questo, le voci e le visioni erano divenute sempre pi— rare. I suoi genitori ne erano contenti, e
non avevano mai pi— toccato l'argomento. Quando, poi, aveva raggiunto l'et… per badare a se
stesso, gli avevano prestato il denaro per aprire una falegnameria.
Guardava continuamente gli altri profeti, che camminavano per le strade di Gileade indossando
lunghe cappe di pelle e cinture di cuoio e affermavano di essere stati scelti dal Signore per guidare il
popolo eletto. Davvero non era quello il suo destino: non sarebbe mai stato capace di ridestare uno
stato di trance con danze o con l'autoflagellazione, una prassi usuale tra gli "esaltati dalla voce di
Dio", perch‚ aveva paura del dolore. Non avrebbe mai camminato per le vie di Gileade esibendo
orgogliosamente le cicatrici delle ferite procuratesi durante l'estasi, perch‚ lui era troppo timido.
Elia si considerava una creatura normale, che si vestiva come tutti gli altri, e che torturava solo la
propria anima, con gli stessi timori e le stesse tentazioni dei semplici mortali. A mano a mano che
incrementava il
lavoro nella falegnameria, le voci andarono via via diminuendo fino a cessare, perch‚ gli adulti e la
gente che lavora non hanno tempo per queste cose. I suoi genitori erano contenti del figlio, e la vita
trascorreva in armonia e pace.
La conversazione con il sacerdote, quando era ancora un bambino, era divenuta soltanto un
lontanissimo ricordo. Elia non poteva credere che Dio Onnipotente avesse bisogno di parlare con gli
uomini per far valere i propri ordini; quanto era accaduto e la sua infanzia erano soltanto la fantasia di
un ragazzo che non aveva niente da fare. A Gileade, la sua cittadina natale, c'erano alcune persone
considerate matte dagli abitanti. Non riuscivano a esprimersi in maniera coerente, ed erano incapaci
di distinguere fra la voce del Signore e i deliri della follia. Trascorrevano la vita per la strada,
predicando la fine del mondo e vivendo della carit… altrui. Nessuno dei sacerdoti, comunque, li
considerava come "esaltati dalla voce di Dio".
Elia aveva finito per concludere che i sacerdoti non erano mai sicuri di ci• che affermavano. Gli
"esaltati di Dio" erano la conseguenza di un paese che non conosceva la propria strada, dove i fratelli
lottavano fra loro, e dove si susseguivano continuamente nuovi governi. Non c'era nessuna differenza
fra profeti e matti.
Quando aveva saputo del matrimonio fra il suo re e Gezabele, la principessa di Tiro, non vi aveva
dato molta importanza. Altri re di Israele avevano fatto la stessa cosa, e il risultato era stata una pace
durevole nella regione, con un commercio sempre pi— importante con il Libano. Poco importava a
Elia se gli abitanti del paese vicino credevano a dŠi che non esistevano, o si dedicavano a strani culti,
come adorare gli animali e le montagne; erano onesti negli affari, e questo era ci• che pi— contava.
Elia aveva continuato ad acquistare il cedro che portavano, e a vendere i prodotti della sua
falegnameria. Sebbene fossero alquanto orgogliosi e amassero definirsi "fenici", per via del diverso
colore della pelle, nessuno dei commercianti del Libano aveva mai cercato di trarre profitto dalla
confusione che regnava in Israele. Pagavano il giusto prezzo per le mercanzie, e non proferivano
alcun commento sulle continue guerre interne e i problemi politici che gli israeliti vivevano in
permanenza.
Dopo essere salita al trono, Gezabele aveva chiesto ad Acab che il culto del Signore fosse sostituito
con quello degli dŠi del Libano.
Anche questo era gi… accaduto in precedenza. Elia, sebbene fosse indignato per il consenso di Acab,
aveva continuato ad adorare il Dio di Israele e a rispettare le leggi di MosŠ. "Passer…," pensava.
"Gezabele ha sedotto Acab, ma non avr… forza sufficiente per convincere il popolo."
Ma Gezabele non era una donna come le altre: era convinta che Baal l'avesse fatta venire al mondo
per convertire i popoli e le nazioni. Con abilit… e pazienza, aveva cominciato a ricompensare tutti
coloro che abbandonavano il Signore e accettavano le nuove divinit…. Acab aveva fatto erigere una
dimora per Baal in Samaria, e il culto per gli dŠi del Libano cominciava a diffondersi dappertutto.
"Passer…. Potr… forse durare una generazione, ma passer…" continuava a pensare Elia.
Ma poi era accaduto quello che non si aspettava. Un pomeriggio, mentre stava ultimando un tavolo
nella sua falegnameria, tutto si era rabbuiato, e migliaia di punti bianchi avevano cominciato a
scintillare intorno a lui. La testa gli doleva come non mai; voleva sedersi, ma non riusciva a muovere
un solo muscolo.
Non era frutto della sua immaginazione.
"Sono morto", aveva pensato nello stesso istante. "E sto scoprendo dove ci manda Dio dopo la morte:
nel firmamento".
Una luce si era intensificata nel suo bagliore, e all'improvviso, come se provenisse da ogni luogo
contemporaneamente gli giunse la parola del Signore che gli ordin• di riferire ad Acab:
"per la vita del Signore, Dio di Israele, alla cui presenza
io sto, in questi anni non ci sar… n‚ rugiada n‚ pioggia,
se non quando lo dir• io." 1
Un attimo dopo, tutto era tornato alla normalit…: la falegnameria, la luce del tramonto, le voci dei
bambini che giocavano per la strada.
Quella notte Elia non era riuscito a dormire. Per la prima volta, dopo tanti anni, erano ritornate le
sensazioni dell'infanzia. E non era il suo angelo custode che gli stava parlando, ma qualcosa di pi—
potente e pi— forte. Aveva avuto paura che, se non avesse obbedito all'ordine, tutti i suoi affari
potessero venire maledetti.
Il mattino dopo aveva deciso di fare ci• che gli era stato chiesto. In fin dei conti, lui era solo il
messaggero di qualcosa che non lo riguardava. Una volta concluso questo compito, le voci non lo
avrebbero pi— disturbato.
Non era stato difficile ottenere udienza dal re Acab. Molte generazioni addietro, con l'ascesa al potere
di Samuele, i profeti avevano acquistato importanza negli affari e nel governo dei rispettivi paesi.
Potevano sposarsi, avere figli, ma dovevano essere sempre a disposizione del Signore, affinch‚ i
governanti non si allontanassero mai dalla retta via. Secondo la tradizione, grazie a questi "esaltati
dalla voce di Dio", numerose battaglie erano state vinte, e Israele sopravviveva perch‚ i suoi
governanti, quando si allontanavano dalla retta via, avevano sempre accanto a s‚ un profeta che li
riportava sul sentiero del Signore.
Una volta al cospetto del re, Elia lo aveva avvertito che una siccit… avrebbe colpito la regione, fino a
quando non fosse stato abbandonato il culto degli dŠi fenici.
Il sovrano non aveva prestato granch‚ attenzione alle sue parole, ma Gezabele, che si trovava accanto
ad Acab e ascoltava attentamente ci• che Elia diceva, aveva cominciato a fare una serie di domande
su quel messaggio. Elia le aveva raccontato della visione, del dolore alla testa, della sensazione che il
tempo si fosse fermato mentre ascoltava l'angelo. Mentre descriveva quanto gli era accaduto, poteva
osservare da vicino la principessa di cui tutti parlavano: era una delle donne pi— belle che avesse mai
visto, coi lunghi capelli neri che le scendevano fino alla vita e un corpo modellato perfettamente. I
suoi occhi verdi, che brillavano nel volto bruno, erano fissi negli occhi di Elia. Ma lui non riusciva a
decifrare ci• che volevano dire, e non poteva sapere quale impatto stessero provocando le sue parole.
Se n'era andato convinto di avere compiuto la propria missione, e di potersene tornare al proprio
lavoro nella falegnameria. Sulla via del ritorno aveva desiderato Gezabele con tutto l'ardore dei suoi
ventitr‚ anni. E aveva chiesto a Dio di potere incontrare, nel futuro, una donna del Libano, perch‚ le
donne del Libano erano belle, con la pelle scura, e gli occhi verdi carichi di mistero.
Aveva trascorso il resto della giornata lavorando, e si era poi addormentato in pace. Il giorno
seguente era stato svegliato prima dell'aurora dal levita. Gezabele aveva convinto il re che i profeti
erano una minaccia per la crescita e l'espansione di Israele. I soldati di Acab avevano ordine di
condannare a morte tutti coloro che si fossero rifiutati di abbandonare il sacro compito affidato loro
da Dio.
Ma a Elia non era stato concesso il diritto di scegliere: egli doveva essere ucciso.
Elia e il levita avevano quindi trascorso due giorni nascosti nella stalla a sud di Gileade, mentre
quattrocento e cinquanta nabi erano stati immediatamente uccisi. Nel frattempo, la maggior parte dei
profeti che giravano per le strade, autoflagellandosi e predicando la fine del mondo per via della
corruzione e della mancanza di fede, aveva accettato di convertirsi alla nuova religione.
Un rumore secco, seguito da un grido, interruppe i pensieri di Elia. Allarmato, egli si volt• verso il
compagno:
"Che cos'Š stato?"
Ma non ottenne risposta: il corpo del levita croll• per terra, con una freccia conficcata in pieno petto.
Davanti a lui, un soldato stava mettendo una nuova freccia nel suo arco. Elia si guard• intorno: la
strada con porte e finestre chiuse, il sole che brillava nel cielo, la brezza che proveniva da un oceano
di cui aveva tanto sentito parlare, ma che non aveva mai conosciuto. Pens• di scappare, ma sapeva
che sarebbe stato raggiunto prima di poter arrivare al primo angolo.
"Se devo morire, non avverr… certo di spalle," pens•.
Il soldato alz• di nuovo l'arco. Con sua grande sorpresa, Elia non provava alcuna paura, n‚ istinto di
sopravvivenza, n‚ niente: era come se tutto fosse gi… definito da lungo tempo, e loro due, sia lui sia
il soldato, stessero interpretando ruoli di un dramma che non era stato scritto per loro. Si ricord•
dell'infanzia, delle mattine e dei pomeriggi a Gileade, dei lavori incompiuti che avrebbe lasciato nella
falegnameria. Pens• alla madre e al padre, che non avevano mai desiderato un figlio profeta. Pens•
agli occhi di Gezabele, e al sorriso del re Acab.
Pens• a quanto fosse stupido morire a soli ventitr‚ anni, senza avere mai conosciuto l'amore di una
donna.
La mano liber• la corda, la freccia fendette l'aria, gli sfior• frusciando l'orecchio destro e si conficc•
nel suolo impolverato dietro di lui.
Il soldato, ancora una volta, arm• il suo arco e lo punt•. Solo che, invece di scoccare la freccia, fissava
Elia negli occhi.
"Sono il miglior arciere di tutti gli eserciti di Acab," disse. "Da sette anni non fallisco un tiro."
Elia si volt• verso il corpo del levita.
"Questa freccia era per te." Il soldato manteneva l'arco teso, ma le mani gli tremavano. "Elia era
l'unico profeta che bisognava uccidere. Gli altri potevano scegliere la fede in Baal."
"Allora concludi il tuo lavoro."
Era sorpreso della propria calma. Tante volte, durante le notti nella stalla, aveva immaginato la morte,
e adesso si accorgeva di avere sofferto pi— del necessario: in pochi secondi tutto sarebbe finito.
"Non ci riesco," disse il soldato, con le mani ancora tremanti e l'arco che cambiava continuamente
direzione. "Vattene, scompari dalla mia vista, perch‚ penso che Dio abbia deviato le mie frecce, e mi
maledir… se riuscir• a ucciderti."
Fu allora, a mano a mano che scopriva di avere qualche possibilit… di sopravvivere, che il terrore
della morte cominci• a tornare. C'era ancora la possibilit… di conoscere l'oceano, di incontrare una
donna, di avere dei figli, e di completare i lavori nella falegnameria.
"Concludi alla svelta," disse. "In questo momento sono calmo. Se ti dilungherai troppo, soffrir• al
pensiero di tutto ci• che sto perdendo."
Il soldato si guard• intorno, per accertarsi che nessuno avesse assistito alla scena. Poi abbass• l'arco,
ripose la freccia nella faretra e scomparve.
Elia sent• che le gambe cominciavano a indebolirsi: il terrore lo riassaliva con tutta l'intensit… di
prima. Doveva fuggire immediatamente, scomparire da Gileade, non ritrovarsi mai pi— faccia a
faccia con un soldato che, tendendo l'arco, lo puntava diritto al cuore. Lui non aveva scelto il proprio
destino, n‚ era andato a cercare Acab per vantarsi con i vicini del fatto che poteva parlare con il re.
Non era responsabile del massacro dei profeti, non era neppure responsabile di avere visto, un
pomeriggio, il tempo fermarsi e la falegnameria trasformarsi in un buco nero, disseminato di punti
luminosi.
Ripetendo il gesto del soldato, si guard• intorno: la strada era deserta. Pens• di controllare se potesse
ancora salvare la vita del levita, ma di colpo lo riassal• il terrore e, prima che comparisse qualcuno,
Elia fugg•.
Cammin• per molte ore, addentrandosi per sentieri non pi— battuti da lungo tempo, finch‚ giunse
sulla riva del Cherit. Provava vergogna per la propria vigliaccheria, ma era contento di essere vivo.
Bevve qualche sorso d'acqua, si sedette, e solo allora si rese conto della situazione in cui si trovava: il
giorno seguente avrebbe avuto bisogno di nutrirsi, e non sapeva come trovare cibo nel deserto.
Ripens• alla falegnameria, al lavoro di tanti anni che era stato costretto a lasciarsi alle spalle. Alcuni
dei vicini gli erano amici, ma su di loro non poteva contare. La storia della sua fuga doveva ormai
essersi diffusa per la citt…, e tutti lo avrebbero odiato perch‚ era scappato, mentre mandava i veri
uomini di fede al martirio.
Tutto quello che aveva fatto fino ad allora era andato distrutto, solo perch‚ aveva ritenuto giusto
rispettare la volont… del Signore. L'indomani, e per giorni, settimane e mesi, i commercianti del
Libano avrebbero bussato alla sua porta, e qualcuno li avrebbe avvisati che il padrone era fuggito,
lasciandosi dietro una scia di profeti innocenti uccisi. Forse avrebbero anche detto che aveva tentato
di distruggere gli dŠi che proteggevano la terra e i cieli. Ben presto la storia avrebbe varcato le
frontiere di Israele, e lui poteva rinunciare per sempre al matrimonio con una donna bella come quelle
che vivevano nel Libano.
"Ci sono le navi."
S•, c'erano le navi. I criminali, i prigionieri di guerra, i fuggiaschi di solito venivano accettati come
marinai, perch‚ era un mestiere pi— pericoloso di quello dell'esercito. In guerra, per un soldato c'era
sempre la possibilit… di salvare la pelle; ma i mari erano sconosciuti, popolati di mostri, e quando si
verificava una tragedia, non sopravviveva nessuno che potesse raccontarne la storia.
C'erano le navi, ma erano controllate dai commercianti fenici. Elia non era un criminale, un
prigioniero o un fuggiasco, ma un essere che aveva osato alzare la voce contro il dio Baal. Quando lo
avessero scoperto, sarebbe stato ammazzato e buttato in mare, perch‚ i marinai credevano che Baal e i
suoi dŠi controllassero le tempeste.
Non poteva, dunque, dirigersi verso l'oceano. Non poteva procedere verso nord, perch‚ l• c'era il
Libano. Non poteva andare a oriente, dove alcune trib— israelite erano in guerra da pi— di due
generazioni.
Ripens• alla calma provata davanti al soldato: in fin dei conti, che cos'era la morte? La morte era un
istante, null'altro che questo. Anche se avesse provato dolore, questo sarebbe passato subito, e il
Signore degli Eserciti lo avrebbe accolto nel suo seno.
Si sdrai• per terra e si sofferm• a lungo a guardare il cielo. Come il levita, cerc• di fare la propria
scommessa. Non era una scommessa sull'esistenza di Dio, perch‚ su questo non aveva dubbi, ma sulla
ragione della propria vita.
Vide le montagne, la terra che sarebbe stata devastata da una lunga siccit…, come gli aveva detto
l'angelo del Signore, ma che conservava ancora la frescura
di tanti anni di piogge generose. Vide il fiume Cherit, le cui acque avrebbero ben presto cessato di
scorrere. Si conged• dal mondo con fervore e rispetto, e chiese al Signore di accoglierlo quando fosse
giunta l'ora.
Pens• al motivo della propria esistenza, ma non ottenne risposta.
Pens• a dove poter andare, e scopr• di essere assediato.
Il giorno seguente sarebbe tornato indietro e si sarebbe consegnato, sebbene la paura della morte
avesse preso di nuovo il sopravvento.
Tent• di rallegrarsi al pensiero che, ancora per qualche ora, sarebbe stato vivo. Ma fu inutile: aveva
appena scoperto che, in quasi tutti i giorni di una vita, l'uomo non ha il potere di prendere alcuna
decisione.
Elia si svegli• il giorno seguente, e guard• di nuovo il Cherit.
L'indomani, o di l• a un anno, sarebbe stato solo un cammino di sabbia fina e sassi rotondi. I vecchi
abitanti avrebbero continuato a chiamarlo il Cherit, e avrebbero indicato la direzione ai passanti
dicendo: "Il tale posto si trova sulla sponda del fiume che passa qui vicino." I viaggiatori sarebbero
arrivati fin l•, avrebbero visto i sassi rotondi e la sabbia fina e commentato fra s‚: "In questa terra una
volta c'era un fiume." Ma l'unica cosa importante per un fiume, la sua massa di acqua, non sarebbe
stata pi— l•, per placare loro la sete.
Anche le anime, come i fiumi e le piante, avevano bisogno di un altro tipo di pioggia: la speranza, la
fede, la ragione per vivere. Quando ci• non accadeva, in quell'anima moriva tutto, anche se il corpo
continuava a vivere. E la gente avrebbe potuto dire che "qui, in questo corpo, una volta c'era un
uomo".
Ma non era il momento di pensarci. Ancora una volta si ricord• della conversazione con il levita,
poco prima che uscissero dalla stalla: a che cosa serviva morire tante volte quando ne bastava una?
Tutto quello che doveva fare era aspettare le guardie di Gezabele. Che sarebbero arrivate, non c'era
nessun dubbio,
poich‚ non c'erano molti luoghi per fuggire da Gileade. I malfattori andavano sempre nel deserto,
dove venivano ritrovati morti entro pochi giorni, o verso il Cherit, dove infine venivano catturati.
Le guardie, dunque, sarebbero state l• ben presto. E lui avrebbe gioito nel vederle.
Bevve un po'dell'acqua cristallina che scorreva l• accanto. Si lav• il viso e cerc• un po'd'ombra dove
poter aspettare i suoi inseguitori. Un uomo non pu• lottare contro il proprio destino: e lui aveva gi…
tentato di lottare, ma aveva perduto.
Quantunque fosse stato definito dai sacerdoti un profeta, aveva deciso di lavorare in una
falegnameria. Ma il Signore lo aveva ricondotto sul suo cammino.
Non era stato l'unico a tentare di abbandonare la vita che Dio aveva scritto per ciascun uomo sulla
terra. Aveva un amico con una voce splendida, ma i cui genitori non avevano mai accettato che egli
fosse un cantore, perch‚ si trattava di un mestiere che disonorava la famiglia. Una delle sue amiche
d'infanzia sapeva danzare come nessun'altra, ma la famiglia glielo aveva proibito, perch‚ il re avrebbe
potuto chiamarla, e nessuno sapeva quanto sarebbe potuto durare. Oltretutto, l'ambiente di palazzo
era considerato peccaminoso, ostile, e avrebbe compromesso per sempre la possibilit… di un buon
matrimonio.
"L'uomo Š nato per tradire il proprio destino." Dio metteva nei cuori soltanto compiti impossibili.
"Perch‚?"
Forse perch‚ era necessario che il tradimento perdurasse.
Ma questa non era una buona risposta. "Gli abitanti del Libano sono pi— avanti di noi, perch‚ non
hanno
seguito la tradizione dei naviganti. Mentre tutti usavano solo lo stesso tipo di imbarcazione, essi
avevano deciso di costruire qualcosa di diverso. Molti hanno perso la vita in mare, ma le loro
imbarcazioni sono state perfezionate, e adesso dominano il commercio in tutto il mondo. Hanno
pagato un prezzo alto per adattarsi, ma ne Š valsa la pena."
L'uomo, forse, aveva tradito il proprio destino perch‚ Dio non era pi— tanto vicino. Egli aveva messo
nei cuori i sogni di un'epoca dove tutto era possibile, e poi si era preoccupato di altre cose nuove. Il
mondo si era trasformato, la vita era divenuta pi— difficile, ma il Signore non era mai ritornato per
mutare i sogni degli uomini.
Dio era lontano. Ma, se continuava a mandare gli angeli per parlare con i suoi profeti, forse c'era
ancora qualcosa da fare qui. Allora, quale poteva essere la risposta?
"Forse perch‚ i nostri padri hanno sbagliato, e hanno paura che noi commettiamo gli stessi errori. O
forse non hanno sbagliato mai, e non sapranno come aiutarci se avremo qualche problema."
Elia sentiva che ci si stava avvicinando.
Il corso d'acqua fluiva l• accanto, dei corvi volteggiavano nel cielo, le piante si ostinavano a vivere
nel terreno arenoso e sterile. Se avessero ascoltato ci• che dicevano i loro antenati, che cosa
avrebbero sentito?
"Fiume, cerca un luogo migliore per far riflettere sulle tue acque limpide il chiarore del sole,
altrimenti il deserto finir… per prosciugarti," avrebbe detto un dio delle acque, se fosse esistito.
"Corvi, c'Š pi— cibo nelle foreste che fra le rocce e l'acqua," avrebbe detto il dio degli uccelli.
"Piante, scagliate lontano le vostre sementi, perch‚ il mondo Š pieno di terra fertile e umida, e voi
crescerete pi— belle," avrebbe detto il dio dei fiori.
Ma n‚ il Cherit n‚ le piante n‚ i corvi (uno di essi
si era posato l• vicino) avevano il coraggio di fare ci• che altri fiumi, o altri uccelli, o altri fiori
ritenevano impossibile.
Elia fiss• lo sguardo sul corvo.
"Sto imparando," disse all'uccello. "Anche se Š un apprendistato inutile, perch‚ ormai sono
condannato a morte."
"Hai scoperto come tutto sia semplice," parve rispondere il corvo. "Basta avere coraggio."
Elia rise, giacch‚ stava mettendo in bocca a un corvo delle parole. Era un gioco divertente, che aveva
appreso da una donna che faceva il pane, e cos• decise di proseguire. Avrebbe posto le domande e si
sarebbe dato da solo una risposta, come un vero saggio.
Il corvo, per•, spicc• il volo. Elia continu• ad aspettare l'arrivo dei soldati di Gezabele, perch‚ bastava
morire una sola volta.
Il giorno trascorse ma non accadde nulla di nuovo. Che si fossero dimenticati che il maggior nemico
di Baal era ancora vivo? Perch‚ mai Gezabele non lo faceva inseguire, se sapeva dove si trovava?
"Perch‚ io ho visto i suoi occhi, ed Š una donna saggia", disse fra s‚ e s‚. "Se io morissi, diventerei un
martire del Signore. Ma se fossi considerato solo un fuggiasco, sarei soltanto un codardo che non
credeva in ci• che stava facendo."
S•, era questa la strategia della principessa.
Poco prima del calare della sera, un corvo (era forse lo stesso corvo?) torn• a posarsi sul ramo su cui
Elia lo aveva visto quella stessa mattina. Aveva nel becco un
piccolo pezzo di carne che, inavvertitamente, lasci• cadere.
Per Elia fu un miracolo. Corse sotto l'albero, lo afferr• e lo mangi•. Non sapeva da dove venisse, ma
non se ne curava affatto: l'importante era placare un po'la fame.
Malgrado il movimento brusco, il corvo non si allontan•.
"Questo uccello sa che morir• di fame qui," pens• Elia. "Nutre la sua preda per poter fare un
banchetto pi— ricco".
E anche Gezabele nutriva la fede in Baal con la storia della fuga di Elia.
Per un po'di tempo rimasero l•, l'uomo e l'uccello, a contemplarsi. Elia ripens• di nuovo al gioco che
aveva fatto quel mattino.
"Vorrei parlare con te, corvo. Stamattina pensavo che le anime hanno bisogno di nutrimento. Se la
mia anima non Š ancora morta di fame, ha ancora qualcosa da dire."
L'uccello era sempre l• immobile.
"E se ha qualcosa da dire, io devo ascoltarla. Perch‚ non ho nessun altro con cui parlare," prosegu•
Elia.
Ed Elia, con la fantasia, si trasform• in un corvo.
"Che cosa si aspetta Dio da te?" si domand•, come se fosse il corvo.
"Si aspetta che io sia un profeta."
"E'quanto hanno detto i sacerdoti. Ma forse non Š questo che il Signore desidera."
"S•, Š questo che Egli vuole. Perch‚ un angelo mi Š apparso nella falegnameria, e mi ha chiesto di
parlare con Acab. Le voci che udivo nell'infanzia..."
"... che tutti odono nell'infanzia," lo interruppe il corvo.
"Ma non tutti vedono un angelo," ribatt‚ Elia.
Questa volta il corvo non rispose. Dopo un po'di tempo l'uccello, o meglio, la sua stessa anima, che
con il sole e la solitudine del deserto delirava, ruppe il silenzio.
"Ti ricordi della donna che faceva il pane?" domand• a se stesso.
Elia se ne ricordava. Era andata a chiedergli di fare alcuni vassoi. E mentre lui faceva quanto gli era
stato chiesto, le aveva sentito dire che il suo lavoro era una maniera di esprimere la presenza di Dio.
"Da come stai creando questi vassoi, mi rendo conto che hai la mia stessa sensazione," aveva
proseguito lei. "Perch‚ mentre lavori sorridi."
La donna suddivideva gli esseri umani in due gruppi: coloro che gioivano per quello che facevano, e
coloro che se ne lamentavano. Questi ultimi affermavano che la maledizione lanciata da Dio ad
Adamo era l'unica verit…: "Maledetta sia la terra per causa tua. Con fatica otterrai il sostentamento
durante tutti i giorni della tua vita." Non provavano piacere nel lavoro, e nei giorni santificati, quando
erano costretti a riposare, si annoiavano. Si servivano delle parole del Signore come di una scusa per
l'inutilit… delle loro vite, e si dimenticavano che Egli aveva anche detto a MosŠ: "Il Signore Dio tuo
ti benedir… copiosamente sulla terra, che ti d… in eredit…, perch‚ tu la possieda."
"S•, mi ricordo di questa donna. Aveva ragione: a me piaceva il lavoro in falegnameria." Ogni tavolo
che montava, ogni sedia che intagliava gli permettevano di capire e di amare la vita, anche se lo
comprendeva soltanto adesso. "Lei mi sugger• di parlare con le cose che costruivo, e sarei rimasto
stupito nel vedere che i
tavoli e le sedie erano capaci di rispondere, perch‚ io vi riponevo il meglio della mia anima, e in
cambio ricevevo la saggezza."
"Se non avessi lavorato come falegname, non saresti certo stato in grado di esprimere la tua anima, di
fingere di essere un corvo che parla, e capire di essere migliore e pi— saggio di quanto pensi," fu la
risposta. "Perch‚ soltanto nella falegnameria hai scoperto quanto di sacro risiede in ogni luogo."
"Mi Š sempre piaciuto fingere di parlare con i tavoli e le sedie che costruivo. Questo non era
sufficiente? Quella donna aveva ragione: quando parlavo con gli oggetti, mi capitava sempre di
scoprire dei pensieri che non mi erano mai passati prima per la mente. Ma nel momento in cui
cominciavo a capire che avrei potuto servire Dio in questa maniera, mi apparve l'angelo e... be', il
resto della storia lo conosci."
"L'angelo ti apparve perch‚ eri pronto," rispose il corvo.
"Ero un buon falegname."
"Faceva parte del tuo apprendistato. Quando un uomo cammina incontro al proprio destino, spesso Š
forzato a cambiare direzione. Altre volte le circostanze esterne sono pi— forti, ed egli Š costretto a
divenire codardo e a cedere. Tutto ci• fa parte dell'apprendistato."
Elia ascoltava con attenzione ci• che gli diceva l'anima.
"Ma nessuno pu• perdere di vista ci• che desidera. Anche se, in certi momenti, Š convinto che il
mondo e gli altri siano pi— forti. Il segreto Š questo: non desistere."
"Non ho mai pensato di essere un profeta," disse Elia.
"Lo hai pensato. Ma ti convincesti che era impossibile. O che era pericoloso. O che era impensabile.''
Elia si alz•.
"Perch‚ mi sto dicendo delle cose che non voglio ascoltare?" url•.
Spaventato dal movimento, l'uccello fugg•.
Il corvo torn• la mattina dopo. Invece di riprendere la conversazione, Elia si mise a osservarlo, giacch
‚ l'animale riusciva sempre a nutrirsi e a portargli alcuni avanzi.
Nacque fra i due una misteriosa amicizia, e da quell'uccello Elia cominci• ad apprendere tante cose.
Osservandolo, vide come questi fosse capace di trovare il cibo nel deserto, e scopr• che avrebbe
potuto sopravvivere qualche altro giorno se anche lui fosse riuscito a fare la stessa cosa. Quando il
volo del corvo si faceva circolare, Elia sapeva che c'era una preda nelle vicinanze. Si metteva dunque
a correre e tentava di catturarla. All'inizio, molti dei piccoli animali che vivevano nel deserto
riuscivano a sfuggirgli, ma a poco a poco acquis• un certo allenamento e una certa abilit… nel
catturarli. Usava dei rami come lance e scavava trappole che mascherava con un sottile strato di
ramoscelli e sabbia. Quando la preda vi cadeva dentro, Elia spartiva il cibo con il corvo e ne serbava
una parte da usare come esca.
Ma la solitudine in cui si trovava era terribile e opprimente, sicch‚ decise di riprendere quella finzione
di conversare con l'uccello.
"Chi sei?" domand• il corvo.
"Sono un uomo che ha scoperto la pace," rispose
Elia. "Posso vivere nel deserto, badare a me stesso, e contemplare l'infinita bellezza della creazione di
Dio. Ho scoperto di avere dentro di me un'anima migliore di quanto pensassi."
I due continuarono a cacciare insieme per un'altra luna. Poi, una notte in cui la sua anima era in preda
alla tristezza, Elia decise di porsi di nuovo la stessa domanda:
"Chi sei?"
"Non lo so."
Trascorse un'altra luna e l'astro rinacque nel cielo. Elia sentiva che il suo corpo era pi— forte, e la sua
mente pi— chiara. Quella notte si rivolse al corvo, che era l•, posato sullo stesso ramo di sempre, e
rispose alla domanda che si era posto qualche tempo prima:
"Sono un profeta. Mentre lavoravo, ho visto un angelo e non posso avere dubbi sulle mie capacit…,
malgrado tutti gli uomini del mondo mi dicano il contrario. Ho provocato un massacro nel mio paese
perch‚ ho sfidato l'amata del mio re. Ora mi trovo nel deserto, come un tempo stavo in una
falegnameria, perch‚ la mia anima mi ha detto che un uomo deve passare per varie tappe prima di
poter compiere il proprio destino."
"S•, adesso sai chi sei," comment• il corvo.
Quella notte, quando Elia ritorn• dalla caccia, voleva bere un po'd'acqua e si accorse che il Cherit era
in secca. Ma era talmente stanco che decise di dormire.
In sogno gli apparve l'angelo custode, che non vedeva da lungo tempo.
"L'angelo del Signore ha parlato con la tua anima," disse l'angelo custode. "E ha ordinato:
"Vattene di qui, dirigiti verso oriente; nasconditi presso il
torrente Cherit, che Š a oriente del Giordano.
Ivi berrai al torrente e i corvi per mio comando ti porteranno il tuo cibo.". 2
"La mia anima ha ascoltato," disse Elia nel sogno.
"Allora svegliati, perch‚ l'angelo del Signore mi chiede di allontanarmi, e vuole parlarti."
Elia si alz• di scatto, spaventato. Che cosa era accaduto?
Bench‚ fosse notte, il luogo si riemp• di luce e apparve l'angelo del Signore.
"Che cosa ti ha portato qui?" domand• l'angelo.
"Tu mi hai portato qui."
"No. Gezabele e i suoi soldati ti hanno spinto a fuggire. Questo non dimenticarlo, perch‚ la tua
missione Š vendicare il Signore Dio tuo."
"Sono un profeta, perch‚ tu sei davanti a me e io sento la tua voce," disse Elia. "Pi— volte ho
cambiato rotta, perch‚ lo fanno tutti gli uomini. Ma sono pronto ad andare in Samaria e a distruggere
Gezabele."
"Hai ritrovato la tua strada, ma non puoi distruggere senza apprendere a ricostruire. E io ti ordino:
'Alzati e vai a Sarepta, che appartiene a Sidone, e trattieniti l•, dove ho comandato a una vedova di
nutrirti.'" 3
Il mattino dopo Elia cerc• il corvo, per congedarsi. Ma l'uccello, per la prima volta da quando lui era
arrivato sulla sponda del Cherit, non comparve.
Elia viaggi• per giorni e giorni, finch‚ giunse nella valle dove si trovava la cittadina di Sarepta, che i
suoi abitanti conoscevano come Akbar. Quando ormai era allo stremo delle forze, vide una donna,
vestita di nero, che raccoglieva legna. La vegetazione della valle era bassa e rada, sicch‚ la donna si
doveva accontentare di piccoli ramoscelli secchi.
"Chi sei?" domand•.
La donna guard• lo straniero, senza capire bene ci• che stesse dicendo.
"Prendimi un po'd'acqua in un vaso perch‚ io possa bere," disse Elia. "E portami anche un pezzo di
pane."
La donna pos• la legna accanto a s‚, ma continuava a non parlare.
"Non avere paura," insistette Elia. "Sono solo, affamato e assetato, e non ho certo la forza per
rappresentare una minaccia."
"Tu non sei di qui," disse lei infine. "Dal modo in cui parli, devi essere del regno di Israele. Se mi
conoscessi meglio, sapresti che non possiedo nulla."
"Tu sei vedova, cos• mi ha detto il Signore. E io possiedo meno di te. Se non mi dai qualcosa da
mangiare e da bere, morir•."
La donna si spavent•: come poteva conoscere quello straniero la sua vita?
"Un uomo deve avere vergogna di chiedere sostentamento a una donna," disse poi, riprendendosi.
"Fai ci• che ti chiedo, per favore," insistette Elia, consapevole che le forze cominciavano a venirgli
meno. "Appena star• un po'meglio, lavorer• per te."
La donna rise.
"Pochi attimi fa mi hai detto qualcosa di profondamente vero: che sono una vedova, che ho perso il
marito su una delle navi del mio paese. Io non ho mai visto l'oceano, ma so che Š come il deserto:
uccide chi osa sfidarlo..."
E prosegu•:
"Adesso mi stai dicendo qualcosa di profondamente falso. Com'Š vero che Baal vive sulla vetta del
Monte Cinque, io non ho nulla di cotto; c'Š solo un pugno di farina nella giara, e un po'di olio
nell'orcio."
Elia avverti che l'orizzonte cambiava direzione, e cap• che stava per svenire. Radunando la poca
energia che ancora gli restava, la implor• per l'ultima volta:
"Non so se tu creda ai sogni, e non so neanche se ci creda io. Eppure il Signore mi ha detto che,
appena giunto qui, ti avrei incontrato. Altre cose mi ha fatto per cui ho dubitato della Sua saggezza,
ma giammai della Sua esistenza. E cos• il Dio di Israele ha voluto che, alla prima donna che avessi
incontrato a Sarepta, io dicessi:
'La farina della giara non si esaurir… e l'orcio dell'olio
non si svuoter… finch‚ il Signore non far… piovere sulla
terra.'" 4
Senza poi spiegare come un tale miracolo potesse accadere, Elia perse i sensi.
La donna rimase a guardare quell'uomo disteso ai suoi piedi. Sapeva che il Dio di Israele era solo una
superstizione: gli dŠi fenici erano pi— potenti, e avevano trasformato il suo paese in una delle
nazioni pi— rispettate del mondo. Ma era contenta: era solita vivere delle elemosine altrui, e quel
giorno, per la prima volta dopo tanto tempo, un uomo aveva bisogno di lei. Ci• la fece sentire pi—
forte: in fin dei conti, altri erano in condizioni peggiori della sua.
"Se qualcuno mi chiede un favore, allora valgo ancora qualcosa su questa terra," riflett‚.
"Far• quanto mi chiedi, solo per alleviare la tua sofferenza. Ho conosciuto anch'io la fame, e so come
distrugga l'anima."
La donna and• a casa e ne torn• con un pezzo di pane e un orciuolo d'acqua. Si inginocchi•, pos• il
capo dello straniero in grembo e cominci• a inumidirgli le labbra. Qualche minuto dopo, egli aveva
ripreso sensi.
Lei gli porse il pane, ed Elia mangi• in silenzio, guardando la valle, le gole, le montagne che
puntavano silenziosamente verso il cielo. Dominando il passaggio per la valle, Elia poteva vedere le
mura rosse della citt… di Sarepta.
"Accoglimi nella tua casa, perch‚ nel mio paese sono perseguitato," disse Elia.
"Che delitto hai commesso?" domand• lei.
"Sono un profeta del Signore. Gezabele ha fatto uccidere tutti coloro che hanno rifiutato di adorare gli
dŠi fenici."
"Quanti anni hai?"
"Ventitr‚," rispose Elia.
Lei guard• con piet… quel giovane davanti a s‚. Aveva i capelli lunghi e sporchi, ma una barba
ancora rada, come se desiderasse sembrare pi— vecchio di quanto era realmente. Come poteva
sfidare, un pover'uomo come quello, la principessa pi— potente del mondo?
"Se tu sei nemico di Gezabele, sei anche mio nemico. Lei Š una principessa di Sidone, e la sua
missione,
nello sposare il re, fu di convertire il suo popolo alla vera fede: cos• dicono coloro che l'hanno
conosciuta."
E indic• una delle vette che incorniciavano la valle:
"I nostri dŠi abitano in cima al Monte Cinque da molte generazioni, e riescono a mantenere la pace
nel nostro paese. Israele, invece, vive nella guerra e nella sofferenza. Come potete continuare a
credere in un Dio unico? Date a Gezabele il tempo di compiere la sua opera, e vedrai che la pace
regner… anche nelle tue citt…."
"Io ho sentito la voce del Signore," rispose Elia. "Voi, invece, non siete mai saliti sulla cima del
Monte Cinque per scoprire che cosa c'Š."
"Chi scaler… quel monte sar… fulminato dal fuoco dei cieli. Gli dŠi non amano gli estranei."
Poi la donna si interruppe. Si era ricordata che, quella notte, aveva visto in sogno una luce molto
intensa. E dalla luce proveniva una voce che diceva: "Accogli lo straniero che ti cercher…."
"Accoglimi nella tua casa, perch‚ non ho dove dormire," insisteva Elia.
"Ti ho gi… detto che sono povera. Possiedo a stento quanto basta per me e per mio figlio."
"Il Signore ha chiesto di farmi restare, Egli non abbandona mai chi ama. Fai quel che ti chiedo.
Lavorer• per te, io sono falegname, so lavorare il cedro e non mi mancher… qualcosa da fare. In
questo modo il Signore user… le mie mani per mantenere la Sua promessa: 'La farina della tua giara
non si esaurir… e l'orcio dell'olio non si svuoter… finch‚ il Signore non far… piovere sulla terra."'
"Anche se lo volessi, non avrei di che pagarti."
"Non ce n'Š bisogno. Dio provveder…."
Confusa dal sogno di quella notte, e pur sapendo che lo straniero era nemico di una principessa di
Sidone, la donna decise di obbedire.
La presenza di Elia fu notata dai vicini. La gente cominci• a dire che la vedova si era messa uno
straniero dentro casa, senza rispettare la memoria del marito, un eroe che era morto mentre cercava di
allargare le rotte commerciali del paese.
Appena seppe delle voci, la vedova spieg• che si trattava di un profeta israelita, affamato e assetato. E
si sparse la notizia che un profeta israelita, per sottrarsi a Gezabele, si nascondeva nella citt…. Un
gruppo di cittadini and• a parlare con il sacerdote.
"Conducete lo straniero al mio cospetto," ordin• questi.
