domenica 11 luglio 2010
PSICOTERAPIA ed IPNOSI - Rivista del GIUGNO M M I X - PDF Link: http://www.smipi.it/rivista/2009_uno.pdf
Autore del bellissimo libro: IL PALPITO DELL'UNO
ANNO VENTUNESIMO
V O L U M E I
G I U G N O M M I X
RIVISTA MEDICA ITALIANA DI PSICOTERAPIA ED IPNOSI
semestrale
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Società Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
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RIVISTA MEDICA ITALIANA DI PSICOTERAPIA ED IPNOSI
ANNO VENTUNESIMO VOLUME I GIUGNO 2009
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Sommario
Sezioni
1 Editoriale.
2 Contributi Teorici.
3 Lavori Originali.
4 Casi Clinici.
5 Revisioni della Letteratura.
6 Prime Comunicazioni.
7 Applicazioni Extramediche.
Rubriche
1 Lessico.
2 Rapporti.
3 Lettere alla Redazione.
4 Temi di Ricerca.
5 Libri e Riviste.
6 Leggi e Decreti.
7 Corsi e Congressi.
RIVISTA MEDICA ITALIANA DI PSICOTERAPIA ED IPNOSI
ANNO VENTUNESIMO VOLUME I GIUGNO 2009
INDICE
Sezioni
Editoriale
- Lo specchio dei sogni.
Silvana Radoani
pag. 11
- Libera di volare.
Riccardo Arone di Bertolino
“ 29
Contributi Teorici
- Chronic care model ed intensità di cure: un modello di cura
del sert basato sulle evidenze.
Ugo Corrieri
“ 41
Lavori Originali
- Vitiligine: la pelle e le emozioni.
Elena Bellodi
“ 55
- Antropologia medica, sindromi somatoformi e psicoterapia.
Vincenzo Amendolagine
“ 65
- L’ipnosi in fase preoperatoria: studio controllato in pazienti
chirurgici.
Elisa Cassi, Maurizio Massarini
“ 71
- L’approccio psicologico al paziente pedodontico.
Emanuela Servadei
“ 89
- Ipnosi e sedazione con protossido d’azoto in odontoiatria
infantile: un protocollo clinico integrato.
Maria Pia Robotti
“ 97
- Terapia integrata del gioco d’azzardo patologico.
Ugo Corrieri
“ 105
- Sensi, sessualità e sostanze psicoattive. Ricerca svolta presso
i Ser.T di Padova e Salonicco.
Maria Chiara Forcella, Lucia Claudia Bergamo, Alessia
Bastianelli, Guido D’Acuti, Theocraris Asouchidis,
Giulio Vidotto
“ 137
Casi Clinici
- Trattamento ipnotico in un caso di disturbo psicosomatico.
Gudo Bozak
“ 175
- Viaggio fra magia nera e disturbo psichiatrico.
Anna Rossi
“ 187
- Impiego dell’ipnosi per la sedazione di una paziente odontoiatrica
con sclerosi laterale amiotrofica.
Alberto Mori, Davide Celestino, Niccolò Maggiorelli,
Andrea Di Massa
“ 197
- Una nevralgia atipica del trigemino.
Massimo Arcella
“ 205
Revisioni della Letteratura
- La Gestalt.
Federica Panzanini, Riccardo Arone di Bertolino
“ 221
Rubriche
Leggi e decreti
- La psicoterapia e lo psicoterapeuta fra scelte culturali e riferimenti
legislativi.
di Vincenzo Amendolagine
“ 251
Libri e Riviste
- Recensioni
di Patrizio Bellini
“ 261
- Rassegna dalla letteratura internazionale sull’ipnosi
di Oriano Mercante
“ 265
Corsi e Congressi “ 271
Tavole di Francesco Sforza pagg. 28, 174, 250
EDITORIALE
Vol. I - 2009 Editoriale
11
Silvana Radoani
LO SPECCHIO DEI SOGNI
Parole chiave: vite precedenti, regressione ipnotica, neuroni specchio,
condizionamento, linguaggio, pericoli.
Lo stato mentale di ipnosi
L’ipnosi non è certamente una scoperta del XXI secolo e neanche
del XX o del mesmerismo dell’800. Se vogliamo accettare tecniche
di induzione ipnotica indirette, come canti, mantra, danze e altro,
possiamo senza ombra di dubbio portare l’uso dell’ipnosi a periodi
storici primordiali, probabilmente fin dai popoli primitivi quando,
con l’uso di certe induzioni, si desensibilizzavano i cacciatori
alla paura innata delle belve o addirittura si creavano forme di
trance che permettevano riti iniziatici molto cruenti.
Queste induzioni sono state legate principalmente a tre concetti
che si sono evoluti nei secoli: il primo è la magia, cioè un atto che
era di per sé magico e dava sensazioni di onnipotenza; il secondo
è la religione, cioè atti che permettevano più stretti contatti con il
trascendente, con le divinità ai fini di acquisirne essenza divina,
conoscenza del futuro e salvezza; il terzo era ed è legato alla scienza,
ovvero alla conoscenza sempre più perfetta di come siamo fatti
e dei meccanismi che sottendono alle nostre azioni.
Parleremo dunque in questo articolo di un tipo di induzione che
racchiude tutti e tre questi aspetti dell’ipnosi e ne ripresenta tutte
le caratteristiche connesse: l’ipnosi per la regressione a vite precedenti.
Non siamo qui a discutere l’idea religiosa, quindi fideistica,
della reincarnazione, quanto i pericoli che possono esserci nel ri12
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
portare una persona a presunte rivisitazioni di passati ancestrali; e
lo faremo, seppur brevemente, prendendo in esame la scoperta
dei neuroni specchio.
I neuroni specchio
Prima della scoperta dei neuroni specchio si studiava la natura e la
fenomenologia dello stato di ipnosi con la tecnica dei potenziali
evocati PE,che alcuni medici esperti di ipnosi hanno riportato.
Le ricerche si sono concentrate sostanzialmente su tre filoni:
1. gli effetti delle suggestioni ipnotiche sulla percezione di stimoli
uditivi, visivi, olfattivi o somatosensoriali;
2. la dimostrazione che lo stato d’ipnosi si accompagnerebbe ad
un cambiamento di dominanza emisferica;
3. lo studio di eventuali modificazioni dei rapporti funzionali tra
le varie aree della corteccia cerebrale.
Le ricerche fino a quel momento effettuate hanno dato però risultati
contrastanti, sostanzialmente perché i vari parametri dei PE
(numero della componenti, latenza, ampiezza, eccetera) potevano
essere influenzati da una grande quantità di variabili tecniche, metodologiche
e neurofisiologiche 1.
In effetti il panorama degli studi neurologici è nettamente mutato
dal momento in cui i neuroni specchio sono stati scoperti da due
ricercatori italiani parmensi. Essi hanno spiegato molti meccanismi
che prima potevano forse venire intuiti ma non definiti e che ora
hanno aperto un mondo di nuove ricerche e obbligano gli specialisti
a rivedere molte tesi date ormai per scontate.
I neuroni specchio scaricano, nel momento in cui osserviamo un
nostro simile fare una determinata azione, in un modo che rappresenta
un come se neurale dell’azione che stiamo osservando. In
altre parole possiamo sperimentare le stesse emozioni, sensazioni,
eccetera, di chi stiamo osservando, soprattutto se queste fanno già
parte del nostro bagaglio culturale o esperienziale. Oggi è provato
che la nostra capacità di capire gli altri è dovuta in gran parte a cellule
cerebrali chiamate appunto neuroni specchio. Per mezzo di
1 Potenziali evocati uditivi in veglia, relax e trance ipnotica, di AA. VV., studio
dell’AMISI.
Vol. I - 2009 Editoriale
13
questa attivazione i neuroni inviano dei segnali ai centri cerebrali
emozionali del sistema limbico, facendo sì che noi stessi proviamo
quello che provano le persone che abbiamo davanti. 2
Marco Iacoboni, che ha condotto molte ricerche sui neuroni specchio,
scrive: “Grazie a questi neuroni ci si è resi conto che nel cervello,
percezione e azione sono un processo unitario; essi ci aiutano
a ricostruire nel nostro cervello le intenzioni delle altre persone,
consentendoci una comprensione profonda dei loro stati mentali.
Senza bisogno di virtù extrasensoriali il nostro cervello è in
grado di accedere alla mente altrui servendosi dei meccanismi neurali
del rispecchiamento e della simulazione” 3.
Secondo lo psicologo evolutivo Daniel Stern, i neuroni specchio
forniscono un spiegazione dei meccanismi neurobiologici per
comprendere molti fenomeni tra i quali: la lettura della mente di
altri, specialmente delle intenzioni, la risonanza emozionale tra
persone, i fenomeni dell’empatia. La scoperta dei neuroni specchio
risulta dunque avere un alto potere esplicativo anche per
un’altra ipotesi che riguarda la dinamica psicoterapeutica, secondo
cui all’interno del setting terapeutico gli stati di coscienza che vi si
possono generare vengono condivisi sia dal paziente che dal terapeuta.
Infatti, alcune ricerche sulle dinamiche di attivazione neurofisiologica
che si possono generare all’interno dell’incontro terapeutico
hanno evidenziato l’insorgenza di stati alterati di coscienza
condivisi tra paziente e psicoterapeuta.
È stato anche provato che si ha maggiore attivazione dei neuroni
specchio quando si è già orientati da idee o esperienze pregresse,
tenendo presente che i neuroni specchio si attivano anche
nell’area di Broca, ovvero il centro del linguaggio e
dell’imitazione; quindi se capita di dire, leggere o sentire alcune
espressioni, il cervello attiva le stesse cellule motorie che scaricano
quando si compie l’azione descritta.
2 Naturalmente tutto ciò che viene percepito è elaborato, e spesso falsato,
in rapporto alla propria mentalità e concettualità. (R. A. di B.)
3 I neuroni specchio, di Marco Iacoboni
14 Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
La suggestione
Arone di Bertolino definisce la suggestione un messaggio che tocca
direttamente l’emotività fantastica inconscia.
Michael Heap invece ha coniato una definizione di suggestione ipnotica
molto interessante pur senza prendere in esame i neuroni
specchio: si può definire la suggestione come una comunicazione
trasmessa verbalmente dall’ipnotista per pilotare l’immaginazione
del soggetto in modo tale da produrre in lui dei cambiamenti voluti
nel suo modo di comportarsi, pensare o sentire.
Anche Riccardo Arone di Bertolino ci ricorda che: “Il paziente a
volte può in buona fede inconsciamente elaborare e produrre creazioni
della propria fantasia, che ai suoi stessi occhi appaiono come
veri ricordi, spinto dal desiderio di gratificare un terapeuta che
abbia comunicato, anche involontariamente, particolari aspettative,
oppure rendersi solo più interessante. In alcuni casi uno psicoterapeuta
esperto può distinguere fra vero e falso, ma se il soggetto
è molto abile questa distinzione di solito è impossibile” 4.
Se questo è vero nella normale psicoterapia e anche nel normale
stato di trance, tanto più potrà essere vero nella trance da ipnosi
regressiva che vorrebbe condurre a vite precedenti; infatti ancora
Arone di Bertolino, direttore di una delle grandi scuole italiane di
psicoterapia ed ipnosi clinica, afferma che uno studio anche minimamente
critico e serio, condotto caso per caso, sul materiale
prodotto in ipnosi relativo a vite passate, nei casi (pochi, pochi) in
cui vi siano determinati ed esatti riscontri storici, scopre solo che
questi facevano già parte della memoria eidetica inconscia e in ipnosi
si può scoprire anche quando, in questa vita, questi dati sono
stati percepiti e registrati.
Questo discorso lascia supporre che vi siano diverse variabili per le
quali quello che si pensa un ricordo di vita precedente può essere
o un’elaborazione della fantasia del paziente, o ancor più un rispecchiamento
delle credenze e delle aspettative del terapeuta.
In ogni caso non vi è mai stato nessun riscontro scientifico (cioè
pratico, concreto e comprovato) che le vite precedenti emerse alla
coscienza dell’ipnotizzato siano reali.
In ipnosi vi sono tre importanti fattori che bisogna tenere presenti:
4 Ipnosi regressiva, di Riccardo Arone di Bertolino
Vol. I - 2009 Editoriale
15
1. quello che il paziente sa o suppone riguardo ciò che il terapeuta
vuole sentirsi dire;
2. le domande del terapeuta che guidano il paziente;
3. la manipolazione delle risposte fornite dal paziente durante
la trance da parte del terapeuta, che ne manipola anche
l’interpretazione.
Da tutto questo discorso possiamo intravedere quanto sia importante
che il soggetto posto in ipnosi sia in perfetta sintonia con il
terapeuta al quale non sarà difficile dirigere la trance e ciò che in
essa viene detto.
Questo è ciò che spesso avviene in normali psicoterapie; se poi la
persona ha abbassato le difese lasciandosi andare alla trance, sicuramente
sarà molto più recettiva ai discorsi, alle allusioni, ai timbri
di voce, ai movimenti, alle credenze, a ciò che già sa del terapeuta,
supportato forse in modo particolare dalla scarica dei neuroni
specchio che amplificano il proprio raggio d’azione proprio perché
non sono completamente controllati dalla coscienza razionale.
I NS (neuroni specchio) rivalutano tutta la ricerca sul linguaggio
non verbale del quale le persone sono più recettive che del linguaggio
stesso; quale migliore occasione di esplicazione del linguaggio
non verbale che la trance?
Inoltre nel cervello si ha una zona neurale chiamata sistema della
condizione di default (default state network). Questo sistema è costituito
da una serie di aree corticali che registrano un’attività più
intensa quando il soggetto è a riposo e un’attività ampiamente ridotta
quando il soggetto esegue dei compiti cognitivi. Questa area
è una specie di modalità di riposo del cervello, predominante
quando lo stesso non ha di fronte a sé degli obiettivi o compiti
specifici, quando cioè vaghiamo con il pensiero in quelli che sono
definiti sogni ad occhi aperti.
La nostra mente pertanto risulta molto più recettiva agli stimoli esterni
(subito ripresi dai NS) in condizione di default (di cui esempio
lampante è la trance ipnotica) che in stato di veglia, ovvero di
attenzione razionale.
16 Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
Paziente e psicoterapeuta
La maggior parte degli studi psicologici hanno evidenziato il forte
impatto persuasivo dettato dalla credibilità del terapeuta. La credibilità
è una caratteristica attribuita alla fonte che si suppone abbia
una conoscenza approfondita di un dato tema (expertise) e sia affidabile
in quanto afferma la verità sul tema discusso (truthworthiness).
Inoltre è innegabile che più le persone si piacciono a vicenda
più tendono a imitarsi reciprocamente; da ciò ne deriva che se
un terapeuta propone qualcosa di strano e il soggetto ne ammira
la conoscenza e la personalità, sarà non solo attratto da lui ma sarà
già propenso a seguire in tutto per tutto ciò di cui gli riconosce
esperienza e credibilità; una volta avviata la presunta terapia il paziente
stesso fornirà al terapeuta (consciamente o incosciamente) i
suoi punti deboli, le paure, ed altri elementi per ottimizzare il conseguente
inevitabile condizionamento.
Nel caso di ipnosi, la parziale sospensione della mente conscia, e
quindi della capacità critica, può spiegare perché si sia pronti ad
accettare suggestioni che sono già annidate nell’inconscio e si dia
loro realtà e utilizzazione.
Può succedere che in ipnosi emergano ricordi, scene, immagini
che sembrano risalire a vite passate. È un fenomeno abbastanza
comune quando soggetto e operatore credono ambedue nella reincarnazione
e lo ricercano. Ma quando il terapeuta e il paziente
non ci credono e non si pongono minimamente il problema, questo
fenomeno non avviene mai 5. Si comprende bene a questo
punto quanto sia importante il ruolo del terapeuta nel determinare
la credenza della regressione a vere vite passate. Uno dei principali
fautori di ipnosi regressiva a vite precedenti, italiano, afferma:
“È benefico svelare ad ogni paziente che vedo in studio questo
grande segreto: l’attuale sofferenza è la conseguenza del nostro
libero arbitrio e degli atti compiuti in precedenti cicli esistenziali. È
quindi il karma, il nucleo portante della mia psicoterapia e se la
legge di casualità spirituale fosse una mia illusione, una chimera,
rimarrebbe da spiegarsi come mai questo mio “strano metodo”
consegua enormi risultati” 6. Come si vede è chiaro che il dottore
5 Ipnosi regressiva, di Riccardo Arone di Bertolino
6 L’amore maestro, di Angelo Bona
Vol. I - 2009 Editoriale
17
in questione comunica subito le sue aspettative al paziente.
Brian Weiss, americano psichiatra e specializzato in ipnosi per la
regressione delle vite precedenti, un po’ più realisticamente afferma:
“Ho assistito a molti fenomeni straordinari e incredibili, ma
non ritengo sia necessario credere alla reincarnazione per godere
dei benefici della terapia della regressione. Vengono portate alla
consapevolezza informazioni importanti a prescindere dal fatto
che il materiale rievocato sia mediato sotto forma di metafora o
simbolo; la conoscenza e le intuizioni ottenute possono indurre
significative trasformazioni fisiche, emozionali o spirituali… Non è
importante stabilire se ciò che affiora sia un simbolo, una metafora,
un ricordo vero, la vostra immaginazione o tutte queste cose
mescolate insieme” 7.
Secondo noi è invece molto importante stabilire la veridicità e soprattutto
guidare uno stato alterato di coscienza in un soggetto
che si affida alle cure specialistiche, soprattutto per non incorrere
in una sorta di manipolazione mentale che è sempre eticamente
scorretta, con conseguenze molto spesso dannose, da parte di chi
detiene le redini momentanee della mente altrui. È innegabile che
nessuno può costruire per un altro una metafora più significativa
di quella che una persona costruisce per se stessa, ma si tratta, in
questo caso, di una fantasia guidata in cui il paziente persegue
qualche fantasia di sua scelta, mentre la sua attenzione viene indirizzata
dalle osservazioni e dalle domande del terapeuta verso gli
aspetti più potenzialmente significativi e utili della fantasia stessa.
Fantasia guidata non ha però lo stesso significato di realtà, per cui
se il paziente viene indotto a credere reale una fantasia, oltremodo
determinata dal terapeuta, si raggiunge quasi inevitabilmente un
danno emotivo e cognitivo con effetti imprevedibili.
Tenendo conto che l’ipnosi determina nel soggetto uno stato di
rilassamento psichico, questo se mal gestito può determinare
complicazioni psichiche, delle quali parla diffusamente MacHovec:
“abbassamento della soglia di tolleranza dello stress, acting out antisociale,
acting out sessuale, allucinazioni tattili, anergia, ansia e
attacchi di panico, avversione fobica, cambiamento di personalità,
competenze sociali inadeguate, comportamenti regressivi, confu-
7 Lo specchio del tempo, di Brian Weiss
18 Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
sione, crisi d’identità, deficit di attenzione, depersonalizzazione,
depressione, derealizzazione, disagio fisico, disfunzioni sessuali,
distorsioni dello schema corporeo, disturbi della memoria, insonnia,
intorpidimento, ipersonnia, iperdipendenza, mal di testa, nausea
e vomito, paura o assenza di paura, pensiero delirante, deconcentrazione,
pianto incontrollato, psicosi, reazioni istrioniche, ricordi
traumatici, ritardo psicomotorio, senso di colpa, somatizzazioni,
sostituzione del sintomo, stordimento, suggestionabilità distorta,
svenimenti, trance spontanea, tremori, vertigini” 8.
Se a questi pericoli aggiungiamo la coercizione psicologica e “spirituale”
della credenza nella reincarnazione e susseguente convinzione
nella verità di esperienze antiche di altre vite alle quali il paziente
viene spinto a credere, potremmo ottenere un cocktail micidiale
per la mente del paziente stesso.
Molto diverso invece è prendere questi presunti ricordi come fantasie
e metafore dell’inconscio e guidarle per superarle.
“L’età adulta significa assunzione di responsabilità. Questo a sua
volta implica la capacità di gestire le più svariate situazioni. La regressione
rappresenta un sistema di difesa mentale tramite il quale
una persona, sottoposta a stress emozionale, cerca rifugio in
un’età precedente. Ciò significa che si libererà dapprima delle sue
più recenti strutture e percezioni della personalità e che più fondo
regredirà, più indietro nel tempo riporterà l’orologio del proprio
bagaglio di valori, conoscenze, capacità, responsabilità e valutazione
di sé e della realtà” 9. Il continuo rinnovare la trance ove
far riemergere presunti ricordi di vite precedenti ha come caratteristica
proprio la deresponsabilizzazione e il mantenimento del paziente
in uno stato di sudditanza psicologica e emotiva, sia dal terapeuta,
sia dall’ulteriore emersione di ricordi che diano la possibilità
di giustificare le attuali difficoltà. “L’iniziale cammino di trance,
indirizzato a questo fine, di norma fa emergere esistenze pregresse,
ove i soggetti rappresentano il ruolo della vittima. Si deve poi
continuare per ricercare in quale vita precedente lo stesso abbia
rivestito i panni del carnefice” 10. Ogni serio psicoterapeuta sa molto
bene che con una tecnica simile si può portare il paziente fino
8 Hypnosis Complications, di MacHovec
9 Mindfucking, di Stefano Re
10 L’amore maestro, di Angelo Bona
Vol. I - 2009 Editoriale
19
alla psicosi e alla scissione di personalità.
Anche nel libro “Psicoterapie folli” viene confermata la pericolosità
delle terapie ipnotiche a vite precedenti: “Nei numerosi casi di cui
siamo a conoscenza, i pazienti sono stati danneggiati in diversi
modi. Quando la terapia termina, spesso perché il paziente finisce
i soldi, 11 il paziente viene lasciato solo con le sue difficoltà e con la
sensazione di essere fuori dalla realtà e di essere stato vittima di
qualche abuso. Le vite precedenti che emergono durante la terapia
raramente sono felici e la manipolazione dei ricordi che viene fatta
durante tali sedute tende a lasciare il paziente confuso e incapace
di svolgere le sue normali attività. Ad aumentare la confusione c’è
il fatto che molti terapeuti hanno l’incrollabile convinzione che la
memoria umana sia come un nastro magnetico che registra tutto
ciò che accade alla persona. Questa idea va contro decenni di ricerca
scientifica che hanno dimostrato che la memoria ricostruisce,
che non tutto viene registrato e ancor meno viene ritenuto o è accompagnato
dalle stesse emozioni provate all’epoca in cui è successo
il fatto” 12. Per questo motivo durante l’ipnosi è possibile far
rivivere certe emozioni o ricordi passati, quasi sorvolandoci sopra,
rivisitandole abbassandole di emotività: se il ricordo fosse esattamente
quello passato, probabilmente sarebbe un processo quasi
impossibile e sempre distruttivo.
La terapia delle vite precedenti implica l’indurre il paziente ad accettare
un sistema di credenze e il suo gergo. Ascoltando le raccomandazioni
del terapeuta, alcuni pazienti finiscono con l’adottare
una nuova visione del cosmo e una nuova fede religiosa: “Nella
mia pratica clinica, lungo i percorsi di ipnosi regressiva, notavo nel
corso degli anni e delle tante persone che trattavo, il manifestarsi
di un linguaggio che risuonava dai sette centri (chakra)… Compresi
che la modica pressione nelle aree dei centri attivava la sincerità
racchiusa nelle sette galassie del linguaggio e notai quanto ciò fosse
terapeutico…” 13. Durante un convegno un medico chiarisce i
concetti riportati sui cd che ha messo in commercio registrati du-
11 Codesti pseudo terapeuti ne vogliono tanti, sempre in crescendo. (R. A.
di B.)
12 Psicoterapie folli, di Singer e Lalich
13 Ipnosi regressiva e linguaggio dei centri, di Angelo Bona (articolo reperibile
in Internet)
20 Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
rante una presunta trance di vita precedente: “Vi sono all’origine 5
pulsioni cosmiche, archetipi celesti, grandi simboli cosmici, 5 etnie
che convengono a convegno dentro l’anfiteatro del Sole e stanno
decidendo che l’evoluzione terrestre deve essere dominata dalla
Consapevolezza dell’Uno… Queste erano 5 popolazioni etniche
siderali: Kun, Horus, Daorai, Oshun e Lir… Jung è un mio carissimo
amico e viene molto spesso a parlare con me in sogno. E così
chiariamo insieme alcuni concetti. L’altro ieri ero in studio con
Akhenaton e Nefertiti: lei bellissima donna, in grande ambascie per
Akhenaton. Una scena meravigliosa. Io ormai continuo ad avere
visioni continue con trasposizione temporali. Dopo 25 anni di
cambi d’epoca è ormai per me usuale passare continuamente da
ere diverse e trovarmi davanti a personaggi diversi… Noi abbiamo
2 cavallucci marini nel cervello (ippocampi) che sono due esploratori
della nostra psiche… Nel 2012 ci sarà il rinnovamento
dell’Universo”. 14
Chi si rivolge a terapeuti simili è logico che sia già reso edotto delle
aspettative e delle conoscenze dell’ipnologo e in parte ne mutui
il linguaggio e gli atteggiamenti anche grazie ai neuroni specchio.
Ma può essere passato tutto questo come verità? A noi sembra
piuttosto il classico sistema di credenze di stampo new age, alle
quali pensiamo di associare la psicoregressione alle vite precedenti.
Le terapie new age
Il cliché delle terapie new age è fondato su cinque elementi fideistici
che sono ben presenti nella terapia R a vite precedenti:
a) antico segreto: vi è una verità assoluta o fondamentale che
risiederebbe in qualche antica e spesso poco precisata cultura;
b) cecità della scienza ufficiale: la scienza è fallace e porta con se
spaventosi pericoli. Lo smarrimento di fronte al mistero della morte,
che evidentemente la scienza non è in grado di spiegare, apre
le porte al desiderio di fonti alternative, da cui trarre fiducia e speranza;
c) responsabilità terapeutica: se la cura fallisce è sempre colpa
14 Per la diagnosi dello stato mentale di chi fa codeste affermazioni consultare
il DSM IV. (R. A. di B.)
Vol. I - 2009 Editoriale
21
dello scetticismo o della negatività del paziente;
d) trasformazione: l’individuo è visto come prigioniero delle sue
precedenti convinzioni religiose, universali, morali e psicologiche.
Solo il loro superamento può permettergli di percepire la presenza
dell’Universo parallelo. Cambiare valori, parametri e definizioni
della realtà e del Sé diventa il principale obiettivo;
e) amore: il concetto di “amore” nella new age è più invadente
del prezzemolo. Ma in termini clinici si presenta come una specie
di regressione. L’emotività viene espressa, forzatamente esaltata e
occorre “lasciarsi andare ad essa”. L’esasperazione dell’emotività
squalifica il pensiero critico e coerente, impedisce la riflessione,
permette associazioni mentali immediate e l’emergere di fantasmi
inconsci 15.
Come tutte le terapie new age salutistiche, anche l’ipnosi regressiva
a vite precedenti rappresenta una bella fonte di guadagno assicurato;
infatti molti gruppi settari o sedicenti salutistici immettono
nelle loro pratiche la regressione a vite passate, come se fosse un
dato scientifico assodato. In Internet per esempio troviamo
un’Accademia di Regressione alle vite passate che con corsi residenziali
in Inghilterra di soli quattro giorni rilascia un “diploma in
Regression Therapy”, abilitando i partecipanti come professionisti.
Nel corso si insegna cos’è l’ipnosi e come la si può indurre, ma
immediatamente al secondo punto del programma si insegnano
“domande di apertura e di direzione per esplorare la vita passata”,
“integrazione dei frammenti d’anima del cliente” e “intercessione e
utilizzo degli aiutanti e delle guide del mondo spirituale”, mischiando
così tranquillamente ipnosi, regressione, reincarnazione,
spiritismo, ufologia e altri concetti che di scientifico hanno ben
poco. Solo al diciottesimo punto del corso viene insegnata la “registrazione
delle informazioni sul cliente, incluse le considerazioni
etiche, legali e morali” mentre all’ultimo punto (28°) troviamo le
“controindicazioni per la terapia regressiva”.
È evidente che un vero terapeuta saprebbe guidare anche questo
tipo di fantasie, ma possiamo solo immaginare i guai che possono
essere provocati da chi, in maniera del tutto sommaria e fantasiosa,
ipnotizza una persona e la lascia spaziare nelle presunte vite pre-
15 Mindfucking, di Stefano Re
22 Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
cedenti, confermandole semmai timori, presentimenti, angosce,
slatentizzando sentimenti di ostilità verso altri o al contrario di affetto
sconsiderato, magari facendo credere che in una vita precedente
due persone siano state legate sentimentalmente, dando per
vero che si è stati rapiti dagli alieni per esperimenti genetici o che,
essendo stati gli aiutanti di Galileo, si sia stati resi edotti di segreti
arcani che ancora ora vengono trasmessi via telepatica, e altro.
Chiediamoci a questo punto cos’è che attira la gente a sottoporsi a
una regressione ipnotica a vite precedenti, pur spendendo un mare
di soldi e rischiando la salute psichica e emotiva. Per capirlo
dobbiamo ricorrere ai principi di controllo mentale, già codificati
da diversi psicoterapeuti. Robert Joule, docente di psicologia sociale
all’Università di Aix-en-Provence ci fornisce tre criteri:
1) coinvolgere il soggetto con una prima, strumentale proposta
di partecipazione, cui fa seguito una più impegnativa richiesta. Il
soggetto viene condotto quindi a rendersi “disponibile” ad ulteriori
richieste. Nel caso dell’ipnosi regressiva notiamo che in genere
la persona si rivolge al terapeuta portando il proprio “sogno”, che
viene immediatamente ripreso e decodificato dall’ipnologo che richiede
al soggetto sempre maggiori “prestazioni” e compie presunte
ulteriori ricerche nella mente e nei ricordi del soggetto.
2) Chiedere al soggetto qualcosa di esagerato o irragionevole
per poi ridurre la richiesta a quello che effettivamente era
l’obiettivo iniziale. Il paziente si reca dall’ipnologo con già la certezza
che gli sarà chiesto (direttamente o indirettamente) una prestazione
notevole: la riemersione certa di vite precedenti. Accondiscende
alla richiesta e solo dopo alcune sedute, l’ipnologo scenderà
di pretese per non perdere il cliente al quale dopo un po’
l’immaginazione verrà a mancare e anche il desiderio di conoscenza
o di risoluzione dei problemi. In questo modo però si mantiene
un legame di dipendenza con il terapeuta... almeno fino a che ci
sono soldi per le terapie.
3) Fornire al soggetto informazioni errate o incomplete riguardo
la richiesta-proposta avanzata celandone aspetti sgradevoli o aggiungendo
particolari allettanti che in seguito verranno smentiti.
In questo caso gli individui, una volta presa una posizione, si sentiranno
vincolati ad essa, soprattutto nella misura in cui pensano di
averla scelta liberamente. A nessuno piace essere preso in giro e la
Vol. I - 2009 Editoriale
23
mente pone in atto un meccanismo di difesa che si oppone a quella
che si chiama dissonanza cognitiva: cioè per non entrare in conflitto
con quello che si è dimostrato irrazionale e stupido, si accetta
come verità colata quello a cui si è stati portati a credere. Anche
questo però pone il soggetto in totale dipendenza dall’ipnologo e
dalle sue teorie, per quanto stravaganti esse possano essere state.
16
Se a questi tre principi di controllo mentale aggiungiamo quello di
cui abbiamo parlato in precedenza, ovvero i neuroni specchio che
talvolta (per correttezza diciamo che la ricerca in tal senso è in
pieno svolgimento) possono indurre a credere di avere davvero il
potere di evocare vite passate, solo perché essi rispecchiano le aspettative
del terapeuta, il linguaggio verbale e non verbale
dell’ipnologo che induce a falsi ricordi (la sindrome del falso ricordo
è un problema psichico molto serio e difficile da dipanare);
il principio di autorevolezza che da subito si dà all’operatore senza
minimamente porre il dubbio che qualcosa di quello che viene
detto possa non essere vero, e altro, possiamo ipotizzare che la terapia
ipnotica regressiva a vite passate sia niente altro che una delle
tante tecniche di controllo mentale che di terapeutico ha ben
poco.
In alcuni siti Internet che parlano e propongono regressioni alle
vite passate (ricordiamo che vi sono anche le visitazioni delle vite
future, condotte sempre in trance ipnotica) troviamo alcuni passaggi
importanti che ancora una volta ci riportano realisticamente
a tutto ciò di cui abbiamo accennato sopra.
L’ipnosi regressiva è una tecnica sperimentale che può essere utilizzata
durante una psicoterapia che permette di ricercare le cause
dei conflitti attuali nel mondo remoto dei sogni di trance, che possono
assumere l’aspetto di precedenti vite; durante l’ipnosi regressiva
si possono rivivere come accaduti fatti reali e fatti che non trovano
riscontro nella biografia del soggetto in ipnosi. Questi vissuti
possono essere interpretati in vari modi: come fantasie trasformate
in realtà, come fatti traumatici avvenuti in vite precedenti, come
traumi subiti da altre persone con cui si è stati in relazione, come
trasmissione genealogica del trauma. La trance viene utilizzata di
16 A questi principi ne aggiungo un altro, fondamentale, trovare il pollo
che ci crede. (R. A. di B.)
24 Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
solito dopo un accordo, che deriva da una sorta di complicità implicita
tra soggetto e ipnologo, accomunati dalle proprie credenze.
L’inconscio fantastico non fa distinzione tra reale e immaginario;
ciò che permette vividezza alle memorie all’interno della mente è
l’aspetto emozionale. Se una persona non inizia il cammino con la
convinzione implicita della possibilità di vite passate non si ricaverà
molto dalla terapia poiché i principi fondamentali della persona
(valori, credenze, convinzioni…) che venissero violati dal terapeuta
avrebbero come risultato l’immediato risveglio del soggetto.
Naturalmente diverso è il caso di una fantasia espressa in stato ipnotico,
che serve a far emergere sotto metafora l’inconscio del paziente
e che va sapientemente e clinicamente guidata e risolta.
Conclusioni
Per concludere riteniamo discutibile e dannosa una qualsiasi forma
di ipnosi regressiva a vite precedenti e ci sembra di intravedere
questo parere anche nel mirabile testo “Istruzioni per rendersi infelici”,
di Watzlawick che sembra dare importanti indicazioni per
incastrarsi con le proprie mani, abbandonandosi ai falsi ricordi di
vite precedenti e a quello che ne conseguirebbe come comportamento
attuale: “Si deve al filosofo Karl Popper l’interessante idea
secondo cui, per esprimerci semplicemente, la terribile profezia
che Edipo apprese dall’oracolo si avverò proprio perché egli la conosceva
e la fuggiva. Proprio ciò che egli fece per evitarla ne determinò
l’avverarsi… In primo luogo deve esserci una predizione,
nel senso più ampio del termine, dunque una qualsiasi aspettativa,
preoccupazione, convinzione o semplicemente un sospetto che le
cose andranno così e non altrimenti. Bisogna aggiungere che tale
aspettativa può essere provocata o dall’esterno, magari da altre
persone, oppure da qualche convinzione interiore. In secondo
luogo l’aspettativa deve essere vissuta non come semplice attesa,
bensì come una realtà incombente, per evitare la quale devono essere
prese immediate contromisure. In terzo luogo, la supposizione
è tanto più convincente quante più persone la condividono,
oppure quante di meno sono le supposizioni già comprovate dal
corso delle cose, a cui essa contraddice… Piuttosto che impegnarsi
Vol. I - 2009 Editoriale
25
in una politica dei piccoli passi, perseguendo scopi ragionevoli e
raggiungibili, conviene scegliersi una meta straordinariamente elevata
17.
17 Istruzioni per rendersi infelici, di Paul Watzlawick
26 Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
BIBLIOGRAFIA
APA – Diagnostic and statistical manual DSM IV – American Psychiatric
Press
Arone di Bertolino Riccardo – L’ipnosi regressiva – tratto da Rivista Medica
di Ipnosi e Psicoterapia, vol.I 2001, ed SMIPI
Arone di Bertolino Riccardo – La creazione dell’immagine e del desiderio –
tratto da Rassegna di Psicoterapie vol 13 n°2, 1986, ed. Min Medica
AA.VV. – Potenziali evocati uditivi in veglia, relax e trance ipnotica – Atti
del XI congresso nazionale AMISI, 1998, ed. Mosconi
Bandler, Grinder – Ipnosi e trasformazione – Astrolabio
Barber T. – Ipnosi: un approccio scientifico – Astrolabio
Bona Angelo – La dolce novella – Wormhole Communication
Bona Angelo – Il palpito dell’Uno – Wormhole Communication
Bona Angelo – L’amore maestro – Molte vite per raggiungere se stessi –
Oscar Mondadori
Cavazza Nicoletta – La persuasione – Il Mulino
Chellini Paolo – La dinamica del rito, tra gioco, senso del sacro e guarigione
- tratto da Rivista “Simposio”, anno 3 n°2, sett. 2007
Cialdini Robert – Le armi della persuasione – Giunti
Damaso A.R. – Emozione e coscienza – Adelphi
David Gordon – Metafore terapeutiche – Astrolabio
Erickson, Rossi – Tecniche di suggestione ipnotica – Astrolabio
Groham David – R- come terapia – SIAD
Hambleton Roger – Ipnositerapia sicura – Armando editore
Hatfield, Cacioppo, Rapson – L’incidenza delle emozioni nei rapporti con
gli altri – San Paolo
Iacoboni Marco – I neuroni specchio – Bollati Boringhieri
Jodorowsky Alejandro – Psicomagia – Feltrinelli
MacHovec – Hypnosis Complications – Ed. Charles Thomas
Moody, Perry – Ricordi di altre vite – Mondadori
Re Stefano – Mindfucking – Castelvecchi
Singer, Lalich – Psicoterapie folli – Erickson
Stevenson Jan – Bambini che ricordano altre vite – Mediterranee
Stevenson Jan – Rivivere le vite passate – Mediterranee
Vasiljev Leonid – Esperimenti di suggestione mentale – MEB
Watzlawich Paul – Istruzioni per rendersi infelici – Feltrinelli
Weiss Brian – Lo specchio del tempo – Oscar Mondadori
Vol. I - 2009 Editoriale
27
Silvana Radoani
LO SPECCHIO DEI SOGNI
Parole chiave: vite precedenti, regressione ipnotica, neuroni specchio,
condizionamento, linguaggio, pericoli.
RIASSUNTO
Vari studi lasciano supporre che l’ipnosi regressiva che riporti il paziente
alle presunte vite precedenti sia sempre indotta dal terapeuta. Per analizzare
i pericoli che questa metodica può presentare, soprattutto se fatta da
persone inesperte di psicoterapia, abbiamo preso in forte considerazione
la recente scoperta neurofisiologica dei neuroni specchio e della loro incidenza,
soprattutto in momenti di default in cui la mente viene posta attraverso
la tecnica ipnotica; questi, associati solitamente a tecniche di controllo
del linguaggio e del condizionamento psicologico.
Silvana Radoani
MIRROR OF DREAMS
Keywords: past lives, hypnotic regression, mirror neurons, manipulation,
language, danger,
SUMMARY
Several studies have highlighted that the past lives regression is always induced
by the therapist. In order to analyze the dangers of this practice especially
when carried out by therapists without experience in psychotherapy,
we have used a new discovery in neurophysiology: the so called mirror
neurons. These neurons can influence the mind especially in those
moments of default due to hypnotic technique in association with language
and psychological manipulation.
L’Autrice
Dottoressa Silvana Radoani,
Laurea in Teologia, Laureanda in Antropologia Culturale ed Etnologia,
Master in Ipnosi, socia S.M.I.P.I.
Responsabile dell’ASAAP - Centro di Consulenza Anti Abuso, exit counselor
www.asaap.org - radoani@hotmail.com - cell. 347.1118092
Bologna
Vol. I - 2009 Editoriale
29
Riccardo Arone di Bertolino
LIBERA DI VOLARE
Parole chiave: vertigini, paura del vuoto, panico, suicidio, raptus.
Premessa
Una psicoterapia deve durare il tempo necessario per ottenere la
guarigione, completa e stabile, dovuta ad una rielaborazione positiva
dei problemi ed al cambiamento della concettualità e del vissuto
emotivo profondo che causano la patologia.
Convinzioni preconcette di quanto debba durare una terapia sono
semplicemente limiti, quasi sempre dannosi, perché forniscono ai
pazienti suggestioni negative nei fatti: da un numero limitato e
preordinato di sedute (terapie brevi) ad una specie di eternità senza
confini (psicoanalisi e psicanalisi).
Ogni essere umano è un’entità unica ed è il terapeuta che deve interagire
ed adeguarsi al paziente, non quest’ultimo all’ideologia ed
alle tecniche dell’operatore.
Nella prima seduta si ascoltano i problemi che il paziente riferisce,
a volte sono quelli reali, nuclei isolati che causano sofferenza, altre
volte spunti di inizio di un percorso che coinvolge tutta una vita.
Già questa differenza non è facilmente identificabile all’inizio, perché
non è possibile prevederla, ma solo conoscerla, un passo per
volta, quando se ne constatano le componenti.
Un altro elemento essenziale non riconoscibile, se non dopo alcuni
incontri, è la reattività del soggetto, cioè la sua capacità, stimola30
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
ta e guidata, di rielaborare in positivo consciamente, inconsciamente
ed emotivamente cause, correlazioni, concettualità e componenti
della propria sofferenza.
Anche nella mia attività ho casi, abbastanza rari, che hanno richiesto
molto lavoro e tempi lunghi (massimo un centinaio di sedute
in due anni) in cui è stato necessario ricostruire una vita per liberarla
dalle concettualità e dai condizionamenti negativi introiettati
o elaborati autonomamente. Per raccontare questi casi sarebbe necessario
scrivere un romanzo.
Per questo riportiamo preferibilmente i casi risolti in breve tempo
in cui è possibile ricordare e riferire quasi tutti gli elementi 1 che
hanno comportato la patologia e quelli che hanno ottenuto la guarigione.
Il caso
Monica, 35 anni, programmatrice di computer, mi racconta di adorare
le passeggiate in montagna, ma da un po’ (non specifica da
quando, ma non è importante che io lo sappia) ha paura di cadere
nel vuoto, come se il vuoto la attraesse costringendola a buttarsi.
Le chiedo come è iniziata la paura. Mi dice che la paura è nata durante
una passeggiata in montagna. Il sentiero era su una scarpata
profonda e con la coda dell’occhio ha come visto qualcosa che non
sa identificare, che l’ha terrorizzata e di cui ha paura.
Identificato, dopo dieci minuti 2 di colloquio, un primo elemento
su cui lavorare, induco l’ipnosi. Reagisce bene ed in cinque minuti
raggiunge uno stato di completo, piacevole rilassamento e di trance
profonda. La guido a rivedere con distacco, come se guardasse
un filmato che non la riguarda 3 quella passeggiata.
1 Tutti è impossibile, perché il vissuto di un rapporto profondamente umano,
come deve essere quello terapeutico, è inidentificabile in tutte le
sue componenti (affettive, comportamentali, empatiche).
2 Se avessi fatto un’anamnesi psicodiagnostica classica (che non faccio
mai) saremmo ancora lì e non solo avremmo perso tempo, ma avremmo
anche perso definitivamente tanti spunti ed occasioni per intervenire.
3 Far rivivere vividamente in trance una situazione traumatica, come purtroppo
fanno ancora alcuni psicoterapeuti ed ipnotisti, è dannoso perché
rinnova gli effetti del trauma.
Vol. I - 2009 Editoriale
31
Vede se stessa che vede il vuoto che la chiama e cerca di costringerla
a buttarsi. La conforto e con parole auliche le dico che è una
paura del cavolo, che il vuoto non ha parole e volontà, che non
gliene frega niente se lei si butta o no. La faccio ridere.
Ridendo della propria paura comincia a scioglierla. Mi chiede però
cosa le succederebbe se le prendesse un raptus. Le spiego che il
raptus è un’invenzione giornalistica per giustificare (?)
l’inspiegabile, che invece è dovuto ad una lunghissima elaborazione
inespressa agli altri. 4
La risveglio dall’ipnosi, sonno che non è sonno. Sorride, è a suo
agio, l’imbarazzo iniziale è scomparso, ed ha l’aria sollevata. In tutto
sono passati quarantacinque minuti, il tempo di ogni seduta settimanale.
5
Lo scritto di Monica
Stanca di aver paura del vuoto, cerco e trovo una Guida.
Primo incontro
Arrivo al primo incontro con imbarazzo e un po’ di vergogna. Non
senza difficoltà spiego il motivo che mi ha spinto a chiedere aiuto e
cioè la paura che mi assale mentre cammino per i sentieri di montagna.
Temo di risultare ridicola e di essere quindi mandata via. Ma
non succede.
Con poche parole racconto come circa dieci anni 6 fa ho scoperto
di avere paura del vuoto. Camminavo serena per i sentieri di montagna,
quando ho avvertito un senso di smarrimento, un capogiro
che inizialmente ho confuso per euforia. Mentre con la coda
dell’occhio vedevo scorrere velocemente il panorama della vallata,
dentro di me sentivo nascere un pensiero. Man mano che proseguivamo
e il sentiero si faceva sempre più stretto, il pensiero cre-
4 Chi sta maturando negli anni il suicidio od altre azioni cruente non lo
racconta a nessuno.
5 Se si è agito efficacemente è più che sufficiente, se si è perso solo tempo
è meglio piantarla ed aspettare una nuova occasione.
6 Ha pensato ma non ha specificato il tempo: la mia impressione è stata
che si trattasse di un fatto recente, come è sempre presente ciò che fa parte
del vissuto patologico.
32 Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
sceva e diventava ansia. Superata una crepa nel terreno, l’ansia è
fiorita in panico e in un attimo mi sono ritrovata a terra, avvinghiata
alle rocce e alle sterpaglie. Le gambe non mi tenevano, tremavo
e piangevo. Ero paralizzata dalla paura di muovermi. Se mi fossi
mossa sarei volata giù nel “vuoto”, da cui mi sentivo paradossalmente
attratta. Non volevo più muovermi ed ero disposta a morire
lì, aggrappata alla montagna.
“Com’è il tuo ragazzo?” 7 mi chiede la Guida. “È una roccia.” Rispondo.
8
La Guida mi parla e sento le sue parole farsi largo tra i pensieri.
Avverto persino un lieve solletico.
Barcollante e stranita esco dallo studio e in pochi minuti sono presa
da un forte mal di testa. 9
Nei giorni a seguire la Guida è come se fosse dentro di me e continua
a “parlarmi”, riconosco le sue parole in discorsi del passato 10
e nel mondo presente che mi circonda.
Secondo incontro
Quando ci rivediamo racconto del giro in auto che ho fatto nei
giorni successivi al nostro primo incontro. In quei giorni ho avuto
l’occasione di percorrere un tratto di strada di montagna, dove
qualche anno prima ero stata vittima di un attacco di panico. Per
tutto il tragitto ho guardato fuori dal finestrino, cercando tra le
curve e i dirupi quell’attrazione che tanto temevo. Con stupore mi
sono accorta che quell’attrazione non c’era e che senza di lei mancava
anche la paura. Dov’erano finite? Com’era possibile? Non potevo
essere guarita così in fretta. Non dopo aver trascorso oltre
dieci anni ad avere paura!
Spiego che la paura è solita assalirmi anche in occasione di tragitti
di montagna percorsi in auto. Guidare l’auto non mi è mai piaciuto,
l’ho sempre trovata un’attività molto stancante.
La Guida mi parla e di nuovo le sue parole mi raggiungono. Devo
avere più fiducia in me, nelle nostre capacità. Insieme analizziamo
7 Interrompo il suo stato d’animo evocando qualcosa di piacevole e di vitale.
8 Ci scherzo su.
9 L’elaborazione che è iniziata dentro di lei è enorme. Effetto secondario
passeggero.
10 Continua autonomamente a rielaborare in positivo.
Vol. I - 2009 Editoriale
33
la mia paura delle curve e quella di “volare”. Le paure, mi spiega,
oltre ad impararle da soli, ci vengono insegnate da altri. Una madre
troppo apprensiva potrebbe avermi insegnato la paura di guidare.
Ma la paura del vuoto? Questa attrazione per il vuoto, da cosa
può dipendere? Perché non è possibile che all’improvviso una
persona sana e normale abbia voglia di “volare”. I raptus non esistono,
tutto avviene progressivamente.
“Durante l’adolescenza questi pensieri erano già comparsi”, dico.
Per diverso tempo ho desiderato buttarmi giù dalla finestra di casa,
ma sia la ridicola altezza da cui mi sarei lanciata (mi sarei procurata
solo danni fisici, forse permanenti ma non letali) che l’istinto di
sopravvivenza mi avevano trattenuta. In quegli anni ero molto triste:
la pluriennale convivenza-separata dei miei genitori e la morte
di un cugino con cui ero cresciuta, mi avevano resa una persona
infelice e depressa. Mio cugino, quello con cui da bambina mi lanciavo
dall’alto del fienile nei soffici cumuli di paglia, è morto in un
incidente stradale. Ad una curva l’auto ha urtato un muretto e lui è
volato, per l’ultima volta, fuori dal finestrino. Per molto tempo sono
stata tormentata da un forte senso di colpa.
Provo un po’ di vergogna nel raccontare questi avvenimenti e non
vorrei sollevare la montagna sotto cui li ho seppelliti. Non voglio
rivivere quelle sensazioni di disagio e di dolore emotivo. La Guida
mi spiega che la mia sorte non deve essere quella di mio cugino e
che vivere tanti anni una situazione familiare di quel tipo non è facile.
Vivere insieme quando non si è felici di stare insieme, si sta
male e si fa del male agli altri. Inducendomi al rilassamento, mi
chiede di visualizzarmi serena alla guida della mia auto, in mezzo
alle curve e ai crepacci di montagna, senza provare fatica. Mi vedo
felice mentre chiacchiero sorridente con il mio compagno di viaggio.
Mi chiede allora di visualizzarmi trotterellante e spensierata
per i sentieri di montagna. Sorrido. Vedo mia nipote adolescente,
piena di vitalità e senza paure.
Esco contenta dallo studio, ma dopo pochi minuti mi ritrovo in un
pianto a dirotto. È come se stessi lavando via i sensi di colpa. Ripenso
a quegli anni e cerco di ricollegare nella mia mente i tasselli
dei ricordi. È faticoso ricordare, ho l’impressione di muovere dei
macigni di pietra. Laggiù, sotto quel peso enorme, ritrovo me stessa,
schiacciata dai miei pensieri, convinta di essere responsabile
34 Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
della morte di mio cugino, di non aver fatto nulla per evitarla, nonostante
i segnali premonitori dei mesi precedenti. In quei mesi
avevo un sogno ricorrente: un angelo dai capelli biondi (mio cugino
era biondo) mi guardava e mi sorrideva dall’alto del tetto di casa.
L’angelo mi trasmetteva amore, ma la ricorrenza del sogno mi
aveva inquietata. Inoltre, qualche giorno prima dell’incidente, ero
andata per gioco da una cartomante che mi aveva predetto da lì a
breve un incidente stradale in cui sarebbe morta una persona a me
conosciuta.
Da sempre provavo per mio cugino un sentimento ambivalente.
Da una parte gli ero affezionata perché eravamo cresciuti insieme e
mi rispettava. Dall’altra lo invidiavo per i privilegi e le attenzioni
che riceveva dagli adulti solo per essere, a mio avviso, nato maschio.
Aveva più giochi, più soldi, più lodi e più libertà di me. Pensavo
che non si meritasse tanto. Non capivo come io potessi essere
la sua cugina preferita, quella a cui confidava i segreti, e come potesse
volermi così tanto bene. Gliene ero grata, ma ero a disagio
per non riuscire a ricambiare i suoi sentimenti.
Mi sentivo responsabile della sua sorte e i sensi di colpa mi schiacciavano.
Per molto tempo ho sofferto per la sua mancanza e per il
vuoto che ha lasciato. Ho soffocato quei pensieri (non mi sentivo
degna di piangere la sua scomparsa), fino a quando sono esplosi,
in un urlo di terrore, lassù, per i sentieri di montagna. Con il mio
vuoto da una parte (l’assenza di mio cugino) e la mia montagna
dall’altra (la presenza del mio compagno di sempre, che porta lo
stesso nome di mio cugino).
Di nuovo mi dico che non voglio più avere questi pensieri e in un
attimo, come in una centrifuga, escono da me e mi sento finalmente
libera! Arrivo a destinazione senza sapere come, il viaggio di ritorno
in auto mi ha aiutata. Sono felice. Dentro di me qualcosa sta
cambiando. Sono raggiante e gli altri se ne accorgono. Nei giorni
successivi mi sorprendo della serenità con cui intraprendo i viaggi
in auto e da come arrivo a destinazione senza rendermene conto.
Sono sorpresa della tranquillità con cui affronto i problemi sul lavoro
e della quotidianità. Sono incredibilmente euforica e mi ritrovo
a piangere lacrime di gioia e a cantare. Trovo che tutto ciò che
mi circonda sia meraviglioso e continuo a stupirmi di me stessa e
delle cose che mi succedono. Mi sento sicura, vincente e orgoglioVol.
I - 2009 Editoriale
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sa. E allo stesso modo mi percepiscono gli altri. 11
Terzo incontro
Raggiante raggiungo lo studio. Racconto i netti miglioramenti. “Sei
guarita”, mi dice orgoglioso il Maestro. Ma io ho l’impressione che
la paura del vuoto non mi abbia ancora lasciata. “Sostituisci la parola
paura con attenzione e prudenza”, mi suggerisce il Maestro.
12 Quando esco, la soddisfazione mi riempie e mi pervade. Sono
carica e pronta a scoprire il mondo. Prima del successivo ed ultimo
incontro sono riuscita a mettermi alla prova salendo più volte su
una torre. 13 Pur arrivando in cima senza problemi, durante la discesa
ho però avuto qualche incertezza. Ma, come poi ha avuto
modo di sostenere il Maestro, era una fotocopia sbiadita della paura
della paura. Una sorta di abitudine.
Quarto incontro
Sempre più entusiasta arrivo in studio. Sono tornata sulla torre
dove ho “trotterellato” come mi ero visualizzata in un incontro
precedente. Posso toccare il cielo con un dito. Il mondo mi parla e
continuo a stupirmi. Mi sento sicura e attraente. Mi sento libera di
volare. Grazie!
Conclusioni
Questo scritto mi è arrivato dopo due mesi dalla conclusione della
terapia, e mi ha raccontato tante cose che non sapevo, perché lei
fin dall’inizio immaginava che le parlassi e di parlarmi al di fuori
delle sedute.
Ero sicuro che fosse guarita e che la guarigione le avesse cambiato
molto la vita: mi è bastato guardarla in faccia ed ascoltarla 14,
11 È stupendo come abbia quasi autonomamente ritrovato e modificato
tutto.
12 Uso come metafora il suo mestiere: come fai in un programma di computer
sostituisci questo comando.
13 La montagna era impraticabile per la neve di quest’inverno. La torre degli
Asinelli, altissima, è vuota dentro con una vecchia scricchiolante scala
di legno che gira attorno alle pareti.
14 Non tanto le parole quanto tutto l’atteggiamento.
36 Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
d’altra parte liberarsi di un macigno pesante e complesso, fatto di
conflitti, sensi di colpa e paure non può non cambiare tutta la vita.
Quando ero molto più giovane ad ogni successo pensavo fosse tutto
merito mio, e mi gonfiavo anche se umilmente d’orgoglio, invece
il merito è dovuto soprattutto ai pazienti.
Lei è stata bravissima. Un caso apparentemente simile 15 può richiedere
anche un lavoro lungo
Ho imparato il mio mestiere principalmente da loro 16 avendo
sempre come obiettivo la loro guarigione.
Io ho fatto bene il mio mestiere. Il valore dell’Allievo ed il valore
del Maestro si esaltano a vicenda.
Mi è piaciuto molto essere chiamato Guida, in effetti noi intraprendiamo
un ricerca in un territorio sconosciuto per risolvere gli
effetti, stimolare e risvegliare le risorse e solo a volte identificare le
cause, poiché tutti i rapporti mentali e fisici sono interattivi: la soluzione
della patologia spesso ne elimina completamente le radici,
senza la necessità di conoscerle consciamente. Alla conclusione
sono passato di grado: Maestro.
NOTA
È incredibile come la medicina pratica (chirurgia, diagnostica, eccetera)
si evolva rendendo spesso obsolete e ridicole tecniche valide
solo un anno prima.
Ma è ancora più incredibile ed assurdo come la psicoterapia sia
ancora condizionata spesso da ideologie, tecniche ed atteggiamenti
ottocenteschi, a volte più dannosi che inutili. In alcuni casi di valore
mai comprovato clinicamente, cioè dai risultati pratici.
Come in tutte le terapie solo i risultati devono essere il nostro
termine di confronto.
15 Non esistono due casi simili, l’eventuale somiglianza è solo negli effetti.
16 Poi dai libri di M.H. Erickson. Dai pochi maestri in carne ed ossa ho imparato
l’esatto contrario di ciò che insegnavano, cioè a non ripetere i loro
errori.
Vol. I - 2009 Editoriale
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Riccardo Arone di Bertolino
LIBERA DI VOLARE
Parole chiave: vertigini, paura del vuoto, panico, suicidio, raptus.
RIASSUNTO
La psicoterapia deve avere come unico obiettivo la guarigione del paziente,
modificando concettualità e vissuti emotivi che causano sofferenza.
Non è possibile stabilirne a priori la durata, perché dipende da elementi
che emergono di volta in volta e dalla reattività del soggetto. A volte occorrono
tempi abbastanza lunghi. I successi sono in larga misura da attribuire
ai pazienti e alla loro capacità di elaborazione.
Si riporta un caso risolto in sole quattro sedute. La paziente stessa racconta
con soddisfazione e sorpresa come, con la guida dello psicoterapeuta,
abbia brillantemente superato la paura del vuoto (problema che l’aveva
portata in terapia), ma non solo: gli effetti dell’elaborazione profonda da
lei compiuta si sono estesi ad ogni aspetto della sua vita dandole un benessere
generale. L’elaborazione è stata innescata dalle sedute e portata
avanti autonomamente da lei, in un dialogo immaginario con lo psicoterapeuta.
38 Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
Riccardo Arone di Bertolino
FREE TO FLYING
Key words: Dizziness, fear of void, panic, suicide, raptus.
SUMMARY
Patient's recovery should be the unique aim of psychotherapy, by modifying
concepts and emotional experiences which cause suffering. It is impossible
to define a priori the lenght of a psychotherapy, because it depends
both on factors which come out each time and on patient's reactivity.
Sometimes a long time is necessary. Successes are especially due to
patients and their capacity of working-through. A case solved in four sessions
is reported. The patient tells with satisfaction and surprise how, under
the direction of the psychotherapist, she succesfully overcame the fear
of void (the problem that brought her to therapy) but non only: the effects
of the deep working-through spread to all aspects of her life, giving her a
general well being. Working-through, triggered by the sessions, was independently
led by herself, in an imaginary dialogue with the psychotherapist.
L’Autore
Dr. Riccardo Arone di Bertolino
Presidente della Società Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
Via Porrettana 466 - 40033 CASALECCHIO di RENO BO
CONTRIBUTI TEORICI
Vol. I - 2009 Contributi Teorici
41
Ugo Corrieri
CHRONIC CARE MODEL ED INTENSITÀ DI CURE:
UN MODELLO DI CURA DEL SERT
BASATO SULLE EVIDENZE
Parole chiave: Chronic Care Model, Intensità di Cure, SerT, dipendenze
patologiche, modello di cura, empowerment, auto-cura,
processi terapeutici evolutivi.
La dipendenza come malattia cronica recidivante
Secondo una famosa (e datata) definizione della Organizzazione
Mondiale della Sanità, la tossicodipendenza è una “malattia cronica
recidivante”: espressione che indubbiamente ebbe la grande
importanza di liberare la terapia delle dipendenze da visioni moralistiche
e “punitive” e permise di poter affrontare laicamente il trattamento
medico delle condizioni di “addiction”, ma che allo stesso
tempo costrinse e per certi versi tuttora costringe un fenomeno
umano altamente complesso quale quello delle dipendenze, da
sostanze e comportamentali, dentro una cornice, troppo angusta e
limitativa, costituita dal riduzionismo medico e dalla linearità di
una concezione etiologica causa-effetto. Il concetto stesso di “cronico
recidivante” può inoltre di per sé indurre gli operatori, tenuti
come servizio pubblico a dare sempre una risposta e non di rado
carenti nella formazione a metodiche interattive evolutive, a considerare
i pazienti dipendenti come portatori di una patologia “inguaribile”
o comunque caratterizzata da elevatissima tendenza alla
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
42
cronicizzazione ed a mettere in atto modalità assistenziali e relazionali
idonee ad una patologia cronica permanente le quali, in
base al fenomeno della “previsione che si avvera”, possono tendere
di per sé a favorire quello scenario di cronicità per il quale vengono
pensate e proposte come le più adatte. In altre parole, una
definizione di patologia cronica, coniata alcuni decenni or sono
per condivisibili scopi di emancipazione da una gogna morale e
poi ripresa dai moderni sistemi classificativi (DSM), paradossalmente
può anche contribuire a favorire una “cronicizzazione iatrogena”
degli utenti ed è oggetto della critica costruttiva di molteplici
autori i quali, come il sottoscritto, realizzano la terapia delle
condizioni di dipendenza patologica nell’ottica di concrete possibilità
di miglioramento e di guarigione.
Il “Chronic Care Model”
Com’è noto, il Chonic Care Model (CCM) è un modello di assistenza
medica dei pazienti affetti da malattie croniche sviluppato
dal professor Wagner e dai suoi colleghi del McColl Institute for
Healthcare Innovation, in California, alla fine del secolo scorso. Il
modello propone una serie di cambiamenti a livello dei sistemi sanitari
per favorire il miglioramento della condizione dei pazienti
cronici e suggerisce un approccio “proattivo” del personale sanitario
ai pazienti stessi, con questi ultimi che diventano parte integrante
del processo terapeutico-assistenziale.
Il ‘Chronic Care Model’ del gruppo del McColl Institute è caratterizzato
da sei elementi fondamentali: 1) le risorse della comunità;
2) le organizzazioni sanitarie; 3) il supporto all’autocura; 4)
l’organizzazione del team; 5) il supporto alle decisioni; 6) i sistemi
informativi per tentare di valutarne la fattibilità di applicazione allo
specifico contesto nazionale.
Oltre ad enfatizzare la promozione della salute per tutta la popolazione
sana, si basa sulla stratificazione della popolazione portatrice
di problemi di salute in tre livelli di necessità assistenziali correlati
ad altrettanti livelli di rischio, cui si ritiene di dover far fronte con
tre approcci distinti: 1) al livello inferiore, il cosiddetto “supported
self-care” (traducibile come “autogestione guidata”), che dovrebbe
Vol. I - 2009 Contributi Teorici
43
riguardare all’incirca il 70-80% dei pazienti, tutti quelli a basso rischio
di scompenso; 2) nel livello intermedio, il “disease specific
care management”, che dovrebbe riguardare all’incirca il 15-20%
della popolazione, quella ad alto rischio di scompenso ed attuare
nei confronti di tali pazienti il “management specialistico della malattia”;
3) in cima alla piramide dei pazienti, il “case management”
in senso stretto, che dovrebbe riguardare all’incirca il 2-3% della
popolazione, cioè quei pazienti con condizioni altamente complesse
che devono essere oggetto di più interventi terapeutici specialistici,
per coordinare i quali è per l’appunto previsto un “Case
Manager” dedicato, di solito un infermiere. Il “Case Manager”, come
recita anche il Piano Sanitario Regionale 2008-2010 della Regione
Toscana (alla voce 5.6.2.1 “Salute Mentale”), “è il responsabile
dei processi di cura, che segue le diverse fasi del progetto terapeutico-
riabilitativo ed ha il compito di garantire modalità operative
idonee ad assicurare la continuità assistenziale, l’apporto integrato
delle varie professionalità e l’attivazione dei servizi sociosanitari
previsti”.
Al di sotto di questa piramide di pazienti si trova poi la più ampia
base dei cittadini che sono esposti ai fattori di rischio e nei confronti
dei quali vengono effettuati interventi di promozione della
salute.
Il modello del CCM del professor Wagner risulta quanto mai utile
dal momento che sostituisce il paradigma dell’attesa dell’evento
acuto (la malattia, lo scompenso) con un approccio proattivo, improntato
al paradigma preventivo dell’evitamento o del rinvio nel
tempo della progressione della malattia ed ha già dimostrato, in
studi di metanalisi, evidenti benefici in termini di outcome clinici,
di processi di cura e di qualità della vita dei pazienti. Ha quindi già
ispirato una radicale revisione del modello di assistenza sociosanitaria
britannico e appare destinato ad ispirare l’organizzazione
dell’offerta assistenziale anche del nostro Paese nei prossimi decenni.
Occorre sottolineare che i principali punti di forza risiedono
nella valorizzazione delle risorse (in inglese: “empowerment”) del
paziente e della comunità e nella qualificazione del team assistenziale
sociosanitario nella logica dell’approccio proattivo.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
44
Carichi di lavoro e modelli assistenziali SerT
In base ai dati del Sistema Informativo Regionale sulle Tossicodipendenze
(SIRT), presso la Unità Funzionale Dipendenze Area
Grossetana, di cui sono responsabile, si sono avuti nell’anno 2007
526 utenti in carico, 458 dei quali per trattamenti con farmaci sostitutivi
(metadone e buprenorfina) e 68 per problemi di alcol dipendenza,
ai quali si sono aggiunti, prevalentemente in estate, 118
utenti in carico ad altri servizi ma appoggiati in terapia presso di
noi. In totale in quell’anno si sono avuti oltre 1.000 contatti (comprendendo
anche le visite per patenti di guida, i colloqui su invio
della Prefettura, le consulenze varie). Tutto ciò, a fronte di 2 dirigenti
medici e 3 dirigenti psicologi, coadiuvati nel team multidisciplinare
da 4 infermieri, un educatore, un assistente sociale, un
sociologo ed un amministrativo. Considerando solamente i casi in
carico terapeutico, ogni medico ha seguito oltre 300 pazienti ed
oltre 200 ogni dirigente psicologo. La proporzione è variata di poco
nel 2008, quando da una parte si è avuto un aumento
dell’utenza, con 560 utenti in carico (di cui 487 con terapia sostitutiva,
67 per alcol dipendenza e 6 per gioco d’azzardo patologico,
questi ultimi in terapia familiare con il sottoscritto), con aggiunta
di 90 utenti appoggiati in terapia ed un numero totale di circa 900
contatti; dall’altra, si è avuto l’aumento di una unità medica a partire
dal mese di maggio, col mio arrivo che, come responsabile addetto
alle molteplici funzioni organizzative, posso utilizzare me
stesso per attività cliniche realisticamente non oltre il 50% del
tempo.
Il confronto tra i numeri chiarisce con evidenza come sia irrealistico
un modello terapeutico unico, che attribuisca aprioristicamente
ad ogni utente un Case Manager quale responsabile dei processi di
cura: “che segua le diverse fasi del progetto terapeuticoriabilitativo
e che garantisca la continuità assistenziale,
l’integrazione delle varie professionalità, la specifica attivazione dei
servizi socio-sanitari”. Ciò sia perché il Case Manager, come emerge
chiaramente dal Chronic Care Model, è concepito solo per
quella fascia di pazienti, altamente complessi e bisognosi di molteplici
interventi specialistici, che rappresenta una piccola proporzione
del totale, sia perché caricare indiscriminatamente ogni opeVol.
I - 2009 Contributi Teorici
45
ratore di una funzione talmente complessa nei confronti di tutti i
pazienti -nel nostro caso centinaia di utenti per ogni operatore- finirebbe
col non far svolgere un effettivo “Case Management” nei
confronti di alcuno.
Come conseguenza si impone quindi quella di procedere a decodificare
la domanda mediante un “triage” che indirizzi l’utenza verso
percorsi assistenziali distinti a seconda dei differenti bisogni
dell’utenza medesima. La concezione di questi percorsi e la dimostrazione
della loro efficacia non debbono essere ovviamente arbitrarie
bensì basate su prove di evidenza.
Chronic Care Model e Intensità di Cure
nel sistema assistenziale SerT
Come abbiamo già visto, il Chronic Care Model ci fornisce un modello
di intervento territoriale, su grandi numeri di utenza caratterizzati
da patologia cronica, già ampiamente validato da prove basate
sull’evidenza. La maggior parte dei pazienti, l’80% circa
dell’utenza, quella a basso rischio di scompenso, viene indirizzata
verso l’autocura, valorizzando le risorse delle persone, delle loro
famiglie e della comunità e rendendo possibile un’assistenza sociosanitaria
efficace nei confronti di grandi numeri di popolazione,
a fronte di una inevitabile limitazione degli operatori sociosanitari.
Assieme a questi indubbi punti di forza il CCM presenta tuttavia,
nei confronti delle dipendenze patologiche, una specifica criticità,
anch’essa già menzionata: l’incompletezza del modello della patologia
cronica di fronte a un fenomeno umano complesso quale
quello dell’addiction (dipendenza patologica).
Questo difetto può essere mitigato prendendo a prestito qualche
elemento da un altro modello, concepito per il campo ospedaliero,
che sta prendendo piede al momento presente e cioè quello
dell’Ospedale per Intensità di Cure. Com’è noto, anche questo
modello si basa sull’imperativo sociale della qualità delle cure, sulla
realtà delle risorse stabili o calanti e sulla necessità di un utilizzo
efficiente delle risorse stesse in un’ottica di sostenibilità del sistema.
Si realizza mediante la strutturazione delle attività in aree differenziate
su 3 livelli di alta, media e bassa intensità di cure. Nei
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
46
dettagli questi 3 livelli si applicano alla degenza ospedaliera ma da
un punto di vista di logica generale possono fornire un contributo
importante anche ad una assistenza territoriale mediante i concetti,
a loro intrinseci, di evolutività e di tendenza al passaggio, per
ogni caso clinico, anche il più critico che partisse dalla necessità di
un’alta intensità di cure, verso una successiva intensità media e
quindi verso un’area di bassa intensità di cure, per procedere infine
auspicabilmente verso processi di autocura e verso il ritorno
all’equilibrio ed alla salute.
In altri termini, sul piano puramente generale il Modello per Intensità
di Cure si basa anch’esso su 3 livelli di differenziazione come
il Chronic Care Model ma, diversamente da esso, possiede una
intrinseca evolutività verso il miglioramento e la guarigione: quanto
mai auspicabile nel campo delle dipendenze.
Possiamo quindi opportunamente concepire, per l’attività della
U.F. Dipendenze, un modello costituito dal CCM, modificato dal
contributo evolutivo dell’Intensità di Cure, che preveda 3 fasce di
utenza e di risposte terapeutico-assistenziali.
Iniziamo dal livello dell’alta intensità, che corrisponde al “Case
Management” per i pazienti altamente complessi. Si tratta di pazienti
che, secondo la definizione del CCM, sviluppano più di una
seria condizione (co-morbidità) e nel nostro caso possono identificarsi
in pazienti affetto da dipendenza e contemporaneamente da
gravi problemi organici, con seri problemi carcerari, con figli minori
a rischio di trascuratezza ed abbandono e così via, il cui trattamento
è divenuto estremamente complesso e difficile e che necessitano
di un Manager del Caso, di solito un infermiere, responsabile
dei processi di cura, che “tiri le fila” di tutto ciò. Da una
prima analisi dei casi in carico al nostro Servizio, sono stati censiti
21 utenti multiproblematici, corrispondenti a circa il 3,5 % del totale
dell’utenza in carico: perfettamente in linea con il 2-3 % circa
ipotizzato dal CCM. Ad ognuno di tali utenti verrà attribuito un Case
Manager, nella persona di un infermiere del Servizio, e tali casi
verranno supervisionati con periodica regolarità nelle riunioni di
Servizio.
Al secondo livello, quello del “Disease Management”, verranno attribuiti
quegli utenti che necessitano di cure di alta qualità, di intensità
“media”, da parte dell’equipe multiprofessionale del SerT.
Vol. I - 2009 Contributi Teorici
47
Si tratta di pazienti ad alto rischio, anche se non multiproblematici,
per i quali non si rende necessario un Case Manager e che
quindi verranno attribuiti come normali pazienti ambulatoriali ai
singoli dirigenti medici e psicologici, in un contesto di terapia fornita
in modo integrato da parte del team multiprofessionale. Il
Chronic Care Model prevede che questa classe di pazienti rappresenti
circa il 15-20 % del totale. Se così fosse, nel caso del nostro
SerT si tratterebbe di circa 150-180 pazienti complessivi: un carico
di utenti accettabile per prestazioni di media intensità di cure da
parte dei professionisti e dei team (psicoterapie, terapie farmacologiche
integrate, programmi terapeutico-riabilitativi individualizzati
e quant’altro).
Al terzo livello, quello della bassa intensità e del supporto
all’autocura, verranno infine attribuiti tutti quei pazienti, in accordo
con il CCM “a basso rischio di scompenso”, i quali - in equilibrio
dinamico con le altre due classi di utenti - potranno attivamente
partecipare alla propria cura, diventando attivi protagonisti,
sia nel senso di promuovere l’auto-cura, sia nel senso di prevenire
possibili complicanze, sia soprattutto nel senso di sviluppare le risorse
della propria persona e del proprio entourage familiare e sociale,
sviluppando circoli virtuosi che convergano verso il recupero
della salute e il ritorno a quelle condizioni di appartenenza alla
popolazione generale, esposta ai fattori di rischio ma non più bisognosa
di assistenza. Il CCM prevede che costituiscano il 70-80%
del totale dei pazienti.
Riguardo agli utenti in carico al SerT, potranno fare parte di questa
classe la gran parte dei pazienti stabilizzati che sono in terapia di
mantenimento con farmaci sostitutivi, così come coloro i quali
vengano indirizzati alla partecipazione a gruppi, anche multifamiliari,
di supporto e terapia, a gruppi di auto-mutuo-aiuto e ad interventi
da parte delle Associazioni di Volontariato che collaborano
col SerT. Ognuno di loro verrà in ogni caso attribuito al singolo
dirigente medico e psicologo come utente in normale carico ambulatoriale,
sia pure nella fascia dei pazienti stabilizzati ed attivi
protagonisti dei loro percorsi verso il benessere.
Ovviamente l’attribuzione alle tre classi va concepita in maniera
assolutamente dinamica, associandola alla necessità della rivalutazione
periodica delle condizioni cliniche di ogni paziente. A tal fiRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
48
ne occorre tenere presente che per ogni utente in carico al SerT è
prevista la rivalutazione obbligatoria del caso come minimo ogni
90 giorni: durata massima di validità del piano terapeutico individualizzato.
Per effettuare l’attribuzione a una classe di utenti, ogni singolo caso
sarà rivalutato dal dirigente responsabile, con l’apporto
dell’equipe multiprofessionale e con la supervisione del sottoscritto.
Prevediamo che l’attribuzione alle 3 classi possa essere completata
entro il corrente anno 2009 in contemporanea alla effettuazione
di altri processi di revisione critica delle modalità terapeutico-
assistenziali: stiamo ad esempio completando la revisione delle
modalità di affido dei farmaci sostitutivi, utilizzando anche il contributo
di linee-guida recentemente licenziate dalla Regione Emilia-
Romagna. A fine anno potremo quindi avere le idee più chiare riguardo
alla concreta applicabilità del modello CCM modificato, così
come riguardo alla reale distribuzione percentuale dei pazienti
nelle tre classi.