E cos• fu fatto. Quel pomeriggio Elia fu condotto davanti all'uomo che, con il governatore e il capo
militare, controllava tutto quanto accadeva in Akbar.
"Che cosa sei venuto a fare qui?" gli domand•. "Non capisci che sei nemico del nostro paese?"
"Per anni ho commerciato con il Libano, e ne rispetto il popolo e i costumi. Mi trovo qui perch‚ sono
perseguitato in Israele."
"Ne conosco il motivo," disse il sacerdote. "E'stata una bella donna a farti fuggire?"
"Questa donna Š la creatura pi— bella che ho mai conosciuto in vita mia, bench‚ sia stato solo pochi
minuti davanti a lei. Il suo cuore, tuttavia, Š di pietra, e
dietro i suoi occhi verdi si nasconde il nemico che vuole distruggere il mio paese. Non sono fuggito:
aspetto solo il momento giusto per tornare."
Il sacerdote rise.
"Se aspetti il momento giusto per tornare, allora preparati a rimanere in Akbar per il resto della tua
vita. Non siamo in guerra con il tuo paese; desideriamo solo che la vera fede si diffonda, con mezzi
pacifici, in tutto il mondo. Non vogliamo ripetere le atrocit… che avete commesso voi quando vi
siete insediati a Canaan."
"Assassinare i profeti Š un mezzo pacifico?"
"Se gli si taglia la testa, il mostro non esiste pi—. Ne potranno morire alcuni, ma le guerre di
religione saranno evitate per sempre. E, a quanto mi hanno riferito i commercianti, Š stato un profeta
di nome Elia che ha dato inizio a tutto ci•, per poi fuggire."
Il sacerdote, prima di proseguire, lo guard• fisso:
"Un uomo che somigliava a te."
"Sono io," rispose Elia.
"Benissimo. Che tu sia il benvenuto nella citt… di Akbar; quando avremo bisogno di qualcosa da
Gezabele, pagheremo con la tua testa, la moneta di maggior valore che possediamo. Fino a quel
momento, cercati pure un lavoro e impara a mantenerti da solo, perch‚ qui non c'Š posto per i profeti."
Mentre Elia si accingeva a uscire, il sacerdote aggiunse:
"Sembra che una giovane di Sidone sia pi— potente del tuo Dio Unico. Ella Š riuscita a erigere un
altare a Baal, e adesso i vecchi sacerdoti vi si inginocchiano davanti."
"Tutto avverr… come Š stato scritto dal Signore," rispose il profeta. "Ci sono momenti nella nostra
vita in cui sopraggiungono le tribolazioni, e noi non possiamo evitarle. Ma esse ci sono per un
motivo."
"Quale motivo?"
"E'una domanda a cui non possiamo rispondere prima, o nel corso, delle difficolt…. Solo quando le
abbiamo superate, capiamo perch‚ c'erano."
Appena Elia fu uscito, il sacerdote mand• a chiamare il gruppo di cittadini che lo aveva cercato quella
mattina.
"Non ve ne preoccupate," disse il sacerdote. "La tradizione ci impone di offrire ospitalit… agli
stranieri. Oltretutto, egli Š sotto il nostro controllo, e possiamo sorvegliare i suoi passi. Il modo
migliore di conoscere e distruggere un nemico Š quello di fingere di divenirgli amico. Quando
arriver… il momento giusto, sar… consegnato a Gezabele e la nostra citt… ricever… oro e
ricompense. Fino ad allora impareremo come distruggere le sue idee. Per il momento, sappiamo solo
come distruggere il suo corpo."
Bench‚ Elia fosse un adoratore del Dio Unico e un potenziale nemico della principessa, il sacerdote
pretese che fosse rispettato il diritto di asilo. Tutti conoscevano l'antica tradizione: se una citt…
avesse negato ospitalit… a un viaggiatore, i figli dei suoi abitanti avrebbero incontrato la stessa
difficolt…. E siccome la maggior parte della popolazione di Akbar aveva i propri discendenti per
mare con la gigantesca flotta mercantile del paese, nessuno os• sfidare la legge dell'ospitalit….
Oltretutto non costava nulla attendere il giorno in cui la testa del profeta giudeo sarebbe stata
barattata con grandi quantit… di oro.
Quella notte Elia cen• con la vedova e suo figlio. Siccome il profeta israelita rappresentava adesso
una preziosa merce di scambio per il futuro, alcuni commercianti inviarono cibo sufficiente affinch
‚ la famiglia potesse nutrirsi per una settimana.
"Sembra che il Signore di Israele stia rispettando la sua parola," afferm• la vedova. "Da quando mio
marito Š morto, la mia tavola non Š mai stata tanto ricca come oggi."
A poco a poco Elia si integr• nella vita di Sarepta. Come tutti i suoi abitanti, cominci• a chiamarla
Akbar. Conobbe il governatore, il comandante della guarnigione, il sacerdote, i maestri che
lavoravano il vetro ed erano ammirati in tutta la regione. Quando gli domandavano che cosa facesse
in quel luogo, egli diceva la verit…: Gezabele stava ammazzando tutti i profeti in Israele.
"Tu sei un traditore del tuo paese e un nemico della Fenicia," gli rispondevano. "Ma noi siamo una
nazione di commercianti, e sappiamo che, quanto pi— pericoloso Š un uomo, tanto pi— alto Š il
prezzo per la sua testa."
E cos• trascorsero alcuni mesi.
All'ingresso della valle si erano accampate alcune pattuglie assire, e sembravano intenzionate a
rimanervi. Era un piccolo raggruppamento di soldati, che non costituiva certo una minaccia. Il
comandante, tuttavia, richiese al governatore di prendere provvedimenti.
"Non ci hanno fatto niente," disse il governatore. "Saranno in missione commerciale, in cerca di una
rotta migliore per i loro prodotti. Se decideranno di usare le nostre strade, pagheranno le imposte, e
noi diventeremo pi— ricchi. Perch‚ provocarli?"
Ad aggravare la situazione, il figlio della vedova cadde ammalato, senza alcun motivo apparente. I
vicini attribuirono il fatto alla presenza dello straniero in quella casa, e la donna chiese a Elia di
andarsene. Ma lui non se ne and•: il Signore non lo aveva ancora chiamato. Cominciarono a
diffondersi voci che lo straniero aveva portato con s‚ l'ira degli dŠi del Monte Cinque.
Era possibile controllare l'esercito e calmare la popolazione per quanto riguardava le pattuglie
straniere. Ma con la malattia del figlio della vedova, il governatore cominci• ad avere difficolt… nel
tranquillizzare la popolazione nei confronti di Elia.
Una commissione di abitanti si rec• a parlargli.
"Potremmo costruire una casa per l'israelita al di fuori delle mura," dissero. "Cos• non violeremo la
legge dell'ospitalit…, ma ci proteggeremo contro l'ira divina. Gli dŠi non sono contenti della presenza
di quest'uomo."
"Lasciatelo dov'Š," rispose il governatore. "Non voglio creare problemi politici con Israele."
"Come?" domandarono gli abitanti. "Gezabele perseguita tutti i profeti che adorano il Dio Unico e
vuole ucciderli."
"La nostra principessa Š una donna valorosa, e fedele agli dŠi del Monte Cinque. Ma, per quanto
potere abbia adesso, non Š israelita. Un domani potrebbe cadere in disgrazia, e noi dovremmo
affrontare l'ira dei nostri vicini. Se dimostriamo di avere trattato bene uno dei loro profeti, saranno
compiacenti con noi."
Gli abitanti se ne andarono via delusi, perch‚ il sacerdote aveva detto che, un giorno, Elia sarebbe
stato scambiato con oro e ricompense. Tuttavia, anche se il governatore non avesse avuto ragione,
loro non potevano fare nulla: diceva la tradizione che la famiglia al governo doveva essere rispettata.
In lontananza, all'ingresso della valle, le tende dei guerrieri assiri cominciarono a moltiplicarsi.
Il comandante era preoccupato, ma non aveva l'appoggio del sacerdote e del governatore. Cercava di
tenere i suoi guerrieri in continuo allenamento, pur sapendo che nessuno di essi, come i loro nonni,
aveva conosciuto l'esperienza del combattimento. Le guerre appartenevano al passato di Akbar, e
tutte le strategie che egli aveva appreso erano state superate da nuove tecniche e nuove armi che
usavano i paesi stranieri.
"Akbar ha sempre negoziato la pace," sosteneva il governatore. "Non sar… questa la volta che
verremo invasi. Lasciate che i paesi stranieri lottino fra di loro: noi abbiamo un'arma molto pi—
potente, il denaro. Quando avranno finito per distruggersi gli uni con gli altri, noi entreremo nelle
loro citt… e venderemo i nostri prodotti."
Sugli assiri il governatore riusc• dunque a tranquillizzare la popolazione. Ma continuavano a circolare
le voci che l'israelita aveva portato in Akbar la maledizione degli dŠi. Elia stava diventando un
problema sempre pi— grande.
Un pomeriggio, il figlio della vedova cominci• a peggiorare, e non riusciva pi— a stare in piedi n‚ a
riconoscere le persone che andavano a trovarlo. Prima che il sole calasse all'orizzonte, Elia e la donna
si inginocchiarono accanto al letto del piccolo.
"Signore Onnipotente, che hai deviato le frecce del soldato e mi hai condotto fino a qui, fai s• che
questa creatura si salvi. Lei non ha fatto niente, Š innocente dei miei peccati e dei peccati dei suoi
genitori. Salvala, Signore."
Il bambino non si muoveva quasi pi—: le sue labbra erano bianche e gli occhi si spegnevano
rapidamente.
"Prega il tuo Dio Unico," gli chiedeva la donna. "Perch‚ solo una madre pu• sapere quando l'anima
del proprio figlio sta partendo."
Elia prov• il desiderio di stringerle la mano, dirle che non era sola, e che Dio Onnipotente l'avrebbe
ascoltato. Lui era un profeta, lo aveva accettato sulle rive del Cherit, e adesso aveva gli angeli al
proprio fianco.
"Non ho pi— lacrime," prosegu• lei. "Se Egli non ha compassione, se ha bisogno di una vita,
chiedigli allora che porti via me, e lasci camminare mio figlio per la valle e per le vie di Akbar."
Elia fece il possibile per concentrarsi nella preghiera. Ma la sofferenza di quella madre era tanto
intensa che sembrava colmare la stanza, penetrare nelle pareti, nelle porte, in tutto.
Sfior• il corpo del ragazzo: la temperatura non era pi— alta, come nei due giorni precedenti, e questo
era un cattivo segno.
Il sacerdote si era presentato nella casa della vedova quella mattina, e, come aveva fatto per due
settimane, aveva ripetuto i cataplasmi di erbe sul viso e sul petto del ragazzo. Nei giorni precedenti,
le donne di Akbar avevano portato ricette di medicamenti che
si erano tramandate di generazione in generazione, e il cui potere di guarigione era stato comprovato
in varie occasioni. Tutti i pomeriggi, esse si riunivano ai piedi del Monte Cinque e facevano sacrifici
affinch‚ l'anima del piccolo non abbandonasse il corpo.
Commosso da quanto accadeva in citt…, un mercante egizio che si trovava l• di passaggio offr•,
senza volere nulla in cambio, una costosissima polvere rossa da mescolare al cibo del ragazzo.
Secondo la leggenda, la fabbricazione di quella polvere era stata donata ai medici egizi dagli stessi
dŠi.
Elia, intanto, aveva sempre pregato incessantemente.
Ma non aveva ottenuto nulla. Assolutamente nulla.
"Io so perch‚ ti hanno permesso di restare qui," prosegu• la donna, con la voce sempre pi— fievole
perch‚ aveva trascorso vari giorni senza mai dormire. "So che c'Š un premio per la tua testa, e che un
giorno sarai mandato in Israele e scambiato con dell'oro Se salverai mio figlio, giuro su Baal, e sugli
dŠi dei Monte Cinque, che non sarai mai catturato. Conosco vie di fuga ormai dimenticate da questa
generazione, e ti insegner• come allontanarti da Akbar senza essere visto."
Elia non disse niente.
"Prega il tuo Dio Unico," lo implor• di nuovo la donna. "Se salver… mio figlio, giuro che rinnegher•
Baal e creder• in lui. Spiega al tuo Signore che ti ho dato rifugio quando ne avevi bisogno, ho fatto
quanto aveva ordinato lui."
Elia si rimise a pregare, e lo implor• con tutte le forze. Il quel preciso istante, il bambino si mosse.
"Voglio uscire," disse il piccolo, con voce flebile.
Gli occhi della madre brillavano di contentezza, e cominciarono a scenderle le lacrime.
"Vieni, figlio mio. Andiamo dove vuoi, fai quello che desideri fare."
Elia fece per prenderlo in braccio, ma il bambino allontan• la sua mano.
"Voglio uscire da solo," disse.
Si alz• lentamente, e cominci• a camminare verso la sala. Dopo qualche passo, cadde per terra, come
fulminato.
Elia e la vedova si avvicinarono: il bambino era morto.
Per un attimo, nessuno dei due pronunci• parola. Poi, all'improvviso, la donna si mise a urlare con
tutte le sue forze:
"Maledetti siano gli dŠi, maledetti siano coloro che hanno portato via l'anima di mio figlio! Maledetto
sia l'uomo che ha portato la sventura nella mia casa! Il mio unico figlio," urlava. "Poich‚ ho rispettato
la volont… dei cieli, poich‚ sono stata generosa con uno straniero, mio figlio Š morto!"
I vicini udirono i lamenti della vedova e videro suo figlio disteso sul pavimento della casa. La donna
continuava a urlare, sferrando pugni al profeta che, in piedi al suo fianco, sembrava non avere pi—
alcuna reazione, e non faceva nulla per difendersi. Mentre le donne cercavano di calmare la vedova,
senza indugio gli uomini afferrarono Elia per le braccia e lo condussero al cospetto del governatore.
"Quest'uomo ha ripagato la generosit… con l'odio. Ha portato una fattura nella casa della vedova, e il
figlio di lei Š morto. Stiamo dando ospitalit… a un essere maledetto dagli dŠi."
L'israelita piangeva e si domandava: "Signore mio Dio, anche questa vedova, che tanto generosa si Š
mostrata nei miei confronti, hai deciso di tormentare?
Se hai ucciso suo figlio, allora io non sto rispettando la missione che mi Š stata affidata e merito la
morte."
Quel pomeriggio, fu riunito il consiglio della citt… di Akbar, sotto la presidenza del sacerdote e del
governatore. Elia fu sottoposto a giudizio.
"Hai deciso di ricambiare l'amore con l'odio. Perci• io ti condanno a morte," disse il governatore.
"Anche se la tua testa vale un sacco di oro, non possiamo risvegliare l'ira degli dŠi del Monte
Cinque," soggiunse il sacerdote. "Perch‚, dopotutto, neanche tutto l'oro di questo mondo potrebbe
restituire la pace a questa citt…."
Elia chin• il capo. Meritava tutte le sofferenze che avrebbe potuto sopportare, perch‚ il Signore lo
aveva abbandonato.
"Tu salirai sul Monte Cinque," gli disse il sacerdote. "Chiederai perdono agli dŠi offesi. Essi faranno
scendere il fuoco dei cieli, che ti uccider…. Se ci• non avverr…, allora essi desiderano che sia fatta
giustizia per mano nostra: noi ti aspetteremo al ritorno, e sarai giustiziato domani, secondo il rituale."
Elia conosceva bene le esecuzioni sacre: strappavano il cuore dal petto e poi decapitavano il corpo.
Secondo la tradizione, un uomo senza cuore non poteva pi— entrare in Paradiso.
"Perch‚ mi hai prescelto per tutto ci•, Signore?" proferiva a voce alta, pur sapendo che gli uomini
intorno a lui non avrebbero capito che scelta avesse fatto il Signore per lui. "Non vedi che sono
incapace di compiere quanto mi hai richiesto?"
Ma non ud• alcuna risposta.
Gli uomini e le donne di Akbar seguirono in corteo il gruppo di guardie che conducevano l'israelita al
Monte Cinque. Urlavano parole offensive e lanciavano pietre. Con enorme fatica la furia della folla
fu controllata dai soldati. Dopo mezz'ora di cammino, arrivarono ai piedi della montagna sacra.
Il gruppo si ferm• davanti agli altari di pietra, dove il popolo soleva lasciare le offerte e i sacrifici, le
richieste e le preghiere. Tutti conoscevano le storie dei giganti che vivevano in quel luogo, e si
ricordavano di coloro che, avendo sfidato la proibizione, erano stati colpiti dal fuoco del cielo. I
viaggiatori che passavano di notte per la valle sostenevano di poter udire le risate degli dŠi e delle
dee che si divertivano alle loro spalle, lass—.
Pur non avendo alcuna certezza di tutto ci•, nessuno osava sfidare gli dŠi.
"Andiamo," disse un soldato, spingendo Elia con la punta della lancia. "Chi ha ammazzato un
bambino merita di soffrire il peggiore dei castighi."
Elia calpest• il terreno proibito e cominci• a risalire il declivio. Dopo un po'di tempo che camminava,
quando ormai non poteva pi— sentire le urla degli abitanti di Akbar, si sedette su una pietra e si mise
a piangere: da quel pomeriggio nella sua falegnameria, quando aveva visto il buio punteggiato di luci
brillanti, non aveva ottenuto altro che di portare sventura agli altri.
Il Signore aveva perduto le sue voci in Israele, adesso il culto degli dŠi fenici doveva essersi
rafforzato. Quella prima notte sulla riva del Cherit, Elia aveva pensato che Dio lo avesse scelto per
essere un martire, come aveva fatto con tanti altri.
Il Signore, invece, aveva inviato un corvo, un uccello del malaugurio, che lo aveva nutrito finch‚ il
Cherit si era prosciugato. Ma perch‚ un corvo, e non una colomba, o un angelo? O forse era tutto un
delirio di chi vuole nascondere la paura, o di qualcuno che si Š esposto troppo a lungo al sole? Elia,
adesso, non era pi— certo di nulla: il Male, forse, aveva trovato il suo strumento. E questo strumento
era lui. Perch‚, invece di tornare e uccidere la principessa che tanto male arrecava al suo popolo, Dio
gli aveva ordinato di recarsi ad Akbar?
Si era sentito un vigliacco, ma aveva eseguito quanto gli era stato ordinato. Aveva lottato per
adattarsi a quella popolazione strana, gentile, ma con una cultura completamente diversa. Quando
aveva creduto di avere compiuto il proprio destino, il figlio della vedova era morto.
"Perch‚ io?"
Si alz•, cammin• un altro po', e fin• per inoltrarsi in una foschia che celava la vetta della montagna.
Avrebbe potuto approfittare della mancanza di visibilit… per sfuggire ai suoi persecutori, ma che
importanza aveva tutto ci•? Era stanco di fuggire, sapeva che non avrebbe mai trovato il proprio posto
nel mondo. Anche se fosse riuscito a fuggire adesso, avrebbe portato con s‚ la maledizione che lo
accompagnava in un'altra citt…, e nuove tragedie sarebbero accadute. Avrebbe portato su di s‚,
ovunque egli fosse andato, l'ombra di quei morti. Era meglio lasciarsi strappare il cuore dal petto, e
farsi tagliare la testa.
Si sedette di nuovo, stavolta in mezzo alla foschia. Aveva deciso di aspettare un po', in modo che gli
uomini ai piedi della montagna pensassero che lui aveva raggiunto la cima del monte: poi sarebbe
ritornato ad Akbar, consegnandosi ai suoi catturatori.
"Il fuoco del cielo." Molti uomini ne erano gi… rimasti uccisi, quantunque Elia dubitasse che fosse
mandato dal cielo. Nelle notti senza luna attraversava il firmamento, comparendo e scomparendo
all'improvviso. Forse bruciava. Forse uccideva istantaneamente, senza sofferenza.
Scese la sera, e la foschia si dissip•. Elia poteva vedere la valle, le luci di Akbar, e i fuochi
dell'accampamento assiro. Ud• il latrare dei cani e il canto di guerra dei soldati.
"Sono pronto," disse fra s‚ e s‚. "Ho accettato di essere un profeta e ho fatto quanto di meglio
potevo... Ma ho fallito, e adesso Dio ha bisogno di qualcun altro."
In quel momento una luce scese su di lui...
"Il fuoco del cielo!"
La luce, invece, si mantenne fissa davanti a lui. E una voce disse:
"Sono un angelo del Signore."
Elia si inginocchi• e avvicin• il viso alla terra.
"Ti ho gi… visto altre volte, e ho sempre obbedito all'angelo del Signore," rispose Elia, senza alzare
il capo. "Che mi fa seminare solo sventure dovunque io passi."
Ma l'angelo prosegu•:
"Quando tornerai in citt…, chiedi tre volte che il piccino ritorni in vita. La terza volta il Signore ti
ascolter…."
"Perch‚ devo farlo?"
"Per la grandezza di Dio."
"Anche se ci• accadr…, ho gi… dubitato di me stesso. E non sono pi— degno del mio compito,"
rispose Elia.
"Ogni uomo ha il diritto di dubitare del proprio compito, e di abbandonarlo, di tanto in tanto. L'unica
cosa che non pu• fare Š dimenticarlo. Chi non dubita di se stesso Š indegno, perch‚ confida
ciecamente nella propria capacit…, e pecca di orgoglio. Benedetto colui che attraversa momenti di
indecisione."
"Pochi istanti fa, hai visto che io non avevo neppure la certezza che tu fossi un emissario di Dio."
"Va', ed esegui ci• che ti ho detto."
Trascorse un lungo periodo di tempo prima che Elia scendesse dalla montagna. Le guardie lo
aspettavano nel punto in cui si trovavano gli altari del sacrificio, ma la moltitudine di gente era gi…
rientrata ad Akbar.
"Sono pronto alla morte," disse lui. "Ho chiesto perdono agli dŠi del Monte Cinque, e ora essi
richiedono che, prima che la mia anima abbandoni il corpo, io passi per la casa della vedova che mi
ha accolto, e le chieda di avere piet… della mia anima."
I soldati lo ricondussero indietro, e si recarono al cospetto del sacerdote. Gli comunicarono, poi,
quanto l'israelita aveva chiesto.
"Far• ci• che chiedi," disse il sacerdote al prigioniero. "Poich‚ hai chiesto perdono agli dŠi, devi
chiederlo anche alla vedova. Ma perch‚ tu non fugga, sarai accompagnato da quattro soldati armati.
Non pensare, tuttavia, di riuscire a convincerla a chiedere clemenza per la tua vita. Non appena
sorger… l'alba, sarai giustiziato in mezzo alla piazza."
Il sacerdote voleva domandargli che cosa avesse visto sul monte. Ma era in presenza dei soldati, e la
risposta avrebbe potuto metterlo in imbarazzo. Decise, perci•, di tacere, ma pens• che fosse una
buona cosa che Elia chiedesse perdono pubblicamente. Nessuno avrebbe potuto avere pi— dubbi sul
potere degli dŠi del Monte Cinque.
Elia e i soldati si recarono dunque nella viuzza dove egli aveva vissuto per mesi. Nella casa della
vedova le finestre e le porte erano aperte, in modo che, secondo la tradizione, l'anima del figlio
potesse uscire per raggiungere la sua dimora presso gli dŠi. Il corpo si trovava al centro della piccola
stanza, vegliato da tutto il vicinato.
Quando notarono la presenza dell'israelita, gli uomini e le donne furono colti dal terrore.
"Portatelo via da qui," urlarono alle guardie. "Non basta il male che ha gi… causato? E'tanto perverso
che gli dŠi del Monte Cinque non si sono voluti sporcare le mani con il suo sangue!"
"Hanno lasciato a noi il compito di ucciderlo!" url• un altro. "E noi lo faremo adesso, senza aspettare
l'esecuzione rituale!"
Affrontando gli spintoni e gli strattoni, Elia si liber• dalle mani che lo afferravano e corse dalla
vedova, che piangeva in un angolo.
"Posso ricondurlo indietro dal mondo dei morti. Lasciami tenere tuo figlio," disse. "Solo per un
attimo."
La vedova non alz• neppure il capo.
"Ti prego," insistette lui. "Anche se questa dovesse essere l'ultima cosa che fai per me in questa vita,
dammi un'opportunit… per tentare di ricambiare la tua generosit…."
Alcuni uomini lo afferrarono per allontanarlo. Ma Elia si dibatteva e lottava con tutte le forze,
implorando che gli lasciassero toccare il bambino morto.
Per quanto egli fosse giovane e determinato, fin• tuttavia per essere spinto verso la porta d'ingresso.
"Angelo del Signore, dove sei?" url• rivolto ai cieli.
In quel momento tutti si bloccarono. La vedova si era alzata e si stava dirigendo verso di lui.
Prendendolo per mano, lo condusse accanto al cadavere del figlio e tolse il lenzuolo che lo copriva.
"Ecco il sangue del mio sangue," disse. "Che esso scenda sul capo dei tuoi parenti se non otterrai ci•
che desideri."
Elia si avvicin• per toccare il cadavere.
"Un momento," disse la vedova. "Prima, chiedi al tuo Dio che la mia maledizione si compia."
Il cuore di Elia batteva all'impazzata. Ma egli credeva a quanto l'angelo gli aveva detto.
"Che il sangue di questo bambino scenda sui miei genitori e i miei fratelli, e sui figli e le figlie dei
miei fratelli, se io non far• ci• che ho detto."
Poi, con tutti i suoi dubbi, le sue colpe e i suoi timori,
"glielo prese dal seno, lo port• al piano di sopra, dove
abitava. Quindi invoc• il Signore:
'Signore mio Dio, forse farai del male a questa vedova
che mi ospita, tanto da farle morire il figlio?'
Si distese tre volte sul bambino e invoc• il Signore: 'Signore Dio mio, l'anima del fanciullo torni nel
suo corpo.'" 5
Per alcuni istanti non accadde nulla. Elia si rivide a Gileade, davanti al soldato con l'arco puntato al
suo cuore, consapevole che spesso il destino di un uomo non ha niente a che vedere con ci• che si
crede o si teme. Si sentiva tranquillo e fiducioso come quel pomeriggio, certo che, indipendentemente
dal risultato, doveva esserci una ragione affinch‚ tutto questo accadesse. Sulla vetta del Monte
Cinque l'angelo aveva definito questa ragione come "la grandezza di Dio". E lui sperava di
comprendere, un giorno, il motivo per cui il Creatore avesse bisogno delle sue creature per mostrare
questa gloria.
Fu allora che il bambino apr• gli occhi.
"Dov'Š mia mamma?" domand•.
"E'di sotto, e ti sta aspettando," rispose Elia, sorridendo.
"Ho fatto uno strano sogno. Stavo viaggiando in un buco nero, pi— veloce del pi— rapido cavallo da
corsa di Akbar. Ho visto un uomo, e so che era mio padre, anche se non l'ho mai conosciuto. Poi sono
arrivato in un bellissimo posto, dove mi piacerebbe tanto ritrovarmi; ma un altro uomo, che non
conosco, anche se mi sembrava qualcuno molto buono e valoroso, mi ha chiesto affettuosamente di
venire via da l•. Io volevo proseguire, ma tu mi hai svegliato."
Il bambino sembrava triste: il posto dove era quasi entrato doveva essere bellissimo.
"Non mi lasciare solo, perch‚ tu mi hai fatto tornare da un posto dove mi sentivo protetto."
"Adesso scendiamo," disse Elia. "Tua madre ti vuole vedere."
Il ragazzino tent• di alzarsi, ma era troppo debole per camminare. Elia lo prese in braccio, e scese.
Tutte le persone nella stanza al piano terreno sembravano in preda a un profondo terrore.
"Perch‚ c'Š tutta questa gente qui?" domand• il bambino.
Prima che Elia potesse rispondere, la vedova prese il figlio fra le braccia e cominci• a baciarlo,
piangendo.
"Che cosa ti hanno fatto, mamma? Perch‚ sei triste?"
"Non sono triste, figlio mio," rispose lei, asciugandosi le lacrime. "Non sono mai stata tanto felice in
tutta la mia vita."
E nel pronunciare queste parole, la vedova si butt• in ginocchio e cominci• a urlare:
"Ora so che tu sei un uomo di Dio! La vera parola del Signore Š sulla tua bocca!"
Elia la abbracci•, pregandola di alzarsi.
"Liberate quest'uomo!" disse lei ai soldati. "Egli ha sconfitto il male che si era abbattuto sulla mia
casa!"
Le persone che si trovavano l• riunite non riuscivano a credere a ci• che vedevano. Una giovane di
vent'anni, che lavorava come pittrice, si inginocchi• accanto alla vedova. Poco alla volta, tutti
imitarono il suo gesto, compresi i soldati che avevano l'incarico di condurre Elia in prigione.
"Alzatevi," li invit• lui. "E adorate il Signore. Io sono solo uno dei Suoi servi, forse il pi—
impreparato."
Ma tutti rimanevano in ginocchio, a capo chino.
"Tu hai parlato con gli dŠi del Monte Cinque," disse una voce. "E adesso puoi fare miracoli."
"Lass— non c'Š nessun dio. Ho visto un angelo del Signore che mi ha ordinato di fare quello che ho
fatto."
"Tu sei stato con Baal e con i suoi fratelli," disse qualcun altro.
Elia si fece strada, scansando le persone inginocchiate e uscendo nella strada. Il cuore continuava a
battergli all'impazzata, come se egli non avesse eseguito bene il compito che l'angelo gli aveva
indicato. "A che cosa serve resuscitare un morto, se nessuno crede da dove proviene tanto potere?"
L'angelo gli aveva chiesto di invocare tre volte il nome del Signore, ma non gli aveva detto nulla su
come spiegare il miracolo alla folla riunita al piano terreno. "Non sar… che, come gli antichi profeti,
ho voluto mostrare soltanto la mia vanit…?" si domandava fra s‚ e s‚.
Ud• allora la voce del suo angelo custode, con il quale parlava fin dall'infanzia.
"Oggi sei stato in compagnia di un angelo del Signore."
"S•," rispose Elia. "Ma gli angeli del Signore non parlano con gli uomini; si limitano a trasmettere gli
ordini che vengono da Dio."
"Serviti del tuo potere," gli disse l'angelo custode.
Ma Elia non cap• che cosa volesse dire. "Io non ho alcun potere che non venga dal Signore," disse.
"Nessuno lo ha. Ma tutti hanno il potere del Signore, e nessuno lo usa."
E l'angelo gli disse ancora:
"Da ora in poi, e fino al momento in cui ritornerai nella terra che hai lasciato, nessun altro miracolo ti
sar… permesso."
"E quando avverr… questo?"
"Il Signore ha bisogno di te per ricostruire Israele, disse l'angelo. "Tornerai a calcarne il suolo quando
avrai imparato a ricostruire."
E non aggiunse altro.
SECONDA PARTE
Il sacerdote recit• le preghiere al sole che sorgeva, e chiese al dio della tempesta e alla dea degli
animali di avere piet… degli sciocchi. Qualcuno lo aveva informato, quel mattino, che Elia aveva
riportato indietro dal regno dei morti il figlio della vedova.
La citt… era spaventata ed eccitata nello stesso tempo. Erano tutti convinti che l'israelita avesse
ricevuto il suo potere dagli dŠi del Monte Cinque, e adesso diventava molto pi— difficile ucciderlo.
"Ma arriver… il momento giusto," ripet‚ fra s‚ e s‚.
Gli dŠi avrebbero creato l'occasione giusta per ucciderlo. Ma la collera divina era dovuta ad altro, e la
presenza degli assiri all'ingresso della valle era un segnale. Perch‚ le centinaia di anni di pace stavano
per terminare? Lui possedeva la risposta: l'invenzione di Biblo. Il suo paese aveva elaborato una
forma di scrittura accessibile a tutti, anche a coloro che non erano ancora pronti a usarla. Chiunque
avrebbe potuto impararla in breve tempo, e ci• avrebbe significato la fine della civilt….
Il sacerdote sapeva che, fra tutte le armi di distruzione che l'uomo era stato capace di inventare, la pi
— terribile, e la pi— potente, era la parola. I pugnali e le lance lasciavano tracce di sangue; le frecce
si potevano vedere a distanza. I veleni, alla fine, venivano individuati e quindi evitati.
Ma la parola riusciva a distruggere senza lasciare tracce. Se ci fosse stata la possibilit… di diffondere
i riti sacri, molta gente avrebbe potuto servirsene per tentare di modificare l'universo, e gli dŠi si
sarebbero confusi. Fino ad allora, solo la casta sacerdotale conosceva la memoria degli antenati, che
veniva trasmessa oralmente, sotto giuramento che le informazioni sarebbero state mantenute segrete.
Oppure erano necessari anni di studio per riuscire a decifrare i caratteri che gli egizi avevano diffuso
nel mondo. In tal modo, solo coloro che erano molto preparati, scribi e sacerdoti, potevano scambiarsi
le informazioni.
Altre culture avevano le loro forme rudimentali per registrare la storia, ma erano tanto complicate che
nessuno avrebbe mai pensato di apprenderle al di fuori delle regioni in cui erano usate. L'invenzione
di Biblo, per•, aveva in s‚ qualcosa di sconvolgente: poteva essere usata in qualsiasi paese,
indipendentemente dalla lingua che vi si parlava. Perfino i greci, che di solito respingevano tutto
quello che non nasceva nelle loro citt…, avevano gi… adottato la scrittura di Biblo come prassi
corrente nelle loro transazioni commerciali. Ed erano cos• esperti nell'appropriarsi di tutto quello che
potesse rappresentare una novit… che avevano gi… battezzato l'invenzione di Biblo con un nome
greco: alfabeto.
I segreti mantenuti per secoli e secoli di civilt… correvano cos• il rischio di essere esposti alla luce. A
paragone di ci•, il sacrilegio di Elia, che aveva riportato indietro un essere dall'altra sponda del fiume
della morte, come solevano fare gli egizi, non aveva alcun significato.
"E'questa la punizione perch‚ non sappiamo pi— serbare con cura ci• che Š sacro," pens•. "Gli assiri
sono alle nostre porte, attraverseranno la valle e distruggeranno la civilt… dei nostri antenati."
E avrebbero distrutto la scrittura. Il sacerdote sapeva che la presenza del nemico non era un caso.
Era il prezzo da pagare. Gli dŠi avevano pianificato tutto molto bene, in modo che nessuno si
rendesse conto che erano loro i responsabili. Avevano messo al potere un governatore che si
preoccupava pi— degli affari che dell'esercito, avevano eccitato la cupidigia degli assiri, avevano
fatto s• che la pioggia scarseggiasse sempre pi—, e avevano portato un infedele per dividere la citt….
Il combattimento finale sarebbe scoppiato ben presto.
Anche dopo, Akbar avrebbe continuato a esistere, ma la minaccia dei caratteri di Biblo sarebbe stata
cancellata per sempre dalla faccia della terra. Il sacerdote ripul• con cura la pietra che segnalava il
luogo dove, molte generazioni addietro, il pellegrino straniero aveva trovato il posto indicato dai cieli
e aveva fondato la citt…. "Com'Š bella", pens•. Le pietre erano una immagine degli dŠi: dure,
resistenti, sopravvivevano a ogni condizione, e non avevano bisogno di spiegare perch‚ si trovavano
l•. La tradizione orale diceva che il centro del mondo era segnato da una pietra, e lui, da bambino,
aveva addirittura pensato di cercare dove si trovasse. Aveva coltivato questa idea fino a quel
momento. Ma quando aveva visto la presenza degli assiri a fondo valle, aveva capito che non avrebbe
mai realizzato il proprio sogno.
"Non ha importanza. Spettava alla mia generazione essere offerta in sacrificio per avere offeso gli
dŠi. Nella storia del mondo ci sono cose inevitabili, ed Š necessario che noi le accettiamo."
Si ripropose di obbedire agli dŠi: non avrebbe cercato di evitare la guerra.
"Forse siamo giunti alla fine dei tempi. Non c'Š modo di aggirare le crisi che si ingigantiscono
sempre di pi—."
Il sacerdote prese il suo bastone e usc• dal piccolo tempio. Aveva un appuntamento con il
comandante della guarnigione di Akbar.
Stava quasi per arrivare alla muraglia a sud, quando fu avvicinato da Elia.
"Il Signore ha ricondotto indietro un bambino dal mondo dei morti," disse l'israelita. "La citt… crede
nel mio potere."
"Forse quel bambino non era morto," rispose il sacerdote. "E'gi… accaduto altre volte: il cuore si
ferma, ma poi riprende a battere. Oggi ne sta parlando tutta la citt…. Domani si ricorderanno che gli
dŠi sono vicini e possono sentire ci• che stanno dicendo. Le loro bocche, allora, torneranno ad
ammutolire. E'necessario che vada, perch‚ gli assiri si preparano alla battaglia."
"Ascoltate ci• che ho da dire: dopo il miracolo di ieri sera, sono andato a dormire fuori dalle mura,
perch‚ avevo bisogno di un po'di tranquillit…. Allora lo stesso angelo che ho visto sulla vetta del
Monte Cinque mi Š apparso di nuovo. E mi ha detto: 'Akbar sar… distrutta dalla guerra."'
"Le citt… non possono essere distrutte," afferm• il sacerdote. "Saranno ricostruite settantasette volte,
perch‚ gli dŠi sanno dove le hanno poste, e ne hanno bisogno."
Si avvicin• il governatore: procedeva con un gruppo di cortigiani, e domand•:
"Che cosa stai dicendo?"
"Che dovete cercare la pace," ripet‚ Elia.
"Se hai paura, tornatene nel luogo da cui sei venuto," rispose seccamente il sacerdote.
"Gezabele e il suo re stanno aspettando i profeti fuggiaschi per ammazzarli," disse il governatore.
"Ma vorrei che mi narrassi come hai potuto salire sul Monte Cinque senza essere distrutto dal fuoco
del cielo."
Il sacerdote doveva interrompere quella conversazione. Il governatore stava pensando di negoziare
con gli assiri, e probabilmente voleva utilizzare Elia per i suoi propositi.
"Non gli prestare ascolto," disse. "Ieri, quando Š stato condotto al mio cospetto per essere giudicato,
ho visto che piangeva di paura."
"Il mio pianto era dovuto al male che pensavo di avere causato. Giacch‚ io ho paura soltanto di due
cose: del Signore e di me stesso. Non sono fuggito da Israele, e sono pronto a tornarvi appena il
Signore me lo permetter…. Uccider• la bellissima principessa, e la fede di Israele sopravviver…
anche a questa minaccia."
"E'necessario avere il cuore molto duro per resistere alle seduzioni di Gezabele," ironizz• il
governatore. "Tuttavia, anche se ci• accadesse, invieremmo un'altra donna ancora pi— bella, come
abbiamo gi… fatto prima di Gezabele."
Il sacerdote diceva la verit…. Duecento anni prima, una principessa di Sidone aveva sedotto il pi—
saggio di tutti i governanti di Israele: il re Salomone. Lei gli aveva fatto costruire un altare in
omaggio alla dea Astarte, e Salomone aveva obbedito. Per via del sacrilegio, il Signore aveva
sollevato gli eserciti vicini, e Salomone era stato maledetto da Dio.
"Lo stesso accadr… con Acab, il marito di Gezabele," pens• Elia. Il Signore gli avrebbe consentito di
condurre a termine il proprio compito quando fosse giunta l'ora. Ma a che cosa serviva tentare di
convincere quegli uomini? Essi erano come coloro che aveva
visto la notte precedente, gli uomini che, inginocchiati sul pavimento della casa della vedova,
rendevano lodi agli dŠi del Monte Cinque. La tradizione non avrebbe mai consentito loro di pensare
in maniera diversa.
"E'un peccato che sia nostro dovere rispettare la legge dell'ospitalit…," disse il governatore, che
sembrava avere gi… dimenticato gli ammonimenti di Elia sulla pace. "Se cos• non fosse, aiuteremmo
Gezabele nel suo compito di sterminare i profeti."
"Non Š questo il motivo per cui mi risparmiate la vita. Voi sapete che io sono una merce preziosa, e
volete dare a Gezabele il piacere di uccidermi con le sue stesse mani. Tuttavia, da ieri, il popolo mi
attribuisce poteri miracolosi. Pensano che io abbia incontrato gli dŠi sulla cima del Monte Cinque.
Quanto a voi, non vi darebbe alcun disturbo offendere gli dŠi, ma non desiderate irritare gli abitanti
della citt…."
Il governatore e il sacerdote lasciarono Elia che parlava da solo e proseguirono verso le mura. In quel
momento, il sacerdote decise che avrebbe ammazzato il profeta alla prima occasione: ci• che in
precedenza era soltanto una merce di scambio, adesso si era trasformato in una minaccia.