Conclusione
La complessità dei fenomeni delle dipendenze patologiche si incontra
con l’esigenza di nuovi modelli organizzativi che tengano
necessariamente conto del bisogno di coniugare la qualità ed efficacia
delle cure, dimostrata ogni volta che sia possibile dalle evidenze,
con la limitatezza e l’uso efficace delle risorse e con la utilità
di politiche sanitarie che sviluppino l’empowerment delle persone
e della rete sociale, promuovendo indispensabili processi di
autocura: che si fondano sulla concezione sistemica della comunità.
Il Chronic Care Model, modificato con spunti evolutivi tratti dal
Modello per Intensità di Cure, può fornire un valido contributo
per l’organizzazione di un moderno modello terapeutico assistenziale
dei Servizi per le Dipendenze, da sostanze e comportamentali,
tenendo contro soprattutto del numero elevato e della frequente
lunga persistenza in carico degli utenti di fronte alle moderate
risorse disponibili e della conseguente necessità di rivedere e differenziare
la calibrazione degli interventi, sinora spesso fondati sul
Vol. I - 2009 Contributi Teorici
49
modello unico del progetto terapeutico individualizzato attuato
dai team multiprofessionali sotto la responsabilità di un Case
Manager: modello quanto mai valido ed insostituibile limitatamente
ai casi multiproblematici ad alta complessità ma inattuabile in
modo generalizzato.
In aggiunta, un possibile vantaggio collaterale di un siffatto modello
differenziato può essere quello di permettere agli operatori di
effettuare una maggiore distinzione delle proprie attività assistenziali,
prendendo le distanze da un possibile clima di “inseguimento
continuo di ogni fenomeno emergente” che, in assenza di opportuni
organizzatori, può arrivare talora a costituire un impercettibile,
quanto disturbante “retropensiero” dell’attività quotidiana.
In ogni caso, la stratificazione degli utenti in tre livelli di bisogni e
necessità assistenziali, correlati ad altrettanti livelli di rischio e di
intensità di cure, costituisce non solo e non tanto una semplificazione
e razionalizzazione degli interventi, ma anche e soprattutto
una nuova concezione dinamica del lavoro dell’équipe multiprofessionale
SerT e dei percorsi terapeutici compiuti dagli utenti,
percorsi che sono concepiti come dinamicamente evolutivi e tendenti
al cambiamento, al progresso verso l’autocura ed alla partecipazione
attiva degli utenti ai processi di miglioramento e di guarigione.
Si prevede che il nuovo modello organizzativo, attualmente discusso
e condiviso da tutto il personale, venga applicato alla Unità
Funzionale Dipendenze Area Grossetana entro il corrente anno
2009 e sia sottoposto innanzitutto a un processo di verifica e quindi
di discussione e confronto con le altre UU.FF. SerT regionali.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
50
Ugo Corrieri
CHRONIC CARE MODEL ED INTENSITÀ DI CURE: UN MODELLO DI
CURA DEL SERT BASATO SULLE EVIDENZE
Parole chiave: Chronic Care Model, Intensità di Cure, SerT, dipendenze
patologiche, modello di cura, empowerment, auto-cura, processi terapeutici
evolutivi.
RIASSNTO
La complessità dei fenomeni delle dipendenze patologiche si incontra oggi
con l’esigenza di nuovi modelli organizzativi che tengano conto della qualità
delle cure, della limitatezza delle risorse e dell’utilità di politiche sanitarie
che sviluppino l’empowerment delle persone e della comunità.
Il Chonic Care Model, basato sulle evidenze ed arricchito con spunti evolutivi
tratti dal Modello per Intensità di Cure, può fornire un valido aiuto
per organizzare un moderno modello terapeutico-assistenziale dei Servizi
per le Dipendenze (SerT) che differenzi gli interventi in 3 fasce: 1) livello
dell’alta intensità, per pazienti altamente complessi con co-morbidità multiple,
circa il 3% dell’utenza, ad ognuno dei quali attribuire un “Case Manager”
2) livello del “Disease Management”, per utenti a rischio di scompenso,
circa il 15-20%, che necessitino di cure di intensità media; 3) livello
della bassa intensità di cure e del supporto all’autocura, per i pazienti a
basso rischio di scompenso, circa il 70-80% degli utenti in carico.
L’attribuzione alle tre classi va concepita in maniera dinamica, con periodica
rivalutazione di ogni paziente (come minimo ogni 90 giorni, durata
massima di validità del piano terapeutico individuale).
Con questo modello l’autore propone una nuova concezione del lavoro
dell’equipe multidisciplinare del SerT e dei percorsi terapeutici degli utenti,
concepiti come evolutivi e tendenti al cambiamento, all’autocura ed alla
partecipazione attiva degli utenti ai processi di miglioramento e di guarigione.
Vol. I - 2009 Contributi Teorici
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Ugo Corrieri
CHRONIC CARE MODEL AND INTENSITY OF CARE: AN EVIDENCEBASED
SERT’S CARE MODEL
Keywords: Chronic Care Model, Intensity of Care, SerT, addiction, model
of care, empowerment, self-care, evolutionary therapeutic processes.
SUMMARY
The complexity of addiction meets today with the need for new organizational
models that take into account the quality of care, the limited resources
and usefulness of health policies that emphasize the empowerment
of individuals and community.
The Evidence-Based Chonic Care Model, enriched with some evolutionary
ideas derived from the Model of the Intensity of Care, can help to organize
a modern model of care at Addiction Services (SerT) within three levels of
treatment: 1) the level of high intensity of care, for highly complex patients
with multiple co-morbidities, about 3% of patients, each of whom is
given a "Case Manager" 2) the level of "Disease Management", for patients
at risk of decompensation, approximately 15-20 % of patients, that need
average intensity of care; 3) the level of low intensity of care and support
to self-care, for patients at low risk of failure, about 70-80% of patients.
The allocation of patients in these three groups should be seen in a dynamic
way, with regular reassessment of each patient (at least every 90 days,
the maximum period of validity of the individual therapeutic project).
With this model the author proposes a new conception of the work of the
SerT multidisciplinary team and of the therapeutic pathways of patients,
which are seen as evolutionary and prone to change, to self-care and to
the active participation of patients in the processes of improvement and
healing.
L’Autore
Dr. Ugo Corrieri
medico psichiatra psicoterapeuta, Docente S.M.I.P.I.
Responsabile U.F. Dipendenze Area Grossetana, AUSL 9 di Grosseto
Via Monte Labro 5/M, 58100 Grosseto
Tel: 328 2886452 Email: ugocorrieri@alice.it
LAVORI ORIGINALI
Vol. I - 2009 Lavori Originali
55
Elena Bellodi 1
VITILIGINE: LA PELLE E LE EMOZIONI
“Non si vede bene che col cuore.
L’essenziale é invisibile agli occhi.”
Il piccolo principe.
Antoine de Saint-Exupéry
Parole chiave: cute, psiche, emozione, intelligenza emotiva.
La vitiligine
La tematica “vitiligine” mi vede coinvolta su due piani: personale e
professionale.
Dal punto di vista personale quando ho conosciuto la vitiligine
non sapevo nulla di lei. Si é presentata all’improvviso e da quel
momento ho scoperto una nuova dimensione. La vitiligine voleva
da me molte attenzioni. E devo dire che all’inizio gliene ho date
tante. Volevo dare un senso a questa “malattia” (così la chiamavo
allora) volevo “interpretarla”, capire perché era comparsa e avere
consigli per meglio tollerare i “disagi” che mi causava.
All’inizio non mi interessava la cura, ma il “perché” della malattia.
La vitiligine era per me un’entità sconosciuta, inesplicabile soprattutto
per due motivi: non era controllabile e mi sentivo minacciata,
1 Relatrice invitata al XVII Congresso Nazionale AIDA (Associazione Italiana
Dermatologi Ambulatoriali), 1-4 ottobre 2008, Palazzo dei Congressi di
Riccione.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
56
da qui lo sconforto.
Come tanti pazienti ho voluto sapere cosa era la “vitiligine” e ho
trovato varie definizioni che in generale possiamo riassumere in:
“La vitiligine é una malattia che causa la formazione di chiazze
bianche sulla cute, queste si creano perché viene distrutta la
cellula che produce la melanina, il MELANOCITA. Colpisce l’1%
della popolazione mondiale senza significative differenze di sesso e
razza. Le zone decolorate sono bianche con un bordo netto e
possono insorgere in qualunque distretto cutaneo, anche se si
nota una certa prevalenza di alcune aree come le mani, il viso, i
genitali. Solitamente le chiazze insorgono su ambedue le metà
corporee distribuendosi bilateralmente, tuttavia anche questa é
una caratteristica frequente, ma non obbligatoria”. (GISV).
Accanto alle definizioni ho cominciato a leggerne le cause, il
cosiddetto “fattore scatenante”.
E qui si é aperto per me un aspetto ancora più interessante che mi
ha portato a fare altre ricerche e mi ha condotto alla fine ad occuparmi
dei pazienti affetti di vitiligine da un punto di vista “emotivo”
trasformando ciò che all’inizio era per me una malattia in una
risorsa.
Ma torniamo alle cause.
Tra i fattori scatenanti ho trovato:
· farmaci,
· alterazioni ormonali,
· stress emotivi,
· traumi psichici,
· forti emozioni,
· conflitti psicologici.
Da qui ho cominciato a ipotizzare che le emozioni, lo stress e i
conflitti psicologici di fondo influenzano la determinazione
dell’esordio della vitiligine e l’andamento del suo decorso nei
soggetti predisposti.
Inoltre é vero anche il contrario e cioé che la vitiligine può creare
disagi a livello emotivo, comportamentale e psicologico come la
dismorfofobia (dal greco dis – morphé, forma distorta e phobos
= timore) cioé la fobia che nasce da una visione distorta che si ha
del proprio aspetto, causata da un’eccessiva preoccupazione della
propria esteriorità.
Vol. I - 2009 Lavori Originali
57
In definitiva la vitiligine é uno dei disturbi dermatologici le cui
manifestazioni possono causare maggiore allarme e marcati
problemi psicologici nei pazienti, come possiamo constatare anche
nelle risposte date dai pazienti stessi alle domande del test
dermatologico di ingresso nel sito del GISV.
Non dobbiamo poi dimenticare la componente mentale, a volte
psicosomatica, ma in diversi casi una vera e propria sindrome da
conversione che, in molti casi la rende funzionale e risparmia al
paziente possibili turbe psichiche gravi. Inconsciamente, sceglie il
male minore: meglio una bella vitiligine al posto di una brutta
depressione.
Ricordiamo che cute e psiche, entrambe originate nell’embrione
dallo stesso foglietto, l’ectoderma, sono le due facce della stessa
medaglia. La pelle e il sistema nervoso sono quindi in stretta
connessione, ma non solo.
Oggi sappiamo che una specifica branca della medicina, la
psiconeuroimmunologia, studia appunto le interazioni tra psiche,
sistema nervoso, sistema immunitario e cute.
Anche la vitiligine potrebbe rientrare tra le malattie cutanee causate
da un’alterazione del delicato equilibrio tra questi elementi considerati
strettamente interdipendenti.
Nel 1981 R. Ader pubblicò il volume “Psychoneuroimmunology”
sancendo definitivamente la nascita dell’omonima disciplina. (Ader
et al., Psychoneuroimmunology, seconda edizione, San Diego,
Academic Press, 1990).
L’implicazione fondamentale riguarda l’unitarietà dell’organismo
umano, la sua unità psicobiologica non più postulata sulla base di
convinzioni filosofiche o empirismi terapeutici, ma frutto della
scoperta che comparti così diversi dell’organismo umano
funzionano con le stesse sostanze: le molecole che, come le ha
definite lo psichiatra P. Pancheri, costituiscono “le parole, le frasi
della comunicazione tra cervello e resto del corpo” (P.Pancheri,
Stress, emozioni e malattia, Mondadori, MIlano 1980). Tali
molecole, i neuropeptidi, vengono prodotte dai tre principali
sistemi dell’organismo (nervoso, endocrino, immunitario).
Da un punto di vista psicologico la grande scoperta di Ader in
definitiva era che anche il sistema immunitario, proprio come il
cervello, era capace di apprendere.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
58
Questo risultato fu uno shock: fino ad allora, uno dei principali
insegnamenti della medicina era stato che solo il cervello e il sistema
nervoso centrale erano in grado di rispondere all’esperienza
modificando il proprio comportamento.
La scoperta di Ader aprì la strada alla ricerca sui diversi modi
(numerosissimi), attraverso i quali il sistema nervoso centrale e il
sistema immunitario comunicano fra loro, in altre parole aprì la
strada allo studio delle vie biologiche che rendono la mente, le
emozioni e il corpo entità non separate, ma intimamente
interconnesse. Il sistema endocrino, così come il sistema nervoso
vegetativo, è sensibile a situazioni e stimoli emozionali stressanti
non solo di tipo fisico o psicofisico, ma anche di natura puramente
emozionale.
Ma che cosa é un’emozione?
Secondo Galimberti l’emozione é “la reazione affettiva intensa con
insorgenza acuta e di breve durata determinata da uno stimolo
ambientale” (U.Galimberti, Dizionario di Psicologia, Utet, 2006).
Goleman riferisce il termine emozione a “un sentimento e ai
pensieri, alle condizioni psicologiche e biologiche che lo
contraddistinguono, nonché a una serie di propensioni ad agire”.
(D. Goleman, Intelligenza emotiva, diciottesima edizione, Milano,
BUR Psicologia e Società, 2007).
Sappiamo che esistono centinaia di emozioni e le parole che
disponiamo sono insufficienti a significare ogni sottile variazione
emotiva.
I ricercatori definiscono emozioni primarie: collera, tristezza,
paura, gioia, amore, sorpresa, disgusto, vergogna.
Da ciascuna di queste emozioni derivano:
· gli umori o stati d’animo (più attenuati e durevoli delle
emozioni);
· i temperamenti ossia la propensione a evocare una certa
emozione o umore che rende le persone malinconiche, timide o
allegre;
· i disturbi delle emozioni: depressione e ansia (stato di
alterazione costante); fobie, disfunzioni sessuali senza cause
fisiologiche, manie, insonnia, disturbi psicosomatici.
Per molti anni il ruolo del sentimento nella vita mentale é stato
sorprendentemente trascurato dalla ricerca e le emozioni sono
Vol. I - 2009 Lavori Originali
59
rimaste un continente in gran parte inesplorato anche dalla
psicologia scientifica.
Oggi sappiamo che esistono due menti, una che pensa e l’altra
che sente.
La mente razionale é la modalità 2 di comprensione della quale
siamo solitamente coscienti: dominante nella consapevolezza e
nella riflessione, capace di ponderare e di riflettere, ma accanto ad
essa c’è un altro sistema di conoscenza impulsiva e potente, anche
se a volte illogica, c’è la mente emozionale, la cosiddetta intelligenza
emotiva.
La dicotomia emozionale/razionale é simile alla popolare
distinzione cuore/mente.
Non dimentichiamo che l’amigdala é specializzata nelle questioni
emozionali: se viene resecata dal resto del cervello il risultato é
un’incapacità di valutare il significato emozionale degli eventi
(cecità affettiva).
Ma se le emozioni hanno un ruolo così fondamentale per il
benessere psico-fisico della persona al punto tale che possono
essere il fattore scatenante della vitiligine (e di tante patologie) mi
sono chiesta che cosa avrei potuto cambiare, come avrei potuto
sviluppare la mia intelligenza emotiva e che cosa mi avrebbe
potuto aiutare. La mia vitiligine era al sicuro da un punto di vista
medico, ma volevo che lo fosse anche sul versante psicologico.
Lo sviluppo dell’intelligenza emotiva comporta:
– autoconsapevolezza emozionale;
– controllo delle emozioni;
– indirizzare le emozioni in senso produttivo;
– empatia: leggere le emozioni;
– gestire i rapporti.
Si tratta di una sorta di alfabetizzazione emozionale che dovremmo
apprendere fin da bambini e insegnare ai bambini accanto alle
materie tradizionali.
In seguito ho fatto una ricerca per capire quali erano le cure che
venivano proposte ai pazienti con vitiligine:
- terapie mediche,
- terapie chirurgiche,
2 A cui siamo stati prevalentemente allenati nella nostra formazione culturale.
(R.A. di B.)
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
60
- fototerapia,
- terapie naturali,
- terapie alternative,
- terapie topiche,
- terapie sistemiche,
- terapie biologiche,
- camouflage.
Accanto a tutte queste proposte purtroppo sono molto rare le
proposte di tipo psicologico e psicoterapeutico.
Conclusioni
Ma se la vitiligine rientra fra quelle che vengono definite patologie
da stress la mia proposta come paziente e come terapeuta é quella
di creare e offrire al paziente un “tempo” dell’ascolto per capire
quali sono i suoi problemi e quali risposte sta cercando.
Ritengo che aiutare le persone a gestire meglio le emozioni é una
forma di prevenzione che può portare loro dei grandi benefici in
quanto le esigenze psicologiche divengono oggetto di cura insieme
a quelle strettamente fisiche. Credo quindi sia utile ai fini medici
prestare attenzione alle esigenze emotive dei pazienti, perché
queste stesse emozioni hanno un importante peso clinico.
Uno studio ha constatato che quando i pazienti si trovano nella
sala d’aspetto del medico hanno in media tre o più domande da
porgli.
Ma quando lasciano l’ambulatorio, di quelle domande, in media,
solo una e mezzo ha trovato risposta. E le domande lasciate senza
risposta alimentano l’incertezza, la paura, la tendenza ad avere
cattivi pensieri. E infine portano i pazienti a rifiutare di proseguire
cure che non comprendono completamente.
Sarebbe interessante quindi, a mio avviso, che l’approccio
terapeutico potesse sfruttare una pluralità di interventi che
favoriscano il ripristino della comunicazione equilibrata tra i
sistemi (nervoso, immunitario ed endocrino).
Infine vorrei sottolineare l’importanza che può avere in questo
contesto per i pazienti non solo l’ascolto e quindi l’espressione del
proprio sentire, ma, con l’aiuto di un esperto, anche il poter
Vol. I - 2009 Lavori Originali
61
pensare, riflettere, conoscere, consapevolizzare le proprie
emozioni e, di conseguenza, imparare a gestirle dando loro voce e
liberandole da quei blocchi che il paziente si é creato.
A questo proposito alcune tecniche o modalità di intervento
psicofisiche potrebbero essere:
· counselling: intervento di sviluppo, mirato all’evoluzione sia
verso una maggiore autoconsapevolezza e autodeterminazione,
che verso una migliorata capacità di selezionare e attivare risorse
personali e relazionali.
· Psicoterapia: il lavoro é quello di riportare alla coscienza determinate
emozioni legate a traumi del passato e trovarne la soluzione.
· Ipnosi: attraverso il rilassamento e l’abbandono, induce nel
soggetto una particolare recettività in grado di potenziare le
risorse del paziente stesso e di produrre nuovi modelli di
comportamento e di pensiero.
· Training Autogeno: l’apprendimento graduale di esercizi
sistematici e ripetuti riguardano l’aspetto somatico e psichico;
· Yoga e Meditazione: tecniche di esercizio sul corpo
associate al rilassamento;
· Psicodramma: si tratta di una psicoterapia che utilizza
metodi attivi che ricorrono al linguaggio del corpo e alla regia
terapeutica basata sul “fare” oltre che sul “dire”;
· Bioenergetica: è finalizzata a realizzare l’integrazione tra
corpo e mente, per aiutare la persona a sciogliere i blocchi energetici
e i meccanismi difensivi che si creano sia a livello fisico che psicoemotivo
e che inibiscono il piacere e la gioia di vivere;
· Gestalt: studio dei processi percettivi immediati del mondo
fenomenico.
Mi piace pensare che siano le nostre emozioni l’invisibile ed
essenziale ai nostri occhi e che esiste in ciascuno di noi come
sosteneva Carl Gustav Jung un “istinto di guarigione” indicando
quindi come la più efficace arma terapeutica dell’analista proprio
l’alleanza con quell’istinto. C.G.Jung, Pratica della
psicoterapia,Opere, Torino, Boringhieri, 1981.
Quando lasciamo che gli istinti fluiscano liberamente e si
traducano subito in emozioni, sentimenti, pensieri, idee,
creatività... allora dalle zone profonde del cervello arriva
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
62
l’ispirazione per prendere ogni volta la strada giusta e vivere in
uno stato armonico di benessere.
Ispirazione, istinto, intelligenza emotiva o come la definiva
Aristotele: “la rara capacità di colui quindi che si adira per ciò che
deve e con chi deve, e come, quando e per quanto tempo si deve”.
(Aristotele, Etica nicomachea, Trad. It. di Armando Plebe, Bari
1973).
BIBLIOGRAFIA
Ader et al., Psychoneuroimmunology, seconda edizione, San Diego,
Academic Press, 1990.
Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe, Bompiani, 2000.
Aristotele, Etica nicomachea, Trad. It. di Armando Plebe, Bari, 1973.
R. A. di Bertolino, L’ipnosi per un medico, Bologna, Martina, 2003.
R.Bassi, Psiche e pelle, Torino, Boringhieri, 2006.
U.Galimberti, Dizionario di Psicologia, Utet, 2006.
D.Goleman, Intelligenza emotiva, diciottesima edizione, Milano, BUR
Psicologia e Società, 2007.
C.G.Jung, Pratica della psicoterapia,Opere, Torino, Boringhieri, 1981.
L.Marchino, M. Mizrahil, Il corpo non mente, Frassinelli, 2007.
P.Pancheri, Stress, emozioni e malattia,Milano, Mondadori, 1980.
S.Piroli, Il Counselling Sistemico, Parma, UNI.NOVA, 2006.
Vol. I - 2009 Lavori Originali
63
Elena Bellodi
VITILIGINE: LA PELLE E LE EMOZIONI
Parole chiave: cute, psiche, emozione, intelligenza emotiva.
RIASSUNTO
Le emozioni, lo stress e i conflitti psicologici possono essere causa e conseguenza
della vitiligine.
Cute e psiche, entrambe originate dallo stesso foglietto, l’ectoderma, sono
le due facce della stessa medaglia.Oggi la psiconeuroimmunologia studia
le interazioni tra psiche, sistema nervoso, sistema immunitario e cute. La
vitiligine potrebbe rientrare tra le malattie cutanee causate da
un’interazione del delicato equilibrio tra questi elementi considerati strettamente
interdipendenti.Il sistema endocrino, il sistema nervoso e la cute
sono sensibili a situazioni e stimoli emozionali stressanti.Le cure proposte
ai pazienti affetti da vitiligine non comprendono proposte di tipo psicologico.
L’autrice propone alcune tecniche o modalità di intervento psicofisiche.
Elena Bellodi
VITILIGO: THE SKIN AND EMOTIONS
Key words: skin, psyche, emotion, emotional intelligence.
SUMMARY
Emotions, stress and psychological conflicts may be cause and consequence
of vitiligo. Skin and psyche, both originated from the same package,
the ectoderm, are the two sides of the same coin. Today psychoneuroimmunology
studies the interactions between psyche, nervous system,
immune system and skin. The vitiligo could fall among skin disease caused
by an interaction of the delicate balance between these elements considered
closely interdependent. The endocrine system, nervous system and
skin are sensitive to stressful emotional stimuli and situations. The proposed
treatment to patients suffering from vitiligo does not include psychological
proposals. The author proposes some technical or psychophysical
means of intervention.
L’Autrice
Dr.ssa Elena Bellodi, S.M.I.P.I.
Pedagogista e Counsellor sistemico-relazionale.
Via A. Manzoni 17- 44042 Cento (Fe)- tel. 3476459248.
Vol. I - 2009 Lavori Originali
65
Vincenzo Amendolagine
ANTROPOLOGIA MEDICA
SINDROMI SOMATOFORMI E PSICOTERAPIA
Parole chiave: paradigma biomedico, fuga nella malattia, dimensione
olistica.
L’antropologia medica.
Il costrutto fondamentale dell’antropologia medica è che
l’atteggiamento che le persone hanno di fronte alla malattia e alla
morte sia un fatto culturale, ossia dominato dalle credenze, dalle
pratiche comportamentali e sociali che gli individui possiedono
[Ember, C. R. – Ember, M., 2004(1)].
La medicina dei paesi occidentali del pianeta, ovvero dei paesi più
ricchi, è dominata dalla biomedicina, ossia una medicina che mette
in risalto l’aspetto biologico delle malattie. Nel paradigma biomedico,
il corpo del paziente è sezionato in tanti segmenti, appannaggio
di diverse specializzazioni mediche, disgiunte una dall’altra.
Il compito della medicina specialistica è quello di curare la malattia,
che interessa il proprio settore, senza prendere in considerazione
il paziente come individuo, con le sue convinzioni culturali e
sociali [Hahn, R. A., 1995 (2)].
Tale dimenticanza per la persona e il suo mondo, a livello storico,
ha origine con la cosiddetta teoria dei germi, secondo la quale, sulla
base delle scoperte di Pasteur, l’origine delle malattie andava
reperita in un fattore esterno all’individuo, nella fattispecie il gerRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
66
me [Loustaunau, M. O. – Sobo, E. J., 1997 (3)].
La figura centrale del paradigma biomedico è rappresentata dal
medico. Nel mondo occidentale, il medico è ritenuto una persona
in grado di curare le malattie, diminuire le sofferenze e allungare
la vita dei propri pazienti, rispettando la loro privacy.
Nel reperire la diagnosi e fornire la cura, la biomedicina si basa più
sulla tecnologia che sull’ascolto del paziente [Hahn, R. A., 1995
(2)].
Nei paesi industrializzati è aumentata la quantità di informazioni
sulle varie malattie, grazie ai progressi della tecnologia. Queste conoscenze,
attraverso i mass – media, sono portate alla popolazione,
che, paradossalmente, non ha migliorato il suo senso di benessere,
anzi esso è peggiorato.
Il paradigma biomedico è talmente entrato nelle coscienze collettive
da portare ad una concezione della malattia, da parte del paziente,
avulsa dai propri vissuti psicologici, culturali e sociali.
L’estrema fiducia nella tecnologia ha portato il fruitore a richiedere
e, quindi, a volersi sottoporre ad esami sempre più minuziosi e
approfonditi per svelare la causa del proprio malessere esistenziale,
dimenticando la dimensione olistica del proprio disturbo. A
conferma di ciò, si assiste ad un incremento delle sindromi somatoformi.
Le sindromi somatoformi.
Le sindromi somatoformi 1 sono caratterizzate, prevalentemente,
dalla comparsa di sintomi somatici variabili che portano il paziente
a continue indagini diagnostiche, che si rivelano inutili [ICD – 10
(4)].
Come primo elemento caratterizzante, le sindromi somatoformi
hanno il sentimento di malattia, ossia il paziente perde progressivamente
il senso di benessere. Accanto ad esso, sono presenti sintomi,
che coinvolgono i vari apparati di cui il corpo è composto.
Ci sono i sintomi pseudoneurologici, come difficoltà a deglutire,
afonia, sordità, diplopia, visione offuscata, cecità, mancamenti e
perdita di coscienza, perdita di memoria, difficoltà alla deambula-
1 Più definite ed a mio parere più correttamente “malattie psicosomatiche”.
(R. A. di B.)
Vol. I - 2009 Lavori Originali
67
zione e debolezza muscolare [DSM – IV (5)].
A livello gastrointestinale, compaiono dolori, nausea, vomito, meteorismo,
intolleranza ad alcuni alimenti e diarrea [DSM – IV (5)].
A livello cutaneo, il paziente può avvertire prurito, bruciore, formicolio,
intorpidimento, gonfiore e irritazione [Bellantuono, C. –
Balestrieri, M. – Ruggeri, M. – Tansella, M., 1992 (6)].
Per le donne, i sintomi possono riguardare l’apparato riproduttivo,
con mestruazioni irregolari, dolorose o eccessivamente abbondanti
[DSM – IV (5)].
Anche la sessualità viene investita con sensazioni d’indifferenza
sessuale, mancanza di piacere durante i rapporti, che spesso sono
accompagnati da dolore [DSM – IV (5)].
Il dolore, riferito a più distretti del corpo, è una componente costante;
si va dal dolore dorsale, al dolore nelle articolazioni, nelle
gambe e nelle braccia [DSM – IV (5)].
A livello cardiorespiratorio, si assiste a dispnea, palpitazioni e dolore
toracico [DSM – IV (5)].
Fra le sindromi somatoformi, un posto di rilievo lo occupa la sindrome
ipocondriaca. In tale sindrome, ogni segno fisico o sensazioni,
sentite nel corpo, vengono interpretati come patologici, ossia
come prima espressione di una malattia grave, invalidante e
mortale, anche se gli esami diagnostici sono tutti nella norma. Di
solito queste paure e convinzioni persistono, compromettendo il
funzionamento sociale e lavorativo dell’individuo [DSM – IV (5)].
La psicoterapia.
Le sindromi somatoformi si possono considerare come frutto di
una degenerazione del paradigma biomedico della medicina: infatti
la tecnologia, invece di rassicurare, crea continui dubbi.
Alla luce di ciò, va recuperato l’aspetto olistico della medicina, inquadrando
il paziente nella sua unità mente – corpo.
La somatizzazione, dal punto di vista psicologico, permette alla
persona di rivestire il ruolo di malato, laddove una serie di atteggiamenti
culturali non approverebbero la fragilità emotiva.
Inoltre, per la teoria dei germi sopra esposta, il somatizzare permette
al paziente di ricercare la causa del proprio disagio fuori di
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
68
sé.
La psicoterapia, in questo tipo di patologia, deve avere come archetipo
il capire, ossia il contestualizzare il paziente nella sua cultura,
società, attività lavorativa, affettività e nelle conoscenze che
egli possiede nel campo della salute.
In seconda istanza, è necessario riportare il sintomo fisico al malessere
globale, che il paziente vive, attraverso la riattribuzione di
significati agli eventi della sua esistenza, cercando di modificare le
sue convinzioni culturali, intendendo con esse l’insieme delle idee
e dei comportamenti, acquisite nel corso dello sviluppo, e che appaiono,
nella realtà attuale, disfunzionali.
Il terzo momento è rappresentato dal prendere coscienza delle
proprie risorse e delle proprie carenze, per affrontare in maniera
realistica gli eventi e le sollecitazioni della vita e per debellare i
tentativi di fuga nella malattia.
Bibliografia
1. Ember, C. R. – Ember, M. – Antropologia culturale – il Mulino –
Bologna – 2004.
2. Hahn, R. A. – Sickness and Healing: An Anthropological Perspective
– Yale University Press – New Haven – Conn. – 1995.
3. Loustaunau, M. O. – Sobo, E. J. – The Cultural Context of
Health, Illness and Medicine – Begin & Garvey – Westport – Conn. – 1997.
4. World Health Organization – Decima Revisione della Classificazione
Internazionale delle Malattie (ICD – 10) – Sindromi e Disturbi Psichici
e Comportamentali – Direttive Diagnostiche Cliniche – Masson – Milano
– 1992.
5. American Psychiatric Association – DSM – IV TR – Manuale diagnostico
e statistico dei disturbi mentali – Masson – Milano – 2001.
6. Bellantuono, C. – Balestrieri, M. – Ruggeri, M. – Tansella, M. – I
Disturbi Psichici nella Medicina Generale – Il Pensiero Scientifico Editore –
Roma – 1992.
Vol. I - 2009 Lavori Originali
69
Vincenzo Amendolagine
ANTROPOLOGIA MEDICA
SINDROMI SOMATOFORMI E PSICOTERAPIA
Parole chiave: paradigma biomedico, dimensione olistica.
RIASSUNTO
Nel presente lavoro, l’Autore esplicita i raccordi che esistono fra antropologia
medica, sindromi somatoformi e psicoterapia.
In quest’ottica, il paradigma biomedico, che domina la medicina dei paesi
industrializzati, determina una forma di degenerazione che si palesa nelle
sindromi somatoformi. Tocca, allora, alla psicoterapia riportare la medicina
verso una dimensione olistica, recuperando la globalità del paziente.
Vincenzo Amendolagine
MEDICAL ANTHROPOLOGY
SOMATIC SYNDROMES AND PSYCHOTHERAPY
Key words: biomedical paradigm, escape in the illness, global dimension.
SUMMARY
In the present paper, the author explicates the links that exist among
medical anthropology, somatic syndromes and psychotherapy.
From this point of view, the biomedical paradigm, that dominates the
medicine of the industrialized countries, determines a form of degeneration
that reveals itself in the somatic syndromes. Psychotherapy should
bring medicine toward a global dimension, recovering the totality of the
patient.
L’Autore
Vincenzo Amendolagine
Medico – Psicoterapeuta
Dirigente Sezione Puglia – SMIPI
Via R. Leoncavallo, 35/B, 70123 Bari.
Tel. 080 5346005/3683666622
Vol. I - 2009 Lavori Originali
71
Elisa Cassi, Maurizio Massarini
L’IPNOSI IN FASE PREOPERATORIA:
STUDIO CONTROLLATO IN PAZIENTI CHIRURGICI
GENNAIO - MAGGIO 2008
Parole chiave: ipnosi preoperatoria, ansia, dolore, intervento chirurgico,
anestesia generale, degenza postoperatoria, richiesta antidolorifici.
Introduzione
Qualsiasi operazione chirurgica è una situazione pericolosa, in cui
è possibile identificare diverse componenti ansiogene, quasi tutte
sempre presenti, secondo l’equilibrio psichico, la cultura e le concezioni
del soggetto (Arone di Bertolino, 2003).
Inevitabilmente, oltre all’ansia connessa all’intervento, bisogna
considerare un altro aspetto fondamentale strettamente legato ad
esso: il dolore intraoperatorio e il dolore postoperatorio.
Gli effetti causati dal dolore postoperatorio e le risposte fisiologiche
alla lesione chirurgica ed allo stress sono noti da tempo.
In questo senso il dolore postoperatorio è una complicanza
dell’intervento chirurgico (al pari delle infezioni, degli squilibri idroelettrolitici
eccetera) e come tale va trattato o meglio prevenuto
(Massarini et al., 2005). È riconosciuto, infatti, come un adeguato
trattamento del dolore postoperatorio contribuisca significativamente
al miglioramento della morbilità perioperatoria, valutata in
termini di minore incidenza di complicanze, di giornate di degenza
e di costi minori, in particolare nei pazienti ad alto rischio, sottoposti
ad interventi di chirurgia maggiore (Massarini et al., 2005).
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
72
È stato dimostrato che l’ansia gioca un ruolo decisivo nella guarigione
in quanto si presuppone che incrementi il livello del dolore
percepito dal paziente (Barber, 1982). Inoltre è stato appurato che
il dolore acuto interferisce con le naturali risposte di guarigione e
cicatrizzazione del corpo (Hall, 1986), incrementa le complicazioni
(Yates & Smith, 1989) e riduce la cooperazione con lo staff medico.
Tra i contributi fondamentali per la gestione del dolore attraverso
l’ipnosi ricordiamo Joseph Barber. Secondo questo autore
l’impiego del trattamento ipnotico nel controllo del dolore è giustificato
dai vantaggi clinici che questa metodica ottiene.
In effetti accurate ricerche hanno stabilito che il controllo del dolore
ottenuto per mezzo dell’ipnosi è superiore a quello realizzato
attraverso altri strumenti psicologici.
Addirittura per Barber “nessun altro approccio psicologico è così
efficace nel fornire conforto dal dolore senza produrre gli effetti
secondari negativi dovuti ai trattamenti medici di comparabile efficacia”;
comunque l’uso di metodi ipnotici non preclude l’impiego
di altri trattamenti, in particolar modo la somministrazione di farmaci
analgesici.
Il metodo ipnotico permette inoltre di migliorare la comunicazione
tra mente e corpo.
Rossi E. (2002) ipotizza che l’ipnosi terapeutica utilizzi il percorso
cibernetico di trasduzione dell’informazione che congiunge
l’ambiente psicosociale e la rete psicosomatica dei sistemi nervosi
(centrale e autonomo) e dei sistemi neuroendocrino e immunitario.
Tale percorso si relaziona con gli organi, i tessuti e i livelli cellulari
dell’espressione genica. Un tale modello psicobiologico
dell’ipnosi espande il dominio della suggestione terapeutica oltre
il livello cognitivo-comportamentale, per includere tutti i sistemi di
comunicazione mente-corpo a livello molecolare-genomico, che
siano responsivi a stimoli psicosociali (Pert et al., 1985; Massarini
et al., 2005).
La natura e la cultura interagiscono quindi continuamente nei processi
di comunicazione psicobiologica attraverso le dinamiche psicosociali
di espressione genica.
Il processo di sviluppo dell’induzione ipnotica è un esercizio che
facilita l’espressione genica legata ad uno stato comportamentale,
Vol. I - 2009 Lavori Originali
73
particolarmente evidente nell’approccio tradizionale caratterizzato
da suggestioni di rilassamento, comodità e sonno. Suggestioni di
tal genere hanno successo per questo motivo, perché svolgono la
funzione di stimoli psicosociali che danno inizio ai processi psicobiologici
associati con l’espressione genica legata ad uno stato
comportamentale, ciò caratterizza in particolare l’approccio ericksoniano
delle cosiddette “suggestioni indirette” (Massarini et al.,
2005).
L’espressione genica è dunque il linguaggio comune condiviso da
natura e cultura nelle dinamiche della genetica psicosociale. In tale
ipotesi, che ulteriori ricerche dovranno ancora verificare, possiamo
comunque cogliere quello che può essere il fondamento psicobiologico
della psicoterapia.
Materiali e metodi
Lo studio è partito una volta ottenute le necessarie autorizzazioni
da parte della Direzione Sanitaria dell’Ospedale Civile di Castel
San Giovanni. Si tratta dello stesso ospedale nel quale si sono svolte
le precedenti esperienze (Massarini et al., 2001, 2002, 2005).
Sono stati presi in considerazione i pazienti del reparto di Chirurgia
e del reparto di Ortopedia che dovevano essere sottoposti ad
intervento chirurgico con anestesia generale a partire dal 16
Gennaio con termine l’8 Maggio 2008.
Il personale medico e infermieristico non è stato messo a conoscenza
del gruppo di appartenenza dei soggetti; la seduta di ipnosi
preoperatoria e stata svolta da uno stesso medico psicoterapeuta
ipnologo, consulente esterno della struttura. Questo accorgimento
è stato utilizzato per cercare di mantenere un metodo il più possibile
standardizzato.
La prima fase del lavoro è stata svolta nel reparto Day Hospital
(giorno del pre-ricovero e degli esami di routine preoperatori).
In tale giornata i pazienti sono stati contattati in coincidenza della
visita anestesiologica, che si svolge appunto durante le settimane
precedenti la data dell’intervento chirurgico. Se i soggetti erano
idonei allo studio e acconsentivano a partecipare alla ricerca, sottoscrivevano
il “consenso informato” e si procedeva con la somministrazione
dei questionari di valutazione dell’ansia (STAI-X1 e
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
74
STAI-X2). In questa fase sono stati raccolte anche tutte le informazioni
che sarebbero servite al terapeuta durante la seduta ipnotica
preoperatoria.
Successivamente per i soli pazienti del gruppo sperimentale, veniva
riservata una stanza tranquilla in cui ricevevano il trattamento
ipnotico nelle ventiquattro ore precedenti l’intervento.
Nei giorni successivi (3°-4°) all’operazione i pazienti venivano
quindi visitati in reparto e si procedeva con una nuova somministrazione
degli strumenti per la valutazione dell’ansia. In questa
fase dello studio veniva, inoltre, rilevata anche la percezione del
dolore postoperatorio nelle sue due componenti affettiva e sensoriale.
Campione
Il campione dello studio è costituito da 42 soggetti, di età compresa
tra i 17 e gli 84 anni ed è composto da 20 uomini e 22
donne. È stato suddiviso in modo randomizzato in due gruppi
indipendenti: un gruppo sperimentale che sarebbe stato sottoposto
al trattamento ipnotico preoperatorio e un gruppo di
controllo che invece non avrebbe ricevuto alcun trattamento.
Entrambi i gruppi erano composti da 21 soggetti.
La patologia e il tipo di intervento del campione viene descritto
dalla seguente tabella.
Codice Intervento Patologia Codice Intervento Patologia
C01 VDL Calcolosi
colecisti
S01 Emicolectomia
sx
ADK colon sx
C02 Artroscopia
spalla sx
Lesione sottoscapolare
spalla sx
S02 Gastrectomia ADK gastrico
C03 Artroscopia
spalla dx
Rotture cuffia
rotatori
spalla dx
S03 Protesi totale
ginocchio sx
Gonartrosi
sx
C04 VDL Calcolosi
colecisti
S04 Emicolectomia
K cieco
C05 Laparotomie Masse pelviche
S05 Emicolectomia
K retto
C06 VDL Calcolosi
colecisti
S06 VDL Calcolosi
colecisti
C07 Emicolectomia
dx
Lesione polipoide
del
S07 Asportazione
rene sx
Neoformazione
rene sx
Vol. I - 2009 Lavori Originali
75
cieco
C08 Protesi anca
sx
Coxartrosi sx S08 VDL + colangiomastia
intraoperatoria
Calcolosi
colecisti
C09 Tiroidectomia
Gozzo lobo
dx
S09 Plastica Ernia epigastrica
C10 Emitiroidectomia
Gozzo iperfunzionante
lobo dx
S10 Plastica Ernia ombelicale
C11 Emicolectomia
sx
Neoformazione
colon
sx + stenosi
anostomosi
S11 Artroscopia
spalla dx
Rottura cuffia
rotatori spalla
dx
C12 VDL Calcolosi
sintomatica
S12 Artroscopia
spalla sx
Rottura cuffia
rotatori spalla
sx
C13 Tiroidectomia
Gozzo compressivo
S13 PTA dx Coxartrosi
dx
C14 Artroscopia
spalla sx
Rottura cuffia
rotatori spalla
sx
S14 Asportazione K testicolo
C15 Colectomia Colecistite
acuta
S15 VDL Calcolosi
colecisti
C16 Emicolectomia
K retto S16 PTA sx Coxartrosi sx
C17 VDL Calcolosi
colecisti
S17 VLC + colangiomastia+
asportazione
cisti
ovarica
Calcolosi
colecisti +
cisti ovarica
C18 Artroscopia
spalla sx
Rottura sovraspinato
spalla sx
S18 Plastica +
VDL
Laparocele
periombelicale
incarcerato
C29 Artroscopia Sindr. Delcapolungo
spalla dx
S29 Gastrectomia
totale
K gastrico
C20 VDL Colecisti sintomatica
S20 VDL Calcolosi
colecisti
C21 VDL Calcolosi
colecisti
S21 VDL Calcolosi
colecisti
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
76
Ansia
Al fine di rilevare il livello dell’ansia prima dell’intervento e dopo
l’intervento nei pazienti chirurgici è stato utilizzato lo State-Trait
Anxiety Inventory (STAI) di Spielberger, Gorusch, Lushene (1970),
la cui versione italiana è stata curata da Lazzari e Pancheri (1980),
incluso nella sezione Scale Primarie della Batteria CBA (Sanavio,
Bertolotti, Michielin, Vidotto, & Zotti, 1986).
Questo questionario permette infatti di ottenere una misura della
valutazione soggettiva dell’ansia e risulta piuttosto semplice e veloce
da somministrare.
Le scale che compongono questo questionario sono due:
Una scala denominata STAI-X1 (ansia di stato), la cui scheda è costituita
da 20 items, consente di rilevare l’ansia di stato, ovvero
l’ansia situazionale e transitoria conseguente ad eventi di oggettivo
o presunto pericolo.
L’altra scala denominata STAI-X2 (ansia di tratto), la cui scheda è
costituita anch’essa da 20 items, consente invece di rilevare l’ansia
di tratto che rappresenta una caratteristica stabile della personalità
del soggetto.
Dolore
La rilevazione della percezione del dolore postoperatorio nel paziente
ha richiesto l’utilizzo due scale di valutazione: una scala di
valutazione numerica (numerical rating scale – NRS) alla quale si è
abbinato una scala delle espressioni facciali (Faces Pain Rating Scale)
costituita da specifici elementi grafici (disegni di facce che esprimono
diversi gradi di dolore).
La NRS è uno strumento che ha il vantaggio di essere semplice e
rapido da compilare e inoltre permette di ottenere misurazioni ripetute,
confrontabili e utili ai fini di valutare, ad esempio, la risposta
al trattamento analgesico.
La scala delle espressioni facciali, ovvero il supporto grafico-visivo
(facce) da essa fornito, è stata utilizzata per completare lo strumento
di rilevazione del dolore, ed ha semplicemente la funzione
di facilitare la valutazione del dolore da parte del paziente.
Vol. I - 2009 Lavori Originali
77
Le esperienze dolorose presentano però una natura multidimensionale,
a questo scopo è stato predisposta la scala utilizzata in
modo che fosse in grado di rilevare almeno due diversi aspetti del
dolore: la componente affettiva e la componente sensoriale.
Degenza postoperatoria
Si è voluto valutare anche la degenza postoperatoria. Tale rilevazione
è resa possibile dalla consultazione delle cartelle mediche
dei pazienti. Va comunque considerato che è presente uno standard
ospedaliero che prevede, a seconda del tipo di intervento, un
certo numero di giorni in cui il paziente deve rimanere ricoverato.
Richiesta antidolorifici
Per valutare un reale effetto analgesico della seduta ipnotica preoperatoria
si è considerata la richiesta degli antidolorifici in fase postoperatoria.
È stata quindi registrata la somministrazione degli
anestesici dei pazienti nei quattro giorni successivi all’intervento.
Anche questa rilevazione è stata resa possibile dalla consultazione
delle cartelle mediche.
Trattamento
Il trattamento che abbiano proposto è costituito da un colloquio di
rilassamento mediante l’induzione di trance ipnotica, solitamente
di livello medio o lieve.
Il metodo che abbiamo adottato per il trattamento ipnotico impiegato
con i soggetti si basava sull’utilizzo della tecnica “breve o brevissima”
(da 15 a 30 minuti massimo).
Tutti i soggetti sperimentali sono stati sottoposti a questa particolare
tipologia di intervento ipnotico da uno stesso psicoterapeuta
ipnologo, in modo da rendere il più possibile standardizzato il metodo,
pur con le dovute limitazioni.
Veniva riservata una saletta o una stanza in cui non sarebbero stati
presenti altri pazienti. Questa favorevole condizione ambientale si
è rivelata fondamentale, sia perché ha permesso un corretto svolRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
78
gimento del colloquio di rilassamento, ma anche perché ha consentito
di mantenere la privacy del soggetto in relazione al trattamento
ed ha evitato che i pazienti venissero a conoscenza del fatto
che alcuni soggetti avevano ricevuto trattementi differenti rispetto
a quelle cui venivano personalmente sottoposti.
Nello studio gli elementi di conoscenza dei pazienti indispensabili
per l’operatore sono:
- la diagnosi e il tipo di intervento a cui il paziente sarebbe stato
sottoposto;
- il lavoro, il livello di scolarità, le problematiche familiari, le particolari
vicende personali, gli hobbies, gli interessi, le passioni, gli
sport preferiti e qualsiasi altro elemento che consentisse di definire
le personali abitudini del paziente.
Questi elementi venivano raccolti dall’operatore durante il primo
colloquio e integrati successivamente dopo un breve colloquio conoscitivo,
prima della seduta, anche con lo psicoterapeuta.
Gli elementi di intervento dello psicoterapeuta erano:
- far visualizzare al paziente, dopo un breve rilassamento verbale o
muscolare (seguendo i ricordi del soggetto sui suoi “punti di forza”
passati e presenti), il proprio organo da operare anche con
l’uso costante di rappresentazioni metaforiche positive del corpo e
dell’ organo da “migliorare” (operare) e incoraggiamento ad utilizzare
le proprie risorse;
- far credere al paziente che da tutto ciò che pensiamo di noi, del
nostro corpo in toto o di minime parti di esso, subiamo una influenza
tanto maggiore quanto “noi ne saremo convinti”;
- far fare un pensiero finale prima del “risveglio”: le ferite chirurgiche
si sarebbero rimarginate in modo rapido e con molto meno
dolore di quanto potessero immaginare…”bastava pensarlo...”.
Risultati
I valori ottenuti nelle diverse variabili prese in considerazione sono
stati elaborati statisticamente, attraverso l’utilizzo di alcuni test
non parametrici. I punteggi riportati nelle seguenti tabelle sono da
intendersi come media dei punteggi.
Vol. I - 2009 Lavori Originali
79
Ansia
Sulla base delle caratteristiche del test che è stato impiegato per la
rilevazione dell’ansia, lo State-Trait Anxiety Inventory (STAI), si è
ritenuto opportuno applicare ai suoi punteggi delle metodologie
di analisi non parametriche.
Ansia di stato
STAI-X2 pre STAI-X2 post
Controllo 44,86 39,52
Sperimentale 42,2 32,2
Il test statistico ha rilevato una differenza significativa tra i punteggi
ottenuti prima e dopo l’intervento nei soggetti del gruppo sperimentale
(W=210; Z=3.91; p<0.001).
Nei soggetti del gruppo di controllo si è registrata una differenza
che risulta significativa al livello del 5% ma non del 1%, tra i punteggi
dello STAI-X1 ottenuti prima e dopo l’intervento (W=101;
Z=1.75; p=0.040).
I soggetti del gruppo sperimentale hanno fatto registrare dei punteggi
significativamente inferiori nello STAI-X1 dopo l’intervento,
rispetto ai punteggi ottenuti prima dell’intervento rivelando così
una notevole diminuzione dell’ansia di stato. I soggetti del gruppo
di controllo, invece, hanno riportato dei punteggi solo lievemente
inferiori nello STAI-X1 postoperatorio, rispetto a quelli conseguiti
prima dell’intervento, tanto che non è stata riscontrata alcuna differenza
statisticamente significativa tra i punteggi pre e post.
Possiamo affermare, quindi, che la seduta ipnotica preoperatoria
(trattamento) risulta essere efficace nel ridurre l’ansia situazionale
dei pazienti sperimentali (effetto trattamento) proprio alla luce del
confronto con i soggetti di controllo nei quali non si è verificato
un tale miglioramento.
Ansia di tratto
STAI-X2 pre STAI-X2 post
Controllo 42,33 41,05
Sperimentale 41,15 36,9
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
80
Il test di Wilcoxon ha rilevato una differenza statisticamente significativa
tra i punteggi ottenuti prima e dopo l’intervento nei soggetti
del gruppo sperimentale (W=192; Z=3.57; p<0.001).
Nei soggetti del gruppo di controllo, invece, non si è registrata alcuna
differenza significativa tra i punteggi dello STAI-X2 ottenuti
prima e dopo l’intervento (W=9; Z=0.16; p=0.4364).
I soggetti del gruppo sperimentale hanno fatto registrare dei punteggi
inferiori (statisticamente significativi) nello STAI-X2 dopo
l’intervento, rispetto ai punteggi conseguiti prima dell’intervento
rivelando così una buona diminuzione anche nell’ansia di tratto. I
soggetti del gruppo di controllo, invece, hanno riportato punteggi
lievemente inferiori nella somministrazione postoperatoria rispetto
alla somministrazione preoperatoria.
Dolore
Lo strumento che è stato utilizzato per misurare la percezione soggettiva
del dolore postoperatorio nel paziente è costituito da una
scala di valutazione numerica (numerical rating scale – NRS) abbinata
ad una scala delle espressioni facciali (Faces Pain Rating Scale).
Si tratta di una scala Likert a 11 punti, di natura ordinale: di
conseguenza alle stime numeriche fornite dai soggetti attraverso la
NRS, si sono applicati dei test statistici non parametrici.
Si è cercato di verificare se le differenze rilevate nei quattro giorni
operatori tra i due gruppi fossero statisticamente significative per
entrambe le componenti del dolore.
Componente sensoriale
Controllo Sperimentale
Giorno1 5,9 4,38
Giorno2 6,43 4,57
Giorno3 3,86 3,2
Giorno4 3,13 1,86
La componente sensoriale nel giorno 1 mostrava punteggio
U=143.5 con p=0.0274; il giorno 2 U=139.5 p=0.0212; il giorno
3 mostrava punteggio U=164.5 p=0.0808; il giorno 4 U=55
p=0.3085. Con questi dati si dimostra che tra questi gruppi esiste
Vol. I - 2009 Lavori Originali
81
una differenza significativa, relativamente alla variabile considerata,
nel giorno 1 e nel giorno 2 ma non nel giorno 3 e nel giorno 4.
Ciò significa che i soggetti del gruppo sperimentale hanno dichiarato
di provare meno dolore in termini di fastidio rispetto ai soggetti
del gruppo di controllo nei 2 giorni successivi all’intervento.
Il confronto intergruppi ha evidenziato una leggera significatività
nel giorno 1 con p = 0.01 e nel giorno 2 con p = 0.02, mentre
nei giorni 3 si ottiene una p = 0.08 e nel giorno 4 una p = 0.30
per cui una scarsa significatività. Questo risulta compatibile con i
risultati sopra descritti.
Componente affettiva
Controllo Sperimentale
Giorno1 6,14 4,38
Giorno2 6,95 5,05
Giorno3 4,57 3,7
Giorno4 4,22 2,24
Si è cercato di verificare se le differenze rilevate nei quattro giorni
operatori tra i due gruppi fossero statisticamente significative. La
componente affettiva nel giorno 1 mostrava punteggio U=133 con
p=0.0143; il giorno 2 U=141.5 p=0.0244; il giorno 3 mostrava
punteggio U=182 p=0.1685; il giorno 4 U=52 p=0.4562.
Con questi dati si dimostra che tra questi gruppi esiste una differenza
significativa, relativamente alla variabile considerata, nel
giorno 1 e nel giorno 2 ma non nel giorno 3 e nel giorno 4.
Ciò significa che i soggetti del gruppo sperimentale hanno dichiarato
di provare meno dolore in termini di fastidio rispetto ai soggetti
del gruppo di controllo nei 2 giorni successivi all’intervento.
Il confronto intergruppi mostra una buona significatività nel giorno
1 una p = 0.01 e nel giorno 2 p = 0.02, mentre nel giorno 3 p
= 0.16 e nel giorno 4 p = 0.45 non risultando cosi significativa.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
82
Richiesta antidolorifici
È stata esaminata la differenza nella richiesta di antidolorifici tra i
pazienti sottoposti a seduta ipnotica e i pazienti del gruppo di controllo.
Questo confronto tra i due gruppi è stato compiuto utilizzando
il test U di Mann-Whitney. Da questa procedura si è ottenuto
il seguente risultato: U=4; p<0,0001. Tra i due gruppi quindi
esiste una differenza significativa. In altre parole i soggetti del
gruppo sperimentale hanno richiesto una quantità di antidolorifici
inferiore a quella del gruppo di controllo.
Giorni di degenza
È stata valutata l’esistenza di una differenza nei giorni di degenza
tra i pazienti sottoposti a seduta ipnotica e i pazienti del gruppo di
controllo.
La media dei giorni di degenza nei due gruppi è lievemente a favore
del gruppo che era stato sottoposto a trattamento (M= 4.95)
mentre il gruppo di controllo ottiene punteggio M=5.19 .
Il confronto tra i due gruppi non ha portato ad una differenza significativa
(p = 0.936).
È inoltre utile segnalare che l’ospedale stesso si attiene a degli
standard di giorni di degenza predefiniti, per esempio un intervento
in vdl (esempio videolaparoscopia) 3-4 giorni, e quindi in entrambi
i gruppi non esiste un’evidente variazione dei giorni di ospedalizzazione.
Discussione
L’obiettivo è quello di dimostrare l’esistenza di vantaggi di cui un
soggetto può beneficiare sottoponendosi ad un trattamento ipnotico
nel periodo preoperatorio, qualora questi debba sostenere un
intervento chirurgico anche in anestesia generale.
L’ipotesi di partenza dello studio è stata dimostrata. I pazienti sottoposti
al colloquio di rilassamento mediante l’induzione di trance
ipnotica, rispetto ai pazienti che non hanno ricevuto alcun trattamento,
hanno infatti presentato livelli inferiori di ansia (di stato e
Vol. I - 2009 Lavori Originali
83
di tratto) ed una riduzione nella percezione del dolore postoperatorio
sopratutto nei primi due giorni dopo l’intervento, sia nella
componente sensoriale, sia nella componente affettiva.
Alcuni autori (Benedetti & Murphy, 1985; Turk et al., 1983) hanno
riscontrato che elevati livelli di ansia determinano un incremento
nella percezione del dolore da parte dei pazienti. Ulteriori ed
interessanti relazioni tra queste due variabili sono state evidenziate
nello studio già citato di Kain et al. (2000) nel quale, in particolare,
l’ansia di stato immediatamente prima dell’intervento chirurgico è
risultata un predittore diretto del dolore postoperatorio immediato,
ad 1-2 ore dopo l’intervento.
Infine in diversi studi viene dimostrato come il trattamento ipnotico
produca maggiori cambiamenti nella componente affettiva che
nella componente sensoriale del dolore (Price & J. Barber, 1987;
Mauer et al., 1999). Nello studio, invece, le due componenti presentano
un andamento piuttosto simile. Lo studio dimostra che il
trattamento ipnotico è in grado di ridurre sia la componente sensoriale,
sia la componente affettiva del dolore (e ciò costituisce un
risultato fondamentale e comune agli altri studi).
Il trattamento è consistito in un colloquio di rilassamento mediante
l’induzione di trance ipnotica avvenuto in una singola seduta.
In definitiva i risultati conseguiti permettono di comprendere
l’importanza del trattamento ipnotico, e più in generale delle tecniche
di sostegno psicoterapeutico, in chirurgia. Infatti attraverso
questi indispensabili strumenti è possibile fornire adeguate informazioni,
istruzioni e suggestioni al soggetto che deve affrontare un
intervento chirurgico.
In tal modo si consente la riduzione dell’ansia, in particolare preoperatoria,
la costruzione di un rapporto terapeutico ottimale e di
un clima positivo di fiducia, un miglior trattamento del dolore postoperatorio
che, come noto, se adeguatamente trattato contribuisce
significativamente al miglioramento della cooperazione da parte
del paziente, della morbilità perioperatoria (valutata in termini
di giornate di degenza o di richieste di antidolorifici) e di conseguenza
implicherà costi minori.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
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Vol. I - 2009 Lavori Originali
87
Elisa Cassi, Maurizio Massarini
L’IPNOSI IN FASE PREOPERATORIA:
STUDIO CONTROLLATO IN PAZIENTI CHIRURGICI
Parole chiave: ipnosi preoperatoria, ansia, dolore, intervento chirurgico,
anestesia generale, degenza postoperatoria, richiesta antidolorifici.
RIASSUNTO
Obiettivi: Lo studio vuole dimostrare l’effetto che può avere una singola
seduta ipnotica effettuata in fase preoperatoria nella fase postoperatoria
per ciò che concerne la diminuzione dell’ansia, sia di stato che di tratto, e
la percezione del dolore sia nella componente sensoriale che in quella affettiva.
Materiali e metodi: Il campione dello studio, costituito da 42 soggetti,
è stato suddiviso in modo randomizzato in due gruppi indipendenti:
un gruppo sperimentale che sarebbe stato sottoposto al trattamento
ipnotico preoperatorio e un gruppo di controllo che invece non avrebbe
ricevuto alcun trattamento. Entrambi i gruppi erano composti da 21
soggetti e provenivano dai reparti di Chirurgia e Ortopedia.
Si procedeva con la somministrazione dei questionari di valutazione
dell’ansia (STAI-X1 e STAI-X2). Venivano raccolte anche tutte quelle informazioni
che sarebbero servite al terapeuta durante la seduta ipnotica
preoperatoria.
Successivamente, per i soli pazienti del gruppo sperimentale veniva riservata
una stanza tranquilla in cui ricevevano il trattamento ipnotico nelle
ventiquattro ore precedenti l’intervento.
Nei giorni successivi l’operazione i pazienti venivano quindi visitati in
reparto e si procedeva con una nuova somministrazione degli strumenti
per la valutazione dell’ansia e degli strumenti per la rilevazione della
percezione del dolore, componente affettiva e sensoriale, nei quattro
giorno successivi di degenza. Infine veniva rilevata la richiesta di antidolorifici
e i giorni di degenza dei pazienti ricoverati.
Risultati: I soggetti del gruppo sperimentale in fase post operatoria hanno
evidenziato un calo nel livello di ansia (di stato e di tratto) e una minor
percezione del dolore nelle sue due componenti, sensoriale e affettiva. Un
effetto, seppur in minor misura, si è riscontrato nella diminuzione dei
giorni di degenza e nella richiesta di antidolorifici.
Conclusioni: L’ipotesi è stata dimostrata. Una singola seduta ipnotica in
fase preoperatoria comporta, nei pazienti chirurgici, una diminuzione del
livello di ansia ed una minore percezione del dolore in fase postoperatoria.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
88
Elisa Cassi, Maurizio Massarini
PREOPERATIVE HYPNOSIS:
A CONTROLLED STUDY IN SURGICAL PATIENTS
Key words: preoperative hypnosis, anxiety, pain, postoperative period,
surgery, general anaesthesia, painkillers request.
SUMMARY
Objectives: This study wants to prove the effect of a single sitting of hypnosis
performed during the preoperative period which would affect the
postoperative period for all that concerns the reduction of anxiety level,
state and trait anxiety, and the perception of pain, in its sensory and affective
components. Methods: The sample of people of this trial consists of
42 subjects which were randomly assigned to two indipendent groups: an
experimental group who received the preoperative hypnotic treatment
and a control group without any preoperative treatment. 21 subjects constituted
both groups and they all came from Surgery and Orthopaedics
wards. Subsequently a questionnaire (STAI-X1 and STAI-X2) was administered
to the patients in order to assess their anxiety level. Furthermore
many information were collected regarding the personal sphere of the interviewed
patients; those additional data would have been useful to the
therapist during the preoperative hypnotic sitting. After that only for the
experimental group, it was reserved a quiet room, where preoperative
hypnotic treatment was carried out during the twenty-four hours preceding
the operation. Four days following the operation, the patients were
visited in the ward and it was repeated the questionnaire of axiety level
and pain perception, in its sensory and affective components. Finally the
data about the lenght of patients’ stay in hospital and their request of
painkillers could be obtained. Results: In the postoperative period the
patients from the experimental group (they did benefit by the preoperative
hypnotic sitting treatment) showed lower level af anxiety (state and
trait anxiety) and lower pain percepition, in both its components, sensory
and affective, than the patients from the control group (they did not profit
by the treatment). Also a discrepancy was noticed in the length of the patients’
stay in hospital and in their request of painkillers where the experimental
group stayed less days in hospital and asked for less painkillers
than the control group. Conclusions: The hypothesis was proved. A single
preoperative hypnotic sitting can, in surgical patients, reduce anxiety levels
and pain percepition during the postoperative period.
Gli Autori
Dr.ssa Elisa Cassi, Psicologa, Psicoterapeuta in Formazione S.M.I.P.I.,
via A. Moro 10, 27019 Villanterio (PV); tel.: 3297035376.
Dr. Maurizio Massarini, Spec. Neurologia, Psicoterapia, Vicepresidente
S.M.I.P.I., via N. Bixio 21, 29015 Castelsangiovanni (PC), tel. 3358158751.
Vol. I - 2009 Lavori Originali
89
Emanuela Servadei
L’APPROCCIO PSICOLOGICO AL PAZIENTE
PEDODONTICO
Parole chiave: odontoiatria pediatrica, approccio psicologico,
trattamento, bambino, dolore, fiducia, pazienza.
La prima visita
Nella prima visita pedodontica occorre tenere presente la componente
psicologica e l’interrelazione triangolare che coinvolge
l’odontoiatra, il genitore ed il bambino.
Il genitore costituisce una parte necessaria del rapporto con il paziente
in età pediatrica. In seguito verrà l’approccio terapeutico e
l’aspetto motivazionale della nostra professione, però senza tenere
conto della parte psicologica non si può affrontare un bambino.
È molto importante a questo livello effettuare una valutazione: forse
il paziente in età pediatrica è l’unico che richiede un esame “a
priori” degli aspetti caratteriali che potranno comportare difficoltà
durante le fasi operative del trattamento.
Si possono impiegare inoltre diverse tecniche per rendere questo
tipo di approccio più facile e più gradevole per il paziente:si vuole
arrivare ad una percezione realistica del trattamento odontoiatrico.
Non si deve convincere nessuno che tale trattamento sia piacevole,
ma che, dato uno stato di necessità, non sia poi troppo spiacevole.
Interazioni verbali e visuali positive con il bambino, il contatto fisico,
la tolleranza che si può dimostrare nei confronti degli sforzi di
adattamento correlati all’età ed i rinforzi positivi che si possono
offrire, sono tutte condizioni dalle quali non si può assolutamente
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
90
prescindere. Questo tipo di avvicendamento va effettuato in ogni
caso: l’approccio psicologico è un meccanismo che procede gradualmente.
Soltanto se esso fallisce si può pensare di attuare dei
meccanismi alternativi, quali il trattamento effettuato o in sedoanalgesia
o mediante premedicazione oppure in anestesia generale.
È ovvio che l’anestesia generale per il paziente odontoiatrico non
può essere e non è mai la prima scelta perché comporta dei tempi
operativi e dei rischi, per quanto controllabili, che non sono sempre
alla portata dell’operatore. Quindi nel primo incontro con il
bambino si deve ricorrere ai mezzi più semplici per avvicinarlo.
Soltanto in seguito, se questi falliscono per motivi indipendenti
dalla nostra volontà, si può procedere alle scelte alternative.
Analizziamo per gradi i vari argomenti.
L’ambiente
Estremamente utile, nell’approccio al paziente pediatrico, è
l’attenzione all’ambiente in cui verrà svolta la nostra terapia.
All’occhio di un bambino i colori delle pareti del nostro studio sono
molto importanti ed è necessario che siano poco accesi tanto
da catturare la sua attenzione senza eccitarlo, ed uniformi da una
stanza all’altra, onde evitare di distrarlo eccessivamente. Ovviamente
la stanza in cui riceviamo il bambino e successivamente
svolgiamo le nostre terapie dovrebbe essere il più possibile “a misura
sua” cioè senza immagini che possano spaventarlo. Un classico
esempio sono le illustrazioni sul processo carioso o sulla malatia
parodontale di cui sono provviste le pareti di quasi tutti gli studi
odontoiatrici, e che, a volte, svolgono un’azione stressante anche
sulla psiche di un paziente adulto. Per contro esistono illustrazioni
adatte ai bambini che hanno il medesimo scopo didattico.
Importante è cercare anche di comprendere le esigenze di un
bambino relazionandole alle nostre di professionisti senza scendere
a compromessi con i genitori. Sono fondamentali da rispettare i
suoi orari e impegni: quando ha l’abitudine di dormire nel pomeriggio,
se è molto piccolo; quando mangia, se è troppo stanco o se
ha avuto altre visite mediche. Bambini particolarmente difficili o
sui quali dobbiamo attuare terapie lunghe e complesse vanno visti
Vol. I - 2009 Lavori Originali
91
il mattino quando sia noi sia loro siamo meno nervosi, meno stanchi
e più propensi al buon umore.
Inoltre è necessario, in queste situazioni, dedicare tutta la nostra
attenzione al paziente senza essere distratti, noi e conseguentemente
lui, da troppe persone in studio o da interruzioni dovute
allo squillo del telefono e ad altri impegni. Può essere utile anche
fargli portare qualcosa di suo cui lui sia particolarmente affezionato,
come per esempio un gioco, in modo da rassicurarlo.
Ogni volta che la nostra assistente prepara il servomobile per eseguire
una terapia odontoiatrica pediatrica dovrà tenere ben presente
che quanto può evocare paura o può agitare, prima tra tutte
la siringa dell’anestesia o tutto ciò che sia provvisto di aghi o simili,
dovrà essere nascosto alla vista e pronto ad essere palesato solo
nel momento dell’utilizzo, e poi riposto subito lontano dagli occhi
del nostro bambino.
È anche utile ricordare che il tempo di esecuzione delle terapie
dovrà essere ridotto al minimo indispensabile per non abusare eccessivamente
della pazienza del nostro bambino.
Da ciò si evince che non solo noi ma anche chi ci assiste debba essere
educato all’approccio con il paziente pediatrico.
Anche l’attesa deve essere piacevole e breve, per evitare che il bimbo
non si annoi e si spazientisca.
I genitori
Occorre, come già riferito, un’interrelazione triangolare positiva,
vale a dire un approccio positivo con il paziente pedodontico e,
allo stesso modo, con il genitore che in molti casi può essere di
particolare ausilio. Sottolineiamo che un papà ed una mamma
quando mai restii possono porre dei blocchi tali da essere insuperabili
in normali metodiche di approccio. È quindi molto importante
valutare il tipo di genitore con cui ci troviamo indirettamente
a trattare ponendo particolare attenzione sulla figura materna perché
di solito è lei che accompagna il bimbo nel nostro studio ed è
lei che lo prepara, lo motiva e trascorre più tempo con lui.
Possiamo trovarci di fronte tipologie di madri estremamente differenti
le une dalle altri. Esistono mamme molto ansiose, evenienza
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
92
attualmente frequentissima, le quali spesso sono più spaventate
del bimbo. In questo caso è utile che la madre non motivi, o lo
faccia il meno possibile, il figlio al trattamento perché rischierebbe
di trasmettergli la propria ansia o paura che scaturisce o da pregresse
sue esperienze odontoiatriche fallimentari o dall’idea che il
figlio possa provare qualsiasi sorta di dolore o fastidio. Come abbiamo
accennato in precedenza, fa parte del nostro ruolo spiegare
l’utilità del nostro trattamento al bimbo, e a i genitori che cercheremo,
e con le conoscenze mediche e psicologiche attualmente in
nostro possesso possiamo farlo, di rendere il trattamento meno
sgradevole possibile ma che non potremo mai trasformarlo (sembrerebbe
inutile specificarlo ma occorre essere chiari) in qualcosa
di estremamente piacevole. Per cui è possibile che il loro bambino
avverta un minimo di dolore e fastidio ma sarà per un breve periodo
e non dovrà essere enfatizzato dai genitori.
Un altro “tipo di mamma” è quella definibile “autoritaria” cioè decisa
ed un minimo severa; quella che riesce ad avere con il figlio
un rapporto “madre-figlio” e non “amica-amico” che dimostra fiducia
nel figlio, nella necessità della terapia e nell’operatore. Questo
genere di figura attualmente non è semplice da individuare.
Ovviamente non stiamo parlando di persone che si rapportano
con i loro bambini in modo violento e coercitivo. Questo tipo di
approccio, sappiamo bene, non sortisce mai nessun effetto benefico
in qualsiasi campo che potremo andare ad analizzare.
Ci sono poi genitori o madri che esigono di essere presenti nella
zona operativa perché convinti che solo loro siano in grado di trattare
con il proprio figlio. Questo tipo di madre sarà sempre una
fonte di distrazione negativa per il bambino perché si intrometterà
in continuazione, con lo scopo di tranquillizzarlo e fare da tramite
nella relazione che noi andremo ad allacciare con il piccolo paziente.
È quindi utile trattare i bimbi da soli e fare attendere i genitori
fuori dalla zona operativa. Su questo occorre che, sia noi, sia il
personale presente nel nostro studio, siamo capaci di non scendere
a compromessi.
Unica eccezione è il bambino che non comunica o che ha difficoltà
a comunicare per diverse ragioni. Un esempio sono i bimbi molto
piccoli che addirittura andranno fatti accomodare sulla nostra poltrona
seduti in braccio ai genitori, bimbi non scolarizzati, (rari nelVol.
I - 2009 Lavori Originali
93
le nostre zone, ma purtroppo drammatiche realtà in altre parti
d’Italia) o pazienti portatori di handicap.
Metodiche di approccio
Esistono varie metodiche di approccio. Quella usata più frequentemente,
e talora inconsapevolmente, è la teoria “spiega, dimostra
ed agisci” (tell, show, do) oppure quella della mano sopra la bocca
che non dovrebbe mai essere utilizzata in maniera costrittiva e restrittiva
(hands over the mouth exercise).
Un bambino molto piccolo può reagire in base ai tentativi di adattamento
correlabili alla sua età con il pianto e con la nenia. In
questo ultimo caso si può mettere la mano sopra la bocca del paziente
continuando a parlargli nell’orecchio ed a spiegarli per quale
motivo si agisce in questa maniera. Non appena il bambino dimostrerà
di essere in grado di risponderci la mano verrà subito rimossa.
Questa tecnica va utilizzata solo per pochi minuti e non di
più.
Un altro approccio consiste nel suggestionare il paziente cercando
di rendere tutto più esaltante. Giochiamo con il bambino, usiamo i
numeri, le braccia e le gambe del paziente, le parole, che possono
essere tante e pronunciate in rapida successione ma occorre che
siano semplici in modo tale da arrivare immediatamente al bimbo.
Inoltre possiamo trasformare in animali o cose che il paziente ama
il nostro strumentario: ed ecco che l’aspiratore può diventare la
proboscide di un elefante o il micromotore un trattore.
Un’altra arma in nostro possesso è quella di solleticare lo spirito di
emulazione di un bimbo mettendolo in relazione, sempre in maniera
costruttiva, con altri piccoli pazienti più collaboranti tenendo
sempre presente la necessità di lodarlo per il suo comportamento
davanti ai genitori o ad altri bambini in sala d’attesa a fine terapia.
Ricordiamo che il paziente deve capire che noi lo rispettiamo come
individuo. Tutto ciò è, ovviamente,strettamente relazionato e
dipendente dall’età e dal profilo psicologico del paziente.
Inoltre è importante aggiungere che, dove è possibile,l’approccio
deve sempre essere sistematico in più sedute in cui noi prima conosciamo
e ci facciamo conoscere dal bimbo, poi spieghiamo li
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
94
trattamento e solo successivamente possiamo agire. Quindi nella
prima visita non faccio nulla tranne in caso di grave trauma. Sarebbe
quindi utile un’educazione pediatrica all’odontoiatria che
potrebbe significare portare un bambino in visita nel nostro studio
fin da piccolo possibilmente intorno ai 3 anni. Questo ci consentirebbe
di diventare figure conosciute e quindi non temute e allo
stesso tempo intercettare in fase iniziale eventuali problemi conservativi
ed ortodontici.
Soprattutto in un bambino lo stimolo del dolore provoca sempre
una risposta in quanto non esiste una razionalizzazione del motivo
dolore: in molti casi senza l’anestesia locale nei bambini è molto
difficile lavorare. Con metodiche di premedicazione e di distrazione
si riesce ad eseguire l’iniezione, ma sicuramente non si riesce a
gestire il sintomo dolore. Durante e prima dell’esecuzione
dell’anestesia vanno attuate tecniche di modificazione del comportamento
utilizzando rinforzi positivi, sia verbali che tangibili, come
per esempio i premi. Con le varie metodiche prima spiegate si cerca
di stabilire una comunicazione oppure si comprende quando
questa non sia possibile.