Quando vide che si allontanavano, Elia ebbe un momento di disperazione: che cosa avrebbe potuto
fare per servire il Signore? Cominci• allora a urlare in mezzo alla piazza:
"Popolo di Akbar! Ieri notte sono salito sul Monte Cinque e ho parlato con gli dŠi che vi abitano.
Non appena ne sono tornato, sono stato capace di riportare indietro un bambino dal regno dei morti!"
Le persone cominciarono a raggrupparsi intorno a lui. La storia era gi… nota in tutta la citt…. Il
governatore e il sacerdote si fermarono a met… strada e tornarono indietro a vedere che cosa stava
succedendo. Il profeta israelita asseriva di avere visto gli dŠi del Monte Cinque che adoravano un Dio
superiore.
"Lo far• uccidere," disse il sacerdote.
"E la popolazione si ribeller… contro di noi," rispose il governatore, che sembrava interessato a
quanto lo straniero stava dicendo. "E'meglio aspettare che commetta un errore."
"Prima che scendessi dal monte, gli dŠi mi hanno incaricato di aiutare il governatore contro la
minaccia degli assiri!" prosegu• Elia. "Io so che egli Š un uomo d'onore, e vuole ascoltarmi, ma ci
sono alcuni uomini che hanno interesse alla guerra, e non mi permettono di avvicinarmi a lui."
"L'israelita Š un uomo santo," disse un vecchio rivolto al governatore. "Nessuno pu• salire sul Monte
Cinque senza essere fulminato dal fuoco del cielo, ma quest'uomo ci Š riuscito. E adesso resuscita i
morti."
"Tiro, Sidone, e tutte le citt… fenicie hanno la tradizione della pace," soggiunse un altro vecchio.
"Abbiamo gi… superato altre minacce ben peggiori, e siamo riusciti a dominarle."
Alcuni malati e storpi cominciarono ad avvicinarsi, facendosi strada in mezzo alla folla, toccando gli
abiti di Elia e chiedendogli di guarirli dai loro mali.
"Prima di consigliare il governatore, guarisci gli infermi," disse il sacerdote. "Allora crederemo che
gli dŠi del Monte Cinque sono con te."
Elia si ricord• di quello che l'angelo gli aveva detto la notte precedente: solo la forza delle persone
comuni gli sarebbe stata concessa.
"I malati stanno chiedendo aiuto," insistette il sacerdote. "Stiamo aspettando."
"Prima ci preoccuperemo di evitare la guerra. Ci saranno pi— infermi, e pi— malati, se non ci
riusciremo."
Il governatore interruppe il discorso:
"Elia verr… con noi. Egli Š stato toccato dall'ispirazione divina."
Bench‚ non credesse all'esistenza degli dŠi sul Monte Cinque, il governatore aveva bisogno di un
alleato che lo aiutasse a convincere il popolo che la pace con gli assiri era l'unica via di uscita.
Mentre si avviavano a incontrare il comandante, il sacerdote comment• con Elia:
"Tu non credi a nulla di ci• che hai detto."
"Credo che la pace sia l'unica via d'uscita. Ma non credo che la cima di quel monte sia abitata dagli
dŠi. Io ci sono stato."
"E che cosa hai visto?"
"Un angelo del Signore. Lo avevo gi… visto prima, nei vari luoghi per cui sono passato," rispose
Elia. "Ed esiste soltanto un Dio."
Il sacerdote rise.
"Vuoi dire che, secondo te, lo stesso dio che crea la tempesta ha fatto anche il grano, anche se sono
cose del tutto diverse?"
"Lo vedi, lass—, il Monte Cinque?" gli domand• Elia. "Da qualunque lato tu lo guarderai, esso
sembrer… diverso, malgrado si tratti sempre della stessa montagna. Cos• Š per tutto ci• che Š stato
creato: molteplici facce dello stesso Dio."
Giunsero sulla sommit… delle mura, da dove si vedeva in lontananza l'accampamento nemico. Nella
valle desertica le tende bianche risaltavano vistosamente.
Tempo addietro, quando le sentinelle avevano notato la presenza degli assiri a una estremit… della
valle, le spie avevano detto che si trovavano l• in ricognizione; il comandante aveva suggerito che
quegli uomini fossero arrestati e venduti come schiavi. Ma il governatore aveva deciso di adottare
una diversa strategia: non fare nulla. Contava sul fatto che, instaurando con essi buoni rapporti,
avrebbe potuto aprire un nuovo mercato per il commercio del vetro fabbricato ad Akbar; oltretutto,
anche se fossero stati l• per preparare una guerra, gli assiri sapevano che le citt… piccole si schierano
sempre dalla parte dei vincitori. In questo caso, i generali assiri volevano soltanto attraversare la
citt… senza trovare resistenza, in attesa di conquistare Tiro e Sidone. Queste, infatti, erano le citt…
che custodivano il tesoro e la conoscenza del loro popolo.
La pattuglia si era accampata all'ingresso della valle, e a poco a poco cominciarono ad arrivare i
rinforzi. Il sacerdote sosteneva di conoscerne il motivo: nella citt… c'era un pozzo d'acqua, l'unico
pozzo che si incontrava dopo diversi giorni di cammino nel deserto. Se gli
assiri volevano conquistare Tiro o Sidone, avevano bisogno di quell'acqua per rifornire i loro eserciti.
Dopo il primo mese, avrebbero ancora potuto respingerli. Dopo il secondo mese, avrebbero ancora
potuto vincere con facilit…, e negoziare una ritirata onorevole dei soldati assiri.
Rimasero ad aspettare il combattimento, ma il nemico non attaccava. Alla fine del quinto mese,
avrebbero ancora potuto vincere la battaglia. "Adesso attaccheranno, perch‚ ormai dovranno avere
sete," diceva il governatore fra s‚ e s‚. Chiese al comandante militare di elaborare delle strategie di
difesa e di tenere in continuo allenamento i suoi uomini, perch‚ fossero pronti a reagire a un attacco
di sorpresa.
Ma in realt… si concentrava sulla preparazione della pace.
Era ormai trascorso mezzo anno e l'esercito assiro non si muoveva. Ad Akbar la tensione, che nel
corso delle prime settimane di occupazione era aumentata, adesso era scemata del tutto: ciascuno
continuava la propria vita, gli agricoltori avevano ripreso ad andare nei campi, gli artigiani a fare il
vino, il vetro e il sapone, i commercianti continuavano a vendere e comprare le loro mercanzie. Si
credeva che, giacch‚ Akbar non aveva attaccato il nemico, la crisi si sarebbe risolta ben presto con dei
negoziati. Tutti sapevano che il governatore era indicato dagli dŠi, e che conosceva sempre la
decisione migliore da prendere.
Quando Elia era arrivato in citt…, il governatore aveva fatto diffondere voci sulla maledizione che lo
straniero portava con s‚; cos•, se la minaccia della guerra fosse divenuta insostenibile, avrebbe potuto
indicare la presenza dello straniero come la principale ragione della sventura. Gli abitanti di Akbar si
sarebbero quindi convinti che, con la morte dell'israelita, l'universo sarebbe ritornato al proprio
ordine. E il governatore, allora, avrebbe spiegato che ormai era troppo tardi per pretendere che gli
assiri se ne andassero; avrebbe ordinato di uccidere Elia e spiegato al popolo che la pace era la
soluzione migliore. A suo parere i mercanti, i quali desideravano anch'essi la pace, avrebbero forzato
gli altri a concordare con questa sua idea.
Nel corso di tutti quei mesi, aveva lottato contro la pressione del sacerdote e del comandante, i quali
pretendevano che si attaccasse immediatamente. Gli dŠi del Monte Cinque, per•, non lo avevano mai
abbandonato. E adesso, con il miracolo della resurrezione della notte precedente, la vita di Elia era pi
— importante della sua esecuzione.
"Che cosa fa questo straniero con voi?" domand• il comandante.
"E'stato illuminato dagli dŠi," rispose il governatore. "E ci aiuter… a scoprire la migliore via d'uscita."
Rapidamente cambi• argomento di conversazione.
"Sembra che il numero delle tende sia aumentato oggi!"
"E aumenter… ancora, domani," disse il comandante. "Se avessimo attaccato quando ancora si
trattava di una sola pattuglia, probabilmente non sarebbero tornati."
"Ti sbagli. Qualcuno sarebbe riuscito a sfuggire e sarebbero tornati per vendicarsi."
"Quando si rimanda il raccolto, i frutti marciscono insistette il comandante. "Ma quando si rimandano
problemi, essi non cessano di crescere."
Il governatore spieg• allora che la pace regnava in Fenicia da quasi tre secoli, ed era il grande
orgoglio del suo popolo. Che cosa avrebbero detto le generazioni future se egli avesse interrotto
questa catena di prosperit…?
"Invia un emissario per negoziare," gli disse Elia. "Il miglior guerriero Š colui che riesce a
trasformare il nemico in amico."
"Non sappiamo bene ci• che vogliono. Non sappiamo neanche se vogliono conquistare la nostra
citt…. Come possiamo negoziare?"
"Ci sono dei segnali minacciosi. Un esercito non perde il proprio tempo facendo manovre militari
lontano dal proprio paese."
Giorno dopo giorno arrivavano altri soldati, e il governatore cercava di immaginare la quantit… di
acqua che sarebbe stata necessaria per tutti quegli uomini. In poco tempo, la citt… sarebbe stata
indifesa davanti all'esercito nemico.
"Possiamo attaccare adesso?" domand• il sacerdote al comandante.
"Certo, possiamo farlo. Perderemmo molti uomini, ma la citt… sarebbe salva. Tuttavia, dobbiamo
decidere immediatamente."
"Non dobbiamo farlo, governatore. Gli dŠi del Monte Cinque mi hanno detto che abbiamo ancora
tempo per trovare una soluzione pacifica," disse Elia.
Pur avendo sentito la conversazione fra il sacerdote e l'israelita, il governatore finse di credervi. Per
lui era del tutto indifferente che Sidone e Tiro fossero governate dai fenici, dai cananei o dagli assiri;
l'importante era che la citt… potesse continuare a commerciare i propri prodotti.
"Attacchiamo," insisteva il sacerdote.
"Fra un giorno," rispose il governatore... "Pu• darsi che le cose si risolvano."
Bisognava che decidesse subito il miglior modo di affrontare la minaccia degli assiri. Si allontan•
dalle
mura e si avvi• verso il palazzo, chiedendo all'israelita di accompagnarlo.
Strada facendo, osserv• il popolo intorno a s‚: i pastori che conducevano le pecore sulle montagne, gli
agricoltori che si recavano nei campi, nel tentativo di strappare alla terra arida un minimo di
sostentamento per s‚ e per le proprie famiglie. I soldati si esercitavano con le lance, e alcuni mercanti
giunti da poco tempo esponevano i loro prodotti nella piazza. Per quanto incredibile potesse
sembrare, gli assiri non avevano bloccato la strada che attraversava la valle in tutta la sua estensione:
i commercianti continuavano a circolare con le loro merci e a pagare alla citt… la tassa per il
trasporto.
"Adesso che sono riusciti a riunire una forza potente, perch‚ non chiudono la strada?" domand• Elia.
"L'impero assiro ha bisogno dei prodotti che giungono ai porti di Sidone e Tiro," rispose il
governatore. "Se i commercianti fossero in pericolo, interromperebbero il flusso di rifornimenti. E le
conseguenze sarebbero pi— gravi di una sconfitta militare. Deve pur esserci un modo di evitare la
guerra."
"S•," disse Elia. "Se vogliono l'acqua, noi possiamo vendergliela."
Il governatore non disse nulla. Ma cap• che avrebbe potuto servirsi dell'israelita come di un'arma
contro coloro che desideravano la guerra: egli era salito sulla vetta del Monte Cinque, aveva sfidato
gli dŠi, e qualora il sacerdote si fosse mostrato risoluto nell'insistere con l'idea di lottare contro gli
assiri, Elia sarebbe stato l'unico che avrebbe potuto affrontarlo. Gli propose dunque di andare a fare
due passi insieme, per conversare un po'.
Il sacerdote rimase invece sopra le mura a osservare il nemico.
"Che cosa possono fare gli dŠi per trattenere gli invasori?" domand• il comandante.
"Ho offerto sacrifici davanti al Monte Cinque e ho chiesto loro di mandarci un capo pi— coraggioso."
"Dovremmo comportarci come Gezabele: uccidere i profeti. Un semplice israelita, che ieri era
condannato a morte, oggi viene usato dal governatore per convincere la popolazione alla pace."
Il comandante guard• verso la montagna.
"Possiamo ordinare l'assassinio di Elia. E servirci dei miei guerrieri per estromettere il governatore
dalle sue funzioni."
"Ordiner• che Elia sia ucciso," rispose il sacerdote. "Quanto al governatore, non possiamo fare nulla:
i suoi antenati sono stati al potere per generazioni. Suo nonno fu il nostro capo, ha trasmesso il potere
degli dŠi a suo padre, che lo ha trasmesso a lui."
"Perch‚ la tradizione ci impedisce di mettere al governo una persona pi— efficiente?"
"La tradizione esiste per mantenere ordine nel mondo. Se la toccassimo, il mondo finirebbe."
Il sacerdote si guard• intorno: il cielo e la terra, le montagne e la vallata, ogni cosa nel rispetto di ci•
che per essa era stato scritto. A volte il suolo tremava, altre volte, come adesso, passava molto tempo
senza che piovesse. Ma le stelle erano sempre al loro posto, e il sole non era mai precipitato sulla
testa degli uomini. Tutto perch‚, fin dal Diluvio, gli uomini avevano appreso che era impossibile
modificare l'ordine della Creazione.
In passato c'era soltanto il Monte Cinque. Uomini e dŠi vivevano insieme, passeggiavano nei giardini
del Paradiso, conversavano e ridevano fra loro. Ma gli esseri umani avevano peccato, e gli dŠi li
avevano scacciati. Siccome non avevano alcun luogo dove mandarli, avevano infine creato la terra
intorno alla montagna, per poterli mettere l•, tenendoli sotto sorveglianza, e fare in modo che si
ricordassero sempre di essere su un piano molto inferiore a quello degli abitanti del Monte Cinque.
Ritennero, tuttavia, di lasciare aperta una porta di ritorno: se l'umanit… avesse seguito rettamente il
proprio cammino, alla fine sarebbe tornata in cima alla montagna. Perch‚ questa idea non fosse
dimenticata, avevano incaricato i sacerdoti e i governanti di mantenerla viva nell'immaginazione del
mondo.
Tutti i popoli condividevano la stessa credenza: se le famiglie unte dagli dŠi si fossero allontanate dal
potere, le conseguenze sarebbero state molto gravi. Nessuno si ricordava pi— il motivo per cui erano
state scelte queste famiglie, ma tutti sapevano che esse avevano una certa parentela con le famiglie
divine. Akbar esisteva ormai da centinaia di anni, ed era sempre stata amministrata dall'attuale
governatore. Era stata invasa molte volte, era caduta nelle mani di oppressori e barbari, ma, con il
passare del tempo, gli invasori ripartivano o erano scacciati. Si ristabiliva allora l'antico ordine, e gli
uomini riprendevano la loro vita di prima.
Il dovere dei sacerdoti era di preservare quest'ordine: il mondo possedeva un destino, ed era
governato da leggi. Era ormai passato il tempo di cercare di capire gli dŠi: adesso era il momento di
rispettarli, e fare tutto ci• che essi volevano. Gli dŠi erano capricciosi, e si irritavano con facilit….
Se non ci fossero stati i riti del raccolto, la terra non avrebbe dato frutti. Se fossero stati dimenticati
alcuni sacrifici, la citt… sarebbe stata infestata da malattie mortali. Se di nuovo fosse stato provocato
il dio del tempo, egli avrebbe potuto fare in modo che il grano e gli uomini non crescessero pi—.
"Guarda il Monte Cinque," disse al comandante. "Dalla sua vetta, gli dŠi governano la valle e ci
proteggono. Essi hanno un piano eterno per Akbar. Lo straniero sar… ucciso, o torner… nella sua
terra; un giorno il governatore scomparir… e suo figlio sar… pi— saggio di lui; ci• che stiamo
vivendo adesso Š passeggero."
"Abbiamo bisogno di un nuovo capo," disse il comandante. "Se continueremo a essere nelle mani di
questo governatore, verremo distrutti."
Il sacerdote sapeva che era questo ci• che gli dŠi volevano, per mettere fine alla minaccia della
scrittura di Biblo. Ma non disse nulla. Si rallegr• nel constatare una volta ancora che i governanti
eseguivano sempre, volenti o nolenti, il destino dell'Universo.
Elia attravers• la citt…, spieg• i suoi piani di pace al governatore, che lo nomin• suo aiutante. Quando
giunsero in mezzo alla piazza, si avvicinarono altri malati; ma Elia spieg• che gli dŠi del Monte
Cinque gli avevano proibito di compiere altre guarigioni. Nel tardo pomeriggio torn• a casa della
vedova: il bambino stava giocando per la strada, ed egli fu grato per essere stato lo strumento di un
miracolo del Signore.
Lei lo aspettava per cenare. Con sua grande sorpresa, c'era una caraffa di vino sul tavolo.
"La gente ha portato dei doni per ringraziarti," disse la donna. "E io voglio chiederti perdono per il
mio comportamento ingiusto."
"Quale comportamento?" esclam• sorpreso Elia. "Non vedi che tutto fa parte dei disegni di Dio?"
La vedova sorrise, le brillarono gli occhi, ed egli pot‚ notare quanto la donna fosse bella. Era pi—
anziana di lui per lo meno di dieci anni, ma sentiva per lei una profonda tenerezza. Tuttavia non era
abituato a queste sensazioni, e ne ebbe paura. Si ricord• degli occhi di Gezabele, e del desiderio che
aveva espresso mentre stava uscendo dal palazzo di Acab: avrebbe voluto sposare una donna del
Libano.
"Anche se la mia vita Š stata inutile, ho avuto almeno mio figlio. E la sua storia sar… ricordata, perch
‚ egli Š tornato dal regno dei morti", disse la donna.
"La tua vita non Š inutile. Io sono venuto ad Akbar per ordine del Signore, e tu mi hai accolto. Se un
giorno la storia di tuo figlio verr… ricordata, sono certo che lo sar… anche la tua."
La donna riemp• le due coppe. Brindarono insieme al sole che si stava nascondendo, e alle stelle del
cielo.
"Tu sei venuto da un paese lontano, seguendo i segnali di un Dio che non conoscevo, ma che adesso
Š diventato il mio Signore. Anche mio figlio Š tornato da una terra remota, e avr… una bellissima
storia da raccontare ai suoi nipoti. I sacerdoti raccoglieranno le sue parole e le trasmetteranno alle
generazioni a venire."
Era attraverso la memoria dei sacerdoti che le citt… conoscevano il proprio passato, le proprie
conquiste, gli antichi dŠi, i guerrieri che avevano difeso la terra con il proprio sangue. Anche se
adesso esistevano nuove maniere di registrare il passato, la memoria dei sacerdoti era l'unica cosa di
cui gli abitanti di Akbar si fidavano. Tutti possono scrivere ci• che vogliono, ma nessuno riesce a
ricordarsi di cose che non sono mai esistite.
"E io, che cosa ho da raccontare?" prosegu• la donna, riempiendo la coppa che Elia aveva vuotato
rapidamente. "Non possiedo la forza o la bellezza di Gezabele. La mia vita Š come tutte le altre: il
matrimonio organizzato dai genitori quando ancora ero bambina, le faccende domestiche quando
sono diventata adulta, il culto nei giorni sacri, il marito sempre occupato con altre cose. Fintanto che
Š stato vivo, non abbiamo mai parlato di niente di importante. Lui viveva occupandosi degli affari, io
badavo alla casa, e cos• abbiamo trascorso i migliori anni della nostra vita.
"Dopo la sua morte, mi sono rimaste soltanto la miseria e l'educazione di mio figlio. Quando il piccolo
crescer…, solcher… i mari, e io non sar• pi— importante per nessuno. Non provo n‚ odio n
‚ risentimento, soltanto consapevolezza della mia inutilit…."
Elia si riemp• ancora il bicchiere. Il cuore cominciava a dargli segnali di allarme: gli piaceva stare
accanto a quella donna. L'amore poteva essere un'esperienza pi— spaventosa che non trovarsi davanti
a un soldato di Acab con una freccia puntata sul suo cuore: se la freccia lo avesse colpito, egli
sarebbe morto, e di tutto il resto si sarebbe occupato Dio. Ma se lo avesse colpito l'amore, avrebbe
dovuto sopportarne lui le conseguenze.
"Ho tanto desiderato l'amore nella mia vita," pens•. E invece, adesso che lo aveva davanti Ä e senza
dubbio l'amore era l•, bastava solo non sfuggirgli Ä il suo unico pensiero era di dimenticarlo pi— in
fretta possibile.
Ritorn• con la mente al giorno in cui era arrivato ad Akbar, dopo l'esilio presso il Cherit. Era talmente
stanco e assetato che non riusciva a rammentarsi di nulla, se non del momento in cui si era ripreso
dallo svenimento e aveva visto la donna che gli versava qualche goccia d'acqua sulle labbra. Il suo
viso era vicino a quello di lei, tanto vicino come mai lo era stato con quello di un'altra donna in tutta
la sua vita. Aveva notato che aveva gli stessi occhi verdi di Gezabele, ma con un bagliore diverso,
come se potessero riflettere i cedri, l'oceano che aveva tanto sognato e mai conosciuto, e Ä ma
com'era possibile? Ä anche la sua anima.
"Mi piacerebbe tanto dirglielo," pens•. "Ma non so come. E'pi— facile parlare dell'amore di Dio."
Elia bevve un altro sorso. La donna pens• che qualcosa che aveva detto non gli fosse piaciuto, e
decise di cambiare argomento.
"Sei salito sul Monte Cinque?" gli domand•.
Egli annu• con il capo.
Avrebbe voluto domandargli che cosa aveva visto lass— in cima, e come era riuscito a sfuggire al
fuoco dei cieli. Ma lui sembrava non sentirsi a proprio agio.
"E'un profeta, mi legge nel cuore," pens• la donna.
Da quando l'israelita era entrato nella sua vita, tutto era cambiato. Persino la povert… era pi— facile
da sopportare, perch‚ quello straniero aveva risvegliato qualcosa che lei non aveva mai conosciuto:
l'amore. Quando suo figlio era caduto ammalato, aveva lottato contro tutto il vicinato affinch‚ lui
rimanesse nella sua casa.
Sapeva che, per lui, il Signore era pi— importante di tutto quello che accadeva sotto i cieli. Era
consapevole che si trattava di un sogno impossibile, giacch‚ l'uomo che le stava davanti avrebbe
potuto andarsene in quello stesso istante, versare il sangue di Gezabele e non tornare mai pi— per
raccontarle ci• che era accaduto.
Lei avrebbe comunque continuato ad amarlo, perch‚, per la prima volta nella vita, era consapevole di
che cosa fosse la libert…. Avrebbe potuto amarlo anche se lui non lo avesse mai saputo. Non aveva
bisogno del suo permesso per sentirne la mancanza, per pensare a lui tutto il giorno, per aspettarlo per
la cena, e per preoccuparsi di ci• che si stava tramando contro uno straniero.
Questa era libert…: sentire ci• che il cuore desiderava, indipendentemente dall'opinione degli altri. Si
era gi… battuta con gli amici e i vicini per difendere la presenza di quell'estraneo nella sua casa; non
c'era bisogno che lottasse contro se stessa.
Elia bevve un altro po'di vino, si scus• e si ritir• nella sua camera. Lei usc• nella strada, si rallegr•
vedendo il figlio che giocava davanti a casa e decise di fare una breve passeggiata.
Era libera, perch‚ l'amore rende liberi.
Elia rimase a lungo a fissare la parete della sua camera. Infine decise di invocare l'angelo.
"La mia anima Š in pericolo," disse.
Ma l'angelo era silenzioso. Elia fu in dubbio se continuare a parlare, ma ormai era troppo tardi: non
poteva invocarlo senza motivo.
"Quando sono davanti a questa donna, non mi sento bene."
"Al contrario," rispose l'angelo. "E questo ti infastidisce. Perch‚ potresti finire per amarla."
Elia prov• vergogna perch‚ l'angelo conosceva la sua anima.
"L'amore Š pericoloso," disse.
"Molto," rispose l'angelo. "E allora?"
Quindi scomparve.
Il suo angelo non aveva quei dubbi che gli tormentavano l'anima. S•, lui conosceva l'amore: aveva
visto il re di Israele abbandonare il Signore perch‚ Gezabele, una principessa di Sidone, aveva
conquistato il suo cuore. Narrava la tradizione che il re Salomone aveva perduto il trono a causa di
una donna straniera. Il re Davide aveva mandato a morte uno dei suoi migliori
amici perch‚ si era innamorato di sua moglie. A causa di Dalila, Sansone era stato catturato e i filistei
gli avevano strappato gli occhi.
Come poteva non conoscere l'amore? La storia era piena di esempi tragici. E anche se non avesse
conosciuto le Sacre Scritture, c'era l'esempio dei suoi amici, e degli amici degli amici, perduti in
lunghe notti di attesa e sofferenza. Se avesse avuto una moglie in Israele, difficilmente avrebbe
lasciato la sua citt… quando il Signore glielo aveva ordinato, e adesso sarebbe morto.
"Sto affrontando una battaglia inutile," pens•. "L'amore vincer… questa battaglia, e io l'amer• per il
resto dei miei giorni. Signore, rimandami in Israele, cos• che io non debba mai rivelare a questa
donna ci• che sento. Perch‚ lei non mi ama, e mi dir… che il suo cuore Š stato sepolto accanto al
corpo di suo marito eroe."
Il giorno dopo Elia si incontr• di nuovo con il comandante. Venne a sapere che erano state montate
altre tende.
"Qual Š l'attuale proporzione di guerrieri?" domand•.
"Io non do informazioni a un nemico di Gezabele."
"Sono il consigliere del governatore," rispose Elia. "Mi ha nominato suo aiutante ieri pomeriggio, ti Š
gi… stato comunicato e mi devi una risposta."
Il comandante ebbe l'impulso di porre fine alla vita di quello straniero.
"Gli assiri hanno due soldati per ciascuno dei nostri," rispose infine.
Elia sapeva che il nemico aveva bisogno di una forza molto superiore.
"Ci stiamo avvicinando al momento ideale per dare inizio ai negoziati di pace," disse. "Loro
capiranno che ci stiamo comportando in maniera generosa, e otterremo condizioni migliori. Qualsiasi
condottiero sa che, per conquistare una citt…, sono necessari cinque invasori per ogni difensore."
"Se non li attacchiamo adesso, raggiungeranno questa proporzione."
"Anche quando sar… completata la linea di rifornimenti, non avranno acqua sufficiente per tanti
uomini.
E allora sar… giunto il momento di mandare i nostri ambasciatori."
"Qual Š questo momento?"
"Aspettiamo che il numero dei guerrieri assiri aumenti ancora un po'. Quando la situazione sar…
divenuta insostenibile, essi saranno costretti ad attaccare; tuttavia, nella proporzione di tre o quattro
per ciascuno dei nostri, sanno che finiranno per essere sconfitti. A quel punto i nostri emissari
andranno a offrire la pace, il libero transito e la vendita dell'acqua. E'questa l'idea del governatore."
Il comandante non rispose, e lasci• che lo straniero si allontanasse. Anche se Elia fosse morto, il
governatore avrebbe potuto persistere in quell'idea. Giur• a se stesso che se la situazione fosse
arrivata a tal punto avrebbe ammazzato anche il governatore. E poi si sarebbe suicidato, perch‚ non
voleva assistere alla furia degli dŠi.
Ma mai, in nessuna maniera, avrebbe permesso che il suo popolo fosse tradito dal denaro.
"Fammi ritornare in terra di Israele, Signore," implorava Elia tutti i pomeriggi camminando nella
valle. "Non lasciare che il mio cuore sia imprigionato ad Akbar."
Seguendo un costume dei profeti che aveva conosciuto quando era bambino, cominci• a ferirsi con un
frustino ogni volta che pensava alla vedova. Le sue spalle si ricoprirono di piaghe, e per due giorni
delir• a causa della febbre. Quando si svegli•, la prima cosa che vide fu il viso della donna: stava
curando le sue ferite, cospargendole di unguento e olio di oliva. Siccome lui era molto debole per
scendere nella stanza a piano terra, saliva lei nella sua camera con il cibo.
Appena si sent• di nuovo bene, Elia riprese a vagare nella valle.
"Fammi ritornare in terra di Israele, Signore," diceva. "Il mio cuore Š imprigionato ad Akbar, ma il
mio corpo pu• ancora affrontare un viaggio."
Comparve l'angelo. Non era l'angelo del Signore, che aveva visto sulla cima della montagna, ma il
suo angelo custode, alla cui voce ormai era abituato.
"Il Signore ascolta le preghiere di coloro che chiedono di dimenticare l'odio. Ma Š sordo a chi vuole
sfuggire all'amore."
Ogni sera cenavano insieme tutti e tre. Come il Signore aveva promesso, non erano mai mancati la
farina nella giara e l'olio nell'orcio.
Di rado conversavano durante i pasti. Una sera, per•, il bambino domand•:
"Che cos'Š un profeta?"
"Qualcuno che continua a sentire le stesse voci che udiva da bambino. E che ancora vi crede. Cos•
pu• sapere ci• che pensano gli angeli."
"S•, io so di che cosa stai parlando," disse il bambino. "Ho degli amici che nessun altro vede."
"Non dimenticarli mai, anche se gli adulti dicono che Š una sciocchezza. Cos• saprai sempre ci• che
vuole Dio."
"Io conoscer• il futuro, come gli indovini di Babilonia," continu• il ragazzino.
"I profeti non conoscono il futuro. Trasmettono soltanto la parola che il Signore ispira loro nel
presente. Per questo io sono qui, senza sapere quando torner• nel mio paese. Egli non me lo dir…
prima di quanto sia necessario."
Gli occhi della donna si rattristarono. S•, un giorno lui sarebbe partito.
Elia non implorava pi— il Signore. Aveva deciso che, quando fosse giunto il momento di lasciare
Akbar, avrebbe portato via con s‚ la vedova e suo figlio. Ma non avrebbe detto niente finch‚ non
fosse arrivata l'ora.
Poteva darsi che lei non desiderasse andarsene. Poteva darsi che non avesse neanche capito ci• che lui
provava per lei, perch‚ lui stesso ci aveva messo molto tempo a comprenderlo. Se ci• fosse accaduto,
sarebbe stato meglio: avrebbe potuto dedicarsi totalmente a scacciare Gezabele e a ricostruire Israele.
La sua mente sarebbe stata troppo occupata per pensare all'amore.
"Il Signore Š il mio pastore," disse, ricordandosi di una vecchia preghiera del re Davide. "Rinfresca la
mia anima e mi conduce nei pressi delle acque riposanti."
"E non mi far… perdere il senso della mia vita," concluse con parole sue.
Un pomeriggio rincas• pi— presto del solito e trov• la vedova seduta sulla soglia.
"Che cosa stai facendo?"
"Non ho niente da fare," rispose lei.
"Allora impara qualcosa. In questo momento molte persone hanno gi… rinunciato a vivere. Non si
annoiano, non piangono, si limitano ad aspettare che il tempo passi. Non hanno accettato le sfide
della vita, e la vita non le sfida pi—. Tu corri questo pericolo: reagisci, affronta la vita, ma non
desistere."
"Adesso la mia vita ha di nuovo un senso," disse lei, con lo sguardo chino a terra. "Da quando sei
arrivato tu."
Per una frazione di secondo, egli sent• che avrebbe potuto dividere il proprio cuore con lei. Ma decise
di non rischiare: di sicuro la donna si stava riferendo a qualcos'altro.
"Comincia a fare qualcosa," la incoraggi•, cambiando argomento. "Cos• il tempo sar… un alleato, e
non un nemico."
"Che cosa posso imparare?"
Elia ci pens• sopra un po'.
"La scrittura di Biblo. Sar… utile, se un giorno dovrai viaggiare."
La donna decise quindi di dedicarsi a quello studio anima e corpo. Non aveva mai pensato di lasciare
Akbar, ma, dal modo come lui le parlava, era possibile che stesse pensando di portarla via con s‚.
Di nuovo si sent• libera. Di nuovo si svegli• all'alba, e percorse sorridendo le vie della citt….
"Elia Š ancora vivo," disse il comandante al sacerdote, due mesi dopo. "Non sei riuscito ad
assassinarlo."
"Non c'Š, in tutta Akbar, un solo uomo che voglia farsi carico di questa missione. L'israelita ha
confortato gli ammalati, visitato i prigionieri, nutrito gli affamati. Quando qualcuno ha una disputa da
risolvere con il vicino ricorre a lui, e tutti accettano i suoi giudizi, perch‚ sono giusti. Il governatore si
serve di lui per accrescere la propria popolarit…, ma nessuno se ne rende conto."
"I mercanti non desiderano la guerra. Se il governatore diventer… tanto popolare da riuscire a
convincere la popolazione che la pace Š la cosa migliore, non riusciremo mai pi— a scacciare gli
assiri. E'necessario che Elia sia ucciso immediatamente."
Il sacerdote indic• il Monte Cinque, la cui cima era sempre coperta di nuvole.
"Gli dŠi non permetteranno che il tuo paese sia umiliato da una forza straniera. Ci penseranno loro:
qualcosa accadr…, e noi sapremo approfittare dell'occasione."
"Che cosa?"
"Non lo so. Ma star• attento ai segnali. Non fornire pi— i dati corretti delle forze assire. Ogni volta
che ti
domanderanno qualcosa, rispondi che la proporzione dei guerrieri invasori Š ancora di quattro a uno.
E continua ad addestrare i tuoi soldati."
"Perch‚ devo farlo? Se raggiungeranno la proporzione di cinque a uno, saremo perduti."
"No: saremo in condizione di uguaglianza. Quando verr… il momento di combattere, tu non sarai in
lotta contro un nemico inferiore, e non potrai essere considerato come un codardo che abusa dei
deboli. L'esercito di Akbar affronter… un avversario altrettanto potente, e vincer… la battaglia, perch
‚ il suo comandante avr… elaborato la strategia migliore."
Stuzzicato dalla vanit…, il comandante accett• la proposta. E da quel momento cominci• a
nascondere le informazioni al governatore e a Elia.
Trascorsero altri due mesi. E, quel mattino, l'esercito assiro aveva raggiunto la proporzione di cinque
soldati per ogni difensore di Akbar. Avrebbero potuto attaccare in qualsiasi momento.
Gi… da diverso tempo Elia sospettava che il comandante mentisse riguardo alle forze nemiche, ma
ci• avrebbe finito per volgere a suo favore: quando la proporzione avesse raggiunto il punto cruciale,
sarebbe stato facile convincere la popolazione che la pace era l'unica via d'uscita.
Stava pensando a questo mentre si avviava nel punto della piazza dove, una volta ogni sette giorni,
soleva aiutare gli abitanti a risolvere le loro dispute. Generalmente si trattava di cose senza
importanza: litigi tra vicini, vecchi che non volevano pi— pagare le imposte, commercianti che si
ritenevano danneggiati negli affari.
Il governatore era gi… sul posto: era solito comparire di tanto in tanto, per vederlo in azione.
L'antipatia che Elia provava nei suoi confronti era scomparsa del tutto. Aveva scoperto che era un
uomo saggio, che si preoccupava di risolvere i problemi prima che si verificassero, anche se non
credeva nel mondo spirituale e aveva molta paura di morire. In varie occasioni aveva usato la propria
autorit… per conferire alla decisione di Elia valore di legge. Altre volte Elia si era trovato in
disaccordo su una sentenza ma poi, con il passare del tempo, aveva capito che il governatore aveva
ragione.
Akbar stava diventando un modello di citt… fenicia. Il governatore aveva creato un sistema di
imposte pi— giusto, aveva migliorato le vie della citt… e sapeva amministrare con intelligenza i
guadagni ottenuti con le tasse sulle mercanzie. C'era stato un periodo in cui Elia aveva chiesto che
fosse proibito il consumo di vino e di birra, perch‚ la maggior parte dei casi che era costretto a
risolvere riguardavano aggressioni di persone ubriache. Il governatore aveva detto allora che una
citt… era considerata grande solo quando accadevano questo genere di cose. Secondo la tradizione,
gli dŠi erano contenti quando gli uomini si divertivano alla fine di una giornata di lavoro, e
proteggevano gli ubriachi.
Oltretutto, la regione era famosa per la produzione di uno dei migliori vini del mondo, e gli stranieri
avrebbero diffidato se i suoi stessi abitanti non avessero consumato questo tipo di bevanda. Elia
aveva dunque rispettato la decisione del governatore e aveva infine convenuto che le persone allegre
producono meglio.
"Non c'Š bisogno che ti sforzi tanto," disse il governatore prima che Elia desse inizio al lavoro di quel
giorno. "Un assistente pu• aiutare a governare con le semplici opinioni."
"Ho nostalgia della mia terra, e desidero farvi ritorno. Fintanto che sono coinvolto in queste attivit…,
riesco a sentirmi utile e dimentico di essere uno straniero," rispose lui.
"E riesco a controllare meglio il mio amore per lei," pens•.
Il tribunale popolare contava adesso su un pubblico sempre attento a ci• che accadeva. La gente
cominci• ad arrivare: c'erano alcuni anziani, che non erano pi— in grado di lavorare nei campi e
venivano per applaudire o contestare le decisioni di Elia; altri erano invece direttamente interessati
agli argomenti che venivano trattati, o perch‚ ne erano stati vittime o perch‚ avrebbero potuto
ottenerne un qualche guadagno. C'erano anche donne e bambini che, non avendo da lavorare,
avevano bisogno di occupare il tempo libero.
Elia diede quindi inizio alle discussioni di quella mattina: il primo caso riguardava un pastore che
aveva sognato un tesoro nascosto vicino alle piramidi d'Egitto e aveva bisogno di denaro per recarsi
fin laggi—. Elia non era mai stato in Egitto, ma sapeva che era lontano, e gli disse che difficilmente
avrebbe ottenuto i mezzi necessari dagli altri. Ma, se avesse deciso di vendere le pecore e pagare il
prezzo del suo sogno, avrebbe sicuramente trovato ci• che cercava.
Si present• poi una donna che desiderava apprendere le arti magiche di Israele. Elia le spieg• che lui
non era un maestro, ma solo un profeta.
Mentre si accingeva, poi, a trovare una soluzione amichevole per il caso di un agricoltore che aveva
insolentito la moglie di un altro, un soldato scans• la folla davanti a s‚ e si diresse verso il governatore.
"Una pattuglia Š riuscita a catturare una spia," disse l'uomo che era appena giunto, tutto sudato. "La
stanno portando qua."
Un tremito percorse i presenti: era la prima volta che avrebbero assistito a un processo di questo tipo.
"A morte!" url• qualcuno. "A morte i nemici!"
Tutti i presenti mostrarono la loro approvazione con alte urla. In un baleno la notizia si diffuse per la
citt…, e la piazza si riemp• di gente. A fatica si riuscirono a concludere gli altri casi. C'era sempre
qualcuno che interrompeva Elia, chiedendo che lo straniero fosse portato subito in giudizio.
"In questo caso non posso giudicare io," rispondeva lui. "Questo spetta alle autorit… di Akbar."
"Che cosa sono venuti a fare qui, gli assiri?" chiedeva uno. "Non sanno che siamo in pace da
generazioni?"
"Perch‚ vogliono la nostra acqua?" grid• un altro. "Perch‚ minacciano la nostra citt…?"
Erano mesi che nessuno osava parlare in pubblico della presenza del nemico. Sebbene tutti avessero
visto un numero sempre crescente di tende comparire all'orizzonte, sebbene i mercanti ripetessero che
bisognava iniziare subito i negoziati di pace, il popolo di Akbar si rifiutava di credere che stavano
vivendo tutti sotto la minaccia di una invasione. Tranne che per qualche incursione di trib—
insignificanti, che venivano ben presto dominate, le guerre esistevano solo nella memoria dei
sacerdoti. Essi parlavano di una nazione chiamata Egitto, con cavalli e carri da guerra, e dŠi con
forme di animali. Ma ci• accadeva molto tempo prima, l'Egitto non era pi— un paese importante, e i
guerrieri dalla pelle scura e dalla strana lingua erano ormai ritornati nella loro terra. Adesso gli
abitanti di Tiro e Sidone dominavano i mari, e stavano creando nel mondo un nuovo impero. Sebbene
fossero guerrieri esperti, avevano scoperto una nuova maniera di lottare: il commercio.
"Perch‚ sono nervosi?" domand• il governatore a Elia.