Un comportamento refrattario può essere aggredito ad esempio
con un farmaco. Esistono farmaci che adeguatamente dosati creano
la comunicazione in quanto rilassano il paziente e gli permettono
di razionalizzare ed accantonare ansia paure e fobie. Lo stesso
farmaco somministrato a dosi maggiori provoca la sedazione
completa del paziente che non risponde più agli stimoli e ci permette
di lavorare in quanto divenuto inerte e passivo. Questi sono
i due concetti base su cui si fonda da un lato la sedazione in sedoanalgesia
e dall’altro l’anestesia generale che elimina la comunicazione
completamente grazie all’utilizzo di farmaci per via endovenosa
o parenterale.
Ulteriori metodiche utilizzabili sono rappresentate dall’ipnosi che
ha un’efficacia ottima solo nelle mani di chi la sa usare a dovere e
che quindi necessita di conoscenza approfondita ed esperienza;
oppure dalla costrizione fisica che ovviamente ha un’utilità molto
relativa e limitata nel tempo.
Vol. I - 2009 Lavori Originali
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Emanuela Servadei
L’APPROCCIO PSICOLOGICO AL PAZIENTE PEDODONTICO
Parole chiave: odontoiatria pediatrica, approccio psicologico, trattamento,
bambino, dolore, fiducia, pazienza.
RIASSUNTO
La pedodonzia è quella branca dell’odontoiatria che cura i bambini in
dentatura decidua e mista cioè fino a dodici anni circa.
Chi si dedica alla pedodonzia, tanto il medico quanto l’assistente,deve
quindi unire alle conoscenze tecniche anche e soprattutto pazienza e
capacità psicologiche atte a vincere la resistenza del piccolo paziente e
l’ansia dei genitori. Abbiamo analizzato alcuni tipi di approccio
psicologico.
Emanuela Servadei
THE PSYCHOLOGICAL APPROACH TO PEDODONTIC PATIENT
Key words: Paediatrics dentistry, psychological approach, treatment, child,
pain, confidence, patience.
SUMMARY
The paediatric dentistry is a part of dentistry that treats the teeth of
children until twelve years old. The paedodontist, the doctor and the
assistent too, should add to technical knowledge, patience and
psychological ability to win the children’s resistance and the parent’s
anxiety. We analized some examples of psychological approach.
L’Autrice
Dr.ssa Emanuela Servadei, S.M.I.P.I.
odontoiatra
Piazza G. Carducci 20, 61100 PESARO PU
tel 347.6405390
Si ringrazia per il materiale utilizzato lo studio odontoiatrico Caprioglio, il
professor Alberto Caprioglio, la dottoressa Claudia Caprioglio.
Vol. I - 2009 Lavori Originali
97
Maria Pia Robotti
IPNOSI E SEDAZIONE CON PROTOSSIDO D’AZOTO IN
ODONTOIATRIA INFANTILE: UN PROTOCOLLO CLINICO
INTEGRATO 1
Parole chiave: ipnosi, sedazione cosciente, protossido d’azoto, odontoiatria
infantile.
Introduzione
La sedazione con il protossido d’azoto nasce dall’intuizione di Horace
Wells, giovane dentista di Hartford nel Connecticut il 10 dicembre
1844. In occasione di una sagra paesana, un suo amico,
sottopostosi volontariamente all’inalazione del gas esilarante, scoperto
70 anni prima, ebbe una reazione euforica e violenta che
sfociò in una rissa. Wells notò che l’amico ferito ad una gamba non
mostrava alcun segno di sofferenza e, sorpreso da questa insensibilità
al dolore, cominciò a sperimentare le proprietà del gas. A causa
di banali errori procedurali il primo esperimento a Boston fallì e
lo sconforto di Wells fu tale che si suicidò.
Qualche tempo dopo però, si cominciò ad usare il protossido
d’azoto con buoni risultati e per la prima volta gli interventi chirurgici
ed odontoiatrici furono resi un po’più confortevoli.
Attualmente esistono sostanze molto più efficaci dal punto di vista
1 Comunicazione presentata al X Convegno Modalità di Intervento Psicologico
in Anestesia e Rianimazione, S.M.I.P.I., 30 maggio, Exposanità 2008
- Bologna.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
98
anestetico, ma tuttora questa metodica sedativa è un potente aiuto
per alleviare gli stati ansiosi che la poltrona del dentista scatena in
alcuni pazienti, soprattutto fra quelli in età pediatrica.
La sedazione col protossido d’azoto è di tipo cosciente e pertanto
necessita della collaborazione del paziente: l’imposizione non funziona.
Lo scopo del presente lavoro è porre in risalto il fatto che l’uso integrato
delle tecniche di induzione ipnotica in particolare e
dell’approccio psicoterapeuico più in generale, è in grado di potenziare
grandemente l’efficacia della sedazione stessa, nonché di
ridurre del pari lo stress degli operatori professionali.
Cenni sul meccanismo d’azione del protossido d’azoto.
Questo gas esplica la sua azione a livello del SRA (sistema reticolare
ascendente), formazione posta tra il talamo e la corteccia cerebrale,
modulando la percezione del dolore e determinando quindi
una analgesia relativa. Si instaura uno stato modificato della coscienza
nel quale ansia e paura sono diminuite o soppresse, grazie
alla diversa interpretazione centrale dello stimolo doloroso.
Altre azioni operativamente vantaggiose sono rappresentate dalla
riduzione della secrezione salivare, dalla diminuita sensazione di
possedere la mucosa orale (desensibilizzazione superficiale),
dall’attenuazione del riflesso palatale, dallo stabilizzarsi dei parametri
cardiovascolari, grazie alla neutralizzazione dello stato
d’ansia e della conseguente produzione endogena di adrenalina. Si
ha altresì un abbassamento delle scariche di istamina e serotonina
e un concomitante rilassamento del tono muscolare, che è alla base
di uno dei segni fondamentali, quale è quello del sentirsi “gambe
e braccia leggere”.
Ruolo dell’ipnosi e della psicoterapia in odontoiatria infantile
Il dentista insieme ai colleghi anestesisti e psichiatri è sottoposto a
notevoli quantità di stress ed è pertanto ad elevato rischio sia per
le malattie cardiocircolatorie (infarto e ictus), che per le alterazioni
Vol. I - 2009 Lavori Originali
99
dello stato psichico: instabilità emotiva, alterazioni comportamentali,
perdita di memoria (Alzheimer del dentista) e depressione.
Pertanto rivestono la massima importanza le strategie che consentono
di ridurre le cause dello stress e al tempo stesso di neutralizzarne
gli effetti negativi.
L’ipnosi, intesa come stato mentale fisiologico diverso dal sonno e
dalla veglia, che coniuga in misura variabile le caratteristiche di entrambi,
è sia un formidabile strumento di comunicazione e interazione
col piccolo paziente odontoiatrico impaurito e coi suoi talora
ancor più apprensivi familiari, che una validissima modalità di
coping per il professionista e il suo team alle prese con situazioni
potenzialmente stressanti.
Le ricerche scientifiche hanno ormai ampiamente dimostrato che
l’empatia nella relazione di cura comporta una maggiore soddisfazione
dei pazienti e dei terapeuti. È assodato che i medici e gli odontoiatri
che si dimostrano più vicini al paziente sono più competenti
nel raccogliere l’anamnesi, ottengono maggiore collaborazione
e hanno più successo nei trattamenti in generale e coi bambini
in particolare (Jeffrey Sherman, docente presso il Dipartimento
di Medicina Orale dell’ University of Washington. Ricerca pubblicata
sul Journal of Dental Education).
Il rapporto dentista-paziente pediatrico in particolare corrisponde
appieno alle caratteristiche di un relazione psicoterapeutica, quale
quella tratteggiata da Carl Rogers nella sua Terapia centrata sul
cliente:
1. “Due persone sono in contatto psicologico.” Il pedodonzista
lavorando a 10 centimetri dal viso del bimbo non può
non essere in stretto contatto psicologico con lui, pena
l’interruzione delle procedure operative.
2. “La prima persona (cliente) è in uno stato di incongruenza,
vulnerabilità o ansia”. Il piccolo paziente è, in quanto
tale, fragile, spesso ansioso e impaurito, come talora anche i suoi
genitori e “incongruente”. Per incongruenza si intende una discrepanza
fra l’esperienza reale dell’organismo e l’immagine di
sé che l’individuo ha quando si rappresenta quell’ esperienza.
3. “La seconda (terapeuta) è congruo, liberamente e pienamente
se stesso nella relazione.”
4. “Il terapeuta prova considerazione positiva incondizioRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
100
nata nei confronti del cliente.”
5. “Il terapeuta prova considerazione empatica del sistema
di riferimento interno del paziente e si sforza di comunicargli
questa esperienza”. La considerazione positiva incondizionata e
la comprensione empatica del sistema di riferimento interno del
giovanissimo paziente sono imprescindibili dall’accesso a qualsivoglia
forma di collaborazione del medesimo.
6. “Si verifica una comunicazione almeno parziale della
comprensione empatica e della considerazione positiva incondizionata
del terapeuta per il cliente.”
Il ruolo psicoterapeutico dell’odontoiatra infantile consiste quindi
nel promuovere uno sviluppo costruttivo della personalità del piccolo
impaurito e dei suoi spesso ancor più ansiosi genitori.
L’ipnosi quindi non va intesa come una mera tecnica alternativa
alla sedazione farmacologia 2 con benzodiazepine per via orale o
endovena, ma è da considerarsi nel più ampio contesto di un intervento
psicologico che può integrarsi alla perfezione, ove risulti
necessario, con l’utilizzo della sedazione con il protossido d’azoto.
Protocollo clinico
La condizione essenziale è quella dell’instaurarsi di un rapporto
sufficientemente buono col bambino e la sua famiglia e come per
incanto allora ogni passaggio fluisce tranquillamente.
1. Preliminari
2. Induzione
3. Mantenimento
4. Risveglio e dimissione
1. Preliminari.
L’inserimento della tecnica della sedazione con il protossido
d’azoto comporta la modificazione della conduzione dello studio,
non tanto a livello strutturale, quanto soprattutto a livello mentale
e comportamentale di tutti gli operatori. È bene che siano
l’operatore stesso e i suoi collaboratori a provare per primi con
l’autosomministrazione per poi essere in grado di sapere “cosa” e
2 Che spesso hanno un effetto paradosso: per mantenere la vigilanza sulla
situazione vissuta come pericolosa l’ansia aumenta.
Vol. I - 2009 Lavori Originali
101
“come” succede. Altro passaggio fondamentale è quello
dell’accettazione da parte dei genitori e del bambino. Qui si apre il
capitolo riguardante il come comunicare la metodica ai parenti in
primo luogo e poi, ottenuto il loro consenso scritto, ai bambini. Si
utilizza una descrizione a voce e si programma la prima visita.
Questo rappresenta uno straordinario campo di applicazione per
l’ipnosi: “Vieni che andiamo sull’astronave…”, “Dai che ti faccio
fare un giro sulla giostra…”, “Come sul tappeto volante…”. Tutto
funziona: programmazione neurolinguistica, metafore, suggestioni
e rinforzi positivi a piene mani, rilassamento muscolare progressivo,
ristrutturazione dell’esperienza e anticipazione di eventi positivi,
che seguiranno la seduta. L’unica regola è veramente, come affermava
Erickson, quella che “esiste sempre un’eccezione”.
2. Induzione.
Essenziale che il genitore venga istruito a rimanere in silenzio perché
la sua voce costituirebbe un richiamo troppo forte per il bimbo,
che uscirebbe subito dal suo stato di rilassamento. Il ritmo della
voce dell’operatore accompagna quello del respiro del piccolo
paziente e lo guida progressivamente verso una successione lenta,
tranquilla e regolare. Lo stesso dicasi per il genitore che spesso nel
setting pedodontico funge da mamma-poltrona o papà-poltrona
con il figlio sdraiato sopra .Utile tutto ciò che piace ai bimbi: filastrocche,
ninnananne, rime buffe. Spesso i genitori spontaneamente
riferiscono di essersi rilassati anche loro, pur non facendo la sedazione
con il protossido. Importante favorire poi l’accettazione
naturale di tutto ciò che accade, astenendosi dal voler per forza
attribuire definizioni troppo specialistiche (trance, levitazione eccetera)
anche perché superflue ai fini del buon andamento della
seduta.
3. Mantenimento.
Durante questa fase c’è un distacco temporo-spaziale del bambino
dall’ambiente che lo circonda ed è pertanto di grande rilevanza il
compito dell’odontoiatra che con l’accompagnamento continuo
della sua voce determina lo svolgersi dell’operatività. L’assistenza è
totale, si anticipano a voce i singoli passaggi e si mimano i gesti
prima di eseguirli.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
102
4. Risveglio e dimissione.
Come tutte le altre fasi, anche questa si svolge con lentezza e con
l’accompagnamento totale. Si conta lentamente fino a tre e si dà la
suggestione di prendersi tutto il tempo che serve. Si somministrano
3 minuti di ossigeno e con gli ultimi rinforzi positivi e le ultime
istruzioni al genitore si effettua la dimissione.
In conclusione l’ipnosi è applicabile durante ogni singola fase della
procedura clinica ed è vantaggiosamente percepita da tutte le
persone coinvolte. Progressivamente nel corso delle sedute l’ansia
lascia il campo ad una serena collaborazione. Il bambino supera la
paura e dopo qualche tempo abbandona spontaneamente il supporto
della sedazione e si sottopone di buon grado alle cure necessarie
con grande soddisfazione della famiglia e del dentista.
La paura è stata vinta:sarà stata l’ipnosi ad aiutare la sedazione o
viceversa? Forse non è poi così importante rispondere dal momento
che si integrano con grande facilità.
Bibliografia
1.Arone di Bertolino R. - L’ipnosi per un medico Edizioni
Martina Bologna, 2003
2.Olivi R. Olivi F. - Odontoiatria infantile pratica Edizioni Martina Bologna,
2007
3.Rogers R. - La terapia centrata sul cliente Psycho Martinelli Firenze,
1994
4.Wright G. Starkey P. Gardner D. - Managing children’s behavior in the
dental office The C.V: Mosby Company Toronto, 1983
5.Valeri V. Fidanza F - Approccio psicologico e sedazione cosciente nel
paziente pedodontico Dent. Mod. Maggio2008
Vol. I - 2009 Lavori Originali
103
Maria Pia Robotti
IPNOSI E SEDAZIONE CON PROTOSSIDO D’AZOTO IN
ODONTOIATRIA INFANTILE: UN PROTOCOLLO CLINICO
INTEGRATO
Parole chiave: ipnosi, sedazione cosciente, protossido d’azoto, odontoiatria
infantile.
RIASSUNTO
Il presente articolo illustra l’aspetto psicologico dell’odontoiatria infantile
e la centralità del ruolo di una buona relazione tra il dentista e i suoi giovani
pazienti al fine di ottenere il successo terapeutico. L’approccio psicologico
integrato con l’ipnosi e la sedazione cosciente offre una straordinaria
opportunità di instaurare un clima di fiduciosa tranquillità anche in
quei casi in cui l’ansia e la paura raggiungono livelli molto elevati.
Maria Pia Robotti
HYPNOSIS AND CONSCIOUS SEDATION WITH NITROUS OXIDE IN
PEDIATRIC DENTISTRY: A CLINICAL INTEGRATED APPROACH.
Key words: hypnosis, conscious sedation, nitrous oxide, pediatric dentistry.
SUMMARY
This article illustrates the psychological aspects in the treatment of children
and the central role of a good relationship between the dentist and
his young patients in order to achieve the best therapeutical results. The
psychological approach combined with hypnosis and conscious sedation
offers an extraordinary chance to establish the necessary conditions of a
calm and trustful environment even when fear and anxiety are very high.
L’Autrice
Dr.ssa Maria Pia Robotti
medico, specialista in Odontostomatologia, specialista in formazione in
Psicoterapia ed Ipnosi Clinica S.M.I.P.I.
Corso Porta Nuova 50, 37122 VERONA VR
tel. 045.8003418 - 338.6291451
Vol. I - 2009 Lavori Originali
105
Ugo Corrieri
TERAPIA INTEGRATA DEL GIOCO D’AZZARDO
PATOLOGICO
Parole chiave: gioco d’azzardo, gioco d’azzardo patologico, psicoterapia,
neuroscienze, addiction, SerT, terapia familiare, caso clinico,
approccio sistemico-relazionale simbolico-esperienziale.
Premessa
Il gioco d’azzardo patologico (acronimo: GAP) fa parte delle cosiddette
“dipendenze senza sostanze” o “comportamentali”. Il fenomeno
viene spesso sottostimato: vari autori ritengono che interessi
circa il 3% dell’intera popolazione italiana, vale a dire quasi
due milioni di persone, ed ai servizi pubblici per le dipendenze
(SerT) si presentano sempre più spesso individui e famiglie con
problemi di GAP.
La Regione Toscana considera il gioco d’azzardo patologico un
problema di salute pubblica: nel Piano Sanitario Regionale (PSR)
2005-2007 si è impegnata ad individuare specifici percorsi assistenziali;
ha promosso corsi di formazione e nel recente PSR 2008-
2010 si propone di valutarne l’introduzione nei livelli essenziali di
assistenza (LEA).
Il gioco d’azzardo in Italia
Giochi d’azzardo sono quelli nei quali c’è una posta in palio e
l’esito dipende da fattori che sono fuori della portata del giocatoRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
106
re. Si tratta di giochi che oggi sono alla portata di tutti, presenti in
quasi tutti i luoghi di aggregazione, per cui le persone, grazie anche
alle massicce campagne pubblicitarie in atto, sono sottoposte a
stimoli pressanti che alimentano un mercato in espansione.
Alcuni dati: l’Italia è risultata nel 2004 la prima nazione al mondo
per la spesa pro-capite per gioco d’azzardo: 500 euro a testa. La
spesa è lievitata da 18 miliardi di euro nel 2002 a 46,5 miliardi di
euro nel 2008. Giocano oltre 30 milioni di Italiani. Il gioco
d’azzardo è, per fatturazione, la quinta industria italiana dopo Fiat,
Telecom, Enel e Ifim!
Dai pochi giochi presenti all’inizio degli anni ‘90, essenzialmente
totocalcio, lotto e scommesse alle corse dei cavalli, si è passati oggi
a innumerevoli offerte diversificate: tre volte a settimana vengono
estratti lotto e superenalotto, le lotterie istantanee sono pressoché
ubiquitarie , sono presenti in Italia (dati 2006) 242 sale bingo, oltre
200.000 slot machine, 1.400 sale scommesse; aumentano continuamente
le offerte di scommesse su Internet, esistono “call center”
telefonici per il gioco del lotto.
Psicologia del gioco d’azzardo
Il gioco rappresenta un elemento indispensabile dell’esperienza
umana, è presente fin dalle prime fasi della vita di ognuno di noi e
costituisce una dimensione capace di elargire gioia e liberare
l’uomo dalla ripetitività dell’esistenza (Eugen Fink, 1957).
Dal punto di vista neurofisiologico, secondo Panksepp (1998) tra i
meccanismi funzionali cerebrali profondi vi è un vero e proprio
“sistema del gioco”. Tutti i giovani mammiferi, inclusi gli umani,
sembrano avere necessità di giocare ed avere bisogno di una certa
quantità di gioco. Il gioco sembra funzionare in accordo a sistemi
omeostatici simili a quelli che regolano le funzioni di base, quali il
sonno e si ritiene che il gioco rivesta un ruolo estremamente importante
nello sviluppo dei mammiferi, uomo compreso. Panksepp
ipotizza ad esempio che l’epidemia di “Disturbo da deficit
dell’attenzione con iperattività” nelle odierne città americane sia
dovuta al fatto che questi bambini non possono fruire della necessaria
quantità di gioco, di contatto corporeo e di lotta.
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107
Huizinga (1950), attribuisce addirittura al gioco un ruolo fondamentale
nello sviluppo della civiltà come primo “operatore culturale”
e sostiene che ogni attività umana e ogni aspetto della vita
possa essere ricondotto al gioco.
Caillois (1958) distingue quattro tipologie: giochi di Agon (competizione),
giochi di Mimicry (imitazione), giochi di Alea (rischio) e,
per finire, giochi di Ilinx (vertigine). Nei giochi di Agon è presente
la padronanza del sé, mentre in quelli di Alea l’individuo assume
un ruolo di passività dinanzi alla “cecità della sorte”. Agon e Alea
esprimono atteggiamenti opposti e simmetrici, pur obbedendo a
una stessa legge: la creazione artificiale fra i giocatori di
un’uguaglianza assoluta che nella realtà è negata agli uomini. Secondo
Caillois, “in tutti i giochi non si tratta di vincere su un avversario,
ma sul destino”.
Comunque sia, l’esperienza ludica può divenire talmente coinvolgente
per cui il gioco, da elemento “magico”, può diventare “demoniaco”
e ci espone al rischio di immergerci in un clima “incandescente”
tipico, ad esempio, del gioco d’azzardo.
In realtà, il gioco d’azzardo è un modo di cui dispone l’uomo per
poter “gareggiare con il proprio destino”, nell’illusione di controllarlo
(anche solo nell’intervallo di una scommessa). Per quanto un
individuo non si dichiari un “giocatore”, difficilmente rimane impassibile
di fronte alla tensione che avvolge la mente di chi attende
l’esito della propria sorte…
Vari Autori ritengono che il cuore del problema stia proprio nel
desiderio di «controllare l’incontrollabile». Quasi tutte le teorie sul
gioco d’azzardo confermano inoltre che questo senso di onnipotenza,
che caratterizza il giocatore, può essere variamente messo in
relazione a qualche forma d’insoddisfazione, debolezza o incertezza;
il gioco corrisponde a un bisogno d’immediato sollievo e praticarlo
produce un senso di potere che può essere estremamente
gratificante.
Nel gioco d’azzardo si ripetono alcuni valori che svolgono un ruolo
rilevante nella nostra società: l’audacia, la competitività, la capacità
di approfittare delle situazioni e di assumersi rischi. Ma una
cosa sembra differenziare dagli altri attori sociali i giocatori
d’azzardo: la loro tipica irragionevolezza.
Caratteristici, infatti, sono numerosi pensieri erronei in relazione
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
108
al gioco, in cui entra sempre in azione il pensiero magico. Il giocatore
non può accettare che il gioco d’azzardo sia governato dal caso
e si illude di poterlo in qualche modo controllare.
Fano parete di questa modalità arcaica di pensiero le “quasi vincite”
(Reid, 1986), quegli insuccessi che sono vicini ad essere successi:
danno la percezione di aver sfiorato la vittoria e che insistendo
nelle giocate questa dovrà per forza arrivare. Giochi come il “gratta
e vinci”, i videopoker, le slot machine sono strutturati in maniera
da garantire un’alta percentuale di “quasi vincite”.
Altra idea erronea è la “fallacia di Montecarlo” (Cohen, in: Dickerson,
1984): il giocatore considera le probabilità di un evento come
cumulative anziché indipendenti tra loro. I numeri ritardatari sembrano
avere maggiori probabilità di uscire e nella folle rincorsa al
numero ritardatario gli scommettitori incalliti sentono la vittoria a
portata di mano.
Vi è poi la “illusione di controllo” (Langer, 1975), una aspettativa
di successo personale maggiore di quanto la probabilità oggettiva
possa garantire, come nel caso della roulette in cui i giocatori passano
la serata ad annotare sistematicamente tutti i numeri che escono,
allo scopo di usare queste informazioni per piazzare una
puntata vincente. Allo stesso modo Henslin (1967) descrisse come
nel gioco dei dadi possiamo pensare che il lanciarli con più o meno
forza possa farci ottenere un numero più o meno alto.
Pare che alcuni individui siano maggiormente sedotti dal fascino
del gioco d’azzardo per amore del rischio e del brivido, in base alla
teoria del “sensation-seeking” e “risk-taking” di Zuckerman (1983),
che considera la ricerca di forti sensazioni un tratto di personalità
che sta alla base del comportamento di ricerca del “rischio”.
Il gioco, in ogni caso, è anche un’attività sociale e competitiva, in
quanto c’è sempre un avversario contro cui ci si deve scontrare:
può essere il casinò, l’allibratore, lo Stato o il Destino.
L’“incertezza dell’esito” e il “rischio” sono la parte essenziale del
gioco (Kusyszyn, 1984) e procurano al giocatore stimolazioni cognitive,
emozionali e fisiche.
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109
Dal Gioco d’Azzardo (GdA) al Gioco d’Azzardo Patologico
(GAP)
Il fenomeno del gioco d’azzardo presenta una serie di passaggi
progressivi che vanno dal gioco occasionale a quello abituale,
quindi al gioco problematico e infine al gioco patologico: un continuum
che inizia da un approccio apparentemente inoffensivo,
quale spazio ricreativo fondato sul divertimento e la socializzazione,
sino a giungere ad un atteggiamento abusante da parte del giocatore,
che può arrivare a compromettere globalmente la sua esistenza.
Si tratta di un percorso a tappe in cui il giocatore può scegliere,
più o meno consapevolmente, di fermarsi o procedere
drammaticamente fino a che il gioco, da fonte di sensazioni, può
trasformarsi in un’attività di “addiction” di cui il giocatore non ha
più il controllo, per sfociare nella patologia e nella assunzione di
condotte a rischio. A questo punto l’“innocuo divertimento” si è
trasformato in una grave malattia che può divenire, come per la
dipendenza da sostanze, il centro attorno a cui il giocatore struttura
una vita sempre più degradata, dove viene sopraffatto
dall’impulso a giocare, dal bisogno di rischiare, dalla ricerca continua
della vincita anche di fronte a perdite sempre più devastanti.
La prima classificazione riguardo l’evoluzione del GAP fu quella di
Custer (1978, 1984), che identificò cinque fasi: 1) l’inizio, spesso
casuale; 2) la fase vincente; 3) la fase perdente; 4) la fase della disperazione;
5) la fase della resa, in cui il giocatore cerca aiuto.
Blaszczynski (1998) ha proposto di considerare tre gruppi di giocatori
patologici: i giocatori normali, i disturbati emotivamente e
infine coloro che presentano disfunzioni neurologiche o neurochimiche
ed evidenziano impulsività e deficit di attenzione.
Guerreschi (2000, 2006, 2006, 2008) sostiene una distinzione in
sei gruppi: 1) Giocatori d’azione con sindrome da dipendenza; 2)
Giocatori per fuga con sindrome da dipendenza; 3) Giocatori sociali
costanti; 4) Giocatori sociali adeguati; 5) Giocatori antisociali;
6) Giocatori professionisti non patologici.
Storicamente, già nel 1945 Otto Fenichel propose di raggruppare
sotto il nome di “addiction” non solo le tossicodipendenze ma anche
tutta una serie di “tossicomanie senza droga”, cioè le attuali
dipendenze comportamentali: un lungo elenco che va dal gioco
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
110
d’azzardo alle dipendenze alimentari e affettive; dalle dipendenze
da televisione, da telefonino, da internet (e da e-mail) allo shopping
compulsivo; dalle dipendenze da sesso e da pornografia a
quelle da lavoro e da esercizio fisico, da videogiochi e da rischio
(cleptomania, piromania)…
Varie ragioni inducono a collocare tutto quanto sopra elencato nel
quadro comune delle dipendenze: l’importanza degli aspetti comuni
(“overlaps”); la frequenza della coesistenza o del passaggio
dall’una all’altra; la ripetizione in tutti i casi di una condotta prevedibile;
la costante implicazione del circuito diencefalico della ricompensa;
la similitudine delle varie proposte terapeutiche.
Aspetti sociali e familiari del GAP
Anche nel gioco d’azzardo, una volta instaurata la dipendenza, il
gioco diviene compulsivo, sfugge alla volontà e al controllo della
persona e può divenire devastante, fino all’alienazione dalla realtà
con personificazione della macchinetta, della roulette, delle carte,
del “gratta e vinci”.
Le persone sono sempre più esposte e stiamo già pagando costi
sociali elevati: minore produttività lavorativa dei giocatori
d’azzardo, spese della sanità pubblica per sostenere le persone che
sviluppano questa dipendenza, aumento della criminalità per giocatori
che cercano di procurarsi illegalmente denaro al fine di pagare
i debiti accumulati con le perdite; adolescenti che sviluppano
comportamenti problematici.
Quasi sempre sono i familiari dei giocatori patologici che prima
colgono i segni della patologia in atto e poi, dopo numerosi vani
tentativi di dissuasione, ricercano un aiuto, spesso vissuto come
“ultima spiaggia”, per riuscire a modificare un comportamento
compulsivo ed una situazione relazionale che quasi sempre hanno
già portato la famiglia sulla soglia del dissesto economico, con un
accumulo di ipoteche e debiti che, in tanti casi, non potranno essere
onorati…
Quando la richiesta di aiuto viene direttamente dai giocatori, questi
di solito sono già in una situazione di gioco d’azzardo patologico
estremamente avanzata; la situazione familiare è generalmente
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compromessa; se c’è ancora, il partner appare in difficoltà e forse
sta valutando di separarsi.
Spesso i giocatori d’azzardo hanno figli: bambini che, secondo recenti
inchieste statunitensi, presentano gravi problemi anche di
tipo psicologico, un maggiore rischio di suicidio, maggiori possibilità
di abuso di alcool ed uso di droghe, un calo nei risultati scolastici,
maggiori possibilità di diventare giocatori patologici e spesso
sono, o comunque si sentono “psicologicamente abbandonati”.
Accade quasi sempre che il coniuge si occupi in un modo estremamente
attivo del partner giocatore e quindi i figli sperimentano
una carenza di cure parentali. Inoltre, i bambini cercano di non
essere d’intralcio: può sembrare che abbiano bisogno di minore
presenza ed affetto, ma in realtà soffrono dei conflitti genitoriali ed
hanno un profondo senso di insicurezza; possono sentirsi responsabili
di ciò che accade ai genitori, così come possono sviluppare
modelli di attaccamento insicuro (Bowlby, 1979, 1988; Siegel,
1999), in particolare quello evitante, ambivalente o addirittura - se
la figura di attaccamento incute loro paura o spavento - disorganizzato.
Neurobiologia e terapia integrata
Così come accade negli altri quadri di dipendenza, anche il gioco
d’azzardo patologico coinvolge sia gli aspetti biologici e psicologici
della persona, sia il suo mondo familiare e relazionale interpersonale
allargato, per cui occorre mettere in atto un processo terapeutico
integrato, finalizzato a trattare l’intero sistema bio-psicosociale
del paziente.
Le attuali conoscenze neuroscientifiche (Damasio, 1994, 1999,
2003; Edelman, 2006; Kandel, 2005; LeDoux, 2002; Siegel, 1999;
Solms e Turnbull, 2002) ci dimostrano come la mente emerga dalle
attività del cervello ed in particolare si formi all’interno delle interazioni
tra processi neurofisiologici interni ed esperienze interpersonali.
Specificamente, lo sviluppo delle strutture e funzioni cerebrali dipende
dalle modalità con cui le esperienze, specialmente legate a
relazioni interpersonali, influenzano e modellano i programmi di
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
112
maturazione geneticamente determinati del SNC: le connessioni
umane plasmano lo sviluppo delle connessioni nervose che danno
origine alla mente. Le persone possono crescere durante tutta la
loro esistenza: la maturazione della mente non si arresta con
l’adolescenza e le relazioni interpersonali continuano per tutta la
vita a influenzare la nostra mente.
Le emozioni, in particolare, hanno un ruolo centrale nelle attività
del cervello. Sono mezzi di comunicazione che ci permettono di
percepire gli stati della mente degli altri tramite empatia, rispecchiamento,
sintonia (dimensione fondamentale dell’esperienza
umana: è estremamente importante poter identificare gli stati emotivi
degli altri, ci permette di comprendere le interazioni sociali
e di prevedere il comportamento delle altre persone). Le emozioni
inoltre sono alla base dei processi di attribuzione di significati; dirigono,
organizzano, amplificano e modulano l’attività cognitiva ed
a loro volta costituiscono l’esperienza e l’espressione di tale attività
(per cui la divisione tra processi emotivi e cognitivi è artificiale).
Nel sistema mente/cervello, i circuiti che mediano le esperienze
sociali sono intimamente connessi con quelli che regolano la attribuzione
di significati, la regolazione delle funzioni dell’organismo,
la modulazione delle emozioni, l’organizzazione della memoria, le
capacità di comunicazione: da tutto ciò deriva una neurobiologia
interpersonale della mente, che deve essere sempre vista nel contesto
delle relazioni interpersonali.
Le emozioni, infine, sono processi integrativi che collegano tutte le
funzioni e le attività della mente. Anche se possono essere definite
come esperienze soggettive che coinvolgono componenti neurobiologiche,
esperienziali e comportamentali, sono di fatto l’essenza
della mente. È fondamentalmente attraverso comunicazioni emotive
che le menti di due individui possono entrare in connessione, e
durante le prime fasi della vita i pattern di comunicazione interpersonale
che si stabiliscono con le figure di attaccamento influenzano
direttamente la modulazione delle strutture cerebrali che
mediano i nostri processi di autoregolazione.
Ulteriore elemento fondamentale: nel sistema mente/cervello la
stabilità è raggiunta attraverso una tendenza alla massimizzazione
della complessità, che non deriva da attivazioni casuali, ma è incrementata
da un equilibrio fra continuità e flessibilità.
Vol. I - 2009 Lavori Originali
113
La continuità nel tempo del flusso degli stati della mente è generata
in parte da vincoli interni, cioè le connessioni neuronali che sono
state create in base a fattori costituzionali ed esperienze. In
questo modo, il sistema si muove verso livelli crescenti di complessità
mantenendo, di fronte a pattern di attivazione nuovi e
sconosciuti, elementi di continuità, identità e familiarità che sono
garantiti dalla sua stessa struttura. Nello stesso tempo, i suoi comportamenti
possono indurre risposte all’ambiente, e quindi plasmare
vincoli esterni. L’equilibrio fra flessibilità e continuità, tra
novità e familiarità, tra certezza e incertezza consente al sistema
dinamico del cervello di massimizzare la sua complessità coinvolgendo
gruppi neuronali diversi in interazioni sempre più sofisticate.
Tutte le esperienze che favoriscono lo sviluppo delle capacità di
processing dei due emisferi e/o favoriscono l’integrazione delle loro
attività possono migliorare la vita interiore e interpersonale degli
individui.
Cambiamenti che portano maggiore coordinamento delle funzioni
dei due emisferi possono essere accolti con grande favore da molte
persone, mentre viceversa relazioni ed esperienze che hanno
portato a una mancanza di integrazione delle funzioni dei due emisferi
possono determinare una particolare vulnerabilità nei confronti
di problemi emotivi e sociali.
Relazioni interpersonali che facilitano lo sviluppo di entrambi gli
emisferi e l’integrazione delle loro funzioni favoriscono il benessere
psicologico. Dialoghi “riflessivi” in cui il linguaggio viene utilizzato
per descrivere stati della mente di altre persone, inclusi i due
membri della coppia, possono favorire l’integrazione bilaterale fra
i due emisferi, nel bambino come nell’adulto. Le relazioni interpersonali
possono fornire esperienze di attaccamento che permettono
simili cambiamenti neurofisiologici anche nelle fasi più adulte
o più tardive della vita di ogni individuo ed il cambiamento può
avvenire a ogni età.
Percorsi di crescita emozionale posso essere possibili attraverso
vari tipi di relazioni interpersonali, anche del tutto naturali, quali
amicizia, matrimonio e così via, le quali possono proseguire per
tutta la vita a influenzare lo sviluppo della mente.
In particolare, poi, le relazioni terapeutiche possono favorire la
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
114
maturazione di processi di autoregolazione più efficaci, e questo
rappresenta un meccanismo fondamentale di funzionamento della
psicoterapia.
Occorre sottolineare con forza che in psicoterapia gli approcci
strettamente razionali e logici possiedono di necessità una utilità
limitata. Occorre infatti cercare di favorire lo sviluppo delle capacità
di sintonizzazione affettiva ed attivazione dei processi mediati
dall’emisfero destro, allo scopo di favorire la scoperta di nuovi
modi di vedere se stessi e il mondo e divenire maggiormente consapevoli
delle emozioni e degli stati della mente propri e altrui. Da
qui, l’estrema importanza di percorsi e processi terapeutici che
comprendano l’intero sistema emotivo-cognitivo-motivazionale
(tra le quali ad esempio anche idonee tecniche di ipnosi diretta e/o
indiretta, così come approcci sistemico-relazionali-simbolico esperienziali
che spazino dall’intrapsichico al relazionale allargato).
In tal modo, nel tempo i processi mediati dall’emisfero destro influenzeranno
i comportamenti e le relazioni interpersonali (e viceversa).
Nella relazione psicoterapeutica avvengono quindi processi di sintonizzazione
e di risonanza emozionale e di conseguenza possono
emergere nuovi modelli del Sé e del Sé in rapporto con gli altri, da
cui una più efficace ricerca di connessioni affettive, a cui seguono a
cascata maggiori capacità di integrazione, processi narrativi più coerenti,
un approccio alla vita più ricco e complesso.
Quali che siano le sue specifiche tecniche, uno dei principali compiti
del terapeuta è sempre e comunque quello di essere in grado
di recepire i segnali non verbali che rivelano gli stati emozionali
primari dei pazienti e condividere tali stati, anziché limitarsi a
comprenderli. In realtà, tutti abbiamo bisogno di stabilire con gli
altri forme di comunicazione intime e dirette che, permettendo
l’instaurarsi di stati di sintonizzazione affettiva e di risonanza mentale,
ci aiutino a organizzare i nostri processi interni.
Le relazioni interpersonali specializzate che si stabiliscono
nell’ambito di una psicoterapia forniscono al paziente un ambiente
sicuro, in cui può incominciare ad esplorare le sue esperienze presenti
e passate. Terapeuta e paziente possono entrare in stati di
risonanza mentale che permettono la creazione di un sistema diadico,
in cui processi di sintonizzazione affettiva favoriscono lo sviVol.
I - 2009 Lavori Originali
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luppo di capacità di regolazione più efficaci e il movimento verso
una maggiore complessità.
Il terapeuta deve essere in grado di percepire i segnali non verbali
e rispondere non solo con le parole ma cercando di accordare i
suoi stati della mente con quelli del paziente. Fra gli stati emozionali
primari, psicobiologici, dei due individui può così crearsi una
risonanza diretta.
L’espressione e la percezione dei segnali non verbali sono mediate
principalmente dall’emisfero destro; queste forme di comunicazione
non verbale costituiscono un aspetto fondamentale del rapporto
terapeuta-paziente e di tutte le relazioni interpersonali emotivamente
coinvolgenti e possono essere considerate come il risultato
di processi di risonanza fra gli emisferi destri delle due persone
coinvolte.
Un ruolo importante hanno ovviamente anche gli emisferi sinistri,
che sono coinvolti negli scambi verbali e nelle riflessioni logiche
sul presente e sul passato del paziente, così come sulla stessa esperienza
della terapia.
Le funzioni di “interprete” dell’emisfero sinistro cercano di dare
un senso alle esperienze dell’individuo e di organizzarne i processi
narrativi. I processi narrativi rivestono un ruolo fondamentale:
quello di conferire un senso alle nostre esistenze e collegare tra
loro le nostre menti.
Le storie sono trasmesse di generazione in generazione. La psiche
di chi ha partecipato al nostro sviluppo continua a vivere in noi,
nella struttura della nostra storia. Da qui l’importanza di allargare
il campo terapeutico almeno al trigenerazionale. Molte relazioni
interpersonali possono favorire cambiamenti nella vita
dell’individuo che si riflettono in una diversa costruzione dei suoi
processi narrativi.
Azione fondamentale dei processi narrativi, tra cui quelli che si
tengono in psicoterapia, è quello di permettere alle persone di
raggiungere una maggiore coerenza nella loro mente e nei rapporti
con gli altri, e quindi di vivere meglio.
Lo sviluppo di narrazioni coerenti, che costituisce uno degli obiettivi
principali di tutti i tipi di terapia, coinvolge molto probabilmente
una risonanza di processi mediata da due emisferi cerebrali:
dal momento che si richiede una coerenza sia logica sia emotiva.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
116
Nell’ambito della relazione terapeutica la co-costruzione di narrazioni
può quindi essere in ultimo considerata come il risultato di
una risonanza interemisferica all’interno delle menti di terapeuta e
pazienti.
Da un punto di vista neurofisiologico, nel sistema terapeuta/
paziente il flusso degli stati può raggiungere progressivamente
maggiori livelli di complessità mano a mano che gli individui riescono
a stabilire stati di risonanza interemisferica più coerenti, attraverso
processi di sintonizzazione mediati da comunicazioni verbali,
da emisfero sinistro a emisfero sinistro, e non verbali, da emisfero
destro a emisfero destro. La psicoterapia può catalizzare un
processo integrativo fondamentale facilitando lo sviluppo di stati
di risonanza bilaterali, in cui la mente del paziente e quella del terapeuta
possono essere immerse in intensi stati emozionali primari
e nello stesso tempo concentrate su esplorazioni narrative riflessive.
Il sistema mente/cervello è un sistema complesso. Può essere
sconvolto da tempeste mentali generate da complicate interazioni
fra influenze genetiche e storie di conflitti familiari, e sia i disturbi
ereditari, sia gli adattamenti a esperienze traumatiche possono avere
profondi effetti sulla realtà delle nostre vite soggettive.
Per aiutare i pazienti a raggiungere livelli di organizzazione del sé
più equilibrati e soddisfacenti possono di volta in volta essere utili
strumenti terapeutici differenti, da trattamenti farmacologici a psicoterapie
e metodi di aiuto vari, individuali e di gruppo.
Ma in ogni caso, indipendentemente dagli strumenti e dalle tecniche
impiegate, perché si possa stabilire una relazione terapeutica
efficace è necessario un profondo impegno del terapeuta a comprendere
e a condividere le esperienze del paziente. Non deve mai
dimenticare che le esperienze interpersonali plasmano le strutture
e le funzioni del cervello da cui emerge la nostra mente, stimolando
la formazione di nuove connessioni sinaptiche e alimentando
processi di sviluppo che possono continuare per tutta la vita e coinvolgere
anche i circuiti neurali implicati in funzioni integrative.
La relazione terapeuta-paziente riflette, in realtà, quella che dovrebbe
essere l’essenza delle relazioni umane: comprendere e accettare
gli altri per ciò che sono, cercando contemporaneamente
di alimentare una ulteriore crescita e integrazione ed un continuo
Vol. I - 2009 Lavori Originali
117
sviluppo nella singola mente e nelle menti di più individui che interagiscono
tra loro, in una complessa interdipendenza biologica
dei nostri mondi interni e sociali.
Lo stabilirsi di connessioni dirette fra le menti coinvolge una forma
di risonanza in cui energia e informazioni possono fluire liberamente
da un cervello all’altro. È in questi momenti particolarmente
intensi, in questi stati di risonanza interpersonale, che riusciamo
veramente ad apprezzare come le relazioni con gli altri possano
nutrire e curare le nostre menti.
L’approccio sistemico-relazionale-simbolico-esperienziale
Nel campo delle dipendenze oramai molteplici Autori, anche negli
USA (Miller e Carroll, 2006), sostengono l’importanza di guardare
al di là dell’individuo e comprendere i problemi nel contesto di
vita allargato, per individuare le cause, trovare le soluzioni e fornire
una cura completa.
Anche in questo senso, occorre essere capaci di interventi complessi:
se da una parte è necessario tenere lo sguardo concentrato
sul paziente, comprendendo e inquadrando i suoi sintomi anche
secondo categorie descrittive (diagnosi secondo DSM e ICD),
dall’altra parte dobbiamo essere allo stesso tempo capaci di “rovesciare
l’imbuto”, allargando lo sguardo alle relazioni della persona:
sia col suo mondo intrapsichico sia coi fenomeni interpersonali
(familiari, sociali) ed i contesti in cui hanno luogo. In questo modo,
emozioni, pensieri e comportamenti si possono leggere in
un’ottica circolare, in cui quelli di ognuno sono in rapporto con
quelli degli altri, di cui sono causa e ne sono al tempo stesso causati.
Occorre valutare ogni fenomeno nella prospettiva dell’intero a
cui appartiene, che va considerato dotato di caratteristiche sue
proprie, un vero e proprio sistema con le sue regole (e non una
semplice somma di parti scomponibili).
I vari sistemi umani sono insiemi di unità interagenti tra loro e bisogna
cogliere l’importanza sempre fondamentale del contesto,
l’interdipendenza e interrelazione di tutti i fenomeni: la modificazione
di uno dei quali influenza gli altri. Con i pazienti, così come
in ogni situazione umana, può accadere che un fenomeno rimanga
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
118
per noi inspiegabile finché il nostro campo di osservazione non
diventi abbastanza ampio da includere tutto il contesto in cui il fenomeno
si verifica. Prive di contesto, le parole e le azioni non
hanno significato.
Inoltre, il concetto di “paziente”, secondo quest’ottica, si può estendere
all’intero sistema di relazioni familiari e sociali a cui egli
appartiene e l’unità di cura non è più il singolo individuo ma diviene
il suo intero sistema di relazioni - relazioni terapeutiche e coi
servizi comprese. In un’ottica multidimensionale, operatori di diversa
estrazione culturale e scientifica possono trovarsi a lavorare
assieme sullo stesso caso clinico, sviluppando abilità di negoziazione
e di cooperazione, utilizzando i diversi punti di vista e le diverse
“verità scientifiche” di cui sono depositari. Tutto ciò, come
stimolo ed opportunità insostituibili per indagare i fenomeni viventi
nella loro intrinseca complessità.
Ovviamente non è possibile che tutti gli operatori diventino terapeuti
esperti, ma occorre cominciare a costruire una nuova figura
di “operatore della salute”, che sia in grado di osservare, di ascoltare,
di sintonizzarsi con le proprie emozioni e con quelle degli
altri, di negoziare le scelte, di costruire metafore linguistiche, di
mescolare il linguaggio della scienza con quello delle emozioni, di
“complessizzare” ed umanizzare i luoghi di cura, portandovi dentro
anche la propria storia personale con i motivi che soggiacciono
alla proprie scelte professionali: in modo da attivare analoghe capacità
terapeutiche nei pazienti e nelle famiglie e di attivare le enormi
potenzialità di cambiamento che ogni sistema umano possiede.
L’approccio sistemico-relazionale-simbolico-esperienziale (Andolfi,
2003; Bertrando e Toffanetti, 2000; Bogliolo, 2008; Bruni e Defilippi,
2007; Gurman e Kniskern, 1991; Hoffman, 1981; Mitchell,
2000; Petrini e Zucconi, 2008; Telfener e Casadio, 2003; Togliatti
Malagoli e Telfener, 1991) permette il recupero di un approccio
olistico ai problemi, prestando attenzione sia al biologico sia
all’intrapsichico, così come ai fenomeni interpersonali e ai contesti
in cui essi hanno luogo. Mentre si effettuano terapie integrate (con
uso di farmaci, psicoterapia, interventi socio-riabilitativi), permette
di valutare ogni fenomeno nella prospettiva complessiva, tramite
concetti di sistema, organizzazione, autoregolazione, causalità cirVol.
I - 2009 Lavori Originali
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colare, equifinalità; tende a connettere progressivamente le molteplici
reti della vita comunitaria e restituisce ogni individuo alla
molteplicità di contesti cui appartiene e che continuamente contribuisce
ricorsivamente a costruire.
Nel caso della terapia di una famiglia, essa va considerata “come
se” fosse un sistema autocorrettivo, stabilmente collegato, tendente
all’omeostasi. Il sintomo del paziente, in questo modo, acquista
nuovi significati: non più solo disagio individuale, ma malessere
ricollegato a un’organizzazione disfunzionale del sistema nella sua
totalità, in cui il portatore del sintomo esprime, anche a nome degli
altri membri del sistema, le difficoltà legate alla crescita ed
all’evoluzione.
In generale, occorre lavorare sia sull’interazione (osservabile nel
“qui e ora”), sia sulla relazione (aspetto profondo sottostante, non
sempre osservabile, a cui l’individuo partecipa con le sue emozioni,
aspettative, motivazioni). Si lavora sulle storie transgenerazionali
e sul recupero del passato; sul ciclo vitale; sulle soggettività
individuali; sui miti e fantasmi familiari; usiamo il colloquio relazionale
ispirato al dialogo ed alla co-costruzione della relazione.
Nell’approccio sistemico vi è apertura verso altri paradigmi, quali
quelli cognitivo-costruttivisti, evolutivi, psicodinamici, neuroscienze,
modelli biologici e medici: tutti utilizzabili flessibilmente secondo
l’ottica della complessità.
L’osservatore fa parte del sistema osservato. L’osservatore non è
neutrale, non è esterno e l’osservazione non è a senso unico, bensì
è attività di scambio tra soggetti attivi, è un processo dinamico di
costruzione della realtà, tramite l’ interazione tra i livelli complessi
del sistema percettivo, emotivo e immaginativo dell’osservatore e
del sistema osservato. In questo processo, soggetto osservatore e
soggetto osservato si trasformano reciprocamente: aumentando la
flessibilità e complessità della organizzazione integrata dei reciproci
sistemi mente/cervello, come abbiamo visto prima.
Per poter indagare sulle relazioni interpersonali, l’osservatore deve
entrare a far parte della realtà che osserva con la sua persona e la
qualità delle informazioni che raccoglie dipende soprattutto dalla
natura del rapporto che si va stabilendo tra lui e chi viene osservato.
Punti qualificanti sono quelli di: considerare la relazione come ogRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
120
getto principale dell’osservazione; considerare ogni persona
all’interno dei rapporti più importanti per la sua crescita; avere
una struttura mentale e una visione del mondo che permettano di
stabilire nessi relazionali tra gli eventi e ricercare la complessità
della realtà attraverso continui confronti tra l’esperienza propria e
quella degli altri; osservare sia gli schemi relazionali della famiglia
sia il modo in cui i singoli percepiscono, spiegano, interpretano e
attribuiscono significato e intenzionalità ai rapporti interpersonali
in cui sono coinvolti; lavorare sia sull’interdipendenza degli stati
mentali dei singoli membri, sia sulle premesse comuni a tutto il
nucleo.
Un aspetto di fondamentale importanza è, inoltre, il processo narrativo:
le persone organizzano la loro esperienza su storie che rendono
il loro vissuto comprensibile e descrivono la loro evoluzione
nel tempo. Shafer (1981) afferma che le persone non raccontano
la propria storia da una posizione isolata: la storia è creata
dall’insieme individuo-famiglia ed è influenzata dalla cultura e
dell’ambiente. La narrativa è un processo attraverso cui definiamo
chi siamo e diamo forma al mondo in cui viviamo, costruendo la
nostra realtà, personale e familiare, nel contesto di una comunità
fatta da moltissimi altri: con i quali, appunto attraverso la narrazione,
noi organizziamo e riveliamo noi stessi.
Esattamente allo stesso modo, nella psicoterapia, attraverso la narrazione,
noi procediamo a modificare certi aspetti della rappresentazione
che gli individui e le famiglie fanno di loro stessi, o dei
problemi che portano: procedendo a elaborare vicende alternative
e nuove narrazioni che possono dare un altro senso alle loro scelte
e alla loro vita.
Un caso clinico di gioco d’azzardo patologico
Mario (come gli altri, nome di fantasia) si rivolge agli ambulatori
della Unità Funzionale Dipendenze Area Grossetana per un problema
di gioco d’azzardo patologico: gioca grosse somme alle slotmachine.
Ha 61 anni, è impiegato nel settore privato; è sposato
con Luisa, 55 anni, operaia. Hanno due figli: una femmina 30enne,
separata con un figlio e tornata, dopo la separazione, nella loro
Vol. I - 2009 Lavori Originali
121
casa; un maschio di 24 anni, che convive con una ragazza.
Mario gioca forti somme da circa 10 anni, 700-800 euro al mese.
Ancora prima, dice di aver giocato al Lotto con la madre (“Ma allora
giocavamo con moderazione”). Ha debiti con finanziarie. Attende
un prestito dal “Centro antiusura”. Ha perso da poco il lavoro.
Nel maggio 2008 viene alla prima visita da solo (l’accesso al Servizio
è diretto). Ho con lui un primo colloquio di circa 70 minuti. A
tutti gli incontri sarà sempre presente anche Sonia Cerulli,
l’educatrice del Servizio, che si interessa anch’essa di gioco
d’azzardo e che io utilizzo come co-terapeuta nelle sedute di terapia
familiare dove sono presenti pazienti che portano questo problema.
Le sedute avverranno con frequenza all’incirca mensile, della
durata di 70-80 minuti ciascuna. Previa firma di apposita liberatoria,
le sedute sono sempre videoriprese; rivedo personalmente
ogni registrazione prima della seduta successiva, annotando i punti
salienti.
Mario in occasione del primo incontro compila il test SOGS (South
Oaks Gambling Screen) ed ottiene 12 punti, risultato ampiamente
patologico (cut-off a 5 punti); gli consegno inoltre dei “compiti a
casa” (che vedremo dopo).
Gli prescrivo infine anche una farmacoterapia consistente in un
farmaco stabilizzante dell’umore (valproato) e antidepressivo SSRI
(citalopram): Mario aveva riferito di aver accusato “da sempre” oscillazioni
timiche e, negli ultimi mesi, umore moderatamente depresso.
Per il secondo incontro invito anche la moglie.
Seconda seduta
Vengono Mario e Luisa. Lui mi restituisce, compilati, i “compiti a
casa”. Gliene avevo dati due: innanzitutto “La passione del gioco”,
di Robert Lacedeur (2003), che consiste nel rappresentare, annerendo
l’interno d’un cerchio vuoto, il posto che il gioco occupa
nella vita del paziente. Mario ha lasciato una parte bianca centrale
che “rappresenta la parte migliore di sé, agli inizi della sua carriera
di giocatore”, e un cerchio nero esterno, che “rappresenta la negatività
e il declino del suo essere”; ancora più fuori, vede “molto limitatamente
una piccola frazione di recupero”.
Il secondo esercizio è “La carta di rete”, di Lia Sanicola e Sabrina
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
122
Bosio (in: Capitanucci D., Carlevaro T, 2004): permette la mappatura
del contesto in cui il paziente vive, con attenzione alla qualità
e quantità dei rapporti esistenti, sia nel nucleo familiare ristretto,
sia in quello allargato. Mario evidenzia il legame forte con i genitori
defunti, il medico di famiglia, il lavoro, i luoghi di gioco e bar
(“però, da 16 giorni repulsione!”); i rapporti conflittuali con moglie,
famiglia, amici; quelli ambivalenti con banche e istituti di credito;
annota: “La rete di accesso alla comunicabilità risulta prossima
alla negazione di apertura. Praticamente ho chiuso tutte le porte”.
Questi esercizi sono utili per “fare joining” ed iniziare a parlare
della storia del paziente.
La seconda seduta avviene nel giugno 2008, 20 giorni dopo la prima.
Le altre seguiranno a distanza di 30-50 giorni ciascuna, per un
totale di 7 incontri in 11 mesi, sinora (marzo 2009); tutte videoregistrate
(previa liberatoria scritta).
Assieme ai fogli dei due esercizi, Mario ne consegna anche un terzo,
che ha fatto di sua iniziativa con la sua storia personale.
Luisa siede accanto a lui. Appare molto rivendicativa e aggressiva.
Ho cura di stabilire con loro una relazione collaborativa e di evitare
atteggiamenti “simmetrici”; allo stesso tempo, ritengo fondamentale
dare voce alle emozioni che stanno passando nella stanza.
Le dico: “mi sembra che lei, mi scusi il termine, sia molto incavolata…”(
ho intenzionalmente usato un altro termine, più esplicito).
Me lo conferma… Lo attribuisce al gioco del marito, ma io intuisco
che possa essere una storia lontana e mi viene da dirle: “magari lei
da bambina aveva una sorellina maggiore di qualche anno che era
la primogenita e le rubava spazio, per cui è incavolata sin da allora…”.
Mi risponde, stupita, che è esattamente così.
Nella seduta (di oltre un’ora) lavoriamo su ciò che emerge, ridefiniamo
l’aggressività di Luisa come presente sin dalla sua storia con
la famiglia di origine (compresa la rabbia per la morte precoce della
sorella maggiore e dei genitori).
Lavoro inoltre sulla storia individuale scritta da lui, commentata
anche dalla moglie, che nel corso dell’ora riesce a diminuire
l’aggressività. Emerge un periodo felice, per lui, dal ‘93 al ‘98, nel
quale però viene fuori che Luisa non riuscì a rilassarsi e godersi
quegli anni. Ridefinisco questa come incapacità della moglie di
fermarsi rispetto al lavoro ininterrotto (a cui lei è legatissima).
Vol. I - 2009 Lavori Originali
123
Luisa nel corso della seduta diviene un po’ meno arrabbiata. Introduco
per l’estate l’idea di una vacanza in coppia. Confermo la
terapia farmacologica a Mario: valproato (“Depakin Chrono”) 500
mg. la sera, da controllare con valproatemia, e citalopram (20
mg/die). Come compiti a casa do’ loro quelli di preparare le foto di
famiglia e di portare in seduta i genogrammi, disegnati su un
grande foglio, delle loro famiglie di origine su almeno 3 generazioni
(nonni, genitori, i loro fratelli, loro due e i loro figli).
Punti importanti della psicoterapia: innanzitutto, la creazione del
legame terapeutico. La terapia inizia con l’incontro tra due sistemi,
terapeuta e famiglia, che fino ad allora non si conoscono. Fin dal
primo incontro tra questi due sistemi inizia la negoziazione della
relazione terapeutica, che viene costruita attraverso il “Joining”. La
parola deriva dall’inglese “to join” (unirsi, associarsi), la cui radice
è la stessa del “iugum” latino (il giogo che unisce due buoi a tirare
l’aratro). Si tratta di creare assieme un legame, innanzitutto emotivo;
di “associarsi” per dar vita al processo terapeutico. E questo
“associarsi”, come abbiamo visto, è già terapia! Occorre quindi che
il terapeuta proceda muovendosi tra le sue competenze, la sua
formazione di base e le risposte della famiglia alle sue iniziative;
che metta in azione quelle parti di sé che gli sembrano congrue
con quella famiglia, che conduca la terapia in adesione allo stile
della famiglia, promuovendo uno sviluppo compatibile: rispettando
le regole di quel sistema-famiglia, della sua organizzazione e dei
suoi tempi evolutivi. Occorre quindi affrontare il vissuto della famiglia
ed avere capacità di ascolto. Lavorare sullo spazio emozionale,
che consente di ottenere la chiave di accesso, il “passaggio
segreto” per entrare.
Sin dal primo incontro si introducono, poi, i temi che si svilupperanno
meglio in seguito: la ricostruzione delle storie transgenerazionali
(almeno 3 generazioni); il recupero del passato;
l’importanza del ciclo vitale di quella famiglia; il rilievo delle soggettività
individuali; l’esplorazione dei “miti” e dei fantasmi familiari;
il colloquio sempre ispirato al dialogo e alla co-costruzione
della relazione.
Terza e quarta seduta
Agosto e settembre 2008. Appaiono più sorridenti e distesi, siedoRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
124
no vicini. Mario ha ritrovato il lavoro (sin dalla terza seduta). Stanno
pagando i debiti con la finanziaria: “Un po’ per volta”, dice Luisa.
Non hanno fatto ferie: “Abbiamo lavorato e basta… per divertirci
attendiamo tempi migliori”. La ditta dove Mario è impiegato
ha avuto molte commesse e lui ha lavorato da mattina a sera, anche
dopocena.
Parlano a lungo dei figli: mi dicono che la prima, soprattutto, è
molto arrabbiata col padre (per il gioco d’azzardo). Raccontano le
loro storie, dai rapporti con le proprie famiglie di origine e da
quando i figli erano piccoli, fino al matrimonio e la separazione
della figlia. È importante raccontare assieme queste storie.
Sono due sedute simili a cui entrambi partecipano molto. All’inizio
è più attivo il marito, poi progressivamente si attiva la moglie e
Mario diviene più riflessivo.
Prosegue la terapia farmacologica (la valproatemia va bene, è nel
“range” terapeutico). Come “compiti a casa” ripeto quelli di andare
a mangiare una pizza assieme e fare meglio, su un grande cartoncino,
il genogramma. Dico anche che per le prossime volte potranno,
se vogliono, venire anche i due figli. La coppia appare, in
questa fase, migliorata.
Quinta seduta
Mario dice subito che ha avuto una ricaduta. Ha giocato nuovamente
con le slot machine; ha perso in tutto un centinaio di euro,
ripartiti in tre volte (ovviamente, non ha mai vinto). La moglie non
è molto arrabbiata, appare abbastanza disponibile anche se un po’
sarcastica.
Nella prima parte della seduta preferisco lavorare su aspetti cognitivi:
voglio tenere lì le emozioni (che sento che ci sono, e forti)
senza esasperarle. Parliamo di come funzionano le macchinette: su
100 euro, ad esempio, una parte va allo stato, una al gestore, una
al proprietario delle macchinette e una, infine al giocatore; diciamo
che ogni 100 euro giocati, 70 all’incirca tornano a chi gioca, 30
vanno agli altri. Quindi, più si gioca, più – per i grandi numeri – si
è sicuri di perdere…
Lui risponde che le slot machine attuali hanno il logo dei Monopoli
di Stato “gioco sicuro”. Commento che “gioco sicuro” significa
che è un gioco legale. Per il resto, si è “sicuri” di perdere. Spiego
Vol. I - 2009 Lavori Originali
125
che i messaggi sono ingannevoli: ad esempio, “vinci spesso, vinci
adesso”, mentre il principio del gioco è che è matematicamente
sicuro che chi gioca, riceve meno di quanto spende, e quindi sempre
perde, altrimenti nessuno metterebbe le macchinette. Per cui,
tutto quello che ci si può chiedere è: quanto voglio perdere?
E se non è per vincere, allora perché si gioca? Perché si prova una
grossa emozione. La paragono all’eccitazione sessuale, e quando si
vince al climax. Si fa l’amore con la macchinetta. Aggiungo: molto
meglio, per la moglie, che andare con un’altra donna!
Paragono i 100 euro spesi per provare forti emozioni giocando con
le slot ad altre forti emozioni, con vari sport, che costano circa 100
euro. Insomma, Mario paga le emozioni.
Mario è d’accordo, ma aggiunge che quella emozione è solitaria,
non sociale. Gli altri non sentono quel piacere che lui prova, lì davanti
alla macchinetta l’emozione è solo sua, che è egoista. Anche
fra giocatori ci si ignora (ma quando uno vince, c’è invidia).
Mario ammette che quando c’è la vincita e le monete cadono nel
vassoio, l’emozione è simile a un orgasmo sessuale. Luisa ascolta e
dice che lui queste cose non gliele ha mai dette.
Lui non gioca per vincere, ma per provare questa emozione. Racconta
dell’ultima volta che ha sbancato la macchinetta, 6 mesi fa.
In tutta questa seduta c’è un grosso lavoro sulle emozioni, fatto
con gradualità. La moglie ascolta interessata.
Aggiungo che il fatto che la macchinetta conceda la vincita (massimo
500 euro) di rado, aumenta il desiderio del giocatore (sempre
il paragone col sesso). Il giocatore è perfetta vittima della macchinetta:
è sempre eccitato al massimo, ma la vincita (il climax) capita
ben di rado. Propongo come “compito a casa” che la moglie lo accompagni
alle macchinette, giocando assieme a lui - al massimo 10
o 20 euro al mese (10 o 20 giocate) - al fine di capire le emozioni
che prova il marito.
Vogliamo vedere se loro, come coppia, fanno questo lavoro. Il
compito a casa è che Luisa capisca bene cosa prova Mario giocando.
Mario deve spiegare a Luisa le emozioni che prova.
Mario dice che ci sono molte coppie che giocano assieme. Luisa
dice che avrebbe preferito che lui fosse andato da una prostituta:
avrebbe potuto affrontarla, mentre non può affrontare una macchinetta…
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
126
Mario mi chiede perché lo ha sempre nascosto a Luisa; io e Sonia
rispondiamo a una voce che è proprio come con le prostitute: il
gusto del proibito.
Il grande foglio del genogramma non è ancora completato, mancano
alcune date, Mario ci lavorerà ancora e lo vedremo la prossima
volta quando sarà completo.
Prescrivo anche di andare a mangiare la “famosa” pizza ogni 15
giorni, ma Mario dice che invece sono andati a scuola di ballo latinoamericano.
Luisa annuisce un po’ complice, dice che “il ballo
aiuta la coppia”.
Chiedo se hanno fatto sogni. Mario ha sognato che una figlia di loro
conoscenti ha fatto l’amore con lui. Aveva appena avuto una
prima ricaduta nel gioco. Confermo quello detto prima: come il
gioco sia simile, per lui, a un rapporto sessuale. Dico a Luisa che
deve fare i conti con questa prostituta. Vediamo che emozioni le
da’, se vanno a giocare assieme: ne parliamo la prossima volta.
Vediamo se viene qualche sogno anche a lei.
Prosegue la farmacoterapia.
Sesta seduta
Sono più tranquilli, siedono vicini, con posture simili. Entrambi
abbastanza sorridenti, si alternano nel raccontare.
Non sono più andati a scuola di ballo perché la coppia che li accompagnava
ha smesso di andare e per adesso loro non hanno la
macchina (stanno facendo sacrifici per pagare i debiti).
Parliamo della passione che lui ha riguardo al mangiare, e tranquillamente
mi confessa che ha l’abitudine di associare ai pasti una
buona dose di vino, mi chiede se fa male, visti anche i farmaci che
prende. Spiego loro la reale tossicità dell’alcol e del vino anche a
basse dosi e del modesto effetto protettivo di quantità moderate di
vino ai pasti esclusivamente se si consumano cibi a base di carne e
grassi (effetto antiossidante). Parliamo delle varie dipendenze, tra
cui quella da fumo di tabacco che hanno tutti e due (specie Luisa).
Sui “punti deboli” che ognuno vede nell’altro, si rimproverano a
vicenda. Li invito a parlarsi e ascoltarsi di più, per cercare di immedesimarsi
e capirsi l’un l’altra. Come per lei non è facile smettere
di fumare, per lui non è facile smettere di bere vino, in quantità,
ai pasti.
Vol. I - 2009 Lavori Originali
127
Luisa racconta di come siano andati alla sala giochi, ma appena entrati
lei è rimasta stordita dalle luci, dalla musica e da tutta la gente
che giocava, ha provato una forte vergogna ed è voluta subito uscire.
Lui in questo mese non ha più giocato.
Mario definisce Luisa molto più forte e decisa di lui, e definisce la
sua reazione di rifiuto una “risposta dura a ciò che a me ha provocato
un danno”. Commento che gli ha fatto sempre da mamma. Lei
spiega che quando si fidanzarono, lei era più matura e “siccome lui
non aveva polso, il polso lo ha preso lei”. Mi racconta ad esempio
di quando, da sposati, andarono a vivere in case della madre di lui:
ma quando questa divenne troppo invadente, lei se ne andò e si
portò lui con sé; fecero sacrifici ma vissero indipendenti.
Andando avanti col racconto, arriviamo a quello che fu definito da
lui un periodo molto bello (dal 1993 al 1998). Domando cosa poteva
essere successo perché, proprio alla fine di quel periodo, lui
cominciasse a giocare in modo sempre più forte. Mario mi racconta
di come, a un certo punto, avesse cambiato lavoro, accettando
l’offerta di una nuova ditta che gli prometteva maggiori entrate: ma
la cosa non andò bene e si trovò a confrontarsi con un peggioramento
lavorativo. Disponendo di somme di denaro contante, si
mise a usarle per giocare al lotto: scattò una molla che lo fece giocare
sempre di più (specialmente dopo la morte della madre, che
giocava regolarmente al lotto, ma somme modeste). Ripetiamo il
lavoro cognitivo sul “gioco sicuro”: chi lo fa, è “sicuro di perdere”
se gioca regolarmente. Non è per la vincita che lui gioca, ma per le
emozioni che prova giocando.
Li invito perciò a riprovare a giocare assieme: per capire che emozioni
lui prova, che piacere ne ha. Ripeto: al massimo 20 euro in
tutto il mese, meno di una sera in pizzeria.
Visto che parliamo di piaceri, Luisa torna a parlare del ballo, che le
piacerebbe “ma lui non ce la porta”; li consiglio di riprovare a una
scuola di ballo più vicina a casa, dove possono andare anche a
piedi.
Alla fine della seduta sono sorridenti e complici; si ammiccano
spesso tra loro, dall’iniziale posizione reciprocamente critica, adesso
sono passati a farsi complimenti; lui le dice apertamente
che, anche così aggressiva, la moglie gli piace molto; lei è partecipe
e sorridente. Si capisce che non sono abituati a parlarsi l’un
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
128
l’altra di ciò che provano dentro di loro.
Chiedo se hanno fatto dei sogni, Luisa mi dice che ricorda una
scarpa rossa (che le piace, e che lei associa alla trasgressione) e poi
delle lacrime. Non ricorda altro. Mario associa alle lacrime della
moglie un dolce che lei ha fatto di recente e che faceva anche assieme
alla madre di lei, morta da tempo.
Lui dice di sentirsi bene, più lucido di prima. Lo invito a controllare
il vino che beve ai pasti, magari possono vedere se per qualche
giorno riescono ad esser del tutto astemi assieme…
Tra i punti principali della terapia, un importante lavoro sulle emozioni,
talora anche con uso di metafore e cercando la sintonia
con tutti e due i membri della coppia. Fondamentale il “dare voce
alle emozioni negate”: nel tempo giusto, nei modi accettabili, ma
esprimerle apertamente, dare voce anche a quelle più difficili; da
ciò, sempre e comunque, la coppia trae beneficio.
Inoltre: saper dare vita a un movimento oscillante tra la vicinanza
alla famiglia e una posizione di guida responsabile, movimento che
permette al terapeuta di favorire l’evoluzione del sistema familiare.
Costruire ipotesi assieme alla famiglia (quelle non accettate dalla
famiglia vanno scartate) e costruire via via una “mappa” della famiglia
dentro di sé. Saper usare il linguaggio metaforico: strumento
per comunicare idee quando la loro espressione diretta sarebbe
inaccettabile, così come per operare ridefinizioni, prescrizioni, lavorare
sui miti familiari. Usare domande circolari: quando si chiede
a qualcuno di descrivere la posizione di altri. Lavorare sulle appartenenze
e sui miti familiari.
Utilizzare la ridefinizione: proponendo una lettura della realtà
plausibile ma diversa da quella che viene proposta…
Ed usare le prescrizioni: dando “compiti a casa” a tutti o ad alcuni
membri della famiglia. Tra essi, riveste un ruolo particolare la cosiddetta
“prescrizione del sintomo”: quando si ingiunge, in modo
ovviamente accettabile, di agire volontariamente i comportamenti
già in atto e portati come problema.
Settima seduta
L’ultima (sino adesso). Mi dicono subito che non hanno fatto la
“scelta salutista”, anche se hanno ridotto un poco le sigarette ed il
vino ai pasti. Tuttavia, proprio perché incompatibile col vino ai paVol.
I - 2009 Lavori Originali
129
sti, Mario da più di un mese ha smesso la terapia farmacologica.
Afferma tuttavia che si sente bene. Tranquillamente, aggiunge che
lui non ha più giocato.
Mi spiegano che Luisa tiene strettamente sotto controllo il denaro
e lascia a Mario solo i soldi necessari per la giornata, così lui non
può più giocare. Mario ne è contento: si sente aiutato e quando è
in compagnia di lei non ha alcuna voglia di giocare. Commento
che hanno praticamente risolto il problema: “è come se lei fosse
dipendente da Luisa”, e di questa cosa sono contenti entrambi. “Se
sua moglie riesce a contrastare le emozioni del gioco e a lei va bene,
siete a posto”. Mario dice che “fino ad oggi si è sentito supercontrollato”
e gli piace; sa inoltre che dalla moglie potrebbe venirgli
anche, poi, la “cosiddetta ombrellata”; infine, ne hanno parlato
un po’ di più con i figli: per cui alla fine lui si è tranquillamente
astenuto dal giocare. L’atmosfera di coppia è apparentemente più
paritaria e collaborativa.
Finalmente hanno completato il genogramma, su un grande cartoncino,
e nella seconda parte della seduta lo stendiamo su una
lavagna e cominciamo a parlare delle storie delle generazioni. Storie
che rivedremo nelle prossime sedute, cercando sia quelle configurazioni
che tendono a ripetersi, sia quelle risorse che permettano
percorsi evolutivi e scelte alternative. A tal fine, per la prossima
seduta provo a invitare, con un breve messaggio scritto, anche i
due figli.
Conclusione
Ho cercato di presentare il lavoro che sto effettuando, presso il
SerT di cui sono responsabile, con una famiglia con problemi di
gioco d’azzardo patologico. Attualmente sto vedendo sette famiglie
con GAP. Poiché continuano ad arrivare richieste e le mie disponibilità
ad effettuare terapie familiari singole si stanno saturando, sto
valutando la possibilità di dar vita anche a specifici gruppi multifamiliari,
ma quest’ultimo argomento trascende la presente trattazione.
Vorrei chiarire che non esiste un unico modo di lavorare col gioco
d’azzardo e che ogni individuo, ogni famiglia ed anche ogni teraRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
130
peuta sono sicuramente diversi tra loro.
Penso tuttavia che ci siano alcuni principi metodologici che meritino
di essere sottolineati e ripetuti.
Innanzitutto quello per cui occorre lavorare con la persona considerandola
sempre all’interno dei suoi rapporti. Sappiamo bene
come molti autori ritengano che la singola mente neppure possa
esistere e che la psiche individuale sia un caso particolare che emerge
nel contesto del “pensare collettivo” del gruppo di riferimento,
eppure non di rado nei nostri Servizi continuiamo a vedere
le persone “da sole”, escludendo la loro famiglia, il loro gruppo, la
loro rete sociale; spesso colpevolizziamo i genitori per i figli (o viceversa?),
ma in ogni caso non vediamo e non trattiamo il loro intero
sistema, magari nemmeno vogliamo provare a conoscere queste
loro relazioni privilegiate perché riteniamo più idonea e migliore
una specie di “relazione esclusiva” con noi, per poi puntualmente
lamentarci del fatto che i nostri utenti ci restano “in
carico” per anni o decenni, dando vita a “terapie interminabili”
prive di capacità evolutive!
Dobbiamo invece imparare a mantenere sempre una posizione che
permetta di stabilire nessi relazionali tra gli eventi. A ricercare la
complessità del reale attraverso continui confronti tra l’esperienza
nostra e quella degli altri, utilizzando consapevolmente noi stessi
per entrare a far parte della realtà che osserviamo.
Dobbiamo saper introdurre sempre modificazioni alle spiegazioni
lineari che ci vengono riportate, “rovesciando l’imbuto” da uno
sguardo concentrato sui sintomi del singolo paziente ad una visione
allargata alla situazione relazionale più ampia, potendo in tal
modo comprendere le parole e i comportamenti sotto una nuova
luce, che colleghi i vari elementi del sistema: personali, familiari e
sociali.
In questo modo, nel procedere dei momenti di terapia, è possibile
costruire tutti insieme una narrazione, condividendone via via i significati,
all’interno dei quali vengano comprese anche le varie esperienze
individuali: permettendo lo sviluppo delle posizioni delle
singole persone e contemporaneamente del sistema nel suo
complesso (che sia sistema terapeutico, sistema familiare, sistema
della rete sociale).
La terapia è in atto. Non è compito del terapeuta stabilire dove
Vol. I - 2009 Lavori Originali
131
possa giungere il nostro paziente o la sua famiglia. Il vero cambiamento
non è mai “vedibile prima”.