"Perch‚ capiscono che qualcosa Š cambiato. Sappiamo bene tutti e due che, da ora in poi, gli assiri
possono attaccare in qualsiasi momento. Sappiamo bene tutti e due che il comandante ha mentito sul
numero delle truppe nemiche."
"Ma non sarebbe tanto pazzo da andarlo a dire a qualcuno. Potrebbe seminare il panico."
"Ogni uomo capisce quando si trova in pericolo: comincia a reagire in maniera strana, ad avere dei
presentimenti, a sentire qualcosa nell'aria. E tenta di ingannarsi, perch‚ pensa di non riuscire ad
affrontare la situazione. Finora tutti hanno tentato di ingannarsi; ma poi arriva un momento in cui Š
necessario affrontare la verit…."
Arriv• il sacerdote.
"Andiamo a palazzo per riunire il Consiglio di Akbar. Il comandante si sta gi… dirigendo l•."
"Non farlo," disse Elia a voce bassa, rivolto al governatore. "Ti forzeranno a fare ci• che tu non
desideri."
"Andiamo", insisteva il sacerdote. "Hanno catturato una spia, ed Š necessario prendere provvedimenti
urgenti."
"Pronuncia il giudizio in mezzo al popolo," sussurr• Elia. "La gente ti aiuter…, perch‚ desidera la
pace anche se sta chiedendo la guerra."
"Portate qui quell'uomo," intim• il governatore. La folla esplose in urla di gioia: per la prima volta,
avrebbe assistito a un consiglio.
"Questo non possiamo farlo!" disse il sacerdote. "E'un argomento delicato, che va risolto con la
massima tranquillit…."
Qualche fischio. Molte proteste.
"Portatelo qui," ripet‚ il governatore. "Il processo avverr… in questa piazza, in mezzo al popolo.
Abbiamo lavorato insieme per trasformare Akbar in una citt… prospera, e insieme giudicheremo
tutto quello che ci minaccia."
La decisione fu accolta con uno scoppio di applausi. Comparve un gruppo di soldati di Akbar che
trascinavano un uomo seminudo, coperto di sangue. Doveva essere stato bastonato prima di arrivare
l•.
Il frastuono cess•. E un pesante silenzio cal• sugli astanti: si poteva sentire il rumore dei maiali e dei
bambini che giocavano in un altro angolo della piazza.
"Perch‚ avete fatto questo al prigioniero?" url• il governatore.
"Ha cercato di reagire," rispose una delle guardie. "Ha detto che non Š una spia. E che Š venuto per
parlare con te."
Il governatore mand• a prendere tre sedie dal palazzo dove abitava. I suoi servitori portarono il
mantello della Giustizia che egli era solito usare ogniqualvolta c'era una riunione del Consiglio di
Akbar.
Il governatore e il sacerdote si sedettero. La terza sedia era riservata al comandante, che non era
ancora arrivato.
"Dichiaro solennemente aperto il tribunale della citt… di Akbar. Che gli anziani si avvicinino."
Un gruppo di vecchi si approssim• ai due, disponendosi a semicerchio dietro le sedie. Era il Consiglio
degli anziani: in tempi remoti, le sue opinioni venivano rispettate ed eseguite. In quei giorni, per•, il
suo ruolo era puramente decorativo: erano l• per accettare tutto quello che il governatore avesse
deciso.
Compiute alcune formalit…, come una preghiera agli dŠi del Monte Cinque e la declamazione del
nome di alcuni antichi eroi, il governatore si rivolse al prigioniero.
"Che cosa vuoi?" gli domand•.
L'uomo non rispose. Lo fissava in maniera strana, come se fosse un suo pari.
"Che cosa vuoi?" ripet‚ il governatore.
Il sacerdote gli sfior• il braccio.
"Abbiamo bisogno di un interprete. Non parla la nostra lingua."
Fu dato l'ordine, e una delle guardie si allontan• in
cerca di un commerciante che potesse fungere da interprete. I mercanti, infatti, non andavano mai ad
assistere alle riunioni di Elia: erano sempre intenti ai loro affari e a contare i profitti.
Mentre aspettavano, il sacerdote sussurr•:
"Lo hanno bastonato perch‚ hanno paura. Permettimi di condurre questo processo, e non dire niente:
il panico spinge tutti a essere aggressivi, e se non avremo autorit… potremmo perdere il controllo
della situazione."
Il governatore non rispose. Anche lui aveva paura. Cerc• Elia con gli occhi, ma, dal punto in cui era
seduto, non riusciva a vederlo.
Arriv• infine un commerciante, condotto a forza dalla guardia. Protest• contro il tribunale perch
‚ stava perdendo tempo, mentre aveva molti problemi da risolvere. Ma il sacerdote, guardandolo con
severit…, gli intim• di fare silenzio e di tradurre quanto sarebbe stato detto.
"Che cosa vuoi qui?" domand• il governatore.
"Non sono una spia," rispose l'uomo. "Sono uno dei generali dell'esercito. Sono venuto per
parlamentare con te."
Il pubblico, che fino ad allora era rimasto in silenzio assoluto, cominci• a urlare appena la frase fu
tradotta. Dicevano tutti che era una menzogna, e chiedevano la pena di morte immediata.
Il sacerdote chiese silenzio e si rivolse al prigioniero.
"Di che cosa desideri parlare?"
"Corre voce che il governatore sia un uomo saggio," afferm• l'assiro. "Noi non vogliamo distruggere
questa citt…: a noi interessano Tiro e Sidone. Ma Akbar si trova a met… strada e controlla questa
valle: se saremo costretti a combattere, perderemo tempo e uomini. Sono venuto a proporre un
accordo."
"Quest'uomo sta dicendo la verit…," pens• Elia. Aveva notato di essere circondato da un gruppo di
soldati che gli impedivano di vedere dove era seduto il governatore. "La pensa come noi. Il Signore
ha fatto il miracolo, e metter… fine a questa situazione pericolosa."
Il sacerdote si alz• e si rivolse al popolo urlando:
"Lo vedete? Essi vogliono distruggerci senza combattere!"
"Continua," disse il governatore.
Il sacerdote, per•, si intromise ancora una volta:
"Il nostro governatore Š un uomo buono, che non desidera versare il sangue di un solo uomo. Ma ci
troviamo in una situazione di guerra, e il condannato che avete davanti Š un nemico!"
"Ha ragione!" url• qualcuno dal pubblico.
Elia si rese conto, allora, dell'errore. Il sacerdote stava giocando con il pubblico, mentre il
governatore cercava soltanto di fare giustizia. Tent• di avvicinarsi, ma fu strattonato violentemente.
Uno dei soldati lo afferr• per un braccio.
"Tu aspetta qui. L'idea, in fondo, Š stata tua."
Si guard• alle spalle: era il comandante, e stava sorridendo.
"Non possiamo ascoltare nessuna proposta," prosegu• il sacerdote, lasciando trasparire l'emozione dai
gesti e dalle parole. "Accettando di negoziare, dimostreremo anche che abbiamo paura. Mentre il
popolo di Akbar Š coraggioso, ed Š in condizione di resistere a qualsiasi invasore."
"Questo Š un uomo che cerca la pace," afferm• il governatore, rivolgendosi alla folla.
Una voce disse:
"I mercanti ricercano la pace. I sacerdoti desiderano la pace. I governatori amministrano la pace. Ma
un esercito vuole soltanto una cosa: guerra!"
"Non vedete che siamo riusciti ad affrontare la minaccia religiosa di Israele senza nessuna guerra?"
sbrait• il governatore. "Non abbiamo inviato eserciti, n‚ navi, ma Gezabele. E adesso adorano Baal, e
non c'Š stato nessun bisogno di sacrificare un solo uomo sul fronte di battaglia."
"Loro non hanno mandato una bellissima donna, ma i loro guerrieri!" url• pi— forte il sacerdote.
Il popolo chiedeva a gran voce la morte dell'assiro. Il governatore trattenne il sacerdote per un
braccio:
"Siediti," gli disse. "Ti stai spingendo troppo oltre."
"L'idea del processo pubblico Š stata tua. O meglio: di quel traditore israelita, che sembra comandare
gli atti del governatore di Akbar."
"Con lui me la vedr• poi. Adesso dobbiamo sapere che cosa vuole questo assiro. Per molte
generazioni gli uomini hanno cercato di imporre la propria volont… con la forza: dicevano ci• che
volevano, ma non si curavano di sapere ci• che pensava il popolo, e tutti questi imperi alla fine sono
stati distrutti. Il nostro popolo Š cresciuto perch‚ ha imparato ad ascoltare: cos• abbiamo sviluppato il
commercio, ascoltando ci• che l'altro desidera e facendo il possibile per ottenerlo. Il risultato Š il
guadagno."
Il sacerdote tentenn• il capo.
"Le tue parole sembrano sagge, ed Š questo il peggiore di tutti i pericoli. Se stessi dicendo delle
sciocchezze, sarebbe facile provare che sei in errore. Ma le cose che hai appena detto ci conducono a
una trappola."
Le persone che si trovavano in prima fila assistevano alla discussione. Fino a quel momento, il
governatore aveva sempre cercato di prestare ascolto all'opinione del Consiglio, e Akbar godeva di
una reputazione eccellente. Tiro e Sidone avevano inviato degli emissari per osservare come era
amministrata. Il suo nome era giunto perfino alle orecchie dell'imperatore e, con un poco di fortuna,
avrebbe potuto finire i suoi giorni come ministro di corte.
Quel giorno, per•, la sua autorit… era stata sfidata pubblicamente. Se non avesse preso una decisione,
avrebbe perduto il rispetto del popolo. E non sarebbe pi— stato in grado di prendere decisioni
importanti, perch‚ nessuno gli avrebbe obbedito.
"Continua," disse al prigioniero, ignorando lo sguardo infuriato del sacerdote e pretendendo che
l'interprete traducesse la sua domanda.
"Sono venuto a proporvi un affare," ribad• l'assiro. Voi ci lascerete passare e noi marceremo contro
Tiro e Sidone. Quando queste due citt… saranno sconfitte, e lo saranno di certo, perch‚ gran parte dei
loro guerrieri Š sulle navi, impegnata nel commercio, noi saremo generosi con Akbar. E manterremo
te come governatore."
"Vedete?" disse il sacerdote, alzandosi di nuovo. "Pensano che il nostro governatore possa scambiare
l'onore di Akbar per un carico di merci."
La folla cominci• a urlare di rabbia. Quel prigioniero seminudo e ferito voleva imporre le proprie
regole! Un uomo sconfitto che proponeva la resa della citt…! Alcuni si alzarono per aggredirlo, e
solo a gran fatica le guardie riuscirono a dominare la situazione.
"Aspettate!" disse il governatore, cercando di sovrastare gli altri con la propria voce. "Abbiamo
davanti a noi un uomo indifeso, che non ci pu• fare paura. Sappiamo che il nostro esercito Š pi—
preparato, e che i nostri guerrieri sono pi— valorosi. Non abbiamo bisogno di dimostrare niente a
nessuno. Se decideremo di
lottare, vinceremo il combattimento, ma le perdite saranno enormi."
Elia chiuse gli occhi, e preg• affinch‚ il governatore riuscisse a convincere il popolo.
"I nostri antenati ci parlavano dell'impero egizio, ma quei tempi ormai sono finiti," prosegu•. "Adesso
stiamo tornando all'Et… dell'Oro, i nostri genitori e i nostri nonni hanno potuto sperimentare la pace.
Perch‚ dobbiamo essere noi a rompere questa tradizione? Le guerre moderne si intraprendono con il
commercio, e non sui campi di battaglia."
A poco a poco la folla si zitt•. Il governatore ci stava riuscendo!
Quando il rumore cess• del tutto, egli si rivolse all'assiro.
"Non basta ci• che ci stai proponendo. Dovrete pagare le tasse che pagano i mercanti per attraversare
i nostri territori."
"Credimi, governatore: non avete scelta," rispose il prigioniero. "Abbiamo uomini a sufficienza per
radere al suolo questa citt… e uccidere tutti i suoi abitanti. Voi siete in pace da lungo tempo, e non
sapete pi— come si combatte, mentre noi stiamo conquistando il mondo."
Fra gli astanti ricominciarono i mormorii. Elia pensava: "Adesso lui non pu• mostrarsi insicuro." Ma
cominciava a essere difficile contrastare il prigioniero assiro che, sia pure soggiogato, imponeva le
proprie condizioni. Continuava ad arrivare gente. Elia not• che i commercianti avevano abbandonato
il lavoro e adesso facevano parte del pubblico, preoccupati per l'evolversi degli avvenimenti. Il
processo aveva acquistato una importanza pericolosa: non c'era pi— modo di sottrarsi a una
decisione, che fosse il negoziato o la morte.
Gli spettatori cominciarono a dividersi; alcuni sostenevano la pace, altri pretendevano che Akbar
resistesse. Il governatore sussurr• al sacerdote:
"Quest'uomo mi ha sfidato pubblicamente. Ma anche tu lo hai fatto."
Il sacerdote si volse verso di lui. E, parlando in maniera che nessuno potesse sentirlo, gli intim• di
condannare immediatamente l'assiro a morte.
"Non te lo sto chiedendo, lo pretendo. Sono io che ti mantengo al potere, e posso mettervi fine in
qualsiasi momento io voglia, hai capito? Conosco i sacrifici in grado di placare l'ira degli dŠi, quando
ci troviamo costretti a sostituire la famiglia al governo. Non sar… la prima volta: persino in Egitto, in
un impero che Š durato millenni, molte volte le dinastie sono state sostituite. E l'Universo ha
comunque mantenuto il proprio ordine, e il cielo non ci Š crollato addosso."
Il governatore impallid•.
"Il comandante si trova in mezzo al pubblico, con alcuni dei suoi soldati. Se insisti nel negoziare con
quest'uomo, dir• a tutti che gli dŠi ti hanno abbandonato. E sarai deposto. Adesso continueremo il
processo: e tu farai esattamente quello che ti ho ordinato."
Se Elia gli fosse stato vicino, il governatore avrebbe avuto un'altra via d'uscita: avrebbe chiesto al
profeta di annunciare che aveva visto un angelo sulla vetta del Monte Cinque, proprio come gli aveva
raccontato. Avrebbe rammentato la storia della resurrezione del figlio della vedova. E sarebbe stata la
parola di Elia, che si era gi… dimostrata capace di compiere miracoli, contro la parola di un uomo
che non aveva mai mostrato di possedere alcun tipo di potere soprannaturale.
Ma Elia lo aveva abbandonato, e lui non aveva altra scelta. Oltretutto si trattava soltanto di un
prigioniero, e nessun esercito del mondo d… inizio a una guerra perch‚ ha perduto un soldato.
"Questa volta hai vinto," disse al sacerdote. Un giorno avrebbe negoziato qualcosa in cambio.
Il sacerdote annu• con il capo. E il verdetto fu pronunciato subito dopo.
"Nessuno pu• sfidare Akbar," afferm• il governatore. "E nessuno entrer… nella nostra citt… senza il
permesso del popolo. Tu hai tentato di farlo e sei pertanto condannato a morte."
Nel punto in cui si trovava, Elia abbass• gli occhi. Il comandante sorrideva.
Il prigioniero, accompagnato da una folla sempre pi— numerosa, fu condotto fino a uno spiazzo
adiacente alle mura. L• gli strapparono quanto restava dei suoi abiti e lo lasciarono nudo. Uno dei
soldati lo spinse in un avvallamento del terreno. La popolazione si accalc• intorno al fossato. E si
spintonavano gli uni con gli altri, per vedere meglio.
"Un soldato indossa con orgoglio il proprio abbigliamento da guerra, e si rende visibile al nemico,
perch‚ ha coraggio. Ma una spia si veste da donna, perch‚ Š vigliacco," url• il governatore, affinch
‚ tutti lo udissero. "Perci• io ti condanno a lasciare questa vita senza la dignit… degli uomini
valorosi."
Il popolo fischi• all'indirizzo del prigioniero e applaud• il governatore.
Il prigioniero cercava di dire qualcosa, ma l'interprete non era pi— nelle vicinanze, e nessuno riusciva
a capirlo. Elia riusc• a farsi strada e ad avvicinarsi al governatore, ma ormai era tardi. Quando gli
sfior• il mantello, fu respinto con violenza.
"La colpa Š tua. Hai voluto un processo pubblico."
"La colpa Š tua," gli rispose Elia. "Anche se il Consiglio di Akbar si fosse riunito segretamente, il
comandante e il sacerdote avrebbero fatto ci• che volevano.
Io sono stato circondato dalle guardie durante tutto il giudizio. Avevano gi… pianificato ogni cosa."
Dettava il costume che spettasse al sacerdote scegliere la durata del supplizio. Egli dunque si chin•,
afferr• una pietra e la porse al governatore: non era tanto grande da consentire una morte rapida, n
‚ tanto piccola da prolungare la sofferenza per lungo tempo.
"Prima tu."
"Io ci sono costretto," disse il governatore a voce bassa, in modo da farsi sentire solo dal sacerdote.
"Ma so che Š la strada sbagliata."
"In tutti questi anni, mi hai forzato ad assumere gli atteggiamenti pi— duri, mentre tu sfruttavi il
favore delle decisioni che accontentavano il popolo," rispose il sacerdote, anche lui a voce bassa. "Ho
dovuto affrontare il dubbio e la colpa, e ho trascorso notti insonni, perseguitato dai fantasmi degli
errori che potevo aver commesso. Ma non mi sono mai sentito un codardo, e oggi Akbar Š una citt…
invidiata dal mondo intero."
I presenti cercarono altre pietre della dimensione scelta. E per un po'di tempo, tutto ci• che si ud• fu il
rumore dei sassi e delle rocce che si urtavano gli uni contro le altre. Il sacerdote prosegu•:
"Posso avere sbagliato nel condannare a morte quest'uomo. Ma sono sicuro per quanto riguarda
l'onore della nostra citt…: non siamo dei traditori."
Il governatore alz• la mano e scagli• la prima pietra, che il prigioniero riusc• a schivare. Subito dopo,
per•, la folla, fra urla e fischi, cominci• a lapidarlo.
L'uomo tentava di coprirsi il volto con le braccia, e le pietre lo colpivano al petto, alle spalle, allo
stomaco. Il governatore voleva andarsene: aveva gi… assistito a quello spettacolo varie volte, sapeva
che era una morte lenta e dolorosa, che il viso gli si sarebbe trasformato in una poltiglia di ossa,
capelli e sangue, che gli uomini avrebbero continuato a scagliare le pietre anche dopo che la vita
avesse abbandonato quel corpo.
Nel giro di qualche minuto, il prigioniero avrebbe cessato di difendersi e abbassato le braccia; se
fosse stato un uomo buono durante questa vita, gli dŠi avrebbero guidato una delle pietre, che
avrebbe colpito la parte centrale del cranio, facendolo svenire. Altrimenti, se aveva commesso delle
cattiverie, sarebbe rimasto cosciente fino al momento estremo.
La folla urlava, scagliava le pietre con ferocia crescente, e il condannato cercava di difendersi come
poteva. Tutt'a un tratto, per•, spalanc• le braccia e attacc• a parlare in una lingua che tutti riuscivano a
capire. Sorpresa, la folla interruppe la lapidazione.
"Viva l'Assiria!" url•. "Adesso io sto contemplando l'immagine del mio popolo, e muoio felice, perch
‚ muoio come un generale che ha tentato di salvare la vita dei propri guerrieri. Andr• a raggiungere
gli dŠi, e sono contento perch‚ so che conquisteremo questa terra!"
"Hai visto?" disse il sacerdote. "Ha sentito e capito tutta la nostra conversazione durante il processo!"
Il governatore si dichiar• d'accordo. Quell'uomo parlava la loro lingua, e adesso sapeva che c'erano
delle divisioni nel Consiglio di Akbar.
"Io non sono all'inferno, perch‚ la vista dei miei genitori mi concede dignit… e forza. La vista dei
miei genitori mi d… gioia! Viva l'Assiria!" url• di nuovo.
Ripresasi dallo stupore, la folla ricominci• a lanciare pietre. L'uomo rimase con le braccia spalancate,
senza fare il minimo tentativo di difendersi: era un guerriero valoroso. Qualche secondo dopo, la
misericordia degli dŠi si rese manifesta: una pietra lo colp• in fronte, e lui svenne.
"Adesso possiamo andarcene," disse il sacerdote. "Al popolo di Akbar spetter… il compito di
concludere l'impresa."
Elia non torn• a casa della vedova. Prese a vagare nel deserto, senza sapere esattamente dove andare.
"Il Signore non ha fatto nulla," diceva rivolto alle piante e alle rocce. "E avrebbe potuto farlo."
Si pentiva della decisione presa, e si riteneva colpevole per la morte di un altro uomo. Se avesse
accettato l'idea che il Consiglio di Akbar si riunisse segretamente, il governatore avrebbe potuto
condurlo con s‚. In quel caso, sarebbero stati loro due contro il sacerdote e il comandante. Le
possibilit… sarebbero state scarse, ma senz'altro maggiori che non in quel processo pubblico.
E per di pi— era stato colpito dal modo in cui il sacerdote si era rivolto alla folla. Sia pure
discordando da tutto quello che aveva detto, doveva riconoscere che si trattava di qualcuno che
sapeva benissimo come si comporta un capo. Avrebbe cercato di ricordarsi ogni dettaglio di quello
che aveva visto, giacch‚ un giorno, in Israele, avrebbe dovuto affrontare il re e la principessa di Tiro.
Vag• senza meta, guardando le montagne, la citt… e l'accampamento assiro in lontananza. Lui era
soltanto un punto in quella valle, e intorno aveva un mondo immenso: un mondo talmente grande
che, anche se avesse viaggiato per tutta la vita, non sarebbe mai riuscito ad arrivare nel punto in cui
finiva. I suoi amici, e i suoi nemici, forse comprendevano meglio la terra su cui vivevano: potevano
arrivare fino a paesi lontani,
solcare i mari sconosciuti, amare senza colpa una donna. Nessuno di loro sentiva pi— gli angeli
dell'infanzia, n‚ si proponeva di lottare in nome del Signore. Essi vivevano la propria esistenza
basandosi sul presente, ed erano felici.
Era anche lui un essere come tutti gli altri: e in quel momento, mentre passeggiava per la valle,
desiderava pi— di ogni altra cosa di non aver mai sentito la voce del Signore e dei suoi angeli.
Ma la vita non Š fatta di desideri, bens• degli atti di ogni singolo. Gli sovvenne che aveva gi… tentato
pi— volte di rinunciare alla propria missione, e invece era ancora l•, in mezzo a quella valle, perch‚ il
Signore lo aveva preteso.
"Avrei potuto essere un semplice carpentiere, mio Dio, e sarei stato ancora utile al Tuo lavoro."
Ma Elia era l•, e stava compiendo ci• che gli era stato richiesto, portando su di s‚ il peso della guerra
futura, il massacro dei profeti da parte di Gezabele, la lapidazione del generale assiro, la paura del
proprio amore per una donna di Akbar. Il Signore gli aveva dato un dono, e lui non sapeva che cosa
farsene.
In mezzo alla valle comparve la luce. Non era l'angelo custode, che sentiva sempre ma che di rado
vedeva. Era un angelo del Signore, accorso per confortarlo.
"Qui non posso fare nient'altro," disse Elia. "Quando torner• in Israele?"
"Quando avrai imparato a ricostruire," rispose l'angelo. "Ma ricordati di quello che Dio ha insegnato a
MosŠ prima di una lotta. Sfrutta ogni momento, perch‚ dopo tu non debba pentirtene, e non avere la
sensazione di avere perduto la tua giovent—. A ogni et…, il Signore concede all'uomo le proprie
inquietudini."
"Disse il Signore a MosŠ:
'Non abbiate paura, non perdetevi d'animo prima del combattimento, non terrorizzatevi davanti ai
vostri nemici. L'uomo che ha piantato una vigna e non ne ha ancora goduto, che lo faccia subito, perch
‚ non muoia nella lotta, e un altro se la goda. L'uomo che ama una donna e non l'ha ancora avuta, che
vada e torni alla sua casa, perch‚ non muoia nella lotta e un altro la abbia.'" 6
Elia continu• a camminare per qualche tempo, cercando di capire ci• che aveva sentito. Mentre si
accingeva a fare ritorno ad Akbar, si accorse che la donna amata era seduta su una pietra, davanti al
Monte Cinque, a pochi minuti di cammino dal punto in cui si trovava lui.
"Che cosa fa l•? Che sappia del processo, della condanna a morte, e dei rischi che abbiamo corso?"
pens•.
Doveva avvisarla immediatamente. Decise di avvicinarsi.
La donna not• la sua presenza, e lo salut•. Sembrava che Elia avesse dimenticato le parole dell'angelo,
perch‚ l'insicurezza lo riassal• di colpo. Cerc• di fingersi assorto nei problemi della citt…, perch‚ lei
non notasse quanto il suo cuore e la sua mente erano confusi.
"Che cosa fai qui?" domand• appena le fu vicino.
"Sono venuta a cercare un po'di ispirazione. La scrittura che sto imparando mi ha fatto pensare al
disegno delle valli, dei monti, della citt… di Akbar. Alcuni commercianti mi hanno dato le tinte di
tutti i colori, perch‚ desiderano che scriva per loro. Ho pensato di usarle per descrivere il mondo in
cui vivo, ma so che Š difficile: anche se possiedo i colori, soltanto il Signore riesce a mescolarli con
tanta armonia."
E mantenne lo sguardo fisso sul Monte Cinque. Era una persona del tutto diversa da quella che Elia
aveva incontrato mesi addietro, mentre raccoglieva legna alle porte della citt…. La sua presenza
solitaria, in mezzo al deserto, gli ispirava fiducia e rispetto.
"Perch‚ tutti gli altri monti hanno un nome, eccetto il Monte Cinque, che viene indicato con un
numero?" domand• Elia.
"Per non creare dispute fra gli dŠi," rispose lei. "Narra la tradizione che, se l'uomo avesse dato a
quella montagna il nome di un dio particolare, gli altri si sarebbero infuriati e avrebbero distrutto la
terra. Perci• si chiama Monte Cinque. Perch‚ Š il quinto che vediamo al di l… delle mura. Cos• non
offendiamo nessuno, e l'Universo Š sempre al suo posto."
Rimasero in silenzio per un po'. Un silenzio che fu interrotto dalla donna:
"Oltre a riflettere sui colori, penso anche al pericolo della scrittura di Biblo. Potrebbe offendere gli
dŠi fenici, e il Signore Dio nostro."
"Esiste soltanto il Signore," la interruppe Elia. "E tutti i paesi civili hanno una propria scrittura."
"Ma Š diverso. Quando ero bambina, solevo recarmi in piazza per assistere al lavoro che il pittore di
parole faceva per i mercanti. I suoi disegni, basati sulla scrittura egizia, richiedevano perizia e
conoscenze. Adesso l'antico e potente Egitto Š in decadenza, non ha denaro per comprare niente, e
nessuno utilizza pi— il suo linguaggio. I naviganti di Tiro e Sidone stanno diffondendo la scrittura di
Biblo in tutto il mondo. Le parole e le cerimonie sacre si possono mettere su tavolette di creta e
trasmettere da un popolo all'altro. Che ne sar… del mondo, se degli uomini senza scrupoli
cominceranno a usare i rituali per interferire nell'Universo?"
Elia comprendeva ci• che la donna stava dicendo. La scrittura di Biblo era basata su un sistema molto
semplice: bastava trasformare in disegni egizi i suoni e poi designare una lettera per ogni suono.
Mettendo in ordine queste lettere, si poteva creare ogni suono possibile, e descrivere tutto quello che
esisteva nell'Universo.
Alcuni di questi suoni erano molto difficili da pronunciare. La difficolt… era stata risolta dai greci,
che avevano aggiunto altre cinque lettere, chiamate vocali, ai venti e pi— caratteri di Biblo. Avevano
chiamato questo adattamento con il nome di alfabeto, un termine che adesso era usato per definire la
nuova forma di scrittura.
Ci• aveva facilitato molto il contatto commerciale fra le diverse culture. Il sistema egizio richiedeva
molto spazio e abilit… per disegnare le idee, e una profonda conoscenza per interpretarle. Era stato
imposto ai popoli conquistati, ma non era riuscito a sopravvivere alla decadenza dell'impero. Il
sistema di Biblo, invece, si stava diffondendo rapidamente nel mondo, e la sua adozione non
dipendeva pi— dalla forza economica della Fenicia.
Il metodo di Biblo, con l'adattamento greco, era gradito ai mercanti delle diverse nazioni: come
accadeva fin dall'antichit…, erano loro che decidevano ci• che doveva perdurare nella Storia, e ci•
che scompariva con la morte di quel re o di quel personaggio. Tutto stava a indicare che l'invenzione
fenicia fosse destinata a essere il linguaggio comune degli affari, sopravvivendo ai suoi navigatori, ai
suoi re, alle sue seducenti principesse, ai suoi produttori di vini, ai suoi maestri vetrai.
"Dio scomparir… dalle parole?" domand• la donna.
"Vi sar… sempre," rispose Elia. "Ma ciascuno sar… responsabile davanti a Lui, per tutto ci• che
scriver…."
La donna estrasse dalla manica una tavoletta di creta, con qualcosa scritto sopra.
"Che cosa significa?" domand• Elia.
"E'la parola amore."
Elia trattenne la tavoletta fra le mani, senza avere il coraggio di domandarle perch‚ mai lei gliela
avesse data. Su quel pezzo di argilla, quei pochi tratti riassumevano il motivo per cui le stelle erano
ancora nel cielo e gli uomini sulla terra.
Fece per restituirgliela, ma lei la respinse.
"L'ho scritto per te. Sono consapevole della tua responsabilit…. So che un giorno dovrai partire, e che
ti trasformerai in un nemico del mio paese, giacch‚ vuoi annientare Gezabele. Quel giorno, pu• darsi
che io sar• al tuo fianco, dandoti sostegno e appoggio perch‚ tu riesca al meglio nel tuo compito. O
pu• darsi che lotti contro di te, perch‚ il sangue di Gezabele Š il sangue del mio paese. Questa parola,
che adesso hai fra le mani, Š densa di misteri. Nessuno pu• sapere ci• che risveglia nel cuore di una
donna, neanche i profeti che parlano con Dio."
"Conosco la parola che hai scritto," disse Elia, serbando la tavoletta sotto il mantello. "Ho lottato
contro di lei giorno e notte, perch‚, sebbene io non sappia ci• che risveglia nel cuore di una donna, so
che cosa pu• fare a un uomo. Ho abbastanza coraggio per affrontare il re di Israele, la principessa di
Sidone, il Consiglio di Akbar, ma quest'unica parola, amore, suscita in me un profondo terrore. Prima
che la disegnassi su questa tavoletta, i tuoi occhi l'avevano gi… scritta nel mio cuore."
Rimasero tutti e due in silenzio. C'era la morte dell'assiro, il clima di tensione in citt…, la chiamata
del Signore che poteva avvenire da un momento all'altro: ma la parola che lei aveva scritto era pi—
potente di tutto questo.
Elia le tese la mano e lei gliela strinse. E rimasero cos• finch‚ il sole si nascose dietro il Monte
Cinque.
"Grazie," disse lei mentre tornavano indietro. "Era da tempo che desideravo assistere a un tramonto
insieme a te."
Quando arrivarono a casa, un emissario del governatore li stava aspettando. Chiedeva a Elia di
incontrarlo immediatamente.
"Hai ricambiato il mio sostegno con la vigliaccheria," disse il governatore. "Cosa devo fare con la tua
vita?"
"Non vivr• un secondo di pi— di quanto il Signore desidera," rispose Elia. "E'Lui che decide, non tu."
Il governatore fu sorpreso dal coraggio di Elia.
"Potrei farti decapitare all'istante. O trascinarti per le strade della citt…, dicendo che hai portato la
maledizione sul nostro popolo," continu•. "E in tal caso non sarebbe una decisione del tuo Dio Unico."
"Ci• che Š scritto nel mio destino, accadr…. Ma voglio che tu sappia che non sono fuggito: i soldati
del comandante mi hanno impedito di avvicinarmi a te. Egli desidera la guerra, e far… di tutto per
ottenerla."
Il governatore decise di non perdere altro tempo in quella discussione inutile. Doveva spiegare il
piano al profeta israelita.
"Non Š il comandante colui che desidera la guerra. Da buon militare, egli Š cosciente che il suo
esercito Š inferiore, che non ha esperienza, e sar… decimato dal nemico. Da uomo d'onore, sa che
rischia di essere motivo di vergogna per i suoi discendenti. Ma l'orgoglio e la vanit… gli hanno
indurito il cuore.
"Egli pensa che il nemico abbia paura. Non sa che i guerrieri assiri sono bene addestrati: appena
entrano
nell'esercito, piantano un albero, e tutti i giorni saltano sopra il punto in cui si trova il seme. Il seme si
trasforma in germoglio, e loro vi saltano sopra. Il germoglio si trasforma in pianta, e loro continuano
a saltarvi sopra. Non si infastidiscono, n‚ la ritengono una perdita di tempo. A poco a poco l'albero
cresce, e i guerrieri continuano a saltare sempre pi— in alto. Si preparano con pazienza e dedizione
agli ostacoli.
"Sono abituati a conoscere bene ogni sfida. Ci stanno osservando da mesi."
Elia interruppe il governatore:
"A chi interessa la guerra?"
"Al sacerdote. L'ho capito durante il processo del prigioniero assiro."
"Per quale motivo?"
"Questo non lo so. Ma Š stato abile quanto bastava per convincere il comandante e il popolo. Adesso
la citt… Š tutta dalla sua parte, e io vedo solo una via d'uscita alla difficile situazione in cui ci
troviamo."
Fece una lunga pausa, fissando l'israelita negli occhi.
"Tu."
Il governatore si mise a camminare avanti e indietro, parlando in maniera concitata e mettendo in
mostra il proprio nervosismo.
"Anche i commercianti desiderano la pace, ma non possono fare nulla. Inoltre si sono arricchiti
quanto basta per insediarsi in qualche altra citt…, o aspettare che i conquistatori comincino ad
acquistare i loro prodotti. Il resto della popolazione ha perduto la ragione, e chiede di attaccare un
nemico infinitamente superiore. L'unica cosa che pu• convincerli a cambiare idea Š un miracolo."
Elia si irrigid•.
"Un miracolo?"
"Tu hai resuscitato un bambino che la morte aveva
gi… portato via. Hai aiutato il popolo a trovare la propria strada, e, sebbene tu sia straniero, sei amato
da quasi tutti."
"Cos• era la situazione fino a questa mattina," disse Elia. "Ma adesso Š cambiata: nell'atmosfera che
mi hai appena descritto, chiunque difenda la pace sar… considerato un traditore."
"Non voglio che tu difenda nulla. Voglio che tu faccia un miracolo impressionante come la
resurrezione di quel bambino. Poi dirai al popolo che la pace Š l'unica via d'uscita, e il popolo ti
ascolter…. Il sacerdote perder… tutto il potere che possiede."
Segu• un momento di silenzio. Il governatore prosegu•:
"Sono pronto a stipulare un accordo: se farai ci• che ti chiedo, la religione del Dio Unico sar…
obbligatoria ad Akbar. Tu compiacerai cos• Colui che servi, e io riuscir• a negoziare le condizioni di
pace."
Elia sal• al piano superiore della casa, dove si trovava la sua camera. Aveva fra le mani, in quel
momento, un'occasione che nessun profeta aveva mai avuto prima: convertire una citt… fenicia.
Sarebbe stata la maniera pi— dolorosa di mostrare a Gezabele che c'era un prezzo da pagare per
quello che aveva fatto nel suo paese.
Era eccitato per la proposta del governatore. Pens• addirittura di svegliare la donna che dormiva al
piano terreno, ma poi cambi• idea: probabilmente lei stava sognando quel bellissimo pomeriggio che
avevano trascorso insieme.
Invoc• allora l'angelo. E questi comparve:
"Hai sentito la proposta del governatore?" gli domand• Elia. "E'un'occasione unica."
"Non c'Š mai un'occasione unica," rispose l'angelo. "Il Signore concede agli uomini molte
opportunit…. Inoltre, rammentati di quello che ti Š stato detto: nessun altro miracolo ti sar…
permesso fino a quando non ritornerai in seno alla tua patria."
Elia chin• il capo. In quel momento comparve l'angelo del Signore e fece tacere il suo angelo custode.
E disse:
"Ecco il tuo prossimo miracolo:
'Riunirai tutto il popolo davanti alla montagna. Da un
lato, ordinerai che sia eretto un altare a Baal, e vi sar… deposto un giovenco. Dall'altro, erigerai un
altare al Signore Dio tuo, e anche su di esso deporrai un giovenco.
'E dirai agli adoratori di Baal: "Invocate il nome del vostro dio, mentre io invocher• il nome del
Signore." Lascia che siano loro a farlo per primi, e che trascorrano tutta la mattina pregando e
invocando, chiedendo che Baal discenda per ricevere ci• che gli viene offerto.
'Essi invocheranno a voce alta, e si feriranno coi loro stessi pugnali, e chiederanno che il giovenco sia
accolto dal dio, ma non accadr… nulla.
'Quando si stancheranno, riempirai di acqua quattro orci e la verserai sopra il tuo giovenco. Questo lo
farai una seconda volta. E lo rifarai anche una terza. Poi invocherai il Dio di Abramo, di Isacco e di
Israele, chiedendogli di mostrare a tutti il Suo potere.
'In quel momento il Signore invier… il fuoco del cielo, e consumer… il tuo sacrificio.'" 7
Elia si inginocchi• e rese grazie.
"Tuttavia," prosegu• l'angelo, "questo miracolo si pu• realizzare una sola volta nella tua vita. Scegli tu
se desideri farlo qui, per evitare una battaglia, o se vuoi compierlo nella tua terra, per liberare la tua
gente dalla minaccia di Gezabele."
E l'angelo del Signore scomparve.
La donna si svegli• presto e vide Elia seduto sulla soglia della porta. I suoi occhi erano incavati, come
quelli di chi non ha dormito.
Avrebbe voluto domandargli che cosa era successo la notte precedente, ma temeva la risposta. Era
possibile che la notte insonne fosse stata provocata dalla conversazione con il governatore, e dalla
minaccia della guerra. Ma poteva esserci qualche altro motivo: la tavoletta di creta che gli era stata
donata. Quindi, se avesse provocato una discussione, rischiava di sentirsi dire che l'amore di una
donna non rientrava nei disegni di Dio.
"Vieni a mangiare qualcosa," fu il suo unico commento.
Anche il figlio si svegli•. Si sedettero tutti e tre a tavola, e mangiarono.
"Mi sarebbe piaciuto rimanere con te, ieri," disse Elia. "Ma il governatore aveva bisogno di me."
"Non ti preoccupare per lui," disse la donna, sentendo che il cuore cominciava a tranquillizzarsi. "La
sua famiglia governa su Akbar da generazioni, e sapr… che cosa fare davanti al pericolo."
"Ho parlato anche con un angelo. E mi ha chiesto una decisione molto difficile."
"Non devi agitarti nemmeno per via degli angeli.
Forse Š meglio credere che gli dŠi cambiano con il tempo. I miei antenati adoravano gli dŠi egizi,
che avevano forme di animali. Questi dŠi, poi, se ne sono andati, e fino a quando non sei arrivato tu,
sono stata educata a fare sacrifici ad Asherat, El, Baal e a tutti gli abitanti del Monte Cinque. Adesso
ho conosciuto il Signore, ma pu• darsi che anche lui un giorno ci lasci, e che i prossimi dŠi siano
meno esigenti."
Il bambino le chiese un po'di acqua. Non ce n'era.
"Vado a prenderla," disse Elia.
"Voglio venire con te," lo preg• il bambino.
Cos• si avviarono tutti e due verso il pozzo. Strada facendo, passarono accanto al luogo dove il
comandante addestrava, fin dalle prime ore del giorno, i suoi soldati.
"Fermiamoci a guardare per un po'," disse il ragazzo. "Io far• il soldato, quando sar• grande."
Elia lo accontent•.
"Chi di noi Š il migliore nell'uso della spada?" domandava un guerriero.
"Recati nel luogo dove ieri Š stata lapidata quella spia", disse il comandante. "Prendi una pietra
alquanto grande e insultala."
"Perch‚ devo farlo? La pietra non mi risponder…."
"Allora attaccala con la spada."
"La mia spada si spezzer…," disse il soldato. "E non Š questo che ti ho domandato. Io voglio sapere
chi Š migliore nell'uso della spada."