Tuttavia è possibile decidere ed anche prevedere come effettuare
terapia: curare all’interfaccia relazionale; essere presenti nel qui-eora
lavorando sulla complessità che abbiamo davanti; ampliare le
possibilità di scelta delle persone; rendere sempre gli altri protagonisti
del proprio cambiamento, per costruire realtà nuove che
emergano da modelli interni alle menti dei partecipanti, affinché
possano ripartire nei loro modi e con le loro forze da momenti del
ciclo vitale in cui si sono bloccati: allo scopo di riprendere quello
che è il corso normale della nostra esistenza ed ottenere ciò che si
può chiamare, in modo autentico, “miglioramento” o “guarigione”.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
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Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
134
Ugo Corrieri
TERAPIA INTEGRATA DEL GIOCO D’AZZARDO PATOLOGICO
Parole chiave: gioco d’azzardo, gioco d’azzardo patologico, psicoterapia,
neuroscienze, addiction, SerT, terapia familiare, caso clinico, approccio
sistemico-relazionale simbolico-esperienziale.
RIASSUNTO
Il gioco d’azzardo è praticato oggi da oltre 30 milioni di italiani; costituisce
la 5° industria del Paese, con 46,5 miliardi di Euro spesi nel 2008. Il
gioco d’azzardo patologico colpisce, come patologia da dipendenza, circa
2 milioni di persone in Italia. L’autore presenta la psicologia del gioco
d’azzardo, gli elementi di pensiero magico che ne fanno parte, la teoria
del “sensation-seeking”, il passaggio al gioco d’azzardo patologico, i fenomeni
di addiction ed i costi sociali. L’autore presenta inoltre una dettagliata
spiegazione neurobiologica della psicoterapia relazionale e dei meccanismi
interpersonali di crescita e cambiamento, evidenziando come le
menti di più individui interagiscono tra loro in una complessa interdipendenza
biologica dei loro mondi interni e sociali. L’Autore introduce quindi
l’approccio sistemico-relazionale simbolico-esperienziale e riassume una
terapia familiare di un caso di gioco d’azzardo patologico, evidenziando
come sia fondamentale lavorare con le risorse delle persone e dei loro sistemi
familiari e sociali.
Vol. I - 2009 Lavori Originali
135
Ugo Corrieri
INTEGRATED THERAPY OF PATHOLOGICAL GAMBLING
Key words: gambling, pathological gambling, psychotherapy, neuroscience,
addiction, SerT, family therapy, single-case report, systemic-relational
symbolic-experiential approach.
SUMMARY
Gambling is nowadays practiced by over 30 million Italians and is the 5th
industry of the Country, with 46.5 billion Euros spent in 2008. Pathological
gambling is also affecting in Italy, as addiction disease, approximately 2
million people. The author presents the psychology of gambling, the elements
of magical thought that are part of it, the theory of “sensationseeking”,
the transition to pathological gambling, the phenomena of addiction
and their social costs. The author also presents a detailed neurobiological
explanation of relational psychotherapy and interpersonal mechanisms
of growth and change, emphasizing how the minds of most
people interact with each other in a complex biological interdependence
of their internal and social worlds. The author then introduces the systemic-
relational symbolic-experiential approach and finally summarizes a
family therapy of a case of pathological gambling, highlighting how it is
essential to work with the resources of individuals and their family and
social systems.
L’Autore
Dr. Ugo Corrieri
medico psichiatra psicoterapeuta, Docente S.M.I.P.I.
Responsabile U.F. Dipendenze Area Grossetana, AUSL 9 di Grosseto
Via Monte Labro 5/M 58100 Grosseto
Tel: 328 2886452 - Email: ugocorrieri@alice.it
Vol. I - 2009 Lavori Originali
137
Maria Chiara Forcella, Lucia Claudia Bergamo,
Alessia Bastianelli, Guido D’Acuti, Theocraris Asouchidis,
Giulio Vidotto
SENSI, SESSUALITÀ E SOSTANZE PSICOATTIVE
RICERCA SVOLTA PRESSO I SER.T
DI PADOVA E SALONICCO
Parole chiave: droghe, dipendenza, prevenzione, malattie sessuali,
malattie psichiatriche.
Premessa
Le neuroscienze studiano la biochimica, la fisiologia e l’anatomia
delle attività cognitive, delle emozioni, delle basi del comportamento
che sono attività del cervello sostenute da sostanze chimiche:
i neurotrasmettitori.
Vie e sistemi neurotrasmettitoriali coinvolti nella dipendenza sono
analoghi a quelli coinvolti nel comportamento motorio connesso
con la consumazione dell’oggetto del desiderio: cibo, sesso, droga.
Alcuni recenti studi hanno osservato una analogia neurotrasmettitoriale
tra disturbo ossessivo compulsivo e innamoramento e tra i
sintomi presentati durante una sindrome da astinenza (ad esempio
da cocaina e amfetamina) e l’interruzione di un rapporto amoroso.
Una caratteristica dell’innamoramento è il credere che questo stato
emotivo non sia di altri, ma personale e unico al mondo.
L’innamoramento è determinato da una miscela di meccanismi
biologici, ambientali e dalle condizioni culturali.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
138
Durante l’attrazione sono presenti emozioni quali l’euforia,
l’esaltazione, il desiderio, la speranza, la paura di perdere l’oggetto
d’amore, la gelosia, e manifestazioni neurovegetative come pallore,
rossore, sudorazione, tachicardia.
Alla base del desiderio c’è una organizzazione neurologica complessa
che prevede l’attivazione di aree cerebrali quali il centro del
piacere, del dolore, i sistemi di immagazzinamento e recupero della
memoria.
Fisiologia dell’orgasmo
Il desiderio sessuale, o libido, è una pulsione, un appetito, una
sensazione particolare che spinge l’individuo a ricercare o rendersi
disponibile alle esperienze sessuali, ed è legato all’attivazione di
uno specifico aggregato di neuroni situato nel cervello.
Il desiderio sessuale è fondamentalmente simile alle altre pulsioni,
in quanto dipende dall’attività di alcuni centri attivatori, bilanciati
da altri centri inibitori e viene regolato da due specifici sistemi
neurotrasmettitori, uno di eccitazione e uno di inibizione.
Nel cervello sia i centri dell’inibizione che quelli dell’attivazione
sono stati identificati nel sistema limbico, nell’ipotalamo e nella
regione preottica.
Il sistema limbico contiene i circuiti neurologici che generano ed
equilibrano le motivazione e le emozioni.
Esiste un delicato equilibrio tra sistema ormonale e sistema neurotrasmettitoriale
(dopamina e aminoacidi eccitatori e inibitori) che
rende la fase del desiderio sessuale suscettibile ad essere influenzata
da variabili biologiche, dal tipo di personalità, dalle motivazioni,
dall’esperienza personale e dal contesto storico ambientale.
In stretta prossimità di essi, sono stati identificati dei centri di avversione
(eversive center), così denominati perché, se stimolati elettricamente,
inducono negli animali un comportamento di evitamento
o di fuga.
La stimolazione del sistema limbico (McLean 1976), cioè della regione
preottica, l’ipotalamo laterale, il tegmento e la parte anteriore
del giro cingolato, provoca l’erezione e l’eiaculazione, che diminuiscono
sino ad essere assenti per stimolazione
Vol. I - 2009 Lavori Originali
139
dell’ippocampo, fornice, giro cingolato posteriore, corpi mammillari,
nucleo caudato, ansa lenticolare e area genitale del giro postero-
centrale.
Recettori per gli androgeni, l’estradiolo e il progesterone sono stati
trovati in grande numero nell’area mediale preottica (MPOA) e
nel nucleo ventromediale (VMN ventromedial hypothalamic nucleus)
dell’ipotalamo. L’ipotalamo controlla l’equilibrio interno del
nostro organismo quindi l’attività endocrina, la reazione allo
stress, la fame, la sete, il sistema immunitario, la diuresi, in parte il
risveglio e il sonno, i processi di modulazione e sedazione, le emozioni.
Nell’ipotalamo vi sono gruppi di neuroni che producono la dopamina.
Stimolando questi nuclei si ottiene una sensazione intensa di piacere.
I centri del piacere sono sensibili alle endorfine.
Con le tecniche di microdialisi è stato possibile dimostrare il rilascio
di dopamina nell’animale di laboratorio durante il comportamento
sessuale.
Durante la fase iniziale del comportamento sessuale aumenta il rilascio
di dopamina dal nucleo accumbens. Tale rilascio si mantiene
durante tutta la fase consumatoria sino all’eiaculazione.
Successivamente quando l’animale è esausto si riscontra un calo
della dopamina che ritorna a livelli basali. Se viene offerta un’altra
femmina il livello di dopamina sale nuovamente. Nell’animale da
esperimento sono state identificate numerose aree cerebrali,
l’ippocampo, l’oblangata, il midollo spinale contenti ossitocina
(aminoacido eccitatorio) che se attivate inducono la risposta erettile.
Nelle femmine l’attrazione e la recettività sessuale dipendono
dagli estrogeni: l’azione di questi ormoni a livello centrale, cioè sul
cervello, le rende ricettive mentre l’azione a livello periferico le
rende attraenti. In particolare gli estrogeni fanno in modo che le
cellule vaginali producano ferormoni, sostanze volatili che stimolano
il desiderio sessuale nel maschio.
I ritmi sessuali biologici, nella nostra specie, vengono probabilmente
mediati dagli ormoni che influenzano i centri cerebrali del
sesso in tutti i mammiferi.
Il testosterone in entrambi i sessi è l’ormone della libido. Si ipotizza
che gli ormoni sessuali, il testosterone e, forse, anche il fattore
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
140
LH-RH, influenzino il comportamento sessuale tramite
l’interazione con i neurotrasmettitori.
I Centri del midollo spinale regolano il funzionamento genitale:
uno stimolo proveniente dai centri superiori può influenzare i riflessi
genitali aumentando o diminuendo la soglia di attivazione.
In fase di eccitazione si osserva l’attivazione spinale dei centri T11,
T12, L1, S2, S3, S4 con vasodilatazione dei vasi sanguigni che irrorano
i genitali.
Il sistema parasimpatico regola le funzioni periferiche.
L’ossitocina, invece, attiva il nucleo paraventricolare ipotalamico
implicato nell’erezione.
L’ossido nitrico è un neurotrasmettitore che agisce sia a livello centrale
che sui corpi cavernosi del pene.
Il GABA aminoacido presente nel sistema nervoso centrale svolge
un ruolo inibitorio sull’ossitocina e sull’ossido nitrico. I centri spinali
sono in stretta connessione con quelli corticali (percezione,
movimento, piacere) ed è attraverso questa connessione che agisce
l’inibizione dell’orgasmo derivata dall’apprendimento, mentre
l’erezione è un riflesso involontario.
Neurotrasmettitori e sessualità
Sistema colinergico
Esistono alcune prove in base a cui tale sistema di neurotrasmissione
potrebbe essere implicato nel funzionamento sessuale in
quanto nell’uomo alcuni agenti psicotropi, (ad esempio antidepressivi
triciclici), producono disturbi dell’erezione e inibizione
orgasmica.
Sistema dopaminergico
Tale sistema è diffusamente distribuito per tutto il sistema nervoso
centrale (SNC) e anche in organi periferici, come la pelvi, il pene e
i vasi deferenti.
La stimolazione dopaminergica della porzione ventrale dello striato
produrrebbe un aumento del desiderio sessuale, mentre lo
striato dorsale controllerebbe il processo della penetrazione e
dell’eiaculazione. Secondo questo punto di vista, la dopamina
Vol. I - 2009 Lavori Originali
141
(DA) potrebbe essere un trasmettitore coinvolto sia nella fase del
desiderio sia in quella dell’eccitamento e dell’orgasmo.
L’importanza della trasmissione dopaminergica nell’attività sessuale
è dimostrata anche dall’azione della bromocriptina e della apomorfina,
due agonisti dopaminergici che stimolano direttamente i
recettori dopaminergici.
Al contrario, è noto che le sostanze bloccanti i recettori dopaminergici,
come alcuni farmaci antipsicotici, inducono perdita della
libido e interferiscono con la funzione erettile, oltre a inibire
l’eiaculazione.
Sistema noradrenergico
È noto che la somministrazione di antidepressivi triciclici del tipo
“noradrenergico” (come la desipramina e la nortriptilina) produce
inibizione del desiderio, disfunzione dell’erezione e anorgasmia.
Di conseguenza, si potrebbe ipotizzare che una minore operatività
noradrenergica sia connessa a disfunzione sessuale, anche se non
è chiaro se i problemi sessuali nei depressi trattati con tali farmaci
siano da imputare alla condizione patologica stessa o all’agente terapeutico
impiegato.
Sistema serotoninergico
Sembra che l’azione serotoninergica possa esercitare sulla sessualità
effetti sia inibitori sia stimolatori ma i precisi meccanismi di questi
non sono stati ancora chiariti.
Riassumendo Schematicamente:
Dopamina recettore DI e D2 facilita
Noradrenalina recettore alfa e alfa2 inibisce
Serotonina recettore 5HT-1° facilita/inibisce
recettore 5HT-1C facilita
recettore 5HT-2 inibisce/facilita
Acetilcolina facilita
ACTH facilita
C.R.F. inibisce
GABA inibisce
Ossitocina facilita
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
142
Ormoni e sessualità
Esistono due principali tipi di ormoni: gli ormoni steroidei (per
esempio estradiolo e testosterone) e quelli proteici (per esempio
le gonadotropine e la prolattina).
Il sistema ormonale più importante rispetto alla riproduzione e al
comportamento sessuale è quello ipofisi anteriore - gonadi.
Il sistema composto dall’adenoipofisi o ipofisi anteriore e dalle
gonadi produce ormoni di tre tipi: quelli innescati da fattori liberati
dall’ipotalamo, le gonadotropine e gli steroidi.
(Esiste, però, anche il sistema ipofisi anteriore -corteccia surrenale
e il sistema incentrato sull’ipofisi posteriore o neuro-ipofisi. L’asse
ipofisi anteriore -corteccia surrenale è coinvolto in funzioni diverse
rispetto a quelle riproduttive e sessuali; la corteccia surrenale produce
una parte degli ormoni steroidei correlati anche con la risposta
allo stress).
La neuroipofisi libera due ormoni peptidici: la vasopressina (ormone
antidiuretico o adiuretina) e l’ossitocina. Entrambi questi
ormoni non sono secreti dall’ipotalamo (nuclei paraventricolare e
sopraottico) e, quindi, migrano lungo il nervo sopraotticoipofisario
fino all’ipofisi posteriore, dove vengono immagazzinati,
legati a una proteina specifica e quindi liberati nel sangue quando
necessario. La vasopressina non ha funzioni sulla sfera sessuale ma
inibisce la diuresi ed ha azione vasocostrittrice.
L’ossitocina, invece, oltre a mantenere la produzione del latte nella
donna che allatta (dietro stimolo della suzione) facilita le contrazioni
dell’utero durante il parto.
Recentemente molti autori si sono concentrati anche sull’azione
che gli ormoni sessuali hanno sul tono dell’umore e come anche le
alterazioni del tono dell’umore abbiano implicazioni sull’attività
sessuale. Particolarmente interessanti sono i risultati riguardanti la
correlazione tra depressione estrogeni e serotonina e attività sessuale.
Gli estrogeni infatti aumentano la degradazione delle monoamino
ossidasi diminuendo così la quota di serotonina che viene
metabolizzata e la concentrazione di triptofano libero (Warnock et
al., 1998) con ribilanciamento del rapporto serotonina dopamina e
attività sessuale.
Vol. I - 2009 Lavori Originali
143
Ossitocina e risposta sessuale
Questo ormone può svolgere un ruolo nella vasocongestione associata
all’eccitamento sessuale, inducendo inoltre contrazioni muscolari
nell’area genito-pelvica durante l’orgasmo. A livello centrale
l’ossitocina può fungere da modulatore, influenzando i neuroni
cerebrali responsabili delle sensazioni cognitive dell’orgasmo e/o
sensibilizzare i neuroni cerebrali associati alle contrazioni dei muscoli
striati del pavimento pelvico.
Fattori ipotalamici e ormoni ipofisari
Tali ormoni vengono prodotti dietro stimolazione dell’ipotalamo,
che secerne e invia all’ipofisi, attraverso i vasi sanguigni del sistema
portale ipofisario, due fattori ormonali di controllo: l’LHRH (luteinising
hormone-releasing, fattore ipotalamico liberante l’ormone
luteneizzante) e il PIF (prolactin-inhibiting factor, fattore inibente
la prolattina), l’ FSH.
L’LHRH è un ormone polipeptidico a catena corta, prodotto
dall’area ventromediale e anteromediale dell’ipotalamo, che stimola
le cellule basofile dell’ipofisi anteriore a produrre l’ormone luteinizzante
(LH, luteinising hormone).
Sono presenti recettori per l’LHRH nelle ovaie e nei testicoli.
Il PIF è una sostanza dopaminergica con effetto inibitorio sulle cellule
acidofile dell’ipofisi anteriore, pertanto di interruzione della
produzione della prolattina.
Gonadotropine
Abbiamo visto che l’LH, l’FSH e la prolattina sono i tre principali
ormoni ipofisari di tipo gonadotropinico la cui produzione è innescata
e regolata da fattori ipotalamici.
L’LH presenta tre effetti specifici: incrementa il flusso sanguigno
alle ovaie o ai testicoli e quindi aumenta la fornitura di sostanze
necessarie alla sintesi degli ormoni steroidei. In secondo luogo,
promuove la sintesi degli steroidi dalle gonadi, fondamentalmente
stimolando la trasformazione del colesterolo in pregnenolone e,
nelle femmine, in progesterone. Nel maschio, tale stimolazione induce
le cellule interstiziali o di Leydig dei testicoli a produrre testosterone.
Nella femmina l’LH induce l’ovulazione in un follicolo
che è stato attivato dall’FSH.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
144
L’FSH nella femmina stimola la crescita e la maturazione follicolare,
mentre nel maschio induce la crescita dei tubuli seminiferi e
facilita gli stadi iniziali della spermatogenesi.
La prolattina, come chiaramente indica il suo nome, nella donna
stimola la crescita e l’attività del sistema secretore del latte nelle
ghiandole mammarie; probabilmente ha anche altri effetti. Sembra
che specifici livelli di essa siano necessari per la normale sintesi
steroidea nell’ovaia, mentre un loro eccesso produce inibizione
della funzione ovarica e testicolare. Nel maschio la funzione della
prolattina è ancora oscura, sebbene sia noto che elevati livelli di
essa siano di solito associati a un’alterazione negativa del funzionamento
sessuale.
Prolattina e risposta sessuale
Nel maschio l’aumento della secrezione di prolattina è stato associato
a disfunzionamento sessuale, soprattutto al calo del desiderio
sessuale e ai disturbi dell’erezione (Bouloux e Grossman, 1987),
sebbene altri studi abbiano rilevato anche incompetenza eiaculatoria,
riduzione del volume dell’eiaculato, ginecomastia, galattorrea,
cefalea e disturbi del campo visivo (Schwartz e coll., 1982).
Anche nella donna alti livelli di prolattina inducano alterazione
nella libido. Lundberg e coll. (1986) notarono un significativo calo
del desiderio sessuale nel 68% di donne con disturbi ipotalamoipofisari
morfologicamente verificati, di cui l’84% presentava iperprolattinemia;
al contrario solo un terzo delle donne con normali
livelli di prolattina nel siero si lamentavano di una ridotta o assente
libido.
Ormoni steroidei
Gli androgeni svolgono un ruolo fondamentale nella differenziazione
sessuale nelle prime fasi ontogenetiche. Il loro aumento nel
corso della pubertà produce nei maschi il definitivo sviluppo delle
caratteristiche sessuali primarie e secondarie: l’ingrossamento del
pene, dello scroto, dei testicoli, oltre alla maggiore sensibilità di
questi tessuti alla stimolazione tattile; la distribuzione pilifera maschile
(che si esprime completamente solo nella vita adulta); le
modificazioni della laringe con relativo abbassamento della tonalità
della voce; l’attivazione delle ghiandole sudoripare e sebacee
Vol. I - 2009 Lavori Originali
145
(con la conseguente acne, tanto diffusa in pubertà); l’incremento
della massa muscolare e la crescita ossea. Va ricordato che
l’improvviso scatto di crescita adolescenziale dipende dai livelli più
bassi di testosterone tipici della pubertà; quando essi si elevano
considerevolmente nella pubertà ormai inoltrata, si produce la
chiusura delle epifisi ossee e la crescita si interrompe.
Nel maschio ormai maturo il testosterone è indispensabile per la
spermatogenesi e l’attività secretoria della prostata e delle vescicole
seminali.
Nella donna le funzioni svolte dagli androgeni sono meno chiare.
Senza dubbio intervengono nella crescita pilifera e nell’attività delle
ghiandole sebacee; probabilmente devono essere presenti in
una determinata qualità per un adeguato sviluppo dei genitali esterni
(specie delle grandi labbra e del clitoride, che sono gli omologhi
di scroto e pene) in quanto la somministrazione di androgeni
esogeni può produrre l’ingrossamento del clitoride e un aumento
della sua sensibilità. Gli androgeni possono anche contribuire alla
saldatura delle epifisi ossee ma, senza dubbio, a livelli molto più
bassi che nei maschi. Il progesterone ha una funzione essenziale
nella gravidanza. Nella donna non gravida viene secreto soprattutto
dal corpo luteo; opera sul tessuto mammario, attivato dagli estrogeni,
per innescare la crescita degli alveoli e quindi la successiva
produzione del latte; per quanto riguarda invece l’endometrio il
progesterone è responsabile del suo passaggio alla fase secretoria,
dopo che questo ha attraversato la fase proliferativa indotta dagli
estrogeni nella prima metà del ciclo mestruale.
Infine consideriamo il ruolo svolto dagli estrogeni. Nella ragazza
pubere, essi inducono l’ingrossamento delle mammelle, la crescita
dell’utero e delle tube di Falloppio, della vagina e della vulva: sono
anche responsabili dello scatto di crescita. Influenzano probabilmente
la crescita pilifera pubica e ascellare. Sono inoltre necessari
per il loro effetto sull’epitelio vaginale durante la risposta sessuale:
sono infatti legati alla produzione del trasudato vaginale che segue
alla stimolazione erotica e che funge da lubrificante; stimolano anche
l’endometrio alla proliferazione e indirettamente provocano
l’ovulazione.
Meno chiare sono le loro funzioni nel maschio. Probabilmente sono
legati al leggero transitorio ingrossamento dei seni che talora si
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
146
verifica nella pubertà e nella saldatura delle epifisi.
Estrogeni e risposta sessuale
Questo gruppo di ormoni steroidei non sembra svolgere un ruolo
in alcuna fase del ciclo della risposta sessuale. Gli estrogeni non
sono coinvolti nell’induzione della motivazione sessuale nella
femmina umana. Al contrario si è rilevato che la libido, anche nella
donna, sembra androgeno-dipendente in quanto la sostituzione
con androgeni ha aumentato l’intensità e la frequenza delle fantasie
sessuali, il desiderio e l’eccitamento sessuale, elementi che
sembrano correlare con il testosterone e non con gli estrogeni.
Androgeni e risposta sessuale
L’importanza degli androgeni, in particolare del testosterone, nel
mantenere nei maschi un normale funzionamento sessuale appare
ormai abbastanza fondata. Gli uomini con carenza di androgeni
spesso lamentano una diminuzione del desiderio sessuale e problemi
di erezione, mentre la somministrazione di testosterone esogeno
ripristina sia la libido sia il funzionamento sessuale; occorre
però sottolineare che non tutti gli uomini disfunzionali ottengono
un miglioramento con la terapia sostitutiva a base di androgeni
(O’Carrol e Bacroft, 1982).
Cali dei livelli del testosterone non sono responsabili di una diminuzione
dell’attività sessuale negli uomini di età più avanzata; solo
una parte molto esigua di soggetti anziani con scarsa attività sessuale
presenta concentrazioni di androgeni anormalmente basse.
Al contrario, potrebbe essere possibile che adeguati livelli di attività
sessuale possano essere all’origine del mantenimento di concentrazioni
più elevate di testosterone.
In un recente contributo, Stoleru e co. (1999) hanno identificato
per la prima volta, tramite tomografia a emissione di positroni
(PET), le aree cerebrali attivati in maschi sani sottoposti a una stimolazione
sessuale evocata visivamente (film a contenuto sessuale
esplicito versus altri a contenuto neutro o umoristico).
È stata riscontrata l’attivazione delle seguenti strutture: la corteccia
temporale inferiore, area di associazione visiva; l’insula destra e la
corteccia frontale inferiore destra, aree paralimbiche che pongono
in relazione informazioni sensoriali elaborate a livello elevato con
Vol. I - 2009 Lavori Originali
147
stati motivazionali; la corteccia cingolata anteriore sinistra, area paralimbica
associata al controllo di funzioni autonomiche e neuroendocrine.
Importante è il fatto che gli autori rilevarono che
l’attivazione di alcune di queste aree era correlata ai livelli di testosterone
plasmatici, ipotizzando che tale androgeno fosse prodotto
in maggiori quantità conseguentemente all’attività di alcune aree
cerebrali in risposta alla stimolazione visiva cerebrale; in seguito,
l’elevazione dei livelli di testosterone avrebbe a sua volta un effetto
di feedback sulle aree coinvolte nell’attivazione sessuale.
Tale andamento sarebbe congruente con la fenomenologia
dell’andamento incrementale della risposta sessuale, che aumenta
d’intensità fino all’orgasmo.
Fisiologia della risposta sessuale
Fattori neurologici: Consta, principalmente di due componenti:
1) Centri Superiori. I tre sistemi, limbico, extrapiramidale e neocorticale,
possono contribuire all’integrazione della risposta
viscerale dell’erezione (tumescenza) con gli aspetti somatici
del comportamento sessuale, ad esempio la stimolazione della
amigdala, struttura del sistema limbico, può evocare sentimenti
erotici identici a quelli sperimentali durante un rapporto
(Gloor, 1986).
2) Centri Midollari. La struttura nervosa periferica comprende
centri e nervi: centro erettivo superiore (T12-L2) raccoglie
stimoli immaginativi, uditivi, olfattivi, fantasmatici e, a mezzo
fibre che da T12-L2 passano nel simpatico lombare e nel parasimpatico
sacrale (struttura pregangliare), attiva neuroni adrenergici
brevi; una cronica stimolazione – alfa tiene chiusi i
così detti Polsters o cuscinetti di Conti, strutture costituite da
fibrocellule muscolari lisce, che, quando chiusi, deviano il
sangue verso il circolo generale, mentre quando aperti, permettono
al sangue un rapido afflusso nelle lacune dei corpi
cavernosi. Una tonica stimolazione-alfa, in pratica, si estrinseca
in una vasocostrizione (=flaccidità), mentre un suo blocco
equivale ad una vasodilatazione (=erezione psicogena).
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
148
Fattori Vascolari
Nel maschio:
· Sistema Arterioso.
· Sistema Cavernoso.
· Sistema Venoso Penieno.
· Controllo locale dell’erezione.
Controllo neurologico dei muscoli lisci, comprende:
· Componente adrenergica: il controllo adrenergico è tonico
mantiene lo stato di flacidità. Farmaci alfa –bloccanti producono
erezione.
· Componente Colinergica: ancora non del tutto chiarita.
· Componente non Adrenergica non Colinergica: comprende varie
sostanze come VIP, sotanze P, CGRP-calcitonin-gene related
peptide.
Controllo non Neurologico:
· L’acetilcolina provoca contrazione dei muscoli a condizione che
l’endotelio sia integro. Il mediatore è stato definito EDRF (endothelim
derived relaxation factor) e identificato come ossido
nitrico.
Farmaci, sostanze psicoattive e sessualità
Tra i farmaci di abuso l’alcool è la droga più comunemente usata
per lo meno nella nostra cultura. L’alcol aumenta il desiderio ma
riduce la prestazione. Viene tuttavia utilizzato per superare le barriere
inibitorie interpersonali, ma può dare insufficienza
dell’erezione, impotenza transitoria, ritardo dell’eiaculazione.
L’alcoolismo cronico produce depressione della libido e ipogonadismo
secondario (insufficienza della funzione gonadica) collegato
alla concomitante insufficienza epatica.
La Marijuana aumenta la sensibilità tattile e modifica la percezione
temporale. L’uso protratto riduce il livello di testosterone. Vengono
riferite esperienza di orgasmi multipli e prolungati, sovente
accompagnati da risate incontrollate.
Le Amfetamine inducono aumento della libido e dell’attività sessuale,
aumentano la vigilanza, l’aggressività, la tolleranza alla fatica,
i soggetti riferiscono di fare all’amore tra l’euforico e l’arrabbiato.
Nei consumatori cronici è frequente la perdita della libido e
Vol. I - 2009 Lavori Originali
149
l’impotenza.
La MDMA comunemente detto ecstasy molto in voga nelle discoteche
e nei Raves Parties, associa un lieve effetto psichedelico a
quello stimolante, disinibente ed empatizzante. I consumatori riferiscono
di poter avere rapporti sessuali per molte ore e di poter
ballare continuativamente anche per otto ore.
La somministrazione acuta di oppiacei, come l’eroina, riduce i
tassi plasmatici di testosterone comportando difficoltà di erezione,
ritardo dell’eiaculazione ed impotenza.
Gli antagonisti degli oppioidi come il Naltrexone provocano eccitazione
alle dosi di 50 mg. per os con comparsa di erezione e
fantasie erotiche per circa tre ore.
Il Naloxone, analogo molto meno potente, induce desiderio sessuale
in soggetti abitualmente indifferenti ma non in quelli con riferita
normale attività copulatoria.
La dietilamide dell’acido lisergico nota come LSD è un potente allucinogeno
che deprime l’attività sessuale.
La Nicotina ha effetti sui livelli plasmatici degli ormoni sessuali
prevalentemente inibitori. I danni arrecati al microcircolo sono alla
base dell’impotenza.
La Cocaina ha effetti simili a quelli delle anfetamine con cui condivide
la capacità di dare euforia per esaltazione dei centri del piacere,
sensazione di potenza, tolleranza alla fatica, aumento del desiderio
sessuale. Poiché è un potente vasocostrittore i suoi effetti
sull’attività sessuale sono differenti a seconda delle dosi, aumentando
inizialmente la prestazione per aumento del vigore con un
ritardo dell’eiaculazione per dosi molto basse, inibendo completamente
l’orgasmo a dosi medie, rendendo impossibile l’erezione
a dosi elevate. Il consumatore cronico in genere è affetto da paranoia,
inappetenza, stanchezza, abulia ed è privo di interesse per
qualsiasi attività compresa quella sessuale.
La Pemolina è uno stimolante del sistema nervoso centrale utilizzata
alla dose di 20-50 mg. per potenziare le facoltà mentali senza
avere gli effetti collaterali delle amfetamine, in combinazione con
ioimbina, stricnina e metiltestosterone è stato proposto in alcuni
paesi come farmaco per aumentare la potenza sessuale.
Veniamo ora ad un gruppo di sostanze di derivazione vegetale.
Alcune, specialmente quelle provenienti dall’Oriente, hanno avuto
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
150
in passato una valenza terapeutica legata alla tradizione medica cinese.
Altre, in particolare quelle del centro e del Sud America ma
anche dell’Africa sono legate storicamente a cerimoniali, a riti magici,
a culti tribali in un mix di leggenda e realtà non sempre facilmente
decifrabile.
Alstonia: originaria dell’Asia orientale, è una pianta la cui corteccia
contiene gli alcaloidi ditamina e ditaina; il seme contiene la clorogenina,
allergene universale cui sono state riconosciute doti afrodisiache
in relazione alla sua capacità di provocare una lieve irritazione
dei genitali.
Assenzio: vegetale del genere Artemisia, deve la sua proprietà alla
presenza degli alcaloidi absintina e tujone. Il primo ha un effetto
narcotico-analgesico simile alla codeina, il secondo è tossico.
Calamo aromatico: erba perenne la cui radice contiene
l’alcaloide asarone, stimolante ed antifatica utilizzato dagli Indiani
del Nord America.
Damiana: cresce nelle zone tropicali, è stata utilizzata per la sua
azione di tonico ed euforizzante.
Gotu kola: erba perenne che cresce in tutta l’Asia ed in gran parte
della Cina, strettamente imparentata con la Dentella asiatica.
L’alcaloide principale è l’asiaticoside; altri alcaloidi sono stati estratti
ma non sufficientemente studiati. L’azione prevalente si esplica
sulle ghiandole surrenali, con aumento delle energie fisiche
e mentali.
Guaranà: cespuglio rampicante presente in Sud America, deve i
suoi effetti stimolanti ed antifatica alla presenza di guaranina, metilxantina
affina alla caffeina del caffè, del mathè e della cola ed alla
teofillina e teobromina del tè.
Yoimbina: alcaloide contenuto in un albero diffuso in Africa Orientale,
il Corynanthe Yohimbe, ha proprietà vasodilatatorie, a
forti dosi può dare allucinazioni, la sua fama di afrodisiaco sarebbe
collegata con la stimolazione dei gangli spinali. È inoltre un inibitore
della monoaminoossidasi. Tossico in associazione ad alcool,
tranquillanti, sedativi, psicoanalettici.
Ibogaina: estratta dalle radici della Iboga, una pianta di cui si cibano
gli africani del Gabon, a basse dosi aumenta la resistenza alla
fatica ed allo sforzo, a dosi elevate dà convulsioni, paralisi, ansia,
arresto respiratorio ed ipotensione.
Vol. I - 2009 Lavori Originali
151
Kawa-Kawa: pianta ad alto fusto che cresce in Polinesia e nei mari
del Sud, contiene gli alcaloidi kawaina e yangonina. A piccole dosi
produce euforia, ad alte dosi rilassatezza e letargia.
Lattuga selvatica: cresce in Europa ed in Nord America, contiene
l’alcaloide lattucina con struttura simile all’oppio, sedativa ed analgesica.
Mandragora: originaria dell’Europa meridionale, deve la sua fama
alla radice che spesso assomiglia ad un corpo umano. I principali
alcaloidi sono la scopolamina, la ioscina, la mandragorina, potente
narcotico ed ipnotico che produce allucinazioni ed uno stato di
trance che dura alcune ore.
Muira-puama: utilizzata dagli indigeni del Rio delle Amazzoni, è
un piccolo albero, la corteccia e la resina hanno un’azione stimolante
simile alla ioimbina anche se meno marcati.
Betel: cresce in India e in Polinesia, è una pianta rampicante che
produce delle noci che, masticate, sprigionano l’alcaloide arecolina
che è un blando stimolante del sistema nervoso centrale, ad alte
dosi può dare vertigine, diarrea e danneggiare i denti.
Stramonio: cresce nei terreni sabbiosi, e contiene alcaloidi parasimpatici
come la scopolamina, atropina e iosciamina. Sedativo e
ipnotico, non va ingerito perché estremamente tossico, può causare
l’exitus, viene abitualmente fumato.
Efedrina: sostanza proveniente dalla pianta Ephedra; è un potente
broncodilatatore ma è anche uno stimolante che aumenta il rendimento
e allontana il sonno.
Caffeina: alcaloide presente in numerose piante tra cui il caffè e le
noci di cola, con i suoi analoghi teina presente nel tè e teobromina
nel cacao viene raggruppata nella famiglia delle metilxantine. Alle
dosi presenti nelle preparazioni di farmaci che la contengono e
nelle comune bevande caffeiche (da 30 a 200 mg. per dose) la caffeina
ha un effetto stimolante sul sistema nervoso con l’aumento
della attenzione e della vigilanza, con diminuzione del senso di fatica,
modesto aumento della pressione arteriosa, aumento della
diuresi, aumento della frequenza del respiro, della secrezione gastrica,
della lipolisi. Ad alte dosi è tossica e si stima che 75 tazze di
caffè ovverosia 200 lattine di Coca Cola in un’unica somministrazione
possano essere mortali. Documentata sia la tolleranza, la dipendenza
e la crisi di astinenza caratterizzata da astenia e cefalea.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
152
La capacità della caffeina di aumentare la performance massimale
atletica sembra risiedere nella sua proprietà di liberare acidi grassi
risparmiando glicogeno muscolare, permettendo di compiere uno
sforzo prolungato, la dose consigliata è 250 mg. 60 minuti prima
della prova.
Ginseng: radice utilizzata da oltre cinquemila anni dai Cinesi. Ne
esistono quattro varietà (americano, giapponese, siberiano, cinese).
Deve le sue proprietà alla presenza di ginsenosidi, saponine,
vitamine e sali. Può essere masticato, bevuto in infuso od in liquore.
Aumenta l’attività metabolica, endocrina e stimola il sistema
nervoso.
Papaverina: alcaloide della RauWolfia, piccolo arbusto presente in
India e Pakistan è un vasodilatatore e la sua efficacia è provata solo
per quanto riguarda l’iniezione diretta nei corpi cavernosi del pene
nei casi di disturbo dell’erezione, l’utilizzo per via generale non
ha effetti di aumento della performance.
Stricnina: ottenuta dalla nux vomica, seme di un albero che cresce
in Cina, Birmania, India ed Australia ha un’azione tonica e stimolante
sui gangli spinali. Il confine tra dose efficace e dose pericolosa
è molto sottile, in genere dosi superiori ai 2 mg. possono essere
dannose in relazione anche ad una tolleranza individuale molto
variabile.