"Il migliore Š colui che assomiglia a una pietra," rispose il comandante. "Senza sguainare la lama,
riesce a dimostrare che nessuno potr… vincerlo."
"Il governatore ha ragione: il comandante Š un saggio," pens• Elia. "Ma la saggezza viene
completamente offuscata dal bagliore della vanit…."
Ripresero a camminare. Il bambino gli domand• perch‚ mai i soldati si allenassero tanto.
"Non lo fanno soltanto i soldati, ma anche tua madre, e io, e coloro che seguono il proprio cuore.
Nella vita, tutto richiede allenamento."
"Anche essere profeta?"
"Anche capire gli angeli. E'tale il nostro desiderio di parlare con loro che alla fine non ascoltiamo ci•
che dicono. Non Š facile sentirli: nelle nostre preghiere, cerchiamo sempre di dire dove sbagliamo e
che cosa vorremmo che ci accadesse. Ma il Signore sa gi… tutto, e a volte ci chiede solo di ascoltare
quello che l'Universo ci dice. E di avere pazienza."
Il ragazzino lo guardava, sorpreso. Forse non stava capendo nulla, ma Elia sentiva comunque la
necessit… di continuare quel discorso. Pu• darsi che, una volta cresciuto, una di quelle parole
avrebbe potuto aiutarlo in una situazione difficile.
"Tutte le battaglie nella vita servono per insegnarci qualcosa, anche quelle che perdiamo. Quando
crescerai, scoprirai di avere difeso delle menzogne, di avere ingannato te stesso, o di avere sofferto
per stupidaggini. Se sarai un buon guerriero, non te ne farai una colpa, ma non lascerai che i tuoi
errori si ripetano."
Decise a questo punto di tacere: un bambino di quella et… non poteva capire ci• che stava dicendo.
Camminavano lentamente, ed Elia guardava le strade della citt… che un giorno lo aveva accolto e
che adesso era sul punto di scomparire. Tutto dipendeva dalla decisione che avrebbe preso lui.
Akbar era pi— silenziosa del solito. Nella piazza principale, le persone parlavano a voce bassa, come
se avessero paura che il vento portasse le loro parole fino all'accampamento assiro. I pi— vecchi
erano convinti che non sarebbe accaduto nulla, i giovani erano infervorati di fronte alla possibilit… di
lottare, i mercanti e gli artigiani progettavano di trasferirsi a Tiro e Sidone finch‚ le cose si fossero
calmate.
"Per loro Š facile partire," pens•. "I mercanti possono trasportare i loro beni in qualsiasi parte del
mondo. Gli artigiani possono lavorare anche nei luoghi dove parlano una lingua strana. Io, per•, ho
bisogno del permesso del Signore."
Arrivarono al pozzo e riempirono due brocche di acqua. Generalmente quel luogo era sempre
affollato; le donne vi si riunivano per lavare, tingere i tessuti, e commentare tutto quello che accadeva
nella citt…. Non c'era segreto in grado di rimanere tale, quando arrivava vicino al pozzo; le notizie
sul commercio, sui tradimenti familiari, i problemi fra vicini, la vita intima dei governanti, tutti gli
argomenti Ä seri o superficiali venivano discussi, commentati, criticati o applauditi l•. Anche durante
i mesi in cui la forza nemica era cresciuta senza sosta, Gezabele, la principessa che aveva conquistato
il re di Israele, aveva continuato a essere l'argomento di conversazione preferito. Ne elogiavano
l'intrepidezza, il coraggio, ed erano certi che, se qualcosa fosse accaduto alla citt…, lei avrebbe fatto
ritorno nel paese per vendicarli.
Quel mattino, per•, non c'era quasi nessuno. Le poche donne che si trovavano l• sostenevano che
bisognava andare nei campi e raccogliere quanti pi— cereali possibile, perch‚ ben presto gli assiri
avrebbero chiuso le entrate e le uscite della citt…. Due di esse stavano programmando di recarsi fino
al Monte Cinque per offrire dei sacrifici agli dŠi: non volevano che i loro figli morissero in
combattimento.
"Il sacerdote ha detto che possiamo resistere per molti mesi," spieg• una a Elia. "Basta che abbiamo il
coraggio necessario per difendere l'onore di Akbar gli dŠi ci aiuteranno."
Il bambino ne fu spaventato.
"Il nemico ci attaccher…?" domand•.
Elia non rispose. Dipendeva dalla scelta che l'angelo gli aveva proposto la sera precedente.
"Ho paura," insistette il ragazzino.
"Questo dimostra che ami la vita. E'normale avere paura, nei momenti giusti."
Elia e il bambino tornarono a casa prima che il mattino si concludesse. La donna era circondata da
piccole boccette con pitture di vari colori.
"Devo lavorare," disse lei, guardando le lettere e le frasi incompiute. "Per via della siccit…, la citt…
Š piena di polvere. I pennelli sono sporchi, la tinta si mescola con la polvere, ed Š tutto pi— difficile."
Elia rimase in silenzio: non voleva renderla partecipe delle proprie preoccupazioni. Si sedette in un
angolo della stanza, e sprofond• nei propri pensieri. Il bambino usc• per giocare con gli amici.
"Ha bisogno di silenzio," disse la donna fra s‚ e s‚, e cerc• di concentrarsi sul lavoro.
Impieg• il resto della mattina per completare alcune parole che avrebbero potuto essere scritte in
met… del tempo, e si sent• in colpa perch‚ non faceva ci• che si aspettavano da lei. In fin dei conti,
per la prima volta nella vita aveva l'opportunit… di mantenere la propria famiglia.
Torn• al lavoro: stava usando il papiro, un materiale che un commerciante proveniente dall'Egitto
aveva portato di recente, chiedendole di annotare alcuni messaggi commerciali che aveva bisogno di
mandare a Damasco. Il foglio non era della migliore qualit…, e il colore si scioglieva continuamente.
"Sia pure con tutte queste difficolt…, Š meglio che disegnare sulla creta".
I paesi vicini avevano l'abitudine di mandare i messaggi su tavolette di argilla o su pelli di animale.
Bench‚ l'Egitto fosse un paese in decadenza, con una scrittura ormai superata, i suoi abitanti avevano
tuttavia scoperto una maniera pi— pratica e veloce di registrare la propria attivit… commerciale e la
propria storia: tagliavano a strisce una pianta che cresceva sulle sponde del Nilo e, con un
procedimento semplice, riuscivano ad affiancare queste strisce l'una all'altra ottenendo un foglio
giallastro. Akbar aveva bisogno di importare il papiro perch‚ l•, nella sua valle, era impossibile
coltivarlo. Anche se era caro, i mercanti preferivano usarlo giacch‚ riuscivano a infilare nelle sacche i
fogli scritti: il che sarebbe stato impossibile fare con le tavolette di argilla e con le pelli di animale.
"Tutto sta diventando pi— semplice," pens•. Peccato che, per usare l'alfabeto di Biblo sul papiro,
fosse necessaria l'autorizzazione del governo. Una certa legge ormai superata imponeva che i testi
scritti fossero sottoposti al controllo del Consiglio di Akbar.
Appena concluso il lavoro, la donna lo mostr• a Elia, che era rimasto a guardarla senza dire niente.
"Ti piace il risultato?" gli domand•.
Lui parve uscire da una trance.
"S•, Š bello," rispose, senza prestare attenzione a quello che diceva.
Forse lui stava parlando con il Signore. E la donna non voleva interromperlo. Quindi usc• e and• a
chiamare il sacerdote.
Quando lei torn•, Elia era ancora seduto nello stesso posto. I due uomini si fissarono. N‚ l'uno n
‚ l'altro parlarono per lungo tempo.
Fu il sacerdote che, infine, ruppe il silenzio.
"Tu sei un profeta, e parli con gli angeli. Io mi limito a interpretare le leggi antiche, a eseguire i
rituali, e cerco di difendere il mio popolo dagli errori che commette. Perci• so che questa non Š una
lotta fra uomini, Š una battaglia degli dŠi, e non devo evitarla."
"Ammiro la tua fede, anche se adori degli dŠi che non esistono," rispose Elia. "Se la situazione
attuale Š, come dici tu, degna di una battaglia celeste, il Signore mi user… come strumento per
sconfiggere Baal e i suoi compagni del Monte Cinque. Sarebbe stato meglio se avessi ordinato il mio
assassinio."
"Ci ho anche pensato. Ma non Š stato necessario: al momento giusto, gli dŠi hanno agito a mio
favore."
Elia non rispose. Il sacerdote si volt• e prese il papiro su cui la donna aveva appena finito di scrivere
il testo.
"E'ben fatto," comment•. Dopo averlo letto accuratamente, si tolse l'anello dal dito, lo immerse in una
delle piccole boccette di colore e vi applic• il sigillo all'angolo sinistro. Se qualcuno fosse stato
scoperto con un papiro privo del sigillo del sacerdote, sarebbe stato condannato a morte.
"Perch‚ bisogna farlo sempre?" domand• lei.
"Perch‚ questi papiri trasmettono delle idee," rispose. "E le idee hanno potere."
"Sono solo delle transazioni commerciali."
"Ma avrebbero potuto essere dei piani di battaglia. O un rapporto sulle nostre ricchezze. O le nostre
preghiere segrete. Oggi, con le lettere e i papiri, Š diventato facile sottrarre l'ispirazione di un popolo.
E'difficile nascondere le tavolette di creta, o le pelli di animali; ma la combinazione del papiro con
l'alfabeto di Biblo pu• demolire la cultura di ogni paese e distruggere il mondo."
Una donna entr• correndo.
"Sacerdote, sacerdote! Vieni a vedere che cosa sta succedendo!"
Elia e la vedova lo seguirono. C'era gente che compariva da ogni angolo, e si dirigeva tutta verso lo
stesso luogo. L'aria era quasi irrespirabile per il polverone che si alzava. I bambini correvano in testa,
ridendo e schiamazzando. Gli adulti li seguivano lentamente, in silenzio.
Quando arrivarono alla porta sud della citt…, vi trovarono gi… riunita una piccola folla. Il sacerdote
si fece strada e si ritrov• davanti il motivo di tutta quella confusione.
Una sentinella di Akbar era l• in ginocchio, con le braccia spalancate, le mani inchiodate su una
tavola di legno posta sulle spalle. Aveva gli abiti a brandelli, e l'occhio sinistro gli era stato cavato
con un pezzo di legno.
Sul suo petto, tracciati a colpi di pugnale, c'erano alcuni caratteri assiri. Il sacerdote conosceva
l'egizio, ma la lingua assira non era ancora tanto importante da essere studiata. Fu quindi necessario
chiedere l'aiuto di un commerciante che assisteva alla scena.
"'Dichiariamo guerra'Š quanto Š scritto li," tradusse l'uomo.
Nessuna delle persone intorno disse una sola parola. Elia poteva leggere il panico stampato sui loro
volti.
"Dammi la tua spada," disse il sacerdote a uno dei soldati presenti.
Il soldato obbed•. Il sacerdote volle che il governatore e il comandante fossero avvisati di quello che
era successo. Poi, con un rapido colpo, infil• la lama nel cuore della sentinella inginocchiata.
L'uomo emise un gemito e cadde a terra. Era morto, ormai libero dal dolore e dalla vergogna di
essersi fatto catturare.
"Domani andr• sul Monte Cinque a offrire sacrifici agli dŠi", disse il sacerdote al popolo spaventato.
"E gli dŠi si ricorderanno di nuovo di noi."
Prima di allontanarsi, si rivolse di nuovo a Elia:
"Lo puoi vedere con i tuoi occhi. I cieli continuano ad aiutarci."
"Solo una domanda," ribatt‚ Elia. "Perch‚ vuoi veder sacrificare il popolo del tuo paese?"
"Perch‚ Š necessario uccidere un'idea."
Quando lo aveva visto parlare con la donna quel mattino, Elia aveva capito immediatamente qual era
questa idea: l'alfabeto.
"E'troppo tardi. Ormai si Š diffuso nel mondo, e gli assiri non possono conquistare tutta la terra."
"Chi ti ha detto che non potranno farlo? In fin dei conti, gli dŠi del Monte Cinque sono dalla parte dei
loro eserciti."
Per ore Elia continu• a camminare nella valle, come aveva fatto il pomeriggio precedente. Sapeva che
ci sarebbero stati almeno un altro pomeriggio e un'altra nottata di pace: nessuna guerra si combatteva
con il buio, perch‚ i guerrieri non potevano distinguere il nemico. Sapeva che, quella notte, il Signore
gli dava l'occasione di cambiare il destino della citt… che lo aveva accolto.
"Salomone avrebbe saputo di certo che cosa fare," comment• con il suo angelo. "E Davide, e MosŠ, e
Isacco. Essi erano uomini che avevano la fiducia del Signore, ma io sono soltanto un servo indeciso.
Il Signore mi d… la responsabilit… di una scelta che avrebbe dovuto spettare a Lui."
"La storia dei nostri antenati sembra popolata di uomini giusti nei posti giusti," rispose l'angelo. "Non
pensare cos•: il Signore chiede agli uomini soltanto quello che rientra nelle possibilit… di ciascuno."
"Allora con me si Š sbagliato."
"Qualsiasi pena sopraggiunga, alla fine se ne va. Proprio come le glorie e le tragedie del mondo."
"Non lo dimenticher•," disse Elia. "Ma, quando se ne vanno, le tragedie lasciano segni eterni, e le
glorie ricordi inutili."
L'angelo non rispose.
"Perch‚ mai, durante tutto il tempo della mia permanenza ad Akbar, sono stato incapace di trovare
degli alleati per lottare a favore della pace? Qual Š l'importanza di un profeta solitario?"
"Qual Š l'importanza del sole, che si muove nel cielo senza compagnia? Qual Š l'importanza di una
montagna che si erge in mezzo a una valle? Qual Š l'importanza di un pozzo isolato? Sono essi che
indicano la strada che la carovana deve seguire."
"Il mio cuore sta soffocando per la tristezza," disse Elia, inginocchiandosi e tendendo le braccia verso
il cielo. "Ah, se potessi morire qui, e non aver mai le mani macchiate con il sangue del mio popolo, o
di un popolo straniero. Guardati indietro: che cosa vedi?"
"Tu sai che sono cieco," disse l'angelo. "Poich‚ nei miei occhi c'Š ancora la luce della gloria del
Signore, non riesco a vedere nient'altro. Tutto quello che posso comprendere Š quanto il tuo cuore mi
racconta. Tutto ci• che posso distinguere sono le vibrazioni dei pericoli che ti minacciano. Non posso
sapere che cosa sta dietro di te."
"Allora te lo dir• io: c'Š Akbar. Vista a quest'ora del giorno, con il sole del meriggio che la illumina, Š
bellissima. Mi sono abituato alle sue strade e alle sue mura, al suo popolo generoso e ospitale.
Sebbene gli abitanti della citt… vivano presi dal commercio e dalle superstizioni, hanno il cuore puro
come qualsiasi altra nazione del mondo. Da essi ho imparato molte cose che non sapevo; in
compenso, ho udito i lamenti dei
suoi abitanti, e, ispirato da Dio, sono riuscito a risolvere i loro conflitti interni. Molte volte ho corso
pericoli, e sempre qualcuno mi ha aiutato. Perch‚ devo scegliere fra la possibilit… di salvare questa
citt… o redimere il mio popolo?"
"Perch‚ l'uomo deve scegliere," rispose l'angelo. "In questo sta la sua forza: il potere delle sue
decisioni."
"E'una scelta difficile: significa accettare la morte di un popolo per salvarne un altro."
"Ancora pi— difficile Š definire un cammino per noi stessi. Chi non compie alcuna scelta, agli occhi
del Signore muore, anche se continua a respirare e a camminare per le strade."
"Inoltre," prosegu• l'angelo, "nessuno muore. L'eternit… accoglie a braccia aperte tutte le anime, e
ognuna di esse proseguir… il proprio compito. C'Š una ragione per tutto ci• che si trova sotto il sole."
Elia alz• di nuovo le braccia al cielo:
"Il mio popolo si Š allontanato dal Signore a causa della bellezza di una donna. La Fenicia pu• essere
distrutta perch‚ un sacerdote Š convinto che la scrittura sia una minaccia per gli dŠi. Perch‚ Colui che
ha creato il mondo preferisce servirsi della tragedia per scrivere il libro del destino?"
Le urla di Elia riecheggiarono nella valle e gli ritornarono alle orecchie.
"Tu non sai quello che dici," rispose l'angelo. "Non c'Š nessuna tragedia, ma l'inevitabile. Tutto ha la
sua ragione d'essere: devi solo saper distinguere fra ci• che Š transitorio e ci• che Š definitivo."
"Che cos'Š transitorio?" domand• Elia.
"L'inevitabile."
"E che cos'Š definitivo?"
"Le lezioni dell'inevitabile."
E dicendo questo, l'angelo si allontan•.
Quella sera, durante la cena, Elia disse alla donna e al bambino:
"Preparate le vostre cose. Potremmo partire da un momento all'altro."
"Sono due giorni che non dormi," disse la donna. "Un emissario del governatore Š stato qui oggi
pomeriggio. Voleva che ti recassi a palazzo. Gli ho detto che eri nella valle e che avresti dormito l…."
"Hai fatto bene," rispose lui, dirigendosi poi nella sua camera, dove si addorment• profondamente.
Fu svegliato il mattino dopo dal suono di alcuni strumenti musicali. Quando scese per vedere che
cosa stava succedendo, il bambino era gi… davanti alla porta.
"Guarda!" gli disse con gli occhi che brillavano di eccitazione. "E'la guerra!"
Un battaglione di soldati, imponenti nel loro abbigliamento da guerra e nei loro armamenti, marciava
in direzione della porta sud di Akbar. Li seguiva un gruppo di musici, segnando il passo del
battaglione col ritmo dei tamburi.
"Ieri avevi paura," disse Elia al ragazzino.
"Non sapevo che avevamo tanti soldati. I nostri guerrieri sono i migliori!"
Lasci• il bambino e si diresse in strada: doveva assolutamente incontrare il governatore. Anche gli
altri abitanti della citt… erano stati svegliati dal suono delle trombe di guerra, e sembravano come
ipnotizzati. Per la prima volta nella loro vita, assistevano alla sfilata di un battaglione organizzato,
con le sue uniformi militari, con le lance e gli scudi che riflettevano i primi raggi di sole. Il
comandante era riuscito a realizzare un lavoro invidiabile: aveva preparato l'esercito senza che
nessuno se ne accorgesse, e adesso Ä ed era questa la paura di Elia Ä avrebbe potuto far credere a
tutti che la vittoria sugli assiri era possibile.
Si fece strada fra i soldati, e riusc• ad arrivare in testa alla colonna. L•, in groppa ai loro cavalli, il
comandante e il governatore guidavano la marcia.
"Noi abbiamo un accordo," disse Elia, correndo a fianco del governatore. "Io posso fare un miracolo!"
Il governatore non gli rispose. La guarnigione attravers• le mura e si diresse verso la valle.
"Tu sai che questo esercito Š un'illusione!" insistette. "Gli assiri sono in vantaggio su di noi di cinque
a uno, e hanno esperienza di guerra! Non lasciare che Akbar sia distrutta!"
"Che cosa vuoi da me?" gli domand• il governatore senza fermare il cavallo. "Ieri sera ti ho mandato
un emissario perch‚ volevo parlarti, e mi hanno fatto dire che ti trovavi fuori citt…. Che cos'altro
potevo fare?"
"Affrontare gli assiri in campo aperto Š un suicidio! E voi lo sapete!"
Il comandante ascoltava quella conversazione senza fare alcun commento. Aveva gi… pianificato la
sua strategia con il governatore: il profeta israelita ne sarebbe stato sorpreso.
Elia correva a fianco dei cavalli, senza sapere bene che cosa fare. La colonna di soldati lasci• quindi
la citt…, e si diresse verso il centro della vallata.
"Aiutami, Signore," pensava lui. "Come hai trattenuto il sole per aiutare GiosuŠ nel combattimento,
trattieni il tempo, e fai s• che io riesca a convincere il governatore del suo errore."
Appena ebbe concluso questo suo pensiero, il comandante url•:
"Alt!"
"Forse Š un segnale!" disse Elia fra s‚ e s‚. "Devo approfittarne."
I soldati si disposero su due linee di combattimento, come muraglie umane. Gli scudi furono
saldamente appoggiati al suolo, mentre le armi erano puntate in avanti.
"Convinciti che stai vedendo i guerrieri di Akbar," disse il governatore a Elia.
"Io sto vedendo dei giovani che ridono davanti alla morte," fu la risposta.
"Sappi allora che questo Š soltanto un battaglione. La maggior parte dei nostri uomini si trova in
citt…, sopra le mura. Abbiamo calderoni di olio bollente pronti per essere rovesciati addosso a
chiunque tenter… di scalarle.
"Abbiamo viveri distribuiti per varie case, in modo da evitare che le frecce infuocate possano
distruggere il nostro cibo. In base ai calcoli del comandante, possiamo resistere per quasi due mesi
all'assedio della citt…. Mentre gli assiri si preparavano, abbiamo fatto la stessa cosa anche noi."
"Non me ne avete mai parlato," disse Elia.
"Ricordati: anche se hai aiutato il popolo di Akbar, sei sempre uno straniero, e alcuni militari
avrebbero potuto prenderti per una spia!"
"Ma tu desideravi la pace!"
"La pace Š ancora possibile, anche dopo avere iniziato un combattimento. Solo che negozieremo in
condizioni di uguaglianza."
Il governatore gli rifer• inoltre che alcuni messaggeri erano stati inviati a Tiro e Sidone, per informare
le citt… sulla gravit… della situazione. Era stato difficile per lui chiedere aiuto: avrebbero potuto
pensare che non era capace di controllare gli eventi. Ma era giunto alla conclusione che questa fosse
l'unica via d'uscita.
Il comandante aveva elaborato un piano ingegnoso: appena il combattimento fosse iniziato, egli
avrebbe fatto ritorno in citt… per organizzare la resistenza. L'esercito che adesso era sul campo
avrebbe dovuto
uccidere quanti pi— nemici era possibile, e poi ritirarsi sui monti. Essi conoscevano quella vallata
meglio di chiunque altro, e avrebbero potuto attaccare gli assiri in piccole scaramucce, diminuendo la
pressione dell'assedio.
Ben presto sarebbero arrivati i soccorsi, e l'esercito assiro sarebbe stato decimato. "Possiamo resistere
per sessanta giorni, ma non sar… necessario," disse il governatore a Elia.
"Ma molti moriranno."
"Siamo tutti davanti alla morte. E nessuno ha paura, neanche io."
Il governatore era sorpreso del suo stesso coraggio. Non si era mai trovato di fronte a una battaglia e,
a mano a mano che il combattimento si avvicinava, perfezionava i piani per fuggire dalla citt….
Proprio quel mattino aveva combinato con alcuni dei suoi uomini pi— fedeli la maniera migliore di
battere in ritirata. Non avrebbe potuto rifugiarsi a Tiro o Sidone perch‚ sarebbe stato considerato un
traditore, ma Gezabele lo avrebbe accolto, giacch‚ al proprio fianco aveva bisogno di uomini di
fiducia.
Eppure, nel calcare il campo di battaglia, vedeva negli occhi dei soldati una gioia enorme: come se
fossero stati addestrati tutta la vita per un solo obiettivo, e infine il grande momento fosse giunto.
"La paura esiste solo fino al momento in cui accade l'inevitabile," disse a Elia. "Dopo di ci•, non
dobbiamo comunque disperdere la nostra energia."
Elia era confuso. Provava anche lui la stessa sensazione, anche se si vergognava di riconoscerlo.
Ripens• all'eccitazione del bambino, quando era passato l'esercito.
"Vai via," disse il governatore. "Sei uno straniero, disarmato, e non c'Š bisogno che tu combatta per
qualcosa in cui non credi."
Elia non si mosse.
"Arriveranno," disse il comandante. "Tu sei stato colto di sorpresa, ma noi siamo pronti."
Ma Elia rimase l•.
Guardarono l'orizzonte: non c'era polvere. L'esercito assiro non si era ancora messo in movimento.
I soldati della prima fila stringevano le lance saldamente, tenendole puntate in avanti. Gli arcieri
avevano gi… le corde semitese, per scoccare le frecce appena il comandante avesse dato l'ordine.
Alcuni uomini fendevano l'aria con colpi di spada, per tenere i muscoli caldi.
"Tutto Š pronto," ripet‚ il comandante. "Adesso ci attaccheranno."
Elia not• l'euforia nella sua voce. Doveva essere ansioso che la battaglia avesse inizio: voleva
combattere e mostrare il proprio coraggio. Di certo immaginava i guerrieri assiri, i colpi di spada, le
urla e la confusione, e si vedeva ricordato dai sacerdoti fenici come un esempio di efficienza e di
coraggio.
Il governatore interruppe i suoi pensieri:
"Ma non si muovono."
Elia si ricord• di quanto aveva chiesto al Signore: che il sole si fermasse nel cielo, come era accaduto
per GiosuŠ. Tent• di parlare con il suo angelo, ma non ne ud• la voce.
A poco a poco, i lancieri abbassarono le armi, gli arcieri allentarono la tensione degli archi, gli
uomini rimisero le spade nei foderi. Giunse il sole cocente del mezzogiorno, e con il caldo alcuni
guerrieri svennero. Il battaglione rimase comunque in allarme fino al tardo pomeriggio.
Quando il sole si nascose, i guerrieri ritornarono ad
Akbar. Sembravano delusi di essere sopravvissuti a un altro giorno.
Soltanto Elia rimase l•, in mezzo alla valle. Cammin• senza meta per un po'di tempo, quando vide la
luce. E gli comparve davanti l'angelo del Signore.
"Dio ha ascoltato le tue preghiere," disse l'angelo. "E ha visto il tormento della tua anima."
Elia si rivolse allora al cielo, e ringrazi• per quelle benedizioni.
"Il Signore Š la fonte della gloria e del potere. Ha trattenuto l'esercito assiro."
"No," rispose l'angelo. "Tu hai detto che la scelta spettava a Lui. Ed Egli ha compiuto la scelta per te."
"Andiamo via," disse rivolto alla donna e a suo figlio.
"Io non voglio partire," rispose il bambino. "Sono orgoglioso dei soldati di Akbar."
Ma la madre lo costrinse a radunare le sue cose. "Prendi solo ci• che puoi trasportare," gli disse.
"Dimentichi che siamo poveri, e che non possediamo molte cose."
Elia sal• nella sua camera. Si guard• intorno, come se fosse la prima e l'ultima volta. Poi ridiscese, e
si ferm• a guardare la vedova che riponeva i suoi colori.
"Ti ringrazio perch‚ mi porti via con te," disse lei. "Quando mi sposai, avevo appena quindici anni, e
non sapevo com'era la vita. Le nostre famiglie avevano organizzato tutto, e io ero stata educata fin
dall'infanzia per quel momento, e premurosamente preparata per aiutare il marito in qualsiasi
circostanza."
"Lo amavi?"
"A ci• ho educato il mio cuore. Giacch‚ non avevo scelto, mi convinsi che era la strada migliore.
Quando persi mio marito, mi rassegnai ai giorni e alle notti tutti uguali, e chiesi agli dŠi del Monte
Cinque Ä all'epoca ancora vi credevo Ä di portarmi via quando mio figlio fosse stato in grado di
vivere da solo.
"Fu allora che comparisti tu. Te l'ho gi… detto una
volta, e adesso voglio ripetertelo: da quel giorno in poi, ho cominciato a notare la bellezza della valle,
la sagoma scura dei monti che si proietta nel cielo, la luna che cambia forma affinch‚ il grano possa
crescere. Molte notti, mentre tu dormivi, io passeggiavo per Akbar, ascoltavo il pianto dei bambini
appena nati, i canti degli uomini che avevano bevuto dopo il lavoro, i passi decisi delle sentinelle
sopra le mura. Quante volte avevo gi… visto quel paesaggio, e non avevo notato com'era bello?
Quante volte avevo guardato il cielo, senza notare che era profondo? Quante volte avevo udito i
rumori di Akbar intorno a me, senza capire che facevano parte della mia vita?
"Mi Š ritornata un'immensa voglia di vivere. Mi hai detto di studiare i caratteri di Biblo, e io l'ho
fatto. Pensavo solo di farti piacere, ma mi sono entusiasmata a quello che facevo, e ho scoperto che il
senso della mia vita era quello che io avrei voluto darle."
Elia le accarezz• i capelli. Ed era la prima volta che lo faceva.
"Perch‚ non Š stato sempre cos•?" domand• lei.
"Perch‚ avevi paura. Ma oggi, mentre aspettavo la battaglia, ho udito le parole del governatore, e ho
pensato a te. La paura si spinge fino al punto in cui arriva l'inevitabile. Da l• in poi, perde ogni
significato. E tutto ci• che ci resta Š la speranza di prendere la decisione giusta."
"Sono pronta," disse lei.
"Torneremo in Israele. Il Signore mi ha detto ci• che devo fare, e cos• far•. Gezabele sar…
allontanata dal potere."
Lei non disse niente. Come tutte le donne della Fenicia, era orgogliosa della sua principessa. Quando
fossero arrivati a destinazione, avrebbe tentato di convincere l'uomo al suo fianco a cambiare idea.
"Sar… un lungo viaggio, e non troveremo riposo finch‚ non avr• fatto ci• che Lui mi ha chiesto,"
disse Elia, come se ne indovinasse il pensiero. "Il tuo amore, tuttavia, sar… il mio sostegno, e nei
momenti in cui sar• stanco delle battaglie in Suo nome, potr• riposare sul tuo grembo."
Si avvicin• il bambino con un piccolo fagotto sulle spalle. Elia glielo prese e disse alla donna:
"E'arrivato il momento. Quando attraverserai le strade di Akbar, ricordati di ogni casa, e di ogni
rumore. Perch‚ non le rivedrai mai pi—."
"Io sono nata ad Akbar," disse. "E questa citt… rimarr… per sempre nel mio cuore."
Il bambino ascolt• tutto e si ripromise che non avrebbe mai dimenticato le parole di sua madre. Se un
giorno fosse riuscito a tornare, avrebbe visto la citt… come se stesse vedendo il viso di lei.
Era ormai buio quando il sacerdote giunse alle falde del Monte Cinque. Stringeva nella mano destra
un bastone, e trascinava un sacco con la sinistra.
Tir• fuori dal sacco l'olio sacro e si unse la fronte e i polsi. Poi, con il bastone, disegn• sulla sabbia il
toro e la pantera, simboli del dio della tempesta e della Grande Dea. Recit• le preghiere rituali. E
infine spalanc• le braccia al cielo, per ricevere la rivelazione divina.
Gli dŠi non parlavano pi—. Avevano gi… detto tutto ci• che avevano da dire, e adesso chiedevano
solo il rispetto dei riti. I profeti erano scomparsi dappertutto, tranne che in Israele, che era un paese
arretrato, superstizioso, nel quale ancora si credeva che gli uomini potessero comunicare con i
creatori dell'Universo.
Si ricord• che, due generazioni addietro, Tiro e Sidone avevano commerciato con un re di
Gerusalemme, chiamato Salomone. Egli stava costruendo un grande tempio, e voleva adornarlo con
quanto di meglio esistesse nel mondo: perci• aveva ordinato di comprare i cedri della Fenicia, che
essi chiamavano Libano. Il re di Tiro aveva fornito il materiale necessario, e aveva ricevuto in
cambio venti citt… della Galilea, ma non ne era rimasto soddisfatto. Salomone, allora, lo aveva
aiutato a costruire le sue prime navi, e
adesso la Fenicia possedeva la pi— importante flotta commerciale del mondo.
A quell'epoca Israele era una grande nazione, anche se adorava un solo dio, di cui non sapevano
neppure il nome e che solevano indicare solo con il termine "Signore". Una principessa di Sidone era
riuscita a ricondurre Salomone alla vera fede, ed egli aveva edificato un altare agli dŠi del Monte
Cinque. Gli israeliti insistevano nel dire che il "Signore" aveva punito il pi— saggio dei loro re,
facendo s• che le guerre lo allontanassero dal governo.
Geroboamo, per•, aveva continuato il culto iniziato da Salomone. Aveva fatto fabbricare due vitelli
d'oro, e il popolo israelita li adorava. Era stato allora che i profeti erano apparsi sulla scena, e avevano
intrapreso una lotta senza tregua contro il governo.
Gezabele aveva ragione: l'unica maniera per mantenere viva la vera fede era distruggere i profeti.
Anche se era una donna dolce, educata alla tolleranza e all'orrore per la guerra, sapeva che c'Š un
momento in cui la violenza Š l'unica via d'uscita. Il sangue che ora macchiava le sue mani sarebbe
stato perdonato dagli dŠi che adesso serviva.
"Fra poco anche le mie mani saranno macchiate di sangue," disse il sacerdote rivolto alla montagna
silenziosa davanti a s‚. "Cos• come i profeti sono la maledizione di Israele, la scrittura Š la
maledizione della Fenicia. Entrambi hanno causato un male che pu• essere irrimediabile, ed Š
necessario trattenerli tutti e due, finch‚ Š possibile. Il dio del tempo non pu• allontanarsi adesso."
Era preoccupato per ci• che era successo quel mattino: l'esercito nemico non aveva attaccato. Il dio
del tempo aveva gi… abbandonato la Fenicia in passato, perch‚ si era irritato con i suoi abitanti. Di
conseguenza, il fuoco delle lampade si era immobilizzato, i montoni e le vacche avevano
abbandonato i loro piccoli, il grano e l'orzo erano rimasti sempre verdi. Il dio Sole aveva allora
mandato gente importante a cercarlo - l'aquila e il dio della tempesta Ä ma nessuno era riuscito a
trovare il dio del tempo. Infine la Grande Dea aveva inviato un'ape, che lo aveva sorpreso
addormentato in un bosco e lo aveva punto. Lui si era svegliato infuriato, e aveva cominciato a
distruggere tutto intorno a s‚. Era stato necessario imprigionarlo e togliere dalla sua anima l'odio che
c'era. Ma da allora, tutto era tornato alla normalit….
Se avesse deciso di andarsene di nuovo, la battaglia sarebbe stata evitata. Gli assiri sarebbero rimasti
per sempre all'ingresso della valle, e Akbar avrebbe continuato a esistere.
"Il coraggio Š la paura che recita le sue preghiere," disse. "Ecco perch‚ sono qui: perch‚ non posso
vacillare nel momento del combattimento. Devo mostrare ai guerrieri di Akbar che c'Š una ragione
per difendere la citt…. Non Š il pozzo, non Š il mercato, non Š il palazzo del governatore.
Affronteremo l'esercito assiro perch‚ dobbiamo dare l'esempio."
La vittoria assira avrebbe cancellato definitivamente la minaccia dell'alfabeto. I conquistatori
avrebbero imposto la loro lingua e i loro costumi, anche se avrebbero continuato ad adorare gli stessi
dŠi sul Monte Cinque. Questo era ci• che importava.
"In futuro, i nostri navigatori porteranno le imprese dei guerrieri in altri paesi. I sacerdoti si
ricorderanno dei nomi e del giorno in cui Akbar cerc• di resistere all'invasione assira. I pittori
disegneranno caratteri egizi sui papiri, gli scribi di Biblo saranno morti. I testi sacri continueranno a
essere nelle mani di quei pochi che sono nati per apprenderli. Le prossime generazioni, allora,
tenteranno di imitare ci• che abbiamo fatto, e costruiremo un mondo migliore."
"Ma adesso," prosegu•, "Š necessario perdere questa battaglia. Lotteremo eroicamente, siamo in una
situazione di inferiorit…, e moriremo con gloria."
A quel punto il sacerdote si mise ad ascoltare la notte, e si accorse di essere nel giusto. Il silenzio
anticipava un combattimento importante, ma gli abitanti di Akbar lo interpretavano in maniera errata:
avevano abbassato le lance e si stavano divertendo, mentre avrebbero dovuto vegliare. Non
prestavano attenzione all'esempio della natura: gli animali rimangono in silenzio quando il pericolo Š
vicino.
"Che si compiano i disegni degli dŠi. Che i cieli non si abbattano sulla terra, perch‚ ci siamo
comportati correttamente, e abbiamo rispettato la tradizione," concluse.
Elia, la donna e il bambino procedevano verso ovest, dove si trovava Israele. Non c'era bisogno di
passare per l'accampamento assiro, che si trovava a sud. La luna piena facilitava il cammino, ma,
nello stesso tempo, proiettava ombre strane e disegni sinistri sulle rocce e sulle pietre della valle.
Nel bel mezzo dell'oscurit… comparve l'angelo del Signore. Impugnava con la mano destra una
spada di fuoco.
"Dove vai?" domand•.
"In Israele," rispose Elia.
"Il Signore ti ha chiamato?"
"Conosco gi… il miracolo che Dio si aspetta da me. E adesso so anche dove devo compierlo."
"Il Signore ti ha chiamato?" ripet‚ l'angelo.
Elia rimase in silenzio.
"Il Signore ti ha chiamato?" domand• l'angelo per la terza volta.
"No."
"Allora torna nel luogo da cui sei partito, perch‚ non hai ancora compiuto il tuo destino. Il Signore
non ti ha ancora chiamato."
"Concedi almeno a loro di partire, perch‚ non hanno nulla da fare qui," implor• Elia.
Ma l'angelo non c'era pi—. Elia pos• il sacco che
portava, si sedette in mezzo alla strada e scoppi• a piangere amaramente.
"Che cosa Š successo?" domandarono la donna e il bambino, che non avevano visto niente.
"Torniamo indietro," disse Elia. "Cos• desidera il Signore."
Non riusc• a dormire bene. Si svegli• nel cuore della notte e avvert• la tensione intorno a s‚: un vento
maligno spirava per le strade, seminando paura e diffidenza.
"Nell'amore di una donna ho scoperto l'amore per tutte le creature," pregava in silenzio. "Ho bisogno
di lei. So che il Signore non si dimenticher… che sono uno dei Suoi strumenti, forse il pi— debole
che ha scelto. Aiutami, Signore, perch‚ ho bisogno di riposare tranquillo in mezzo alle battaglie."
Si ricord• delle parole del governatore sull'inutilit… della paura. Malgrado ci•, non riusciva a
conciliare il sonno. "Ho bisogno di energia e di tranquillit…. Concedimi il riposo finch‚ Š possibile."
Pens• di appellarsi all'angelo, di parlare un po'con lui. Ma avrebbe potuto udire cose che non
desiderava udire, e cambi• idea. Per rilassarsi, scese nella sala: i sacchi che la donna aveva preparato
per fuggire non erano ancora disfatti.
Pens• di andare nella sua camera. Si ricord• di quello che il Signore aveva detto a MosŠ prima di una
battaglia:
"L'uomo che ama una donna e ancora non l'ha ricevuta,
che vada e torni a casa, perch‚ non muoia nella lotta e
un altro uomo la riceva." 8
Non erano ancora stati insieme. Ma era stata una notte molto stancante, e non era questo il momento
di farlo.
Decise di disfare i fardelli e di riporre ogni cosa al proprio posto. Scopr• cos• che la donna portava
con s‚, oltre a quei pochi abiti che possedeva, gli strumenti per disegnare i caratteri di Biblo.
Prese uno stiletto, inumid• una piccola tavoletta di creta e cominci• a scarabocchiare alcune lettere:
aveva imparato a scrivere mentre guardava la donna lavorare.
"Che cosa semplice e geniale," pens•, tentando di distrarsi. Spesso, quando si recava al pozzo a
prendere l'acqua, ascoltava i commenti delle donne: "I greci ci hanno rubato la nostra invenzione pi—
importante". Ma Elia sapeva che non era cos•: l'adattamento che essi ne avevano fatto, includendo le
vocali, aveva trasformato l'alfabeto in qualcosa che tutti i popoli e tutte le nazioni avrebbero potuto
usare. Inoltre, chiamavano biblia le loro collezioni di pergamene, in omaggio alla citt… dove era nata
questa invenzione.
Queste bibl•a greche erano scritte su pelli conciate. Elia era convinto che fosse una maniera molto
fragile di preservare le parole: il cuoio non era resistente quanto le tavolette di creta, e poteva essere
rubato facilmente. I papiri si strappavano dopo un po'che venivano maneggiati, e potevano essere
distrutti dall'acqua. "Le pergamene e i papiri non funzioneranno; solo le tavolette di creta sono
destinate a durare per sempre," riflett‚.
Qualora Akbar fosse sopravvissuta ancora qualche tempo, avrebbe suggerito al governatore di fare
scrivere tutta la storia del paese, e di mettere al sicuro le tavolette di creta in una sala speciale, in
modo che le generazioni future potessero consultarle. In questo modo, se i sacerdoti fenici, i quali
serbavano nella
memoria la storia del loro popolo, un giorno fossero stati decimati, le imprese dei guerrieri e dei poeti
non sarebbero state dimenticate.
Giocherell• per un po', disegnando le stesse lettere in ordine diverso e formando varie parole. Si
meravigli• egli stesso del risultato: quell'attivit… lo aveva rilassato, e cos• se ne torn• a letto.
Fu risvegliato poco dopo da un grande fragore: qualcuno stava buttando gi— la porta della sua
camera.
"Non Š un sogno. Non sono gli eserciti del Signore che stanno combattendo."
Ombre spuntavano da ogni angolo urlando come forsennate, in una lingua che lui non comprendeva.
"Gli assiri."
Altre porte venivano abbattute, le pareti erano buttate gi— a colpi di martello, le urla degli invasori si
mescolavano alle richieste di aiuto che si levavano dalla piazza. Tent• di mettersi in piedi, ma una
delle ombre lo scagli• per terra. Un rumore sordo scosse tutto il piano inferiore.
"Fuoco," pens• Elia. "Hanno incendiato la casa."
"Eccoti," url• qualcuno, parlando in fenicio. "Tu sei il capo. E sei nascosto come un vigliacco nella
casa di una donna."
Guard• il viso di colui che aveva appena parlato. Le fiamme illuminavano la camera, e lui pot‚ vedere
un uomo, con la barba lunga, in uniforme militare. S•, gli assiri erano infine arrivati.
"Ci avete attaccato di notte?" domand•, disorientato.
Ma l'uomo non gli rispose. Elia vide il bagliore delle spade sguainate, e uno dei guerrieri lo fer• al
braccio destro.
Chiuse gli occhi: in una frazione di secondo gli
scorsero davanti agli occhi tutte le immagini della propria vita. Torn• a giocare nelle strade della
citt… dov'era nato, comp• il suo primo viaggio a Gerusalemme, sent• l'odore del legno tagliato nella
falegnameria, si meravigli• di nuovo dinanzi alla vastit… del mare e all'abbigliamento che usavano
nelle grandi citt… della costa. Si vide mentre vagava per le vallate e le montagne della Terra
Promessa, si ricord• di avere conosciuto Gezabele, che sembrava ancora una bambina e seduceva tutti
coloro che la avvicinavano. Assistette ancora una volta al massacro dei profeti, risent• la voce del
Signore che gli ordinava di recarsi nel deserto. Rivide di nuovo gli occhi della donna che lo aspettava
all'ingresso di Sarepta, che i suoi abitanti chiamavano Akbar, e si rese conto di averla amata fin dal
primo momento. Di nuovo sal• sul Monte Cinque, di nuovo resuscit• un bambino, e di nuovo fu
accolto dal popolo come un saggio e un giudice. Guard• il cielo che rapidamente cambiava di posto le
sue costellazioni, si meravigli• per la luna che mostrava le sue quattro fasi nel medesimo istante, sent•
il freddo, il caldo, l'autunno e la primavera, prov• ancora una volta la pioggia e il chiarore dei raggi.
Le nuvole ripassarono ancora in milioni di forme diverse, e i fiumi defluirono con le loro acque per la
seconda volta nello stesso letto. Rivisse il giorno in cui aveva notato la prima tenda assira, e la
seconda, e poi tutte le altre, gli angeli che andavano e venivano, la spada di fuoco sul cammino di
Israele, l'insonnia, i segni sulle tavolette, e...
Ed era di nuovo nel presente. Pensava a quello che stava succedendo al piano inferiore, bisognava
salvare a ogni costo la vedova e suo figlio.
"Fuoco!" diceva 'rivolgendosi ai soldati nemici. "La casa sta prendendo fuoco!"
Non aveva paura: la sua unica preoccupazione erano la vedova e suo figlio. Qualcuno gli spinse il
capo contro il pavimento, ed egli sent• in bocca il sapore della terra. La baci•, espresse tutto il proprio
amore e si ripet‚ che aveva fatto il possibile per evitare tutto questo. Tent• di liberarsi dai suoi
assalitori, ma qualcuno gli premeva il piede sul collo.
"Sar… fuggita," pens•. "Non farebbero del male a una donna indifesa."
Una calma profonda si impossess• del suo cuore. Forse il Signore si era infine reso conto che lui era
l'uomo sbagliato, e aveva trovato un altro profeta per riscattare Israele dal peccato. La morte era
finalmente arrivata, come lui la aspettava, attraverso il martirio. Accett• dunque il proprio destino, e
attese il colpo mortale.
Ma trascorsero alcuni secondi: le voci continuavano a urlare, il sangue gli sprizzava dalla ferita, e il
colpo fatale non arrivava.
"Chiedigli di ammazzarmi subito!" url•, sapendo che almeno uno di loro parlava la sua lingua.
Ma nessuno bad• a quello che diceva. I soldati discutevano animatamente, come se qualcosa stesse
andando per il verso sbagliato. Alcuni cominciarono a prenderlo a calci, e per la prima volta Elia si
rese conto che l'istinto di sopravvivenza gli stava ritornando. Si sent• cogliere dal panico.
"Non posso desiderare pi— la vita," pens• disperato. "Perch‚ non riuscir• a uscire vivo da questa
camera."
Ma non accadeva nulla. Il mondo sembrava essersi immobilizzato in quella confusione di urla,
rumori e polvere. Forse il Signore aveva fatto quello che aveva gi… fatto con GiosuŠ e il tempo si
era fermato a met… del combattimento.
In quel momento ud• le urla della donna al piano inferiore. Con uno sforzo sovrumano riusc• a
respingere una delle guardie e a rialzarsi, ma immediatamente lo scagliarono di nuovo a terra. Un
soldato gli sferr• un calcio alla testa, e lui svenne.
Qualche minuto dopo riprese i sensi. Gli assiri lo avevano trascinato fuori, in mezzo alla strada.
Ancora intontito, alz• il capo: tutte le case del quartiere stavano bruciando.
"Una donna indifesa e innocente Š imprigionata l… dentro! Salvatela!"
Urla, gente che correva, confusione dappertutto. Tent• di alzarsi, ma di nuovo fu scagliato a terra.
"Signore, Tu puoi fare di me ci• che vuoi, perch‚ ho dedicato la mia vita e la mia morte alla Tua
causa," preg• Elia. "Ma salva colei che mi ha accolto!"
Qualcuno lo rialz• tenendolo per le braccia.
"Vieni a vedere," disse l'ufficiale assiro che conosceva la sua lingua. "Te lo meriti!"
Due guardie lo afferrarono e lo spinsero verso la porta. La casa veniva rapidamente divorata dalle
fiamme, e la luce del fuoco illuminava tutto ci• che c'era intorno. Elia sentiva le urla che provenivano
da ogni angolo: bambini che piangevano, vecchi che imploravano perdono, donne disperate che
cercavano i propri figli. Ma udiva solo le richieste di aiuto di colei che lo aveva accolto...
"Che cosa sta succedendo? Ci sono una donna e un bambino l… dentro! Perch‚ state facendo questo?"
"Perch‚ quella donna ha tentato di nascondere il governatore di Akbar."
"Ma io non sono il governatore di Akbar! State commettendo un terribile errore!"
L'ufficiale assiro lo spinse fino alla porta. Il soffitto era crollato con l'incendio, e la donna era
semisepolta
dalle macerie. Elia riusciva a vedere solo il suo braccio, che si muoveva disperatamente da una parte
e dall'altra. La donna chiedeva aiuto, implorando che non la lasciassero bruciare viva.
"Perch‚ risparmiate me, e condannate lei?" li implor•.
"Non ti risparmieremo affatto, ma vogliamo che tu soffra quanto pi— Š possibile. Il nostro generale Š
morto lapidato e senza onore, davanti alle mura della citt…. Era venuto in cerca di vita, ed Š stato
condannato a morte. Adesso anche tu avrai lo stesso destino."
Elia lottava disperatamente per liberarsi, ma le guardie lo portarono via. Si incamminarono per le vie
di Akbar, in mezzo a un calore infernale: i soldati erano tutti sudati e alcuni di essi sembravano
profondamente colpiti dalla scena cui avevano appena assistito. Elia si dibatteva e protestava contro i
cieli, ma tanto gli assiri quanto il Signore erano muti.
Raggiunsero infine il centro della piazza. La maggior parte degli edifici della citt… stava bruciando,
e il crepitio delle fiamme si mescolava con le urla degli abitanti di Akbar.
"Per fortuna esiste la morte." Quante volte lo aveva pensato, fin da quel primo giorno nella stalla!
I cadaveri dei guerrieri di Akbar, la maggior parte di essi senza uniforme, erano sparpagliati sul
suolo. Elia vedeva gente che correva in tutte le direzioni, senza sapere dove stava andando, senza
sapere che cosa stava cercando: unicamente per la necessit… di fingere che stavano facendo
qualcosa, che stavano lottando contro la morte e la distruzione.
"Perch‚ si comportano cos•?" pensava. "Non si accorgono che la citt… Š ormai in mano al nemico, e
che non c'Š alcun posto dove possano fuggire?" Era accaduto tutto molto rapidamente. Gli assiri
avevano approfittato dell'enorme vantaggio numerico ed erano
riusciti a risparmiare ai propri guerrieri i combattimenti. I soldati di Akbar erano stati sterminati quasi
senza scontro.
Si fermarono in mezzo alla piazza. Elia fu fatto inginocchiare per terra, e gli vennero legate le mani.
Ormai non sentiva pi— le urla della donna: forse era morta rapidamente, senza subire la lenta tortura
di essere bruciata viva. Il Signore l'aveva fra le braccia. E lei portava in grembo il proprio figlio.
Un altro gruppo di soldati assiri stava trascinando un prigioniero con il viso sfigurato dalle bastonate.
Elia riusc• comunque a riconoscere il comandante.
"Viva Akbar!" urlava questi. "Lunga vita alla Fenicia e ai suoi guerrieri, che si battono con il nemico
durante il giorno! Morte ai codardi che attaccano nel buio!"
Ebbe appena il tempo di concludere la frase: la spada di un generale assiro si abbatt‚ sulla testa del
comandante, che rotol• per terra.
"Adesso Š il mio turno", disse Elia fra s‚. "La incontrer• di nuovo in Paradiso, e passeggeremo
tenendoci per mano."
In quel preciso istante, un uomo si avvicin• e cominci• a discutere con gli ufficiali. Era un abitante di
Akbar, che soleva frequentare gli incontri nella piazza. Elia si ricordava di averlo aiutato a risolvere
un problema serio con un vicino.
Gli assiri discutevano, alzando sempre pi— la voce, lo indicavano. L'uomo si inginocchi•, baci• i
piedi a uno di essi, tese le mani in direzione del Monte Cinque e scoppi• a piangere come un
bambino. La furia degli assiri parve sopirsi.
Sembrava che quella conversazione non avesse fine. L'uomo continuava a implorare e a piangere,
indicando Elia e la casa dove viveva il governatore. I soldati non sembravano badare alle suppliche
dell'uomo.
Infine, l'ufficiale che parlava la sua lingua gli si avvicin•.
"La nostra spia," disse, indicando l'uomo, "sostiene che ci siamo sbagliati. E'lui che ci ha dato i piani
della citt…, e possiamo fidarci di ci• che dice. Non sei tu quello che volevamo ammazzare."
Lo spinse con il piede. Elia cadde per terra.
"Dice che andrai in Israele, a rovesciare la principessa che ha usurpato il trono. E'vero?"
Elia non rispose.
"Dimmi se Š la verit…," insistette l'ufficiale. "E potrai andartene via e tornare a casa, in tempo per
salvare quella donna e suo figlio."
"S•, Š vero," rispose Elia. Forse il Signore lo aveva ascoltato, e lo avrebbe aiutato a salvarli.
"Potremmo portarti prigioniero fino a Tiro e Sidone," prosegu• l'ufficiale. "Ma abbiamo ancora molte
battaglie davanti a noi, e tu ci saresti di peso. Potremmo chiedere un riscatto, ma a chi? Tu sei uno
straniero perfino nel tuo paese."
L'ufficiale gli tir• un calcio al viso.
"Non ci sei di alcuna utilit…. Non servi ai nemici, e non servi agli amici. Sei come la tua citt…: non
vale la pena lasciare parte del nostro esercito qui, per mantenerla sotto il nostro dominio. Quando
avremo conquistato la costa, in ogni caso Akbar sar… nostra."
"Ho una domanda da farti," disse Elia. "Solo una domanda."
L'ufficiale lo guard•, sospettoso.
"Perch‚ avete attaccato di notte? Non sapete che le guerre si combattono di giorno?"
"Non abbiamo infranto la legge: non c'Š nessuna tradizione che lo proibisca," rispose l'ufficiale. "E
abbiamo avuto molto tempo per conoscere il terreno. Voi vi preoccupavate tanto della tradizione, e
non avete pensato che le cose cambiano."
Senza aggiungere altro, il gruppo lo lasci•. Si avvicin• allora la spia e gli sleg• le mani.
"Mi sono ripromesso che, un giorno, avrei ripagato la tua generosit…: ho mantenuto la mia parola.
Quando gli assiri sono entrati nel palazzo, uno dei servi li ha informati che colui che cercavano si era
rifugiato in casa della vedova. E mentre loro si recavano l…, il vero governatore riusciva a fuggire."
Elia non gli prest• attenzione. Il fuoco crepitava ovunque, e le urla continuavano.
In tutta quella confusione si poteva notare un gruppo che ancora manteneva la disciplina: come in
obbedienza a un ordine invisibile, gli assiri si ritiravano in silenzio.
La battaglia di Akbar si era conclusa.
"Lei Š morta," disse Elia fra s‚ e s‚. "Non voglio andare a casa, perch‚ lei Š gi… morta. Oppure l'ha
salvata un miracolo, e allora mi verr… incontro."
Il cuore, per•, gli chiedeva di rialzarsi e di recarsi nella casa dove vivevano. Elia lottava contro se
stesso: non era soltanto l'amore di una donna che era in gioco in quel momento, ma tutta la sua vita,
la fede nei disegni del Signore, la partenza dalla citt… natale, l'idea che avesse una missione e che
fosse in grado di compierla.
Si guard• intorno, cercando una spada per mettere fine alla propria vita, ma gli assiri avevano portato
via da Akbar tutte le armi. Pens• di lanciarsi fra le fiamme di una casa che bruciava, ma ebbe paura
del dolore.
Per qualche istante, rimase assolutamente immobile. A poco a poco cominci• a riacquistare coscienza
della situazione in cui si trovava. La donna e suo figlio dovevano avere ormai abbandonato questa
terra, ma, secondo la tradizione, doveva seppellirli. L'impegno per il Signore, che Egli esistesse o no,
in quel momento era il suo unico sostegno. Dopo aver compiuto il proprio dovere religioso, si
sarebbe abbandonato al dolore e al dubbio.
C'era, inoltre, una possibilit… che fossero ancora vivi. Non poteva restarsene l•, senza fare niente.
"Non voglio vederli col viso bruciato e la pelle che si stacca dalla carne. Le loro anime staranno
ormai correndo libere per i cieli."
Si mise comunque a camminare verso la casa, soffocato e confuso dal fumo che non gli consentiva di
vedere bene la strada. A poco a poco, cominci• a rendersi conto della situazione in citt…. Anche se il
nemico si era ormai ritirato, il panico aumentava in maniera spaventosa. Le persone continuavano a
vagare senza meta, piangendo, implorando gli dŠi per i loro morti.
Cerc• qualcuno che potesse aiutarlo. C'era soltanto un uomo in vista, in stato confusionale: sembrava
essere molto lontano da l•.
"E'meglio andare direttamente, e non chiedere pi— aiuto." Conosceva Akbar come la sua citt…
natale, e riusc• a orientarsi anche se non riconosceva molti dei luoghi dove era solito passare. Per la
strada udiva adesso urla pi— coerenti: la popolazione aveva cominciato a rendersi conto che era
accaduta una tragedia e che bisognava reagire.
"Qui c'Š un ferito," urlava uno.
"Abbiamo bisogno di altra acqua! Non riusciremo a domare il fuoco!" esclamava un altro.
"Aiutatemi! Mio marito Š imprigionato!"
Giunse infine nel luogo dove, molti mesi addietro, era stato accolto e ospitato come un amico. C'era
una
vecchia seduta in mezzo alla strada, davanti alla casa, completamente nuda. Elia tent• di aiutarla, ma
fu respinto:
"Sta morendo!" url• la vecchia. "Fai qualche cosa! Togli quella parete che le Š crollata addosso!"
E si mise a gridare disperata. Elia la afferr• per le braccia e la allontan•, perch‚ il chiasso che faceva
non gli consentiva di sentire i gemiti della donna. Intorno a lui era tutto completamente distrutto: il
soffitto e le pareti erano crollate, era difficile individuare esattamente il punto in cui l'aveva vista
l'ultima volta. Le fiamme erano ormai scemate, ma il calore era ancora insopportabile. Attravers• le
macerie che ricoprivano il pavimento e raggiunse il punto dove un tempo c'era la camera della donna.
Malgrado la gran confusione all'esterno, riusc• a distinguere un gemito... Era la sua voce.
Istintivamente, si scosse la polvere dagli abiti, come se volesse migliorare il proprio aspetto. Rimase
l• in silenzio, cercando di concentrarsi. Ud• il crepitare del fuoco, la richiesta di aiuto di alcune
persone sepolte nelle case vicine, e avrebbe voluto dir loro di stare zitti, perch‚ doveva scoprire dove
si trovavano la donna e suo figlio. Dopo lungo tempo, sent• di nuovo il rumore: qualcuno stava
cercando di graffiare il legno che si trovava sotto i suoi piedi.
Si inginocchi• e cominci• a scavare come un pazzo. Rimosse la terra, le pietre e i legni. E infine la
sua mano sfior• qualcosa di caldo: era sangue.
"Non morire, per favore," disse.
E ud• la voce della donna che diceva: "Lasciami le macerie addosso. Non voglio che tu veda il mio
viso. Vai ad aiutare mio figlio."
Lui continu• a scavare, e la voce ripet‚:
"Vai a cercare il corpo di mio figlio. Per favore, fa'ci• che ti chiedo."
Elia, allora, chin• il capo e cominci• a piangere sommessamente.
"Non so dov'Š sepolto," disse lui. "Ti prego, non andartene. Vorrei tanto che tu restassi con me. Ho
bisogno che tu mi insegni ad amare, adesso il mio cuore Š pronto."
"Prima che arrivassi tu, per molti anni ho desiderato la morte. Deve avermi sentito ed Š venuta a
prendermi."
La donna emise un gemito. Elia si morse le labbra, ma non disse niente. Qualcuno gli sfior• le spalle.
Spaventato, Elia si volt• e vide il ragazzino: era coperto di polvere e fuliggine, ma non sembrava
ferito.
"Dov'Š mia mamma?" domand•.
"Sono qui, figlio mio," rispose la voce sotto le macerie. "E tu, sei ferito?"
Il bambino cominci• a piangere. Elia lo abbracci•.
"Tu stai piangendo, figliolo," disse la voce, sempre pi— flebile. "Non farlo. La tua mamma ha
faticato per imparare che la vita aveva un senso: spero che sia riuscita a insegnartelo. Come sta la
citt… in cui sei nato?"
Elia e il bambino rimasero in silenzio, stretti l'uno all'altro.
"Sta bene," ment• Elia. "Alcuni guerrieri sono morti, ma gli assiri si sono ritirati. Erano
all'inseguimento del governatore, per vendicare la morte di uno dei loro generali."
Di nuovo silenzio. E di nuovo la voce, sempre pi— flebile.
"Dimmi che la mia citt… Š salva."
Ebbe la sensazione che lei avrebbe potuto andarsene da un momento all'altro.
"Tutta la citt…. E tuo figlio sta bene."
"E tu?"
"Io sono sopravvissuto."
Sapeva che, con queste parole, stava liberando la sua anima e la faceva morire in pace.
"Chiedi a mio figlio di inginocchiarsi," disse la donna, dopo qualche minuto. "E voglio che tu mi
faccia un giuramento, in nome del Signore Dio tuo."
"Tutto ci• che vuoi. Tutto ci• che vuoi."
"Un giorno mi hai detto che il Signore si trovava in ogni luogo, e io ti ho creduto. Mi hai detto che le
anime non andavano sulla cima del Monte Cinque, e anche allora ho creduto a ci• che dicevi. Ma non
mi hai spiegato dove andavano.
"Ecco il giuramento: che non piangerai per me, e che vi prenderete cura l'uno dell'altro, finch‚ il
Signore consentir… a ciascuno di seguire la propria strada. Da ora in poi, la mia anima si fonde con
tutto ci• che ho conosciuto su questa terra: io sono la valle, le montagne circostanti, la citt…, le
persone che camminano per le sue strade. Io sono i suoi feriti e i suoi mendicanti, i suoi soldati, i suoi
sacerdoti, i suoi commercianti, i suoi nobili. Io sono il suolo che tu calpesti, e il pozzo che disseta
tutti quanti.
"Non piangete per me, perch‚ non c'Š alcun motivo che siate tristi. Da ora in poi, io sono Akbar, e la
citt… Š bellissima."
Sopraggiunse il silenzio della morte, e il vento cess• di spirare. Elia non udiva pi— alcun grido fuori,
o il fuoco che crepitava nelle case accanto. Ascoltava solo il silenzio, e avrebbe potuto quasi toccarlo,
tanto era intenso.
Elia, allora, allontan• il bambino, si strapp• le vesti e, rivolto ai cieli, url• con tutta la forza che aveva
nei polmoni:
"Signore mio Dio! Per causa tua ho abbandonato Israele, e non ho potuto offrirTi il mio sangue, come
hanno fatto i profeti che sono rimasti. Mi hanno chiamato codardo i miei amici, e traditore i miei
nemici.
"Per causa tua ho mangiato soltanto ci• che i corvi mi portavano, e ho attraversato il deserto fino a
Sarepta, che i suoi abitanti chiamavano Akbar. Guidato dalle Tue mani, ho incontrato una donna;
guidato da Te, il mio cuore ha imparato ad amarla. Ma mai, in alcun momento, ho dimenticato la mia
vera missione: durante tutti i giorni che ho trascorso qui, sono sempre stato pronto a partire.
"La bella Akbar adesso non Š altro che macerie, e la donna che mi hai affidato giace sotto di esse.
Dove ho peccato, Signore? In quale momento mi sono allontanato da ci• che desideravi da me? Se
non eri contento di me, perch‚ non mi hai portato via da questo mondo? Invece di farlo, hai punito
ancora una volta coloro che mi hanno aiutato e amato.
"Non capisco i Tuoi disegni. Non vedo giustizia nei Tuoi atti. Non sono in grado di sopportare la
sofferenza che mi hai imposto. AllontanaTi dalla mia vita, perch‚ anch'io sono macerie, fuoco e
polvere."
E in mezzo al fuoco e alla desolazione, Elia vide la luce. E comparve l'angelo del Signore.
"Che cosa sei venuto a fare?" domand• Elia. "Non vedi che ormai Š tardi?"
"Sono venuto a dirti che, ancora una volta, il Signore ha ascoltato la tua preghiera, e ci• che chiedi ti
sar… dato. Non udrai pi— il tuo angelo, e io non ti incontrer• pi— fino a quando non si saranno
compiuti i tuoi giorni di prova."
Elia prese il bambino per mano, e cominciarono a camminare senza meta. Il fumo, che prima era
disperso dal vento, si concentrava adesso nelle strade, rendendo l'aria irrespirabile. "Forse Š un
sogno," pens•. "Forse Š un incubo."
"Tu hai mentito a mia madre," diceva il bambino. "La citt… Š distrutta."
"Che importanza ha? Se lei non poteva vedere ci• che le accadeva intorno, perch‚ non lasciarla morire
felice?"
"Perch‚ lei ha avuto fiducia in te, e ha detto di essere Akbar."
Elia si fer• un piede con le schegge di vetro e ceramica sparse per terra: il dolore gli dimostr• che non
era un sogno, che tutto intorno a lui era terribilmente reale. Riuscirono a raggiungere la piazza dove
Ä tanto tempo addietro Ä si riuniva con il popolo e aiutava gli altri a risolvere le dispute. Il cielo era
indorato dal fuoco degli incendi.
"Non voglio che mia madre sia quello che ho davanti agli occhi," insisteva il bambino. "Tu le hai
mentito."
Il ragazzino riusciva a mantenere il proprio giuramento: non gli si era vista una sola lacrima sul viso.
"Che cosa faccio?" pens•. Il piede gli stava sanguinando, e decise di concentrarsi sul dolore, che lo
avrebbe allontanato dalla disperazione.
Guard• la ferita che la spada dell'assiro gli aveva provocato sul corpo: non era tanto profonda come
aveva immaginato. Si sedette con il bambino nello stesso luogo in cui era stato legato dai nemici, e
poi salvato da un traditore. Not• che le persone non correvano pi—: si spostavano da un luogo
all'altro camminando lentamente in mezzo al fumo, alla polvere e alle rovine, muovendosi come
spettri. Sembravano anime dimenticate dal cielo e condannate a vagare in eterno sulla terra. Tutto ci•
non aveva alcun significato.
Erano pochi coloro che reagivano: si sentivano ancora le voci delle donne e alcuni ordini scoordinati
di
quei soldati che erano sopravvissuti al massacro. Ma erano davvero pochi, e non ottenevano alcun
risultato.
Una volta il sacerdote aveva detto che il mondo era il sogno collettivo degli dŠi. E se, in fondo,
avesse avuto ragione lui? Avrebbe potuto, adesso, aiutare gli dŠi a risvegliarsi da questo incubo, e
farli di nuovo addormentare con un sogno pi— dolce? Quando aveva le sue visioni notturne, anche
lui si svegliava e poi si riaddormentava: perch‚ non poteva accadere la stessa cosa ai creatori
dell'Universo?
Inciampava nei morti: nessuno di essi doveva preoccuparsi pi— di tasse da pagare, di assiri
accampati nella valle, di riti religiosi, o dell'esistenza di un profeta errante, che un giorno, forse,
avrebbe loro rivolto la parola...
"Non posso rimanere qui per sempre. L'eredit… che mi ha lasciato Š questo bambino, e io ne sar•
degno, foss'anche l'ultima cosa che far• su questa terra."
A fatica si rialz•, lo riprese per mano e ricominciarono a camminare. C'era gente che saccheggiava le
botteghe e le tende che erano state distrutte. Per la prima volta tent• di reagire a quello che stava
capitando, chiedendo loro di non farlo.
Ma quelli lo respingevano, dicendo: "Stiamo mangiando gli avanzi di ci• che il governatore ha
divorato da solo. Non ci ostacolare."
Elia non aveva le forze per mettersi a discutere: port• il bambino fuori dalla citt… e cominciarono a
camminare nella valle. Gli angeli, con le loro spade di fuoco, non sarebbero pi— tornati.
"Luna piena."
Lontano dalla polvere e dal fumo, poteva vedere la notte illuminata dal chiaro di luna. Qualche ora
prima, quando aveva tentato di lasciare la citt… diretto a Gerusalemme, era riuscito a trovare la
strada senza difficolt…. Lo stesso era accaduto per gli assiri.
Il bambino inciamp• in un corpo e lanci• un urlo. Era il sacerdote: gli avevano mozzato le gambe e le
braccia, ma era ancora vivo. I suoi occhi erano fissi sulla vetta del Monte Cinque.
"Come vedi, gli dŠi fenici hanno vinto la battaglia celeste," disse con grande difficolt…, ma con voce
calma. Il sangue gli scorreva dalla bocca.
"Lascia che ponga fine alla tua sofferenza," gli disse Elia.
"Il dolore non significa niente, quando c'Š la gioia di avere compiuto il proprio dovere."
"Il tuo dovere era forse quello di distruggere una citt… di uomini giusti?"
"Una citt… non muore, muoiono soltanto i suoi abitanti, e le idee che essi portavano con s‚. Un
giorno, altri uomini verranno ad Akbar, berranno la sua acqua, e la pietra che il suo fondatore ha
lasciato sar… lucidata e custodita da nuovi sacerdoti. Adesso vai: il mio dolore cesser… da qui a
poco, mentre la tua disperazione continuer… per il resto della vita."
Il corpo mutilato respirava con difficolt…, ed Elia lo lasci•. In quello stesso istante, un gruppo di
persone uomini, donne e bambini Ä gli and• incontro correndo e lo circond•.
"Sei stato tu!" urlavano. "Hai disonorato la tua terra, e hai portato la maledizione nella nostra citt…!"
"Che gli dŠi vedano tutto ci•, che sappiano chi Š il colpevole!"
Gli uomini lo spingevano e lo strattonavano per le spalle. Il bambino si liber• dalle sue mani e
scomparve. Quella gente continuava a picchiarlo sul viso, sul petto, sulle spalle, ma Elia pensava solo
al bambino: non era stato neppure capace di tenerlo accanto a s‚.
Ben presto smisero di picchiarlo: forse erano tutti troppo stanchi di tanta violenza. Elia cadde a terra.
"Vattene via!" url• qualcuno. "Hai ripagato il nostro amore con il tuo odio!"
Il gruppo si allontan•. Elia non aveva la forza di rialzarsi. Quando riusc• a riprendersi dalla vergogna,
non era pi— lo stesso uomo. Non desiderava pi— n‚ morire n‚ continuare a vivere. Non desiderava pi
— niente: non provava amore, n‚ odio, n‚ fede.
Si svegli• quando qualcuno gli sfior• il viso. Era ancora buio, ma la luna non era pi— nel cielo.
"Ho promesso a mia madre che avrei avuto cura di te," disse il ragazzino. "Ma non so che cosa fare."
"Torna in citt…. Le persone sono buone, e qualcuno ti accoglier…."
"Tu sei ferito. Devo prendermi cura del tuo braccio. Forse comparir… un angelo, e mi dir… che cosa
fare."
"Tu ignori, non sai che cosa sta accadendo!" url• Elia. "Gli angeli non torneranno pi—, perch‚ noi
siamo persone comuni, e tutti deboli davanti alla sofferenza. Quando sopraggiungono le tragedie, che
le persone comuni se la sbrighino con i propri mezzi!"
Fece un respiro profondo e cerc• di calmarsi: discutere non serviva a niente.
"Come hai fatto ad arrivare fino a qui?"
"Non me ne sono mai andato."
"Allora hai assistito alla mia vergogna. Hai visto che non ho pi— nulla da fare ad Akbar."
"Tu mi hai detto che tutte le battaglie servono a qualcosa, anche quelle in cui siamo sconfitti."
Si ricordava dunque della passeggiata fino al pozzo del mattino precedente. Ma, da allora, sembrava
fossero passati anni, ed Elia avrebbe voluto spiegargli che, quando ci si trova davanti alla sofferenza,
le belle parole non significano niente. Tuttavia decise di non spaventare il ragazzino.
"Come sei scampato all'incendio?"
Il bambino chin• il capo. "Non mi ero addormentato. Avevo deciso di passare la notte sveglio per
vedere se tu e la mamma vi incontravate in camera. Ho visto quando i primi soldati sono entrati."
Elia si alz• e cominci• a camminare. Cercava la roccia davanti al Monte Cinque dove, un pomeriggio,
aveva assistito al tramonto del sole in compagnia della donna.
"Non devo andarci," pensava. "Mi sentirei ancora pi— disperato."
Ma una forza lo spingeva in quella direzione. Quando vi giunse, pianse amaramente: proprio come la
citt… di Akbar, quel luogo era segnato da una pietra, ma lui era l'unico, in tutta quella valle, a capirne
il significato. Quella pietra non sarebbe pi— stata osannata da nuovi abitanti, n‚ levigata da coppie
che scoprono il significato dell'amore.
Prese il ragazzino fra le braccia, e si riaddorment•.
"Ho sete e fame," disse il bambino a Elia, appena si svegli•.
"Possiamo andare a casa di certi pastori che vivono qui vicino. A loro non deve essere accaduto nulla,
perch‚ non vivono ad Akbar."
"Dobbiamo ricostruire la citt…. Mia madre ha detto che lei era Akbar."
Quale citt…? Non c'erano pi— n‚ palazzo, n‚ mercato, n‚ mura. Gli onesti cittadini si erano
trasformati in saccheggiatori, i giovani soldati erano stati massacrati. Gli angeli non sarebbero pi—
tornati: ma questo era il minore dei suoi problemi.
"Tu pensi che la distruzione, il dolore, le morti di ieri notte abbiano avuto un significato? Tu pensi
che sia necessario distruggere migliaia di vite per insegnare qualcosa a qualcuno?"
Il ragazzino lo guard• con espressione meravigliata.
"Dimentica quello che ho detto," gli disse Elia. "Andiamo a cercare quel pastore."
"E andiamo a ricostruire la citt…," insistette il bambino.
Elia non rispose. Sapeva che non sarebbe pi— riuscito a imporre la propria autorit… al popolo, che lo
accusava di avere portato la sventura. Il governatore
era fuggito, il comandante era morto, Tiro e Sidone sarebbero probabilmente cadute ben presto sotto
il dominio straniero. Forse aveva ragione la donna: gli dŠi cambiavano sempre, questa volta era il
Signore che se n'era andato.
"Quando ci torneremo?" domand• di nuovo il bambino.
Elia lo afferr• per le spalle e cominci• a scuoterlo con violenza: "Guardati indietro! Tu non sei un
angelo cieco, ma un ragazzino che voleva sorvegliare quello che faceva la mamma. Che cosa vedi?
Hai notato quelle colonne di fumo che si innalzano? Sai che cosa significano?"
"Mi stai facendo male! Voglio andarmene, voglio andarmene via!"
Elia si blocc•, spaventato di se stesso: non si era mai comportato in quel modo. Il bambino si
divincol• e cominci• a correre verso la citt…. Elia riusc• a raggiungerlo, e si inginocchi• ai suoi piedi:
"Perdonami. Non so che cosa sto facendo."
Il ragazzino singhiozzava, ma non una sola lacrima gli scorreva sul viso. Elia si sedette accanto a lui,
aspettando che si calmasse.
"Non andare via," lo preg•. "Nel momento in cui tua madre ci ha lasciati, le ho promesso che sarei
rimasto con te, fino a quando tu avessi potuto seguire la tua strada."
"Le hai promesso anche che la citt… era integra. E lei ha detto..."
"Non c'Š bisogno che tu me lo ripeta. Sono confuso, smarrito nella mia stessa colpa. Lascia che io
ritrovi me stesso. Scusami, non volevo ferirti."
Il ragazzino lo abbracci•. Ma non una sola lacrima gli scivol• sul viso.
Raggiunsero la casa in mezzo alla valle. C'era una donna accanto alla porta, e due bambini piccoli
giocavano l• davanti. Il gregge era nel recinto: significava che quel mattino il pastore non si era
recato sulle montagne.
La donna guard• spaventata l'uomo e il bambino che le venivano incontro. Il suo primo istinto fu di
mandarli via immediatamente, ma la tradizione, e gli dŠi, volevano che si rispettasse la legge
universale dell'ospitalit…. Se non li avesse accolti adesso, in futuro i suoi figli avrebbero potuto
subire lo stesso trattamento.
"Non ho denaro," disse loro. "Ma posso darvi un poco d'acqua e qualcosa da mangiare."
Si sedettero sotto la piccola tettoia ricoperta di paglia, e la donna port• un po'di frutta secca con un
orcio d'acqua. Mangiarono in silenzio, riprovando, per la prima volta dalla notte precedente, un
po'della normalit… che vivevano tutti i giorni. I bambini, spaventati dall'aspetto dei due, si erano
rifugiati dentro casa.
Quando ebbe finito di mangiare, Elia le domand• del pastore.
"Arriver… fra poco," rispose lei. "Abbiamo sentito molto rumore, e stamattina qualcuno Š venuto a
dirci che Akbar era stata distrutta. E'andato a vedere che cosa Š successo."
I bambini la chiamarono e lei rientr• in casa.
"Non servir… a niente tentare di convincere questo ragazzino," pens• Elia. "Non mi lascer…
tranquillo finch‚ non avr• fatto ci• che vuole lui. Devo dimostrargli che Š impossibile, e soltanto cos•
si convincer…."
Il cibo e l'acqua compivano il miracolo: si sentiva di nuovo parte del mondo.
Il pensiero gli fluiva con incredibile rapidit…, alla ricerca di soluzioni invece che di risposte.
Dopo qualche tempo arriv• il pastore. Guard• intimorito l'uomo e il bambino, preoccupato per la
sicurezza della propria famiglia. Ma cap• immediatamente di che cosa si trattava.
"Voi dovete essere fuggiti da Akbar," disse. "Vengo proprio da l•."
"E che cosa sta succedendo?" domand• il ragazzino.
"La citt… Š stata distrutta e il governatore Š fuggito. Gli dŠi hanno spezzato l'organizzazione del
mondo."
"Abbiamo perduto tutto quello che possedevamo," disse Elia. "Ti chiediamo di accoglierci."
"Penso che mia moglie vi abbia gi… accolto, e che vi abbia nutrito. Adesso Š necessario che partiate
e che affrontiate l'inevitabile."
"Non so come fare con un bambino. Ho bisogno di aiuto".
"S• che lo sai. Lui Š giovane, sembra intelligente, e ha energia. Tu hai l'esperienza di chi ha
conosciuto molte vittorie e molte sconfitte in questa vita. E'una combinazione perfetta, perch‚ puoi
aiutarlo a trovare la saggezza."
L'uomo guard• la ferita sul braccio di Elia. Disse che non era grave. Rientr• in casa e ne torn•
immediatamente con alcune erbe e un pezzo di stoffa. Il ragazzino lo aiut• ad applicare il
medicamento alla ferita. Quando il pastore gli disse che avrebbe potuto farlo anche da solo, il
bambino gli rispose che aveva promesso alla madre di prendersi cura di quell'uomo.
Il pastore sorrise: "Tuo figlio Š un uomo di parola."
"Io non sono suo figlio. E anche lui Š un uomo di parola. Ricostruir… la citt…, perch‚ deve fare
ritornare mia madre, come ha fatto con me..."
Elia comprese all'improvviso la preoccupazione di quel bambino, ma prima che potesse dire qualsiasi
cosa, il pastore si rivolse alla moglie che stava uscendo proprio in quel momento dalla casa: "Ed Š
meglio ricostruire immediatamente la vita. Ci vorr… molto tempo prima che tutto torni a essere
quello che era."
"Non lo sar… mai pi—."
"Tu hai l'aspetto di un giovane saggio, e puoi capire molte delle cose che io non comprendo. Ma la
natura mi ha insegnato qualcosa che non dimenticher•: l'uomo dipende dal tempo e dalle stagioni, e
solo cos• un pastore riesce a sopravvivere alle cose inevitabili. Egli bada al proprio gregge, tratta ogni
animale come se fosse l'unico, cerca di aiutare le madri coi loro piccoli, non si allontana mai da un
luogo dove gli animali possano abbeverarsi. Tuttavia, di tanto in tanto, capita che una delle pecore a
cui si Š tanto dedicato gli muoia in un incidente: pu• essere un serpente, un animale selvatico, oppure
la caduta da un precipizio. Ma l'inevitabile accade sempre."
Elia guard• in direzione di Akbar e si ricord• di una conversazione avuta con l'angelo. L'inevitabile
accade sempre.
"Sono necessarie disciplina e pazienza per superarlo," soggiunse il pastore.
"E speranza. E quando la speranza non c'Š pi—, non si possono sprecare le energie lottando contro
l'impossibile."
"Non si tratta di speranza nel futuro. Si tratta di ricreare il proprio passato."
Il pastore non aveva pi— fretta, il suo cuore adesso era colmo di piet… per i fuggiaschi che aveva
davanti. Giacch‚ lui e la sua famiglia erano stati risparmiati da quella tragedia, non costava nulla
aiutarli per ringraziare gli dŠi. Inoltre, aveva gi… sentito parlare del profeta israelita che era salito
sulla cima del Monte Cinque senza essere colpito dal fuoco del cielo. Tutto stava a indicare che
doveva essere l'uomo che aveva di fronte.
"Potete fermarvi un altro giorno, se volete."
"Non ho capito ci• che hai detto prima," ribatt‚ Elia. "Sul fatto di ricreare il proprio passato."
"Vedevo sempre la gente passare qui vicino, diretta a Tiro e Sidone. Alcuni si lamentavano che ad
Akbar non avevano ottenuto nulla, ed erano in cerca di un nuovo destino.
"Un giorno queste stesse persone ritornavano. Non avevano trovato ci• che stavano cercando, perch
‚ avevano portato con s‚, insieme ai bagagli, il peso del proprio fallimento precedente. Ogni tanto
qualcuno tornava con un lavoro, o con la gioia di avere educato meglio i figli, ma questo era tutto.
Perch‚ il passato in Akbar li aveva resi timorosi, e non avevano abbastanza fiducia in loro stessi per
rischiare molto.
"D'altro canto, sono passate davanti alla mia porta anche molte persone piene di entusiasmo. Avevano
goduto ogni minuto della loro vita ad Akbar, e avevano ottenuto, con grande sforzo, il denaro
necessario per il viaggio che volevano fare. Per costoro la vita era una vittoria continua, e sarebbe
stato sempre cos•.
"Anche questi ultimi ritornavano, ma con delle storie meravigliose. Avevano conquistato tutto quello
che desideravano, perch‚ non erano limitati dalle frustrazioni del passato."
Le parole del pastore toccarono il cuore di Elia.
"Non Š difficile ricostruire una vita, proprio come non Š impossibile far risorgere Akbar dalle sue
rovine," prosegu• il pastore. "Basta essere consapevoli di avere la stessa forza che avevamo prima. E
servircene a nostro favore."
L'uomo lo guard• fisso.
"Se hai un passato di cui non sei soddisfatto, adesso dimenticalo," prosegui. "Immagina per la tua vita
una nuova storia, e credici. Concentrati soltanto sui momenti in cui sei riuscito a ottenere quello che
desideravi: e questa forza ti aiuter… a ottenere ci• che vuoi."
"C'Š stato un momento in cui desideravo fare il carpentiere, e poi ho voluto essere un profeta inviato
per la salvezza di Israele," pens• Elia. "Gli angeli scendevano dai cieli, e il Signore mi parlava. Finch
‚ ho capito che Egli non era giusto, e i Suoi motivi saranno sempre al di l… di ci• che posso
comprendere."
Il pastore si rivolse alla moglie, dicendole che non si sarebbe allontanato: in fondo era gi… andato a
piedi fino ad Akbar, e non era intenzionato a un'altra camminata.
"Grazie per averci accolti," disse Elia.
"Non costa nulla darvi rifugio per una notte."
Il bambino interruppe la loro conversazione:
"Noi vogliamo tornare ad Akbar."
"Aspettate fino a domani. La citt… Š in preda al saccheggio da parte dei suoi stessi abitanti, e non c'Š
posto dove dormire."
Il ragazzino abbass• gli occhi, si morse le labbra, e ancora una volta si trattenne dal piangere. Il
pastore li accompagn• dentro casa, tranquillizz• i bambini e la moglie, e trascorse il resto della
giornata parlando del tempo, per distrarre i due ospiti.
Il giorno seguente, i due si svegliarono presto, consumarono un pasto preparato dalla moglie del
pastore, e si avvicinarono alla porta d'ingresso.
"Che la tua vita sia lunga, e il tuo gregge cresca sempre," disse Elia. "Ho mangiato quello di cui il
mio corpo aveva bisogno, e la mia anima ha appreso ci• che ancora non sapeva. Che Dio non
dimentichi mai quello che avete fatto per noi, e che i tuoi figli non siano stranieri in alcuna terra."
"Non so a quale Dio ti riferisca: sono molti gli abitanti del Monte Cinque," disse il pastore con
durezza, per poi cambiare immediatamente tono. "Ricordati delle cose belle che hai fatto. Esse ti
daranno coraggio."
"Ne ho fatte ben poche, e nessuna di esse per via delle mie qualit…."
"Allora Š il momento di farne altre."
"Forse avrei potuto evitare l'invasione."
Il pastore sorrise.
"Anche se tu fossi stato il governatore di Akbar, non saresti riuscito a scongiurare l'inevitabile."
"Forse il governatore avrebbe dovuto attaccare gli assiri quando giunsero nella valle, con pochi
uomini. O negoziare la pace prima che scoppiasse la guerra."
"Tutto quello che poteva accadere, ma che non Š
accaduto, finisce per essere portato via dal vento, e non lascia alcun segno," disse il pastore. "La vita
Š fatta dei nostri atteggiamenti. Ed esistono certe cose che gli dŠi ci obbligano a vivere. Non importa
quale sia la loro motivazione, e non serve a niente fare il possibile perch‚ passino lontano da noi."
"Perch‚?"
"Domandalo a un profeta israelita che viveva ad Akbar. Sembra che egli abbia una risposta per tutto."
L'uomo si avvi• verso il recinto.
"Devo portare il mio gregge a pascolare," disse. "Ieri le pecore non sono uscite, e sono impazienti."
Li salut• con un cenno, e se ne and• con le sue pecore.
Il bambino e l'uomo procedevano lungo la valle.
"Stai camminando adagio," diceva il ragazzino. "Hai paura di quello che ti pu• accadere."
"Ho paura soltanto di me", rispose Elia. "Non possono farmi niente, perch‚ il mio cuore non esiste pi
—."
"Il Dio che mi ha riportato indietro dalla morte Š ancora vivo. Egli pu• ricondurre indietro anche mia
madre, se tu farai la stessa cosa con la citt…."
"Dimentica questo Dio. Egli Š lontano, e non fa pi— i miracoli che ci aspettiamo da Lui."
Il pastore aveva ragione. Da quel momento in poi, per lui era necessario ricostruire il proprio passato,
dimenticare che un giorno si era ritenuto un profeta pronto a liberare Israele, ma che aveva fallito
nella missione di salvare una semplice citt….
Quel pensiero gli suscit• una strana sensazione di euforia. Per la prima volta nella vita si sent• libero,
pronto a fare ci• che ben comprendesse, nel momento in cui lo avesse desiderato. Non avrebbe pi—
udito gli angeli, certo, ma in compenso era libero di fare ritorno in Israele, di riprendere il proprio
lavoro di carpentiere, di recarsi fino in Grecia per apprendere come pensavano i suoi saggi, o di
partire insieme ai navigatori fenici verso le terre al di l… del mare.
Prima, per•, si doveva vendicare. Aveva dedicato i migliori anni della propria giovent— a un Dio
sordo, che viveva dando ordini, e facendo sempre le cose a proprio modo. Aveva appreso ad accettare
le Sue decisioni e a rispettare i Suoi disegni.
Ma la sua fedelt… era stata ricambiata con l'abbandono, la sua dedizione era stata ignorata, i suoi
sforzi per rispettare la Volont… Suprema avevano dato come unico risultato la morte della sola
donna che avesse mai amato nella vita.
"Possiedi tutta la forza del mondo e delle stelle," disse Elia nella propria lingua natale, in modo che il
bambino accanto a lui non intendesse il significato delle parole. "Puoi distruggere una citt…, un
paese, come noi distruggiamo gli insetti. Allora manda il fuoco del cielo, e distruggi la mia vita
adesso, perch‚, se non lo farai, io mi scaglier• contro la Tua opera."
Akbar comparve in lontananza. Elia prese la mano del bambino e la strinse con forza.
"Da questo punto in poi, fino a quando attraverseremo le porte della citt…, camminer• a occhi chiusi,
e ho bisogno che tu mi guidi," disse al bambino. "Se morir• durante il cammino, fai ci• che hai
chiesto a me di fare: ricostruisci Akbar, anche se, per farlo, sar… necessario prima che tu cresca, e
poi che apprenda come tagliare il legno o scolpire le pietre."
Il bambino non disse niente. Elia chiuse gli occhi e si lasci• guidare. Udiva il rumore del vento, e il
suono dei suoi stessi passi sulla sabbia.
Si ricord• di MosŠ che aveva liberato e condotto il popolo eletto attraverso il deserto, superando
enormi difficolt…, ma a cui Dio aveva impedito di entrare a Canaan. Allora MosŠ aveva detto:
"Ti imploro di lasciarmi passare, affinch‚ io veda questa
buona terra al di l… del Giordano." 9
Il Signore, per•, si era indignato alla sua richiesta. E aveva risposto:
"Basta. Non parlarmi pi— di questa cosa. Sali sulla cima
del Pisga, volgi lo sguardo a occidente, a settentrione, a
mezzogiorno e a oriente e contempla il paese con gli
occhi; perch‚ tu non passerai questo Giordano." 10
Cos• il Signore aveva ripagato il lungo e arduo fardello di MosŠ: non gli aveva consentito di mettere
piede in Terra Promessa. Che cosa sarebbe accaduto se egli avesse disobbedito?
Elia rivolse di nuovo il pensiero ai cieli.
"Mio Signore, questa battaglia non Š avvenuta fra gli assiri e i fenici, ma fra Te e me. Non mi avevi
avvisato di questa nostra guerra privata, e, come sempre, hai vinto e fatto in modo che la Tua
volont… si compisse. Hai distrutto la donna che ho amato, e la citt… che mi ha accolto quando ero
lontano dalla mia patria."
Il vento spir• pi— forte nelle sue orecchie. Elia si spavent•, ma prosegu•.
"Non posso riportare indietro la donna, ma posso cambiare il destino della Tua opera di distruzione.
MosŠ accett• la Tua volont…, e non attravers• il fiume. Io, invece, andr• avanti: uccidimi in questo
istante, perch‚, se mi lascerai arrivare fino alle porte della citt…, ricostruir• ci• che hai voluto spazzar
via dalla faccia della terra. E andr• contro la Tua decisione."
E non aggiunse altro. Svuot• la propria mente e attese la morte. Per lungo tempo si concentr•
unicamente sul suono dei passi sulla sabbia: non voleva udire la voce degli angeli, o le minacce del
cielo. Il suo cuore era libero, ed egli non temeva pi— ci• che poteva accadergli. Nel profondo
dell'anima, tuttavia, qualche cosa cominci• a infastidirlo, come se avesse dimenticato un fatto
importante.
Molto tempo dopo, il bambino si ferm•, e scosse Elia per il braccio.
"Siamo arrivati," disse.
Elia apr• gli occhi. Il fuoco del cielo non si era abbattuto su di lui, e le rovine delle mura di Akbar lo
circondavano.
Guard• il ragazzino che adesso gli teneva tutte e due le mani, come nel timore che potesse sfuggirgli.
Lui lo amava? Non ne aveva idea. Ma queste riflessioni si potevano rimandare: adesso aveva un
compito da svolgere, il primo, dopo tanti anni, che non gli era stato imposto da Dio.
Dal punto in cui si trovavano, potevano sentire l'odore di bruciato. Uccelli rapaci volavano a cerchio
nel cielo, aspettando il momento adatto per divorare i cadaveri delle sentinelle che imputridivano
sotto il sole. Elia si avvicin• a uno dei soldati morti, e gli prese la spada dalla cintura. Nella
confusione della notte precedente, gli assiri avevano dimenticato di raccogliere le armi che si
trovavano al di fuori della citt….
"Perch‚ la prendi?" domand• il bambino.
"Per difendermi."
"Gli assiri non ci sono pi—."
"Comunque Š bene che io la abbia con me. Dobbiamo essere preparati."
La voce gli tremava. Era impossibile sapere che cosa sarebbe accaduto da quel momento in poi,
mentre attraversavano le mura semidistrutte: ma lui era pronto a uccidere chiunque avesse tentato di
sottometterlo.
"Sono stato distrutto come questa citt…," disse al bambino. "Ma, come questa citt…, non ho ancora
concluso la mia missione."
Il ragazzino sorrise.
"Parli come un tempo," disse.
"Non lasciarti ingannare dalle parole. Prima, il mio obiettivo era di togliere Gezabele dal trono e di
restituire Israele al Signore; ma adesso che Lui ci ha dimenticati, dobbiamo dimenticarLo anche noi.
La mia missione Š quella di fare ci• che tu mi hai chiesto."
Il bambino lo guard• diffidente.
"Senza Dio, mia madre non torner… pi— dal mondo dei morti."
Elia lo accarezz• sul capo.
"Soltanto il corpo di tua madre Š partito. Lei Š ancora fra noi, e, come ci ha detto, Š Akbar.
Dobbiamo aiutarla a recuperare la bellezza."
La citt… era quasi deserta. Vecchi, donne e bambini camminavano per le strade, ricreando la scena
che Elia aveva visto la notte dell'invasione. Sembrava non sapessero bene qual era la decisione
successiva da prendere.
Ogni volta che incrociavano qualcuno, il bambino notava che Elia stringeva con forza l'impugnatura
della spada. Ma le persone mostravano indifferenza: la maggior parte di esse riconosceva il profeta di
Israele, alcuni lo salutavano con il capo, ma nessuno gli rivolgeva una parola, neppure di odio.
"Hanno perduto perfino il sentimento della rabbia," pens• Elia, guardando la vetta del Monte Cinque,
sempre coperta dalle sue nuvole eterne. Allora si ricord• delle parole del Signore:
"Butter• i vostri cadaveri sui cadaveri dei vostri idoli e
io vi avr• in abominio. Ridurr• le vostre citt… a deserti.
A quelli che fra di voi saranno superstiti infonder• nel
cuore costernazione nel paese dei loro nemici: il fruscio
di una foglia agitata li metter… in fuga; fuggiranno come
si fugge di fronte alla spada e cadranno senza che alcuno li insegua." 11
"Ecco ci• che hai fatto, Signore: hai mantenuto la Tua parola, e le anime dei morti continuano a
vagare per la terra. E Akbar Š la citt… prescelta per dare loro rifugio."
I due raggiunsero la piazza principale, si sedettero su un cumulo di macerie e si guardarono intorno.
La distruzione sembrava pi— dura e inesorabile di quanto Elia aveva pensato: il soffitto della
maggior parte delle case era crollato, la sporcizia e gli insetti erano ormai padroni di tutto.
"Bisogna rimuovere i morti," disse. "Altrimenti la peste entrer… in citt… dalla porta principale."
Il bambino teneva gli occhi bassi.
"Alza la testa," gli disse Elia. "Abbiamo molto da lavorare, affinch‚ tua madre sia contenta."
Ma il ragazzino non obbed•: cominciava a rendersi conto che, in qualche luogo tra quelle rovine, c'era
un corpo che un giorno lo aveva dato alla luce. E quel corpo era in uno stato simile a tutti gli altri
corpi che erano l•, sparsi intorno a lui...
Elia non insistette. Si alz•, si caric• un cadavere sulle spalle e lo trasport• in mezzo alla piazza. Non
riusciva a ricordarsi delle raccomandazioni del Signore sulla sepoltura dei morti: tutto quello che
doveva fare era impedire che sopraggiungesse la peste, e l'unica via d'uscita era quella di bruciarli.
Lavor• per tutta la mattina. Il bambino non si mosse dal punto in cui si trovava, e non alz• gli occhi
neppure un istante, ma rispett• quanto aveva promesso alla madre: non una sola lacrima cadde sul
suolo di Akbar.
Una donna si ferm• e si trattenne a osservare il lavoro di Elia.
"Un uomo che risolveva i problemi dei vivi, e adesso mette ordine tra i corpi dei morti," comment•.
"Dove sono gli uomini di Akbar?" domand• Elia.
"Sono partiti, e hanno portato via con s‚ quel poco che era loro rimasto. Non c'Š pi— nulla per cui
valga la pena di restare. Non hanno lasciato la citt… soltanto coloro che non sono in grado di farlo: i
vecchi, le vedove, gli orfani."
"Ma erano qui da varie generazioni. Non si pu• rinunciare cos• facilmente."
"Cerca di spiegarlo a chi ha perduto tutto."
"Aiutami," disse Elia, caricandosi un altro corpo sulle spalle, e deponendolo sul mucchio. "Dobbiamo
bruciarli, perch‚ il dio della peste non venga a trovarci. Egli ha orrore dell'odore della carne che
brucia."
"Che il dio della peste venga pure," afferm• la donna. "E che ci porti via tutti, il pi— in fretta
possibile."
Elia continu• a lavorare. La donna si sedette accanto al bambino e si trattenne a guardare quello che
faceva. Un po'di tempo dopo, gli si riavvicin•.
"Perch‚ desideri salvare una citt… condannata?"
"Se mi fermer• a riflettere, mi ritrover• incapace di fare ci• che voglio," rispose lui.
Il vecchio pastore aveva ragione: la sua unica via d'uscita era quella di dimenticare il passato di
incertezze, e creare per se stesso una nuova storia. L'antico profeta era morto insieme a una donna,
nelle fiamme della sua casa. Adesso era un uomo senza fede in Dio, e pieno di dubbi. Ma era ancora
vivo, anche dopo avere sfidato le maledizioni divine. Se avesse voluto continuare per la sua strada,
doveva fare quello che si proponeva.
La donna scelse un corpo pi— leggero e lo tir• per i piedi, trascinandolo fino al mucchio di cadaveri
che Elia aveva iniziato.
"Non Š per paura del dio della peste," disse lei. "N‚ per Akbar, giacch‚ fra poco gli assiri torneranno.
E'per quel ragazzino che se ne sta l•, seduto a capo chino: deve comprendere che ha ancora una vita
davanti a s‚."
"Grazie," disse Elia.
"Non mi ringraziare. Da qualche parte fra queste rovine, troveremo il corpo di mio figlio. Aveva pi—
o meno la stessa et… di quel ragazzino."
Si copr• il viso con le mani e pianse copiosamente. Elia la prese delicatamente per un braccio.
"Il dolore che tu e io proviamo non passer… mai, ma il lavoro ci aiuter… a sopportarlo. La
sofferenza non ha forze per ferire un corpo stanco."
Trascorsero tutto il giorno impegnati nel macabro compito di radunare e ammucchiare i morti: erano
per lo pi— giovani, che gli assiri avevano identificato come parte dell'esercito di Akbar. Pi— di una
volta egli riconobbe degli amici, e pianse. Ma non interruppe mai il lavoro.
Alla fine del pomeriggio erano esausti. Ma il lavoro compiuto, comunque, era ben lungi dall'essere
sufficiente. E nessun altro abitante di Akbar li aveva aiutati.
T due ritornarono accanto al bambino che, per la prima volta, alz• il capo.
"Ho fame," disse.
"Vado a prenderti qualcosa," rispose la donna. "C'Š
molto cibo nascosto nelle varie case di Akbar: la gente si stava preparando a un lungo assedio."
"Prendi qualcosa da mangiare per me e per te, perch‚ ci siamo occupati della citt… con il sudore della
nostra fronte," disse Elia. "Ma, se questo bambino vuole mangiare, dovr… occuparsi di se stesso."
La donna cap•: si sarebbe comportata nella stessa maniera con il proprio figlio. And• nel luogo dove
un tempo c'era la sua casa: quasi tutto era stato rivoltato dai saccheggiatori, in cerca di oggetti di
valore, e la sua collezione di vasi, creata dai grandi maestri vetrai di Akbar, giaceva in frantumi per
terra. Ma trov• la frutta secca e la farina che aveva serbato.
Ritorn• nella piazza e condivise parte del cibo con Elia. Il bambino rimase in silenzio.
Un vecchio si avvicin•.
"Ho visto che avete passato tutto il giorno a raccogliere i corpi," disse. "State perdendo tempo: non
sapete che gli assiri, dopo avere conquistato Tiro e Sidone, torneranno? Che venga il dio della peste,
e li distrugga tutti!"
"Non lo abbiamo fatto per loro, n‚ per noi," rispose Elia. "Questa donna sta lavorando per insegnare a
un bambino che c'Š ancora un futuro. E io lo faccio per dimostrare che non c'Š pi— un passato."
"Il profeta non Š pi— una minaccia per la grande principessa di Tiro: che sorpresa! Gezabele
governer… su Israele fino alla fine dei suoi giorni, e per noi ci sar… sempre un posto dove rifugiarci
se gli assiri non saranno generosi con i vinti."
Elia non disse niente. Quel nome, che prima gli suscitava tanto odio, adesso gli suonava stranamente
lontano.
"Akbar sar… ricostruita, in qualsiasi modo," insistette il vecchio. "Sono gli dŠi che hanno scelto i
luoghi dove saranno erette le citt…, e non la abbandoneranno: ma possiamo lasciare questo compito
alle generazioni future."
"Possiamo. Ma non lo faremo."
Elia volt• le spalle al vecchio, troncando la conversazione.
Dormirono tutti e tre all'aperto. La donna abbracci• il bambino, e not• che la pancia gli brontolava per
la fame. Pens• di dargli qualcosa da mangiare, ma poi cambi• idea: la stanchezza fisica sopiva
veramente il dolore, e quel bambino, che sembrava stesse soffrendo molto, doveva occuparsi di
qualcosa. Forse la fame lo avrebbe convinto a lavorare.
Il giorno seguente, Elia e la donna ripresero il loro lavoro. Il vecchio che si era avvicinato la sera
prima, li cerc• di nuovo.
"Non ho niente da fare e potrei aiutarvi," disse. "Ma sono troppo debole per trasportare i corpi."
"Allora raccogli i ramoscelli di legno e i mattoni. Spazza le ceneri."
Il vecchio cominci• a fare quello che gli avevano chiesto.
Quando il sole fu alto nel cielo, Elia si sedette per terra, stremato. Sapeva di avere accanto a s‚ il
proprio angelo, ma non poteva pi— sentirlo. "A che servirebbe? Non Š stato capace di aiutarmi
quando ne avevo bisogno, e adesso non voglio i suoi consigli. Tutto quello che devo fare adesso Š
lasciare questa citt… in ordine, dimostrare a Dio che posso essere in grado di fronteggiarLo e poi
andarmene dove desidero."
Gerusalemme non era lontana: solo sette giorni di cammino, senza luoghi difficili da attraversare, ma
l• era considerato un traditore. Forse sarebbe stato meglio andare a Damasco, o trovare un lavoro
come scriba in qualche citt… greca.
Si sent• toccare da qualcuno. Si volt• e vide il bambino con un piccolo vaso.
"L'ho trovato in una casa," disse il ragazzino, porgendoglielo.
Era pieno di acqua. Elia lo bevve fino alla fine.
"Mangia qualcosa," disse. "Stai lavorando, e meriti una ricompensa"
Per la prima volta dalla notte dell'invasione, un sorriso comparve sulle labbra del ragazzino, che
scapp• correndo verso il luogo dove la donna aveva lasciato la frutta e la farina.
Elia si rimise al lavoro: entrava nelle case distrutte, frugava fra le macerie, prendeva i corpi e li
portava verso la pira al centro della piazza. La medicazione che il pastore gli aveva fatto al braccio si
era staccata, ma non aveva importanza: doveva dimostrare a se stesso di essere forte quanto bastava
per recuperare la propria dignit….
Il vecchio, che adesso si era messo a raccogliere i rottami sparpagliati per la piazza, aveva ragione:
ben presto i nemici sarebbero tornati, per raccogliere i frutti di quello che non avevano piantato. Elia
stava risparmiando il lavoro agli assassini dell'unica donna che aveva amato in tutta la sua vita: gli
assiri, infatti, erano superstiziosi, e avrebbero ricostruito Akbar a ogni costo. Secondo le credenze
popolari, gli dŠi avevano distribuito le citt… secondo un preciso disegno, in armonia con le valli, gli
animali, i fiumi, i mari. In ognuna di esse avevano mantenuto uno spazio sacro, dove riposare durante
i loro lunghi viaggi per il mondo. Quando una citt… era distrutta, c'era sempre il grande rischio che i
cieli si abbattessero sulla terra.
Narrava la leggenda che il fondatore di Akbar fosse passato l•, centinaia di anni addietro, proveniente
dal nord. Aveva deciso di dormire in quel luogo e, per segnare il posto dove aveva lasciato le proprie
cose,
aveva piantato un pezzo di legno nel suolo. Il giorno dopo non era riuscito a strapparlo via e cos•
aveva capito la volont… dell'Universo: aveva segnato dunque con una pietra il punto dove era
avvenuto il miracolo, e l• nei pressi aveva scoperto una sorgente di acqua. A poco a poco, alcune trib
— si erano insediate intorno alla pietra e al pozzo. Era nata Akbar.
Il governatore, una volta, gli aveva spiegato che, secondo la tradizione fenicia, tutta la citt…
costituiva il terzo punto, l'elemento che collegava la volont… dei cieli e la volont… della terra.
L'Universo faceva s• che la semente si trasformasse in pianta, il suolo le consentiva di crescere e
l'uomo la raccoglieva e la portava nella citt…, dove si consacravano le offerte agli dŠi, che poi
venivano lasciate sulle montagne sacre. Pur non avendo viaggiato molto, Elia sapeva che questa
visione era condivisa da molte nazioni del mondo.
Gli assiri avevano paura di lasciare gli dŠi del Monte Cinque senza cibo: non volevano spezzare
l'equilibrio dell'Universo.
"Perch‚ mi vengono in mente tutte queste cose, se questa Š una lotta fra la mia volont… e quella del
mio Signore, che mi ha lasciato da solo in mezzo alle tribolazioni?"
La stessa sensazione che aveva provato il giorno precedente, quando aveva sfidato Dio, lo riassal•.
Stava dimenticando qualcosa di importante, e non riusciva a rammentarsene, neppure forzando la
memoria.
Trascorse un altro giorno. Avevano gi… raccolto la maggior parte dei corpi, quando si avvicin•
un'altra donna.
"Non ho niente da mangiare," disse.
"Neanche noi," rispose Elia. "Ieri e oggi abbiamo
diviso in tre quanto era stato serbato per una persona sola. Scopri dove puoi trovare qualcosa da
mangiare e poi avvisami."
"Come posso farlo?"
"Domandalo ai bambini. Loro sanno tutto."
Da quando gli aveva offerto l'acqua, il bambino sembrava avere riacquistato un po'del piacere di
vivere. Elia lo aveva mandato ad aiutare il vecchio a raccogliere i rottami e le macerie, ma non era
riuscito a farlo lavorare per lungo tempo: adesso stava giocando con altri bambini, in un angolo della
piazza.
"Meglio cos•. Avr… tempo per sudare, quando diventer… adulto". Ma non si pentiva di averlo
lasciato a digiuno per una notte intera, con il pretesto che doveva lavorare. Se lo avesse trattato come
un povero orfano, vittima della cattiveria dei guerrieri assassini, non sarebbe mai uscito dalla
depressione in cui era sprofondato quando erano entrati in citt…. Adesso voleva lasciarlo da solo per
alcuni giorni, a trovare le proprie risposte per quello che era accaduto.
"Ma come possono i bambini sapere qualche cosa?" insisteva la donna che gli aveva chiesto del cibo.
"Te ne accorgerai da sola."
La donna e il vecchio che aiutavano Elia la videro parlare con i bambini che giocavano per la strada.
Questi le dissero qualcosa, lei si volt•, sorrise, e scomparve dietro un angolo della piazza.
"Come hai scoperto che i bambini lo avrebbero saputo?" gli domand• il vecchio.
"Perch‚ anch'io sono stato un bambino, e so che i bambini non hanno passato," disse, rammentandosi
ancora una volta della conversazione con il pastore. "I bambini erano atterriti la notte dell'invasione,
ma ormai non se ne preoccupano pi—. La citt… si Š trasformata in un parco immenso, dove loro
possono entrare e uscire dai luoghi senza essere rimproverati. Dovevano finire di sicuro per scoprire
il cibo che gli abitanti hanno immagazzinato per resistere all'assedio di Akbar.
"Un bambino pu• insegnare sempre tre cose a un adulto: a essere contento senza motivo, a essere
sempre occupato con qualche cosa e a pretendere con ogni sua forza quello che desidera. E'per via di
questo bambino che io sono tornato ad Akbar."
Quel pomeriggio, altri vecchi e altre donne si unirono a loro per raccogliere i morti. I bambini
tenevano lontani gli uccelli rapaci e portavano pezzetti di legno e di tessuto. Quando scese la sera,
Elia appicc• il fuoco all'immensa pira di corpi. I sopravvissuti di Akbar contemplarono in silenzio il
fumo che si innalzava verso i cieli.
Una volta concluso il proprio compito, Elia si abbandon• alla stanchezza. Prima di addormentarsi,
per•, fu riassalito dalla stessa sensazione che aveva provato quella mattina: qualche cosa di molto
importante lottava disperatamente per tornargli alla mente. Non era nulla che egli avesse appreso
durante tutto il periodo trascorso ad Akbar, ma una storia antica, che sembrava dare un significato a
tutto ci• che stava accadendo.
"Durante quella notte, un uomo entr• nella tenda di Giacobbe, e lott• con lui fino allo spuntare
dell'aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, gli disse: 'Lasciami andare.'
Rispose Giacobbe: 'Non ti lascer• andare se non mi avrai benedetto.'
Allora l'uomo gli disse: 'Hai lottato con Dio. Come ti chiami?'
Giacobbe gli disse il proprio nome, e l'uomo rispose: 'D'ora in avanti ti chiamerai Israele.'" 22
Elia si svegli• di soprassalto e guard• il firmamento. Era questa la storia che mancava!
Molto tempo addietro, il patriarca Giacobbe si era accampato e, durante la notte, qualcuno entr• nella
sua tenda e lott• con lui fino allo spuntare dell'aurora. Giacobbe accett• il combattimento, pur sapendo
che l'avversario era il Signore. All'alba, non era ancora stato vinto: e cess• il combattimento soltanto
quando Dio acconsent• a benedirlo.
La storia era stata tramandata di generazione in generazione perch‚ nessuno la dimenticasse mai: a
volte era necessario lottare con Dio. Ogni essere umano, a un certo momento, vedeva una tragedia
attraversare la propria vita: poteva essere la distruzione di una citt…, la morte di un figlio, un'accusa
senza prove, una malattia che lasciava invalidi per sempre. In quel momento Dio lo sfidava ad
affrontarLo, e a rispondere alla Sua domanda: "Perch‚ ti aggrappi tanto a un'esistenza cos• breve e
cos• piena di sofferenza? Qual Š il significato della tua lotta?"
Allora l'uomo che non sapeva rispondere a questa domanda si rassegnava. Mentre l'altro, quello che
cercava un significato all'esistenza, pensava che Dio fosse stato ingiusto, e si accingeva a sfidare lo
stesso destino. Era proprio in quel momento che un altro fuoco
dei cieli scendeva: non il fuoco che uccide, ma quello che distrugge le antiche mura e concede a ogni
essere umano le sue vere possibilit…. I codardi non lasciano mai che il proprio cuore sia incendiato
da questo fuoco: tutto ci• che essi desiderano Š che la nuova situazione torni rapidamente a essere
quella di prima, per poter continuare a vivere e a pensare nel modo in cui erano soliti. I valorosi,
invece, appiccano il fuoco a ci• che era vecchio, e, sia pure a costo di grande sofferenza interiore,
abbandonano tutto, compreso Dio, e vanno avanti.
"I valorosi sono sempre tenaci."
Dal cielo, il Signore sorride contento, perch‚ era ci• che Egli voleva: che ciascuno avesse nelle
proprie mani la responsabilit… della propria vita. In fin dei conti aveva dato ai propri figli il pi—
grande di tutti i doni: la capacit… di scegliere e decidere i propri atti.
Soltanto gli uomini e le donne segnati nel cuore dalla fiamma sacra avevano il coraggio di
affrontarLo. E soltanto questi conoscevano il cammino per tornare al Suo amore, giacch‚ capivano
finalmente che la tragedia non era una punizione, ma una sfida.
Elia rivide a uno a uno tutti i suoi passi: dal momento in cui aveva lasciato la falegnameria, aveva
accettato la propria missione senza discutere. Anche se fosse stata vera, e lui pensava che lo fosse,
Elia non aveva mai avuto l'opportunit… di vedere che cosa accadeva nei cammini che aveva rifiutato
di percorrere. Perch‚ aveva paura di perdere la fede, la dedizione, la volont…. Riteneva che fosse
molto rischioso sperimentare il cammino delle persone comuni: alla fine avrebbe potuto anche
abituarvisi e amare ci• che vedeva. Non capiva che anche lui era una persona come tutte le altre,
anche se udiva gli angeli e riceveva di tanto in tanto qualche ordine da Dio: era talmente convinto di
sapere ci• che voleva da essersi comportato proprio come coloro che non avevano mai preso una
decisione importante nella vita.
Era sfuggito al dubbio. Alla sconfitta. Ai momenti di indecisione. Ma il Signore era generoso, e lo
aveva condotto sull'abisso dell'inevitabile per dimostrargli che l'uomo deve scegliere, e non accettare,
il proprio destino.
Molti e molti anni addietro, in una notte come quella, Giacobbe non aveva permesso che Dio se ne
andasse prima di averlo benedetto. Allora il Signore gli aveva domandato: "Come ti chiami?"
Era questo il problema: avere un nome. Quando Giacobbe aveva risposto, Dio lo aveva battezzato
Israele. Ciascuno ha un nome fin dalla nascita, ma deve apprendere a battezzare la propria vita con la
parola che ha scelto per dare alla vita stessa un significato.
"Io sono Akbar," aveva detto lei.
Erano state necessarie la distruzione della citt… e la perdita della donna amata perch‚ Elia capisse
che aveva bisogno di un nome. E in quell'istante chiam• la propria vita liberazione.
Si alz• e guard• la piazza davanti a s‚: il fumo si innalzava ancora dalle ceneri di coloro che avevano
perso la vita. Nell'appiccare fuoco a quei corpi, Elia aveva sfidato un antichissimo costume del suo
paese, per cui gli uomini dovevano essere sepolti secondo i rituali. Aveva lottato con Dio e con la
tradizione quando aveva deciso di incenerirli, ma sentiva di non avere peccato, giacch‚ era necessaria
una nuova soluzione per un nuovo problema. Dio era infinito nella sua misericordia, e implacabile nel
suo rigore con coloro che non hanno il coraggio di osare.
Guard• di nuovo la piazza: alcuni dei sopravvissuti non si erano mai addormentati, e tenevano gli
occhi fissi sulle fiamme, come se quel fuoco stesse consumando anche i loro ricordi, il loro passato, i
duecento anni di pace e di inerzia di Akbar. Il tempo della paura e dell'attesa era terminato: adesso
rimaneva soltanto la ricostruzione o la sconfitta.
Come Elia, anche loro avrebbero potuto scegliere un nome per se stessi: Riconciliazione, Saggezza,
Amante, Pellegrino. Le scelte erano tante, quanto il numero delle stelle nel cielo, ma ciascuno doveva
dare un nome alla propria vita.
Elia si alz• e preg•:
"Ho lottato contro di Te, Signore, e non me ne vergogno. E per questo ho scoperto che sono sul mio
cammino, perch‚ cos• desidero, non perch‚ mi Š stato imposto dai miei genitori, dalle tradizioni della
mia terra, o da Te.
"A Te, Signore, vorrei ritornare in questo istante. Voglio lodarTi con la forza della mia volont…, e
non con la codardia di chi non ha saputo scegliere un cammino diverso. Tuttavia, perch‚ Tu mi affidi
questa importante missione, ho bisogno di proseguire la battaglia contro di Te, fino a quando non mi
avrai benedetto."
Ricostruire Akbar. Quella che Elia credeva fosse una sfida a Dio era, in verit…, un nuovo incontro
con Lui.
La donna che gli aveva chiesto un po'di cibo si fece vedere di nuovo la mattina dopo. Era
accompagnata da altre donne.
"Abbiamo scoperto vari depositi," disse. "Molta gente Š morta, e tanti sono fuggiti con il
governatore: ne abbiamo abbastanza da vivere per un anno."
"Raduna i pi— anziani per sovrintendere alla distribuzione dei viveri," disse Elia. "Loro hanno
esperienza di organizzazione."
"I vecchi non hanno pi— voglia di vivere."
"Tu, comunque, falli venire."
Mentre la donna si accingeva ad allontanarsi, Elia la interruppe:
"Sai scrivere usando le lettere?"
"No."
"Io ho imparato e posso insegnartelo. Ne avrai bi sogno per aiutarmi ad amministrare la citt…."
"Ma gli assiri torneranno."
"Quando arriveranno, avranno bisogno del nostro aiuto per amministrare la citt…."
"Perch‚ dovremmo farlo per il nemico?"
"Io lo faccio affinch‚ ciascuno possa dare un nome alla propria vita. Il nemico Š solo un pretesto per
valutare la nostra forza."
I vecchi vennero, come lui aveva previsto.
"Akbar ha bisogno del vostro aiuto," disse Elia. "E, di fronte a ci•, non potete concedervi il lusso di
essere vecchi. In questo momento abbiamo bisogno della giovent— che avete perduto."
"Non sappiamo dove trovarla," rispose uno di essi. "E'scomparsa dietro le rughe e le disillusioni."
"Non Š vero. Voi non avete mai avuto illusioni, ed Š per questo che la vostra giovent— si Š nascosta.
Adesso Š il momento di andarla a prendere, giacch‚ abbiamo un sogno comune: ricostruire Akbar."
"Come possiamo fare qualcosa di impossibile?"
"Con entusiasmo."
Gli occhi offuscati dalla tristezza e dallo scoraggiamento volevano brillare di nuovo. Non erano pi—
quegli inutili abitanti che avrebbero assistito ai giudizi, in cerca di un argomento su cui conversare
alla fine del pomeriggio. Adesso avevano una missione importante davanti a s‚, erano necessari.
I pi— forti separarono il materiale ancora utilizzabile delle case che erano state gravemente
danneggiate, e lo usarono per restaurare quelle che ancora erano in piedi. I pi— anziani aiutarono a
spargere per i campi le ceneri dei corpi che erano stati bruciati, affinch‚ i morti della citt… potessero
essere ricordati al successivo raccolto; altri si incaricarono di dividere le riserve di grano depositate
disordinatamente per tutta la citt…, di fare il pane e di prendere l'acqua dal pozzo.
Due sere dopo, Elia riun• tutti gli abitanti nella piazza, adesso sgomberata dalla maggior parte delle
macerie. Furono accese alcune torce, e lui cominci• a parlare.
"Non abbiamo scelta," disse. "Possiamo lasciare allo straniero il compito di eseguire questo lavoro.
Ma ci• significa anche che rinunciamo all'unica possibilit… che ci d… una tragedia: quella di
ricostruire la nostra vita.
"Le ceneri dei morti che abbiamo cremato alcuni giorni fa si trasformeranno nelle piante che
nasceranno di nuovo a primavera. Il figlio che si Š perduto la notte dell'invasione si Š trasformato nei
tanti bambini che scorrazzano liberi per le strade distrutte, e si divertono entrando nei luoghi proibiti
e nelle case che non hanno mai conosciuto. Finora, soltanto i bambini sono stati capaci di superare
quanto Š avvenuto, perch‚ non hanno un passato: per loro tutto ci• che conta Š il presente. Dovremo
cercare, allora, di comportarci come loro."
"Si pu• cancellare dal cuore il dolore di una perdita?" domand• una donna.
"No. Ma ci si pu• rallegrare con ci• che si ricava da essa."
Elia si volt• e indic• la cima del Monte Cinque, sempre coperta di nuvole. Adesso, con la distruzione
delle mura, era visibile dal centro della piazza.
"Io credo in un Signore unico, ma voi pensate che gli dŠi abitino in quelle nuvole, sulla vetta del
Monte Cinque. Non voglio certo discutere adesso se il mio Dio sia pi— forte o pi— potente; non
voglio parlare delle nostre differenze, ma delle nostre somiglianze. La tragedia ci ha ricondotto a un
comune sentimento: la disperazione. Perch‚ Š accaduto? Perch‚ pensavamo che a tutto ci fosse gi…
una risposta e che tutto fosse risolto nella nostra anima: e non potevamo accettare alcun cambiamento.
"Sia voi sia io apparteniamo a un popolo di commercianti, ma sappiamo anche come comportarci da
guerrieri," prosegu•. "E un guerriero Š sempre consapevole di quello per cui vale la pena di lottare.
Non entra in combattimenti che non lo interessano, e non perde mai il suo tempo con le provocazioni.
"Un guerriero accetta la sconfitta. Non la tratta con indifferenza, n‚ tenta di trasformarla in vittoria.
Egli Š amareggiato dal dolore della perdita, soffre all'indifferenza, e si dispera con la solitudine.
Dopo aver passato tutto ci•, si lecca le ferite e ricomincia tutto di nuovo. Un guerriero sa che la guerra
Š fatta di molte battaglie: egli va avanti.
"Le tragedie capitano. Possiamo scoprirne la ragione, incolpare gli altri, immaginare come sarebbe
stata diversa la nostra vita senza di esse. Ma nulla di tutto ci• ha importanza: le tragedie sono
accadute, questo Š tutto. Da quel momento, dobbiamo dimenticare la paura che esse ci provocano e
dare inizio alla ricostruzione.
"Ciascuno di voi si dar… un nuovo nome, a partire da ora. Questo sar… il nome sacro, che sintetizza
in una parola tutto quello per cui avete sognato di lottare. Per me, ho scelto il nome di Liberazione."
La piazza rimase in silenzio per un po'. Poi si alz• la donna che per prima aveva aiutato Elia:
"Il mio nome Š Ritrovamento," disse.
"Il mio nome Š Saggezza," disse un vecchio.
Il figlio della vedova che Elia aveva tanto amato url•:
"Il mio nome Š Alfabeto."
Tutta la gente in piazza scoppi• a ridere. Il bambino, vergognandosi, si rimise a sedere.
"Come ci si pu• chiamare Alfabeto?" url• un altro bambino.
Elia avrebbe potuto intervenire, ma era bene che il ragazzino imparasse a difendersi da solo.
"Perch‚ questo era ci• che faceva mia madre," disse il ragazzino. "Ogni volta che guarder• le lettere
disegnate, mi ricorder• di lei."
Questa volta nessuno rise. Uno dopo l'altro, gli orfani, le vedove e i vecchi di Akbar dissero i loro
nomi, e le loro nuove identit…. Quando la cerimonia fu conclusa, Elia preg• tutti di andare a dormire
presto: dovevano riprendere il lavoro la mattina seguente.
Prese il bambino per mano, e si incamminarono insieme verso il punto della piazza dove avevano
teso alcune tele, a guisa di tenda.
Da quella sera, cominci• a insegnargli la scrittura di Biblo.
I giorni si trasformarono in settimane, e Akbar cominciava a cambiare aspetto. Il ragazzino impar• a
disegnare le lettere rapidamente, e riusciva gi… a creare parole che avevano un significato. Elia gli
affid• l'incarico di scrivere sulle tavolette di creta la storia della ricostruzione della citt….
Le placche di creta venivano cotte in un forno improvvisato, trasformate in ceramica e archiviate
accuratamente da una coppia di anziani. Nelle riunioni
che si tenevano alla fine di ogni pomeriggio, chiedeva ai vecchi di raccontare ci• che avevano visto
nella loro infanzia, e, di quelle storie, annotava pi— che poteva.
"Serberemo la memoria di Akbar in un materiale che il fuoco non pu• distruggere," spiegava. "Un
giorno, i nostri figli e i nostri nipoti sapranno che la sconfitta non fu accettata, e che l'inevitabile fu
superato. Questo potr… servire loro da esempio."
Ogni sera, dopo gli studi con il ragazzino, Elia camminava per la citt… deserta, spingendosi fino
all'inizio della strada che conduceva a Gerusalemme, pensava di partire, ma poi rinunciava.
Il lavoro pesante lo obbligava a concentrarsi sul presente. Sapeva che gli abitanti di Akbar contavano
su di lui per la ricostruzione: li aveva gi… delusi una volta, quando non era stato in grado di impedire
l'uccisione della spia ed evitare la guerra. Ma Dio concede sempre ai propri figli una seconda
occasione, e lui doveva approfittare della nuova opportunit…. Inoltre, si affezionava sempre di pi— a
quel bambino, e cercava di insegnargli non soltanto i caratteri di Biblo, ma la fede nel Signore e la
saggezza degli antenati.
Tuttavia non dimenticava mai che, nella sua terra, regnavano una principessa e un dio straniero. Gli
angeli con le spade di fuoco non c'erano pi—: era libero di partire in qualsiasi momento avesse
voluto, e di fare ci• che avesse ritenuto buono.
Tutte le notti pensava di andarsene. E tutte le notti alzava le mani al cielo e pregava:
"Giacobbe lott• fino alle prime ore del mattino, e all'alba fu benedetto. Io ho lottato contro di Te per
giorni, per mesi, e Tu rifiuti di ascoltarmi. Se Ti guarderai intorno, per•, saprai che sto vincendo:
Akbar Š risorta dalle sue rovine e sta ricostruendo ci• che Tu,
usando le spade degli assiri, hai trasformato in cenere e polvere.
"Lotter• con Te fino a quando mi avrai benedetto, e avrai benedetto i frutti del mio lavoro. Un giorno
dovrai rispondermi."
Donne e bambini trasportavano acqua nei campi e lottavano contro la siccit… che sembrava non
avere mai fine. Un giorno, mentre il sole inclemente brillava con tutta la sua intensit…, Elia ud•
qualcuno che diceva:
"Lavoriamo senza sosta, ormai non ricordiamo pi— i dolori di quella notte, e dimentichiamo persino
che gli assiri torneranno appena avranno concluso il saccheggio di Tiro, Sidone, Biblo e di tutta la
Fenicia. Questo ci ha fatto bene.
"Eppure, siamo talmente concentrati nella ricostruzione della citt… che ci sembra che tutto sia
sempre uguale: non vediamo il risultato dei nostri sforzi."
Elia si sofferm• a riflettere su quelle parole. E volle che tutti, al termine di ogni giornata di lavoro, si
riunissero ai piedi del Monte Cinque per contemplare insieme il tramonto.
Erano generalmente tanto stanchi che a stento si parlavano tra loro. Ma scoprivano quanto fosse
importante lasciar vagare il pensiero senza meta, come le nuvole nel cielo. In questo modo, l'ansia
fuggiva via dal cuore di tutti, ed essi riuscivano a riacquistare l'ispirazione e la forza per il giorno
seguente.
Elia si svegli• dicendo che non sarebbe andato a lavorare.
"Oggi, nella mia terra, celebrano il Giorno del Perdono."
"Non c'Š alcun peccato nella tua anima," gli disse una donna. "Hai fatto quanto di meglio potevi."
"Ma la tradizione deve essere mantenuta. E io la rispetter•."
Partirono dunque le donne, portando l'acqua nei campi, i vecchi ripresero a erigere le pareti e lavorare
il legno di porte e finestre. I bambini aiutavano a modellare i piccoli mattoni di creta, che poi
sarebbero stati cotti nel fuoco. Elia li osservava con una gioia immensa nel cuore. Poi lasci• Akbar e
si incammin• verso la valle.
Vag• senza meta, recitando le preghiere che aveva appreso nell'infanzia. Il sole non era ancora sorto
completamente, e dalla posizione in cui si trovava, Elia vedeva l'ombra gigantesca del Monte Cinque
che copriva in parte la valle. Ebbe un terribile presentimento: quella lotta fra il Dio di Israele e il dio
dei fenici si sarebbe prolungata ancora per molte generazioni, e per molti millenni.
Si ricord• di quando, una notte, era salito sulla cima della montagna e aveva parlato con un angelo.
Da quando Akbar era stata distrutta, per•, non aveva mai pi— udito le voci che provenivano dal cielo.
"Signore, oggi Š il Giorno del Perdono, e ho un lungo elenco di peccati nei Tuoi confronti," disse,
voltandosi verso Gerusalemme. "Sono stato debole, perch‚ mi sono dimenticato della mia forza. Sono
stato compassionevole, quando avrei dovuto essere duro. Non ho scelto per paura di prendere
decisioni sbagliate. Ho rinunciato anzitempo, e sono stato blasfemo quando avrei dovuto ringraziare.
"Tuttavia, Signore, ho anche un lungo elenco dei Tuoi peccati nei miei confronti. Mi hai fatto soffrire
immensamente, portando via da questo mondo qualcuno che amavo. Hai distrutto la citt… che mi ha
accolto, hai confuso la mia ricerca. La Tua durezza mi ha fatto quasi dimenticare l'amore che provo
per Te. Durante tutto questo tempo ho lottato contro di Te, e Tu non accetti la dignit… del mio
combattimento.
"Se confrontiamo l'elenco dei miei peccati con quello dei Tuoi peccati, vedrai che mi sei debitore.
Ma, siccome oggi Š il Giorno del Perdono, Tu perdoni me e io perdono Te, affinch‚ possiamo
continuare a camminare insieme."
In quel momento il vento si mise a spirare, ed Elia sent• che un angelo gli parlava:
"Hai fatto bene, Elia. Dio ha accettato il tuo combattimento."
Le lacrime gli sgorgarono dagli occhi. Egli si inginocchi• e baci• l'arido terreno della valle.
"Ti ringrazio per essere venuto, perch‚ ho ancora un dubbio: non Š peccato fare cos•?"
Disse l'angelo:
"Quando un guerriero lotta con il proprio maestro, lo sta forse offendendo?"
"No. E'la sua unica maniera per poter apprendere la tecnica di cui ha bisogno."
"Allora continua cos•, fino a quando il Signore ti avr… richiamato in Israele," disse l'angelo. "Alzati,
e continua a dimostrare che la tua lotta ha un significato, perch‚ hai saputo attraversare la corrente
dell'Inevitabile. Molti vi navigano e naufragano; altri vengono trascinati fino a luoghi che non erano
loro destinati. Ma tu hai affrontato la traversata con dignit…, hai saputo governare la rotta della tua
barca, e stai tentando di trasformare il dolore in azione."
"Peccato che tu sia cieco," disse Elia. "Altrimenti vedresti come gli orfani, le vedove e i vecchi sono
stati capaci di ricostruire una citt…. Fra poco tutto ritorner… come prima."
"Spero di no," disse l'angelo. "In fin dei conti, hanno pagato un prezzo alto perch‚ le loro vite
cambiassero."
Elia sorrise. L'angelo aveva ragione.
"Spero che ti comporterai come gli uomini che si trovano davanti a una seconda occasione: non
commettere lo stesso errore due volte. Non ti dimenticare mai della ragione della tua vita."
"Non la dimenticher•," rispose lui, felice perch‚ l'angelo era tornato.
Le carovane non passavano pi— per la valle; gli assiri dovevano avere distrutto le strade e modificato
le rotte commerciali. Tutti i giorni un gruppo di bambini saliva sull'unica torre delle mura che era
sfuggita alla distruzione: essi avevano l'incarico di controllare l'orizzonte e di avvisare sull'eventuale
ritorno dei guerrieri nemici. Elia aveva progettato di riceverli con dignit…, e di affidare loro il
comando.
A quel punto, sarebbe potuto partire.
Ma, ogni giorno che passava, sentiva che Akbar faceva sempre pi— parte della sua vita. Forse la sua
missione non era quella di allontanare Gezabele dal trono, bens• di rimanere con quella gente per il
resto della vita, svolgendo l'umile ruolo di servo del conquistatore assiro. Avrebbe contribuito a
ristabilire le rotte commerciali, avrebbe appreso la lingua del nemico, e, nei momenti di riposo, si
sarebbe occupato della biblioteca che a poco a poco si andava completando.
Quello che, una notte ormai lontana nel tempo, era sembrato essere la fine di una citt…, adesso
significava la possibilit… di renderla pi— bella. Nei lavori di ricostruzione rientravano l'ampliamento
delle strade, la posa di tetti pi— resistenti, e un ingegnoso sistema per portare l'acqua del pozzo fino
ai luoghi pi— distanti. Anche la sua anima si stava rinnovando: ogni giorno apprendeva qualcosa di
nuovo dai vecchi, dai bambini e dalle donne. Quel gruppo di gente, che non aveva abbandonato
Akbar per l'assoluta impossibilit… di farlo, costituiva adesso una squadra disciplinata e competente.
"Se il governatore fosse stato consapevole di questo valido aiuto, avrebbe organizzato un altro tipo di
difesa, e Akbar non sarebbe stata distrutta."
Poi Elia ci riflett‚ sopra, e si accorse di non essere nel giusto. Era stata necessaria la distruzione di
Akbar affinch‚ tutti potessero ridestare in se stessi le forze assopite.
Trascorsero i mesi, ma gli assiri non davano segno di vita. Ora Akbar era quasi pronta, ed Elia poteva
pensare al futuro. Le donne, adesso, recuperavano pezze di stoffa e ne facevano nuovi abiti. I vecchi
cominciavano a riorganizzare le abitazioni e si preoccupavano dell'igiene della citt…. I bambini
aiutavano quando veniva loro richiesto, ma per lo pi— trascorrevano la giornata giocando: Š questa
la loro principale occupazione.
Elia viveva con il ragazzino in una piccola casa di pietra, ricostruita sul terreno dove un tempo c'era
un deposito di mercanzie. Ogni sera, gli abitanti di Akbar si sedevano intorno a un fuoco nella piazza
principale e narravano le storie che avevano udito durante la loro vita. Insieme al bambino, Elia
annotava tutto sulle tavolette, che poi, il giorno dopo, si cuocevano. La biblioteca aumentava a vista
d'occhio.
Anche la donna che aveva perduto il figlio stava apprendendo i caratteri di Biblo. Quando si rese
conto che era ormai in grado di creare parole e frasi, si assunse l'incarico di insegnare l'alfabeto al
resto della popolazione. Cos•, quando gli assiri fossero tornati, essi avrebbero potuto essere impiegati
come interpreti o insegnanti.
"Era proprio quello che il sacerdote voleva evitare,"
disse un pomeriggio un vecchio che si era chiamato Oceano, poich‚ desiderava avere l'anima grande
come il mare. "Che la scrittura di Biblo sopravvivesse e costituisse una minaccia per gli dŠi del
Monte Cinque."
"Chi pu• evitare l'inevitabile?" rispose Elia.
Di giorno ciascuno lavorava, poi assistevano al tramonto del sole tutti insieme, e la sera si
raccontavano le storie.
Elia era orgoglioso della propria opera. E se ne infervorava sempre pi—.
Uno dei bambini incaricati della sorveglianza scese di corsa.
"Ho visto polvere all'orizzonte!" disse, eccitato. "Il nemico sta tornando!"
Elia sal• sulla torre e si rese conto che l'informazione era esatta. Calcol• che sarebbero arrivati alle
porte di Akbar il giorno seguente.
Quel pomeriggio avvis• gli abitanti di Akbar che non avrebbero dovuto riunirsi per assistere al
tramonto, ma incontrarsi nella piazza. Quando il lavoro della giornata fu concluso, and• a incontrare
il gruppo e not• che avevano tutti paura.
"Oggi non racconteremo le storie del passato, e non discuteremo dei piani futuri di Akbar," disse.
"Parleremo di noi stessi."
Nessuno disse una parola.
"Qualche tempo fa, splendeva nel cielo la luna piena. Quel giorno accadde ci• di cui tutti avevamo il
presentimento, ma che non volevamo accettare: Akbar
fu distrutta. Quando l'esercito assiro se ne and•, i nostri uomini migliori erano morti. Quelli che erano
scampati pensarono che non valesse la pena di restare e decisero di andarsene. Rimasero soltanto i
vecchi, le vedove e gli orfani: vale a dire gli esseri inutili.
"Guardatevi intorno: la piazza Š pi— bella che mai, le costruzioni sono pi— solide, il cibo viene
condiviso, e tutti stanno apprendendo la scrittura inventata a Biblo. In un luogo di questa citt… c'Š
una collezione di tavolette su cui scriviamo la nostra storia, e le generazioni future si ricorderanno di
ci• che abbiamo fatto.
"Oggi noi sappiamo che anche i vecchi, gli orfani e le vedove se ne sono andati: hanno lasciato al
loro posto un gruppo di giovani di tutte le et…, pieni di entusiasmo, che hanno dato un nome e un
significato alla propria vita.
"In ogni momento della ricostruzione sapevamo che gli assiri sarebbero tornati. Sapevamo che un
giorno avremmo dovuto consegnare loro la nostra citt…, e, unitamente alla citt…, i nostri sforzi, il
nostro sudore, la nostra gioia nel vederla pi— bella di prima."
La luce del fuoco illumin• qualche lacrima che scorreva sul viso dei presenti. Anche i bambini, che
durante le riunioni serali solevano giocare, erano attenti a ci• che diceva. Elia prosegu•:
"Tutto ci• non importa. Abbiamo compiuto il nostro dovere nei confronti del Signore, perch‚ abbiamo
accettato la Sua sfida e l'onore della Sua lotta. Prima di quella notte, Egli insisteva e ci diceva:
Cammina! Ma noi non lo ascoltavamo. Perch‚?
"Perch‚ ciascuno di noi aveva gi… deciso il proprio futuro: io pensavo ad allontanare Gezabele dal
trono, la donna che adesso si chiama Ritrovamento voleva che suo figlio fosse un navigatore, l'uomo
che oggi porta il nome di Saggezza desiderava soltanto passare il resto dei propri giorni a bere il vino
in piazza. Ci
eravamo abituati al sacro mistero della vita, e non vi davamo pi— alcuna importanza.
"Allora il Signore pens• fra s‚: 'Non vogliono camminare? Ebbene, resteranno fermi per lungo tempo!'
"E solo a quel punto abbiamo capito il Suo messaggio. Il ferro della spada assira ha portato via i
nostri giovani, e la vigliaccheria ha portato via i nostri adulti. Dovunque essi siano in questo
momento, sono ancora immobili: hanno accettato la maledizione di Dio.
"Noi, invece, lottiamo contro il Signore. Proprio come lottiamo con gli uomini e le donne che
amiamo durante la vita, perch‚ Š questo combattimento che ci benedice, e ci fa crescere. Mettiamo a
frutto l'opportunit… offertaci dalla tragedia e compiamo il nostro dovere verso di Lui, dimostrando
che eravamo capaci di obbedire all'ordine di camminare. Anche nelle peggiori circostanze, noi
andiamo avanti.
"Ci sono momenti in cui Dio pretende obbedienza. Ma ce ne sono altri in cui desidera mettere alla
prova la nostra volont…, e ci sfida a comprendere il Suo amore. Noi abbiamo capito questa volont…
quando le mura di Akbar sono state rase al suolo: esse hanno aperto il nostro orizzonte e hanno
consentito a ciascuno di noi di vedere ci• di cui era capace. Abbiamo smesso di riflettere sulla vita, e
abbiamo deciso di viverla.
"Il risultato Š stato buono."
Elia not• che gli occhi dei presenti erano di nuovo luccicanti. Avevano compreso.
"Domani consegner• Akbar senza lottare: adesso sono libero di partire quando voglio, perch‚ ho
eseguito ci• che il Signore si aspettava da me. Tuttavia il mio sangue, il mio sudore, e il mio unico
amore sono sul suolo di questa citt…, e quindi ho deciso di restare qui per il resto dei miei giorni, per
evitare che la citt… sia di nuovo distrutta. Prenda ciascuno la decisione
che desidera, ma non dimenticatevi mai di una cosa: siete tutti molto migliori di quanto pensavate.
"Avete messo a frutto l'occasione offertavi dalla tragedia: non tutti sono capaci di farlo."
Elia, infine, si alz• e dichiar• chiusa la riunione. Avvert• il bambino che sarebbe rientrato tardi e gli
disse di andare a letto senza aspettarlo.
Si rec• poi al tempio, l'unico luogo che era scampato alla distruzione e che non c'era stato bisogno di
ricostruire, anche se le statue degli dŠi erano state portate via dagli assiri. Con il massimo rispetto,
Elia tocc• la pietra che segnava il luogo dove, secondo la tradizione, un antenato aveva conficcato un
bastoncino nel suolo, senza pi— riuscire a sfilarlo.
Pens• che, anche nel suo paese, Gezabele stava facendo erigere luoghi come quello, e che parte del
suo popolo si prostrava per adorare Baal e le sue divinit…. Di nuovo lo stesso presentimento gli
pervase l'anima: la guerra fra il Signore di Israele e il dio dei fenici sarebbe durata a lungo, al di l…
di quanto la sua immaginazione poteva spingersi. Come in una visione, scorse le stelle che
incrociavano il sole, e riversavano su ciascuno dei due paesi la distruzione e la morte. Uomini che
parlavano lingue strane cavalcavano animali di ferro, e duellavano in mezzo alle nuvole.
"Non Š questo che devi vedere adesso, perch‚ non Š ancora arrivato il momento," sent• che diceva la
voce dell'angelo. "Guarda fuori."
Elia fece quanto gli era stato ordinato. All'esterno, la luna piena illuminava le case e le strade di
Akbar: per quanto fosse ormai tardi, egli poteva udire le conversazioni e le risate degli abitanti.
Anche davanti alla prospettiva del ritorno degli assiri, quel popolo aveva
ancora voglia di vivere, ed era pronto ad affrontare una nuova tappa della propria vita.
Allora vide una sagoma: e sapeva che era la donna che aveva tanto amato, la quale adesso
camminava di nuovo orgogliosamente per la sua citt…. Egli sorrise, e si sent• sfiorare il viso.
"Sono orgogliosa," sembrava stesse dicendo. "Akbar Š ancora veramente molto bella."
Ebbe voglia di piangere, ma ripens• al bambino che non aveva versato una sola lacrima per sua
madre. Soffoc• il pianto e ricord• i momenti pi— belli della storia che avevano vissuto insieme:
dall'incontro alle porte della citt… fino all'istante in cui lei aveva scritto la parola "amore" su una
tavoletta di creta. Rivide i suoi abiti, i suoi capelli, la linea affusolata del suo naso.
"Tu mi hai detto che eri Akbar. E dunque mi sono occupato di te, ho curato le tue ferite, e adesso ti
restituisco alla vita. Che tu possa essere felice insieme ai tuoi nuovi compagni.
"E un'altra cosa vorrei dirti: anch'io ero Akbar, ma non lo sapevo."
Elia sapeva che lei stava sorridendo.
"Il vento del deserto, tanto tempo fa, ha cancellato i nostri passi sulla sabbia. Ma in ogni secondo
della mia esistenza, io ricordo ci• che Š accaduto, e tu continui a essere presente nei miei sogni e nella
mia realt…. Ti ringrazio per avere attraversato il mio cammino."
E poi si addorment• l• nel tempio, con la sensazione che la donna gli accarezzasse i capelli.
Il capo dei mercanti vide un gruppo di gente lacera in mezzo alla strada. Pens• che fossero dei
briganti e avvis• tutti i partecipanti alla carovana di prendere le armi.
"Chi siete?" domand•.
"Siamo il popolo di Akbar," rispose un uomo con la barba e gli occhi brillanti. Il capo della carovana
not• che questi parlava con accento straniero.
"Akbar Š stata distrutta. Noi siamo stati incaricati dai governi di Tiro e Sidone di localizzarne il
pozzo, affinch‚ le carovane possano di nuovo attraversare questa valle. Le comunicazioni con il resto
della terra non possono rimanere interrotte per sempre."
"Akbar esiste ancora," prosegu• l'uomo. "Dove sono gli assiri?"
"Tutti sanno dove sono," rise il capo della carovana. "Stanno rendendo il suolo del nostro paese pi—
fertile. E stanno nutrendo i nostri uccelli e i nostri animali selvatici da lungo tempo."
"Ma erano un esercito potente."
"Un esercito non possiede alcun potere se si riesce a sapere quando attaccher…. Akbar mand•
qualcuno ad avvertire che si stavano avvicinando, e Tiro e Sidone organizzarono loro una imboscata
alla fine della valle. Chi non mor• nella battaglia fu venduto come schiavo dai nostri navigatori."
Quel gruppo di esseri cenciosi fu pervaso dall'entusiasmo e cominci• ad abbracciarsi, piangendo e
ridendo nello stesso tempo.
"Chi siete?" insisteva il mercante. "Chi siete?" domand• ancora rivolto al capo.
"Siamo i giovani guerrieri di Akbar," fu la risposta.
Era iniziato il terzo raccolto, ed Elia era il governatore di Akbar. All'inizio c'era stata molta
resistenza: il vecchio governatore voleva tornare e riprendere il proprio posto, perch‚ cos• dettava la
tradizione. Gli abitanti della citt…, per•, rifiutarono di accoglierlo, e per molti giorni minacciarono di
avvelenare l'acqua del pozzo. Poi le autorit… fenicie avevano ceduto alle loro richieste: in fin dei
conti, Akbar non era granch‚ importante, se non per l'acqua che forniva ai viaggiatori, e il governo di
Israele era nelle mani di una principessa di Tiro. Concedendo il posto di governatore a un israelita, i
governanti fenici potevano cominciare a rafforzare un'alleanza commerciale gi… solida.
La notizia si diffuse per tutta la regione, portata dalle carovane di mercanti che avevano ripreso a
circolare. Una piccola minoranza in Israele considerava Elia il peggiore dei traditori, ma a tempo
debito ci avrebbe pensato Gezabele a eliminare questa resistenza. E la pace sarebbe ritornata nella
regione. La principessa era contenta, perch‚ uno dei suoi peggiori nemici si era tramutato infine nel
migliore alleato.
Le voci di una nuova invasione assira avevano ripreso a circolare, e le mura di Akbar furono
ricostruite. Fu elaborato anche un nuovo sistema di difesa, con sentinelle e guarnigioni sparpagliate
fra Tiro e Sidone. In questo modo, in caso di assedio a una delle citt…, l'altra poteva spostare gli
eserciti via terra e assicurare l'ingresso di viveri via mare.
La regione prosperava a vista d'occhio: il nuovo governatore israelita aveva elaborato un rigoroso
sistema di controlli su tasse e mercanzie, basato sulla scrittura. I vecchi di Akbar si occupavano di
tutto, applicavano i nuovi metodi di tassazione e risolvevano pazientemente i problemi che sorgevano.
Le donne dividevano il loro tempo fra il lavoro nei campi e la tessitura. Durante il periodo di
isolamento, per recuperare in parte le stoffe che erano rimaste, erano state costrette a creare nuovi
modelli di tessitura. Quando i primi mercanti erano giunti in citt…, erano rimasti affascinati dai
disegni e avevano fatto loro numerose ordinazioni.
I bambini avevano appreso la scrittura di Biblo. Elia aveva la certezza che questo, un giorno, avrebbe
potuto essere loro di aiuto.
Come faceva sempre prima del raccolto, quel giorno stava passeggiando per il campo, ringraziando il
Signore per le innumerevoli benedizioni che aveva ricevuto durante tutti quegli anni. Vide le persone
che trasportavano i cesti carichi di grano, e i bambini che giocavano l• intorno. Salut• tutti, e ne fu
ricambiato.
Con il sorriso sulle labbra, si avvi• verso la pietra dove, molto tempo addietro, gli era stata offerta una
tavoletta di creta con la parola "amore". Aveva l'abitudine di recarvisi ogni giorno, per assistere al
tramonto e ricordare ogni istante che aveva passato insieme a lei.
"Dopo molto tempo, il Signore disse a Elia, nell'anno terzo: 'Su, mostrati ad Acab, io conceder• la
pioggia alla terra.'" 13
Dalla pietra su cui era seduto, Elia vide il mondo scuotersi intorno a s‚. Il cielo si fece nero per un
attimo, ma subito dopo il sole torn• a brillare.
Vide la luce. Un angelo del Signore gli era davanti:
"Che cosa Š successo?" domand• Elia, spaventato. "Dio ha perdonato Israele?"
"No," rispose l'angelo. "Egli vuole che tu rientri in Israele per liberare il tuo popolo. La tua lotta con
Lui Š terminata: e in questo momento Egli ti ha benedetto. Ti ha dato il permesso di proseguire il Suo
lavoro su questa terra."
Elia era stordito.
"Ma proprio adesso, quando il mio cuore aveva finalmente ritrovato la pace?"
"Ricordati della lezione che ti Š gi… stata insegnata una volta," disse l'angelo. "E ricordati delle
parole del Signore a MosŠ:
'Rammentati del cammino su cui il Signore ti ha guidato, per umiliarti, per provarti, per sapere ci• che
era nel tuo cuore.
'Affinch‚ non avvenga che quando avrai mangiato, e sarai sazio, quando avrai edificato buone case e
dimorato in esse, quando si saranno moltiplicati il tuo bestiame e il tuo gregge, tu inorgoglisca il tuo
cuore e ti dimentichi del Signore Dio tuo.'" 14
Elia si rivolse all'angelo: "E Akbar?" domand•. "Pu• vivere senza di te, perch‚ hai lasciato un erede.
Essa sopravviver… per lungo tempo." L'angelo del Signore scomparve.
Elia e il bambino giunsero ai piedi del Monte Cinque. La vegetazione era cresciuta fra le pietre degli
altari: dopo la morte del sacerdote, nessuno vi si era pi— recato.
"Saliamo," disse.
"Ma Š proibito."
"S•, Š proibito. Ma ci• non vuol dire che sia pericoloso."
Lo prese per mano e cominciarono a camminare verso la cima. Di tanto in tanto si fermavano e
guardavano la vallata in basso: la mancanza di pioggia aveva lasciato il segno su tutto il paesaggio. A
eccezione dei campi coltivati intorno ad Akbar, il resto sembrava un deserto arido e duro come quello
dei territori dell'Egitto.
"Ho sentito i miei amici dire che gli assiri torneranno," disse il ragazzino.
"Pu• darsi, ma Š valsa la pena di avere fatto ci• che abbiamo fatto. E'la maniera prescelta da Dio per
darci i Suoi insegnamenti."
"Non so se Egli si preoccupa tanto di noi," disse il bambino. "Non c'era bisogno che fosse tanto duro."
"Deve avere tentato in altre maniere, finch‚ ha scoperto che noi non Lo ascoltavamo. Eravamo troppo
abituati alle nostre vite, e non leggevamo pi— le Sue parole."
"Dove sono scritte?"
"Nel mondo intorno a te. Basta che tu presti attenzione a ci• che ti accade nella vita e scoprirai dove,
in ogni momento della giornata, Egli nasconde la Sua parola e la Sua volont…. Cerca di eseguire ci•
che Egli vuole: Š questa l'unica ragione per cui tu sei a questo mondo."
"Se lo scoprir•, lo scriver• sulle tavolette di creta."
"Fallo. Ma scrivile, soprattutto, nel tuo cuore: l• nessuno le potr… bruciare o distruggere, e tu le
porterai con te dovunque."
Camminarono per un altro po'di tempo. Adesso le nuvole erano molto pi— vicine.
"Non voglio entrare li dentro," disse il bambino indicandole.
"Non ti faranno nessun male: sono soltanto nuvole. Vieni con me."
Lo prese per mano e continuarono a salire. A poco a poco si addentrarono nella nebbia: il bambino si
strinse a lui, e, anche se di tanto in tanto Elia cercava di parlare, non disse una sola parola.
Camminarono fra le rocce aride della cima.
"Torniamo indietro," lo preg• il ragazzino.
Elia decise di non insistere: quel bambino aveva gi… provato tante difficolt… e tanta paura nella sua
breve esistenza. Lo accontent•, e cos• uscirono dalla nebbia e tornarono a scorgere la vallata in basso.
"Un giorno cerca nella biblioteca di Akbar quello che ho lasciato scritto per te. Si intitola Manuale
del guerriero della luce."
"Io sono un guerriero della luce," rispose il bambino.
"E tu sai qual Š il mio nome?" domand• Elia.
"Liberazione."
"Siediti qui, accanto a me," disse Elia, indicando una roccia. "Non posso dimenticare il mio nome.
Devo proseguire il mio compito, anche se, in questo momento, il mio unico desiderio Š quello di
restare al tuo fianco. E'per questo che Akbar Š stata ricostruita: per insegnarci che bisogna sempre
andare avanti, non importa quanto ci possa sembrare difficile."
"Te ne vai via."
"Come lo sai?" gli domand•, sorpreso.
"L'ho scritto su una delle tavolette, ieri sera. Qualcosa me lo ha detto. Forse Š stata mia madre, o
forse un angelo. Ma io lo sentivo gi… nel mio cuore."
Elia accarezz• il capo del bambino.
"Hai saputo leggere la volont… di Dio," disse, felice. "Allora non ho bisogno di spiegarti niente."
"In verit…, ho letto la tristezza nei tuoi occhi. Non Š stato difficile. Lo hanno avvertito anche altri
miei amici."
"Questa tristezza che avete letto nei miei occhi Š parte della mia storia. Ma una parte piccola, che
durer… solo alcuni giorni. Domani, quando partir• per Gerusalemme, essa non avr… pi— tanta forza
come prima, e a poco a poco scomparir…. Le tristezze non sono eterne, quando procediamo verso
quello che abbiamo sempre desiderato."
"E'sempre necessario partire?"
"E'sempre necessario sapere quando si conclude una tappa della vita. Se tu insisti a rimanere in quella
stessa tappa oltre il necessario, perdi la gioia e il significato di tutto il resto. E rischi di essere
rimproverato da Dio."
"Il Signore Š duro."
"Soltanto con i prescelti."
Elia guard• Akbar in fondo alla valle. S•, a volte Dio poteva essere molto duro, ma mai al di l… delle
capacit… di ciascun essere umano: il bambino non sapeva che, proprio l• dove erano seduti, egli
aveva ricevuto la visita di un angelo del Signore e aveva appreso come fare per ricondurlo indietro
dalla terra dei morti.
"Sentirai la mia mancanza?" gli domand•.
"Mi hai detto che la tristezza scompare se andiamo sempre avanti", rispose il ragazzino. "C'Š ancora
molto da fare perch‚ Akbar diventi tanto bella quanto merita mia madre. Lei passeggia per le sue
strade."
"Quando avrai bisogno di me, torna in questo luogo. E guarda in direzione di Gerusalemme: io sar•
l…, e star• cercando di dare un significato al mio nome, liberazione. I nostri cuori sono legati per
sempre."
"E'per questo che mi hai portato sulla vetta del Monte Cinque? Perch‚ potessi vedere Israele?"
"Perch‚ potessi vedere la valle, la citt…, le altre montagne, le rocce e le nuvole. Il Signore soleva
ordinare ai suoi profeti di salire sulle montagne, per parlare con Lui. Io mi sono sempre domandato
perch‚ lo facesse, e adesso comprendo la risposta: quando siamo in alto, possiamo vedere tutto
piccolo.
"Le nostre glorie e le nostre tristezze cessano di essere importanti. Quello che conquistiamo o che
perdiamo rimane laggi—. Dall'alto della montagna, tu puoi vedere come sia grande il mondo, e come
siano ampi gli orizzonti."
Il bambino si guard• intorno. Dalla vetta del Monte Cinque, sentiva l'odore del mare che bagnava le
spiagge di Tiro. E udiva il vento del deserto che soffiava dall'Egitto.
"Un giorno governer• Akbar," disse a Elia. "Conosco ci• che Š grande, ma conosco anche ogni
angolo della citt…. Io so che cosa va cambiato."
"Allora cambialo. Non lasciare che le cose restino immobili."
"Ma Dio, non avrebbe potuto scegliere una maniera
migliore di mostrarci tutto ci•? C'Š stato un momento in cui ho pensato che fosse cattivo."
Elia rimase in silenzio. Si ricordava di una conversazione che aveva avuto, tanti anni addietro, con un
profeta levita, mentre aspettavano che i soldati di Gezabele arrivassero per ammazzarli.
"Dio pu• essere cattivo?" insisteva il bambino.
"Dio Š Onnipotente," rispose Elia. "Egli pu• tutto, e nulla Gli Š proibito, perch‚ altrimenti esisterebbe
qualcuno pi— potente e pi— grande di Lui, per non lasciarGli fare certe cose. In questo caso, io
preferirei adorare e rispettare questo qualcuno pi— potente."
Attese alcuni istanti, affinch‚ il ragazzino comprendesse bene il significato delle sue parole. Poi
prosegu•:
"Tuttavia, per via del Suo potere infinito, Egli ha scelto di fare soltanto il Bene. Se andassimo fino al
termine della nostra storia, vedremmo che molte volte il Bene ha l'apparenza del Male, ma Š sempre
Bene, e fa parte del piano che Egli ha creato per l'umanit…."
Lo prese per mano, e tornarono indietro in silenzio.
Quella notte il bambino dorm• abbracciato a lui.
Appena cominci• ad albeggiare, Elia lo allontan• con molta attenzione per non svegliarlo.
Indoss• poi l'unico abito che possedeva, e usc•. Strada facendo, afferr• un pezzo di legno che si
trovava per terra e lo us• come bastone. Non intendeva separarsene mai pi—: era il ricordo della sua
lotta con Dio, della distruzione e della ricostruzione di Akbar.
Senza guardarsi indietro, si avvi• in direzione di Israele.
Cinque anni dopo l'Assiria invase di nuovo il paese, ma questa volta con un esercito pi— addestrato,
e con condottieri pi— competenti. Tutta la Fenicia cadde sotto il dominio del conquistatore straniero,
eccetto Tiro e Sarepta, che i suoi abitanti conoscevano come Akbar.
Il bambino si fece uomo, govern• la citt…, e fu considerato dai suoi contemporanei un saggio. Mor•
vecchio, circondato dagli esseri amati, e sempre ripetendo che "bisognava mantenere la citt… bella e
forte, perch‚ sua madre continuava a passeggiare per quelle strade." Grazie al sistema di difesa
elaborato insieme da Tiro e Sarepta, le due citt… furono occupate dal re assiro Sennacherib soltanto
nel 701 a.C., quasi centosessanta anni dopo i fatti narrati in questo libro.
Da quel momento in poi, tuttavia, le citt… fenicie non riacquistarono mai pi— la loro importanza, e
furono soggette a un susseguirsi di invasioni da parte dei babilonesi, dei persiani, dei macedoni, dei
selencidi e, infine, di Roma. Continuarono comunque a esistere fino ai nostri giorni, perch‚, secondo
le antiche tradizioni, il Signore non sceglieva mai per caso i luoghi che desiderava vedere abitati.
Tiro, Sidone e Biblo fanno ancora parte del Libano, che continua a essere un campo di battaglia.
Elia fece ritorno in Israele e riun• i profeti sul Monte Carmelo. L• chiese loro di dividersi in due
gruppi: quelli che adoravano Baal e quelli che credevano nel Signore. Seguendo le istruzioni
dell'angelo, offr• un giovenco al primo gruppo, invitandolo a invocare i cieli, affinch‚ il loro dio
potesse riceverlo. Racconta la Bibbia:
"Essendo gi… mezzogiorno, Elia cominci• a beffarsi di loro dicendo: 'Gridate con voce pi— alta,
perch‚ certo egli Š un dio! Forse Š soprappensiero, oppure indaffarato o in viaggio; caso mai fosse
addormentato, si sveglier….'
"Gridarono a voce pi— forte e si fecero incisioni, secondo il loro costume, con spade e lance... ma
non si sentiva alcuna voce n‚ una risposta n‚ un segno di attenzione.'" 15
Elia, allora, prese il suo animale e lo offr• secondo le istruzioni dell'angelo del Signore. In quel
momento cadde il fuoco del Signore e "consum• l'olocausto, la legna, le pietre". Qualche minuto
dopo, la pioggia cadde a dirotto, ponendo fine a quattro anni di siccit….
Da quell'istante, si scaten• una guerra civile. Elia ordin• di uccidere i profeti che avevano tradito il
Signore, mentre Gezabele lo cercava dovunque per ammazzarlo. Egli, tuttavia, si rifugi• nella parte
occidentale del Monte Cinque, che dava verso Israele.
Gli abitanti della Siria invasero il paese e uccisero il re Acab, marito della principessa di Tiro, con
una freccia scoccata casualmente che si conficc• nella piega della sua armatura. Gezabele si rifugi•
nel proprio palazzo e, dopo alcune rivolte popolari, con l'ascesa e la caduta di vari governanti, alla
fine fu catturata. Prefer• lanciarsi dalla finestra piuttosto che consegnarsi agli uomini inviati per
arrestarla.
Elia rimase sulla montagna fino alla fine dei suoi giorni. Racconta la Bibbia che, un pomeriggio,
mentre conversava con Eliseo, il profeta che aveva nominato come suo successore, "ecco un carro di
fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro due. Elia sal• nel turbine verso il cielo".
Quasi ottocento anni dopo, Ges— invita Pietro, Giacomo e Giovanni a salire su un monte. Racconta
l'evangelista Matteo che "[Ges—] fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brill• come il sole e le
sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro MosŠ ed Elia che conversavano
con lui".
Ges— chiede agli apostoli di non parlare a nessuno della visione, finch‚ il Figlio dell'uomo non sia
risorto
dai morti, ma essi affermano che ci• avverr… solo dopo che Elia sar… tornato.
Matteo racconta il resto della storia (17, 10Ä13):
"Allora i discepoli gli domandarono: 'Perch‚ dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?'
"Ed egli rispose "S•, verr… Elia e ristabilir… ogni cosa. Ma io vi dico: Elia Š gi… venuto e non
l'hanno riconosciuto; anzi, l'hanno trattato come hanno voluto... Allora i discepoli compresero che
egli parlava di Giovanni il Battista."
NOTE
1. (1 Re 17,1)
2. (1 Re 17,3Ä4)
3. (cfr 1 Re 17,9)
4. (1 Re 17,14)
5. (1 Re 17,19Ä21)
6. (cfr. Deuteronomio 20,3Ä7)
7. (cfr. 1 Re 18,20Ä38)
8. (cfr. Deuteronomio 20,7)
9. (cfr. Deuteronomio 3,23Ä25)
10. (Deuteronomio 3,26Ä27)
11. (Levitico 26,30Ä31 e 36)
12. (cfr. Genesi 32,25Ä29)
13. (1 Re 18,1)
14. (cfr. Deuteronomio 8,2 e 12Ä14)
15. (1 Re 18,27Ä29)
Fine testo.

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