Citiamo solo per completezza la cantaride, da cui si estrae una sostanza
vescicante ed irritante che può dare priapismo ma che è estremamente
pericolosa; di volta in volta sono stati accreditati effetti
afrodisiaci al giusquiamo, alla belladonna, al papavero e ad
altre piante da cui la farmacopea ha tratto spesso alcaloidi con
funzione terapeutica ma non nel campo strettamente sessuale. A
titolo di curiosità citiamo l’uso di anestetici locali che prolungherebbero
l’erezione e ritarderebbero l’orgasmo maschile se applicati
sulla superficie del pene prima del coito. Il Dimetilsolfossido,
solvente derivato dalla cellulosa, viene spalmato sul pene per ottenere
una pronta erezione, è estremamente tossico per i reni. Il nitrito
di amile, potente vasodilatatore per le crisi stenocardiche,
che alcuni inalano al momento dell’orgasmo per rendere più intensa
la sensazione.
Vol. I - 2009 Lavori Originali
153
TABELLA RIASSUNTIVA DELLE SOSTANZE CON EFFETTO SULLA
SFERA SESSUALE
1) Stimolanti il sistema nervoso centrale
Anmfetamine
Cocaina
Caffeina
Efedrina
Antidepressivi
2) Depressori del sistema nervoso cereale
Alcool
Marijuana
Eroina e derivati
Sedativi ed ipnotici
3) Stimolanti l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi
Steroidi sessuali ed anabolizzanti
Gonadropina corionica
Ormoni corticosurrenalici
Ormone della crescita
4) Metabolici ed antifatica
Supplementi ed integratori
Erbe e prodotti fitoterapici
5) Effettori locali
Papaverina
Prostaglandine
Sidenafil
La ricerca: confronto tra un campione di tossicodipendenti di
Padova e di Salonicco rispetto alla sessualità
e l’abuso di sostanze psicoattive
L’obiettivo di questa ricerca, alla luce di quello che è emerso sopra,
era quello di verificare le possibili relazioni tra l’assunzione di
sostanze stupefacenti e l’insorgere di disturbi della sfera sessuale.
L’origine dello studio è dovuto ad osservazioni cliniche degli operatori
del Ser.T (Servizio Tossicodipendenze) della ASL 16 di PadoRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
154
va, supportate dai dati della letteratura, che in verità in questo
campo sono ancora relativamente scarsi: ragione per cui si è ritenuto
importante approfondire questo aspetto della vita del tossicodipendente.
Infatti i risultati della relazione tra i due aspetti indagati
potrebbero costituire anche una base interessante di conoscenze
da inserire in un programma preventivo rispetto alle dipendenze.
È risaputo infatti che i progetti preventivi devono cercare
di accrescere i fattori di protezione ed eliminare o ridurre quelli
di rischio (O.M.S., 1991) accrescendo le informazioni scientifiche.
Spesso infatti fornire solo informazioni in questo campo aumenta
le conoscenze e la consapevolezza degli effetti negativi delle sostanze,
ma non modifica i comportamenti legati all’uso delle stesse
(Tobler, 2000). I giovani, notoriamente poco sensibili ai messaggi
“ufficiali” riguardanti gli effetti nocivi a breve e a lungo termine
delle droghe, potrebbero essere molto più sensibili alle informazioni
rispetto agli effetti delle stesse sulla sfera sessuale, inserite in
un progetto preventivo con dati e statistiche basate su ricerche fatte
sul campo.
È notoriamente risaputo infatti che le comunicazioni che riguardano
la sessualità producono sempre una forte risonanza intima.
Il campione
Il campione della ricerca è costituito da 120 soggetti tra maschi
e femmine, di cui:
65 afferenti presso il Ser.T dell’ULSS 16 di Padova,
55 afferenti presso il Ser.T dell’ospedale psichiatrico di Salonicco.
Il campione è costituito dal 70% di maschi, e 30% di femmine. Perciò
che riguarda l’età si registra un’età media di 34 anni.
Titolo di studio: 7% licenza elementare, 56% licenza di scuola media
inferiore, 26% scuola media superiore, 5% diploma di laurea
4% e laureati 5%.
Stato civile il 62% afferma di essere celibe o nubile,il 18% è coniugato,
il 7% è separato, 8% è divorziato ed il 3% è vedovo.
Occupazione: 25% svolge lavori saltuari, il 44% disoccupato,il 17%
svolge attività autonome,14% lavoro dipendente
Vol. I - 2009 Lavori Originali
155
Quasi tutti i soggetti sono in terapia metadonica nella misura
dell’87% poiché il 94% dei tossicodipendenti sono affetti da dipendenza
da eroina, il 64% dei soggetti è in terapia da più di un
anno presso i rispettivi servizi.
Lo strumento e il metodo di somministrazione
Lo strumento impiegato per l’indagine consiste in un questionario
semistrutturato, composto principalmente da domande formulate
ad hoc e in parte da domande tratte dalle schede 1 e 4 delle Scale
Primarie della Batteria CBA 2.0 (Cognitive Behavioural Assessment.
Bertolotti, Michielin, Sanavio, Simonetti, Vidotto e Zotti, 1985).
Il questionario è composto da 44 items e al suo interno possono
essere distinte quattro aree: anamnestica, psico-relazionale, medico-
sessuologica e psico-sessuologica.
La parte iniziale era dedicata all’anamnesi: venivano quindi poste
domande relative alla vita del soggetto (età, carriera scolastica, lavoro
svolto, eccetera) e domande relative alla carriera di tossicodipendente
(sostanze di cui il soggetto ha fatto uso, tipo di terapia
che il soggetto sta seguendo, da quanto tempo è in terapia, eccetera);
in seguito si indagava la frequenza con cui il soggetto assumeva
sostanze. Il questionario continuava con domande relative alla
vita di relazione e quindi sessuale del soggetto, prima di fare uso
di sostanze, sotto l’effetto di sostanze ed al momento attuale. Il
questionario prevedeva anche di indagare l’uso del preservativo in
diverse situazioni: con il partner fisso, con partners occasionali e
sotto l’effetto di sostanze psicoattive.
Per quanto concerne il metodo di somministrazione, date le difficoltà
cognitive e la limitata motivazione dei soggetti, si è ritenuto
più opportuno utilizzare il metodo dell’intervista semistrutturata:
non si sono registrati rifiuti.
Risultati
Dall’analisi quantitativa dei questionari, relativamente al tema della
tossicodipendenza, emerge che quasi la totalità del campione di
120 soggetti (94%) è in terapia per eroina e il farmaco su cui si basa
la terapia è il metadone (87%). Più della metà dei soggetti (64%)
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
156
risulta essere in terapia da oltre un anno, dall’intervista è emerso
che alcuni lo sono addirittura da più di dieci anni.
Tra le motivazioni che hanno spinto il soggetto ad entrare in terapia,
spicca “il desiderio di uscire dalla droga” con il 74%, seguito
da “spinto da un amico” con l’8%, problemi di astinenza 8%, pressato
dalla famiglia 5%, un 5% non si è espresso.
L’uso dell’eroina prima della terapia riguarda praticamente l’intero
campione (94%). Dopo l’eroina, la sostanza con cui i soggetti sono
venuti maggiormente a contatto è il tabacco (84%), seguita dalla
cocaina (80%), dall’hashish (77.5%) dall’alcol (75%) e dalla marijuana
(64.2%).
SOSTANZE CON CUI I SOGGETTI SONO VENUTI
A CONTATTO PRIMA DI ENTRARE IN TERAPIA
Num.soggetti: 120* Numero risposte: 722
SOSTANZE PRIMA TERAPIA FREQUEN
ZA
PERCENTU
ALE
Alcol 90 75.0
Tabacco 101 84.2
Hashish 93 77.5
Marijuana 77 64.2
Anfetamine 45 37.5
Ecstasy 45 37.5
Cocaina 96 80.0
Popper 30 25.0
Eroina 116 96.7
Lsd 42 35.0
Speed-ball 43 35.8
Altro 23 19.2
*I soggetti potevano dare risposte multiple
Dopo il percorso terapeutico compiuto al Ser.t, si osservano percentuali
di utilizzo delle sostanze con valori nettamente inferiori.
L’unica sostanza ad essere ancora molto utilizzata è il tabacco
(80%), a cui fa seguito l’alcol (51%),
La diminuzione dell’uso di eroina, sostanza per la quale è in terapia
la maggior parte dei soggetti sfiora il 58%, la cocaina registra la
diminuzione del 62%, ed il 44% per ciò che riguarda la cannabis.
Vol. I - 2009 Lavori Originali
157
CONSUMO SOSTANZE DOPO LATERAPIA
SOSTANZE PERCENTUALI
Tabacco 80.8
Alcol 51.7
Eroina 38.3 (dim. 58%)
Cannabis 33.3 (dim. 44%)
Cocaina 18 (dim. 62%)
Dalla analisi della dimensione temporale dell’assunzione delle sostanze
psicotrope, si può osservare che nel 61.1% dei casi, la prima
sostanza utilizzata è l’alcol, la seconda è il tabacco per il 52% dei
soggetti. La terza sostanza con cui i soggetti vengono a contatto, è
la cannabis che spesso porta successivamente all’uso di sostanze
che nel gergo comune vengono definite “droghe pesanti” quali la
cocaina, l’eroina, le anfetamine e l’ecstasy. Ma è importante osservare
che all’interno del campione vi sono soggetti che in seguito
all’uso di tabacco e alcol sono passati direttamente ad utilizzare
eroina, per il 7.5% è stata addirittura la prima sostanza con la quale
sono venuti a contatto. Un’altro aspetto indagato dal questionario
riguarda la vita sessuale dei soggetti al momento dell’intervista.
Relativamente alla frequenza con cui i soggetti hanno rapporti il
25.8% afferma di avere rapporti sessuali saltuari e il 25% di avere
rapporti sessuali non soddisfacenti. Il 24% del campione afferma
inoltre di avere rapporti sessuali con sufficiente regolarità, mentre
il 22.5% di non avere nessuna attività sessuale. Rispetto agli item
che verificavano le abitudini dell’uso del preservativo in diverse
situazioni, con il partner fisso, con partners occasionali e sotto
l’effetto di sostanze psicoattive, questi sono i risultati. Il 34.2% afferma
di utilizzarlo sempre con il partner fisso, il 41.7% afferma di
utilizzarlo qualche volta, il 24.2% mai. Con i partners occasionali,
l’uso del preservativo aumenta: il 65.8% dei soggetti afferma di farne
uso sempre in queste situazioni, il 27.5% afferma che lo adopera
qualche volta e il 6.7% afferma che non lo adopera mai. Il 34.2%
dei soggetti ha quindi rapporti sessuali a rischio. Sotto l’effetto di
sostanze l’uso del preservativo diminuisce: chi lo utilizza sempre è
il 50% del campione, chi lo utilizza qualche volta il 40% e chi non
lo utilizza mai il 10% dei soggetti.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
158
I soggetti riscontrati sieropositivi al virus dell’HIV nel campione
rappresentano il 3%. La maggior motivazione all’uso del preservativo
è per evitare malattie nel 76%, nel 7% per evitare gravidanze e
nel 17% per entrambi i motivi.
Alla domanda se a parere loro esiste un rapporto tra l’uso delle sostanze
e la loro sessualità, rileviamo che il 63.3% dei soggetti risponde
positivamente.
L’86.7% dei soggetti afferma di aver notato dei cambiamenti nelle
loro prestazioni sessuali con l’utilizzo di sostanze psicoattive.
Rispetto alla vita sessuale precedente all’uso di sostanze, il 78% afferma
che la propria vita sessuale era soddisfacente, il 15.3% che
era poco soddisfacente e il 6.8% che non era soddisfacente.
I problemi o disturbi sessuali presenti prima di utilizzare sostanze
psicoattive riguardavano il 22.9% del campione e la percentuale
maggiore è associata a “rapporti sessuali troppo brevi”, alla “eiaculazione
precoce” ed a “diminuzione del desiderio”.
TIPO DI PROBLEMI E DISTURBI DELLA
VITA SESSUALE PRECEDENTE
L’UTILIZZO DI SOSTANZE
Numero soggetti: 120*
Numero risposte: 42
DISTURBI FREQUENZA
RISPOSTE
SOGGETTI
PERCEN
TUALI
Rapporti Troppo Brevi 7 25
Eiaculazione Precoce 7 25
Impotenza 0 0
Vaginismo 2 2.1
Diminuzione del Desiderio 7 25
Assenza del Desiderio 5 17.9
Disinteresse per il Partner 4 14.3
Richieste Sessuali Sgradevoli 2 7.1
Non Soddisfatto dal Partner 2 7.1
Mancanza di Piacere 3 10.7
Fastidio al pensiero di rapporti sessuali 1 3,6
Dolori Durante il Rapporto 2 7.1
* I soggetti potevano dare risposte multiple
Vol. I - 2009 Lavori Originali
159
COSA IL SOGGETTO
HA PROVATO
SOTTO L’EFFETTO
DI SOSTANZE A
BREVE TERMINE
Numero soggetti 120
Numero risposte 240
IL SOGGETTO HA
PROVATO
FREQUE
NZA
PERCENTU
ALE
PERCEN
TUALE
VALIDA
Più fantasie sessuali 23 19.2 19.2
Più eccitazione 24 20 20
Più facilità ad avere
rapporti
9 7.5 7.5
Più facilità ad avere
l’orgasmo
11 9.2 9.2
Aum./dim.
Masturbazione
33 27.5 27.5
Mancanza di
desiderio
30 25.0 25.0
Orgasmo più intenso 12 10.0 10.0
Eiaculazione precoce36 30.0 30.0
Eiaculazione
ritardata
25 20.8 20.8
Difficoltà di
penetrazione
9 7.5 7.5
Dolore coitale 7 5.8 5.8
Iimpotenza 7 5.8 5.8
Priapismo 4 3,3 3,3
Resistenza alla
penetrazione
0 0 0
Vaginismo 6 5.0 5.0
Dispareunia 4 3,3 3,3
* I soggetti potevano dare risposte multiple.
Alla domanda riguardante l’esistenza di un cambiamento nella vita
sessuale del soggetto in seguito all’uso di sostanze, l’81.7% risponde
affermativamente.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
160
SOGGETTI CHE HANNO PERCEPITO UN CAMBIAMENTO NELLA
LORO VITA SESSUALE DA QUANDO HANNO INZIATO A FARE
USO DI SOSTANZE PSICOTROPE
Cambiamento 81.7%
No cambiamento 18.3%
Il 35,8% afferma che la vita sessuale è peggiorata dopo l’uso delle
sostanze,il 44,2% afferma che prima inizialmente è migliorata e poi
peggiorata per il 13,3% non vi è stato alcun cambiamento.
Quindi per circa l’80% dei soggetti la vita sessuale dopo l’uso delle
sostanze è peggiorata, è interessante notare che il 44,2% dice che
inizialmente aveva notato un miglioramento, effetto veritiero dovuto
al fatto che alcune sostanze sono disinibenti ed altre sono eccitanti
del sistema nervoso centrale,ma lungo andare questi effetti
decadono e subentrano dei veri disturbi sessuali come vedremo
dalle tabelle successive.
TIPO DI PROBLEMI E DISTURBI PRESENTI NELLA VITA SESSUALE
ATTUALE dopo l’uso di sostanze DEI SOGGETTI
Numero soggetti: 120* Numero risposte: 177.
DISTURBI FREQUENZA
RISPOSTE
SOGGETTI
PERCENTUALI
Rapporti Troppo Brevi 10 8.3
Eiaculazione Precoce 17 14.2
Impotenza 5 4.2
Vaginismo 3 2.5
Diminuzione del Desiderio 39 32.5
Assenza del Desiderio 14 11.7
Disinteresse per il Partner 9 7.5
Richieste Sessuali Sgradevoli 5 4,2
Non Soddisfatto dal Partner 8 6,7
Mancanza di Piacere 6 5
Il Pensiero di Rapporto Sessuale dà
Fastidio
6 5
Dolori Durante il Rapporto 6 5
Nessun Disturbo 43 35.8
I soggetti potevano dare risposte multiple.
Vol. I - 2009 Lavori Originali
161
Osservando la tabella sui disturbi presenti nella vita sessuale dopo
l’uso di sostanze cioè nella vita attuale, tra i diversi problemi e disturbi
che caratterizzano la vita sessuale del campione, il più segnalato
risulta essere la diminuzione del desiderio (32.5%), seguita
da eiaculazione precoce (14.2%) assenza di desiderio (11,/7%) e
disinteresse per il partner (7,5%) o “il pensiero di rapporti sessuali
dà fastidio” (5%) che rientrano nei disturbi del desiderio e nei disturbi
dell’orgasmo. Altri disturbi dell’orgasmo vengono registrati
sotto la voce di impotenza, dolori durante il rapporto e vaginismo
e mancanza di piacere. Notevole è la lamentela di rapporti sessuali
troppo brevi (8,3%) (DSM IV).
Sono stati inoltre analizzati i risultati dei due sottocampioni: Salonicco
e Padova. Dall’analisi dei dati è emerso che per quanto concerne
la tossicodipendenza, nel campione di Salonicco quasi la totalità
di soggetti è in terapia da più di un anno (87,5%), il farmaco
più utilizzato nella terapia è il metadone (89,3%) con anche alte
percentuali di antidepressivi (21,4%) e tranquillanti (25%); la sostanza
più abusata dall’intero campione è l’eroina (100%) anche se
notiamo un consumo anche di tutte le altre sostanze. Per quanto
riguarda la sessualità, secondo il 74.5% dei soggetti esiste un legame
tra l’assunzione di sostanze e l’attività sessuale. L’85.7% nota
dei cambiamenti nelle loro prestazioni sessuali dopo l’uso di sostanze.
Il 46,4 dei soggetti afferma di aver utilizzato sostanze per
aumentare le prestazioni sessuali. In questo campione il 57,1% afferma
di avere una relazione affettiva discreta.
Nel campione padovano relativamente alla tossicodipendenza, il
43.8% dei soggetti è in terapia da più di un anno, il 25% da 1-3
mesi e il 17.2% da 3-6 mesi, il farmaco più utilizzato nella terapia è
il metadone (85,9%). La sostanza per cui i soggetti sono in terapia
è l’eroina (90,6%) seguita dalla cocaina (23,4%). Per quanto riguarda
la sessualità, secondo il 54,7% dei soggetti esiste un legame
tra l’assunzione di sostanze e l’attività sessuale. Il 78,1% nota dei
cambiamenti nelle loro prestazioni sessuali dopo l’uso di sostanze.
Rispetto al campione di Salonicco solo il 6,3% afferma di assumere
sostanze con il fine di aumentare le prestazioni sessuali.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
162
Considerazioni conclusive
L’obiettivo di questo studio era quello di osservare qualitativamente
le possibili relazioni tra l’assunzione di sostanze psicotrope e i
disturbi sessuali.
Le conclusioni a cui si è giunti sulla base dei dati analizzati sono le
seguenti.
Il campione è omogeneo riguardo il tipo di sostanza per cui è in
cura e tale sostanza è rappresentata principalmente dall’eroina.
Dopo l’eroina tra le sostanze per cui i soggetti si sono rivolti al servizio
per le tossicodipendenze, segue la cocaina; questo dato sembra
confermare la tendenza già rilevata da numerosi studi che l’uso
e abuso di cocaina si sta diffondendo tra i giovani (dati OEDT: Osservatorio
Europeo Droghe e Tossicodipendenza, 2007).
Il motivo principale che ha spinto i soggetti a rivolgersi al Ser.T è
costituito dal desiderio di uscire dalla droga o in seguito alle pressioni
di un amico o della famiglia.
Più della metà dei soggetti è in terapia da oltre un anno.(64%)
La terapia seguita dai soggetti è di tipo farmacologico, con un utilizzo
prevalente di metadone associato spesso a tranquillanti e antidepressivi
soprattutto nel campione di Salonicco.
La maggior parte dei soggetti è entrato in contatto con quasi tutte
le sostanze, anche se poi non ha abusato di tutte.
Confrontando le sostanze psicoattive abusate prima di entrare in
terapia con quelle che i soggetti dichiarano di utilizzare attualmente,
si può notare una diminuzione notevole dell’uso di tutte le sostanze
dopo il trattamento seguito nei rispettivi Ser.t.
Sembrerebbe quindi che tutti e due i dipartimenti qui considerati
abbiano risposto positivamente al problema tossicodipendenza attuando
un programma di riduzione del danno.
Analizzando la sequenza temporale con la quale gli individui hanno
fatto uso delle diverse sostanze, le prime sostanze ad essere utilizzate
sono quelle legali (tabacco e alcol), dopodiché compaiono
le droghe cosiddette “leggere” (cannabis) e infine le droghe “pesanti”
(ecstasy, cocaina, eroina, speed-ball).
Lo speed-ball solitamente è la sostanza con la quale il soggetto
viene a contatto per ultima, questo probabilmente è dovuto alla
sua composizione essendo lo speed-ball una miscela costituita da
Vol. I - 2009 Lavori Originali
163
eroina e cocaina e solitamente viene assunto quando i soggetti
hanno già fatto uso delle due sostanze che lo compongono.
Viene in questo modo confermato un dato già noto: l’uso di droghe
“leggere” spesso rappresentano un passaggio obbligatorio per
l’uso di quelle “pesanti” (Forcella, Bergamo, Rizzo, Savani, Manca,
Vidotto, 2001), anche se esistono passaggi diretti sia all’eroina e
alla cocaina nella misura del 7%.
Sembra quindi di fondamentale importanza indirizzare i programmi
preventivi verso le scuole medie inferiori o istituti comprensivi,
come hanno riscontrato nei loro studi Newcomb (1996),
e Wills e al. (2000), in quanto tali programmi hanno dimostrato di
essere in grado di ridurre l’inizio dell’uso di sostanze quali tabacco,
alcol e marijuana nella percentuale del 50% o più (Botvin,
1992; Skara e Sussman, 2003).
Rispetto all’uso del preservativo il suo utilizzo aumenta nel caso di
rapporti con partner occasionali e decresce invece sotto l’effetto di
sostanze.
Più della metà dei soggetti avverte l’esistenza di un legame tra
l’utilizzo di sostanze psicotrope e l’attività sessuale, come già citato
nella ricerca di Forcella, Bergamo, Rizzo (2001), ma per la maggior
parte dei soggetti questi cambiamenti intervengono a lungo termine
piuttosto che a breve termine.
Gli individui che hanno segnalato un cambiamento nella loro vita
sessuale durante il periodo in cui assumevano sostanze, o quando
queste venivano assunte in quantità e con frequenza maggiore, sono
quasi la totalità del campione. Tra i vari cambiamenti elencati, i
più concordano riguardo ad un miglioramento della loro vita sessuale
nel primo periodo di assunzione, seguito poi da un peggioramento.
I dati relativi alle risposte date a tali items sono molto
importanti per lo studio; tali dati rivelano infatti che i soggetti sono
consapevoli dell’esistenza di un’influenza delle sostanze psicotrope
sulla loro attività sessuale.
Nel periodo iniziale di utilizzo delle sostanze, diversi pazienti riportano
quindi un miglioramento nella loro vita sessuale, che
spiegano nel seguente modo: nelle donne che soffrono di dispareunia
e vaginismo, il miglioramento percepito è dovuto agli effetti
analgesici dell’eroina; negli uomini invece, la stessa sostanza aumenta
i tempi del raggiungimento dell’orgasmo; questo fatto è
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
164
percepito come un effetto positivo specialmente da coloro i quali
presentavano un problema di eiaculazione precoce prima di fare
uso della sostanza. Nel momento in cui la dipendenza aumenta, le
donne accusano anorgasmia e amenorrea; gli uomini possono invece
riportare diminuzione del desiderio sessuale, disfunzione erettile,
e orgasmo ritardato. Quindi possiamo affermare che prevalgono
sia nei maschi che nelle femmine disfunzioni sessuali: riferiti
a disturbi del desiderio, dell’orgasmo e del dolore sessuale.
Analizzando l’aspetto principale della ricerca, che riguarda gli eventuali
problemi e i disturbi presenti nella sfera sessuale dei soggetti
intervistati, possiamo affermare che i problemi e i disturbi accusati
dai soggetti al momento attuale sono nettamente superiori a
quelli accusati dagli stessi soggetti prima di iniziare ad assumere
sostanze, più della metà del campione accusa problemi e disturbi
nella propria vita sessuale attuale.
L’abuso di sostanze nel tossicodipendente sembra quindi avere
portato a delle conseguenze negative nella sua vita sessuale come
già riscontrato dagli studi citati in precedenza: questo è uno dei
risultati che riveste maggiore interesse in questo studio e conferma
gli studi precedenti. Infatti prima di iniziare l’abuso di sostanze la
vita sessuale dei tossicodipendenti era soddisfacente per la maggior
parte del campione. È stata indagata la vita sessuale del tossicodipendente
prima dell’abuso di sostanze, durante l’abuso a breve
termine, e dopo l’abuso di sostanze psicotrope a lungo termine:
questi sono stati i risultati.
A breve termine i disturbi evidenziati prevalentemente sono stati
“mancanza di desiderio” (25%), “eiaculazione precoce” (30%), eiaculazione
ritardata (20%), “Aum./Dim. di masturbazione (27%),
“Più eccitazione” (20%), “Più fantasie sessuali” (19%), “Orgasmo
più intenso” (10%), “Più facilità ad avere l’orgasmo” (9%), “Più facilità
ad avere rapporti” e “Difficoltà di penetrazione” (7%), “Impotenza”
“Vaginismo” “Dolore coitale” (5%), “Priapismo” e “Dispareunia”
(3%). Successivamente i disturbi segnalati a lungo termine
sono stati: “diminuzione del desiderio” (32.5), “eiaculazione precoce”
(14.2), “assenza di desiderio”, (11.7) “rapporti troppo brevi”
(8.3), “disinteresse per il partner” (7.5), “non soddisfatto dal partner”
(6.7), “Mancanza di piacere” (5%), “Pensiero di rapporto sessuale
dà fastidio” (5%), “Dolori durante il rapporto”(5%), “ImpoVol.
I - 2009 Lavori Originali
165
tenza” (4.2%),“Richieste sessuali sgradevoli” (4.2%), “Vaginismo”
(2.5%), “Nessun disturbo” (35.8%).
Per quanto riguarda l’analisi descrittiva dei due campioni: Ser.T di
Padova e Ser.T di Salonicco ci siamo concentrati solo su quelle variabili
in cui si potevano osservare delle differenze tra i due campioni.
L’uso di sostanze psicotrope con lo scopo di aumentare le prestazioni
sessuali si riscontra solo nel campione del Ser.T di Salonicco,
le sostanze maggiormente utilizzate a tale scopo sono risultate essere
la cocaina e l’eroina, spesso le sostanze vengono assunte per
sentirsi più disinibiti e a proprio agio con l’altro sesso. Non sembra
che esista una relazione tra uso di droga e maggiori prestazioni
nel campione del SERT di Padova come già riscontrato in uno studio
precedente (Forcella, Bergamo, Rizzo, 2001).
A differenza dello studio La Pera, Giannotti, Taggi, Macchia,
(2003), secondo la quale un numero consistente di giovani si è rivolto
alla droga per provare ad eliminare tali disturbi, solo una
piccola percentuale del campione ha utilizzato sostanze per cercare
di eliminare disturbi sessuali preesistenti.
Per quanto riguarda la terapia farmacologica seguita dai soggetti,
questa consiste nell’utilizzo prevalente di metadone a Padova mentre
a Salonicco il metadone è associato spesso a tranquillanti e antidepressivi.
Per quanto riguarda la terapia psicologica, a Padova
abbiamo pochi soggetti che svolgono una terapia e che pensano di
avere problemi di natura psicologica, a Salonicco invece i soggetti
che svolgono una terapia psicologica sono in maggioranza.
Sia a Padova che a Salonicco le sostanze per cui i soggetti sono in
terapia sono l’eroina e la cocaina, Salonicco si distingue nuovamente
perché una percentuale di soggetti è in terapia anche per
gli psicofarmaci.
Nell’uso di sostanze notiamo in Salonicco una maggiore problematicità
con un uso prevalente di quasi tutte le sostanze rispetto a
Padova. L’eroina presenta alte percentuali sia a Padova che a Salonicco.
La cocaina coinvolge l’intero campione di Salonicco rispetto
ad una percentuale più bassa di Padova, la cannabis e l’alcol presentano
percentuali simili nei due Ser.T, mentre infine a Salonicco
c’è un alta percentuale di consumo anche di amfetamine, lsd,
ecstasy e speed-ball.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
166
Analizzando l’ambito della sessualità troviamo risultati simili tra i
due Ser.T., sebbene i soggetti di Salonicco dichiarino di avere relazioni
più stabili, anche se caratterizzate da incomprensioni e scarsa
affettuosità rispetto ai soggetti di Padova: dai soggetti di entrambi i
Ser.T viene riconosciuto un legame ed un cambiamento dovuto
all’uso di sostanze psicoattive.
L’intero campione si caratterizza per disturbi più acuti nella sfera
sessuale relativi al desiderio e all’orgasmo sia a breve termine che a
lungo termine (DSM IV). Infatti a Padova sotto effetto di sostanze a
breve termine i soggetti dicono di provare soprattutto mancanza di
desiderio ed eiaculazione ritardata, mentre a Salonicco i soggetti
accusano aumento o diminuzione della masturbazione ed eiaculazione
precoce. Con l’abuso di sostanze a lungo termine prevalgono
nel campione “Diminuzione del desiderio”, “Eiaculazione precoce”,
“Assenza del desiderio”, Rapporti troppo brevi” e “Disinteresse
per il partner”.
Solo a Salonicco una buona percentuale di soggetti utilizza sostanze
per aumentare le prestazioni sessuali, soprattutto tramite la cocaina
e l’eroina, questo non accade nei soggetti padovani.
Vol. I - 2009 Lavori Originali
167
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Vol. I - 2009 Lavori Originali
171
Maria Chiara Forcella, Lucia Claudia Bergamo, Alessia Bastianelli,
Guido D’Acuti, Theocraris Asouchidis, Giulio Vidotto
SENSI, SESSUALITÀ E SOSTANZE PSICOATTIVE
RICERCA SVOLTA PRESSO I SER.T DI PADOVA E SALONICCO
Parole chiave: droghe, dipendenza, prevenzione, malattie sessuali, malattie
psichiatriche.
RIASSUNTO
Esiste una correlazione tra l’uso di sostanze psicoattive e l’insorgenza di
disturbi cognitivi comportamentali e della sfera sessuale.
Riportiamo i dati di uno studio condotto su 120 soggetti in cura presso i
Ser.T di Padova e Salonicco da cui risulta che il 70% di questi soggetti presenta
sia disturbi sessuali che disfunzioni sessuali
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
172
Maria Chiara Forcella, Lucia Claudia Bergamo, Alessia Bastianelli,
Guido D’Acuti, Theocraris Asouchidis, Giulio Vidotto
SENSES AND SEXUALITY
Key words: addiction, drugs, prevention, sexual disfunction, sexual desease,
psychiatric desease.
SUMMARY
The aim of the present study is verify the existence of a relationship between
the assumption of drugs and the develop of sexual disease.
Results about this relationship may constitute the base to use knowledges
in a future preventive program about addiction.
The study confirms that sexual diseases are more in drugs addict that assumed
drugs for long time; the research on the 120 subjects proved that
50% of drugs addicts had sexual disaese.
The most important sexual desease revealed are sexual disfunction (DSM
IV): precox and retarded ejaculation, impotence; sexual pain disease: vaginism,
dyspareunia, amenorrhea; disease of sexual desire.
Gli Autori
1) Dr. Theocraris Asouchidis, Psicologo, Ser.T Di Salonicco,
Edesyff 33 Stavroupolis 56430 Salonicco Grecia Tel 0030-6972543865
2) Dr.ssa Alessia Bastianelli Ricercatrice Facoltà di Psicologia, Padova
Via Crescini 147b, 35128 Padova,
E-Mail: Alessia.Bastianelli@Unipd.It, Tel 347.4035045
3) Prof. Giulio Vidotto, Ordinario di Psicometria, Facoltà di Psicologia, Università
di Padova, Via Beato Pellegrino 76 35137 Padova
E-Mail: Giulio.Vidotto@Unipd.It, Tel 348.3113260
4) Dr.ssa Maria Chiara Forcella, Psicologa Psicoterapeuta
Piazzale Stazione N 8, 35131 Padova
E-Mail: Mcfordcella@Libero.It, Tel 3356668240
5) Dr.ssa Lucia Claudia Bergamo, S.M.I.P.I.
Neurologa e Psichiatra, Resp. U.O.Coordinamento di Neuropsichiatria I,
Servizio Psichiatrico Ulss 16 Padova
Via Portello 15, 35129 Padova Tel 348.4726070
6) Dr. Guido D’Acuti, Psicologo
Via Zara 44, Padova, E-Mail Guidolivio@Hotmail.Com Tel 340.4190915
CASI CLINICI
Vol. I - 2009 Casi Clinici
175
Gudo Bozak
TRATTAMENTO IPNOTICO
IN UN CASO DI DISTURBO PSICOSOMATICO
Parole chiave: visualizzazione, capire, paura, sogno da svegli, energia,
sintomo psicosomatico, ipnosi.
Presentazione
Il caso clinico di Giacomo, che qui riportiamo, è stato osservato,
trattato e concluso in un’unica seduta di ipnosi, durata un’ora e
mezza circa.
Dopo il colloquio iniziale, avvenuto in normale stato di coscienza,
abbiamo indotto Giacomo in trance ipnotica, e così è rimasto durante
tutta la seduta.
Lo stato ipnotico non è rimasto sempre costante. Di quando in
quando, abbiamo indotto Giacomo a fluire da un livello ad un altro,
al fine di situarlo sempre al livello più confacente alla sua condizione
emotiva in corso, sempre cangiante. Questo al fine di non
farlo mai uscire dalla trance per non fargli mai perdere il contatto
con quelle sue possibilità, capacità, forze interiori, amplificate,
maggiorate, inaspettate che in trance si possono ritrovare, e che
sono la potenza e il mistero dell’ipnosi.
Trattamento
Lunedì mattina, ore 10. Si presenta al nostro studio un signore
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
176
che, con un nome di fantasia, chiamiamo Giacomo, per tutelare la
sua privacy.
Tempo addietro lo avevamo già conosciuto, per cui sappiamo che
ha una forte componente visiva, ma anche una notevole componente
cenestesica, e quindi auditiva. Inoltre, sappiamo che è persona
molto affabile, sensibile, fin troppo, perché la sua gentilezza
lo spinge persino a sacrificare il proprio punto di vista, la propria
volontà, i propri desideri pur di non dispiacere agli altri.
Appare molto sofferente, stanco, sfiduciato.
Giacomo: “Da mesi soffro di un disturbo intestinale. Ho provato
diete, decotti, pozioni, rimedi erboristici di ogni tipo, e poi medicine,
combinazioni di medicine, antibiotici, antibiotici di ultima
generazione, ho cambiato medici, ma la dissenteria mi perseguita
lo stesso. Non ho più energia per fare niente… non ho neanche
più la forza per piangere… potrò mai guarire?”
Noi: “Certo che può guarire, e se vuole possiamo cominciare anche
subito ad andare verso la sua guarigione.”
Giacomo: “Per quanto mi riguarda, sono pronto. Non ne posso più
di stare in queste condizioni. Cosa devo fare?”
N.: “Intanto, chiacchieriamo un poco. Che sogni ha fatto di recente?”
G.: “Non so, sogno tanto ma è tutto confuso e non mi ricordo
niente.”
N.: “Non importa, può fare un bel sogno qui, adesso.”
G.: “Come? Qui? Non è possibile.”
N.: “Si che è possibile.”
G.: “Ma come faccio? Io tra l’altro soffro di insonnia, non riuscirei
mai ad addormentarmi qui.”
N.: “Non occorre che si addormenti, anzi, sarebbe addirittura di
ostacolo. È previsto che lei rimanga sveglio.”
G.: “Ah, questa poi! Perché vengano i sogni, bisogna essere addormentati,
non si possono vedere i sogni da svegli.”
N.: “Questo è ciò che ha sempre creduto lei, ma oggi potrà rendersi
conto che le cose non stanno sempre e solo in questo modo.
Vuol vedere?”
G.: “Se questo mi può essere utile, sì.”
N.: “Le sarà utilissimo.”
Vol. I - 2009 Casi Clinici
177
L’ipnosi
Lo invitiamo ad abbassare lo schienale della sua poltrona ed a sistemarsi
più comodo, mentre abbassiamo le luci per creare
un’atmosfera di quieta penombra nello studio. Poi a chiudere gli
occhi, senza coltivare pensieri, ed a lasciarsi andare.
Gli induciamo uno stato di trance, e gli suggeriamo di guardare
con gli occhi chiusi ciò che compare, là, nel suo “schermo interiore”.
Aspettiamo un po’ gli chiediamo di descriverci ciò che vede, direttamente,
a viva voce.
G.: “… ci sono delle immagini indistinte… tra le tante ne spicca
una, particolarmente scura… la guardo… adesso si confonde con
le altre… sta per sparire…”
N.: “Provi a tenerla d’occhio, guardi meglio dove va. ”
G.: “… ci provo… la osservo con più attenzione… è in mezzo ad
altre cose, ad altre ombre... ecco, ora la vedo meglio… è più in rilievo…”
N.: “Lei è presente nella scena? Cioè, lei vede sé stesso là in quella
scena?”
G.: “Si, sono là, mi vedo…”
N.: “Là, nella scena, lei ha la sua età attuale o un’età diversa?”
G.: “Ho l’età di adesso.”
N.: “Bene. Continui pure a guardare e a raccontare ciò che accade.”
G.: “… guardo la figura scura… la seguo… mi attrae ma anche mi
fa paura… mi allontano… adesso è lei che segue me… la guardo…
è scura, nell’ombra…”
N.: “Le parrebbe più una cosa… o più un animale… o una persona?”
G.: “Non saprei… non riesco a vedere bene.”
N.: “Continui pure a guardare… senza fretta… forse fra poco vedrà
meglio.”
G.: “… sì… adesso l’immagine è un po’ più a fuoco… mi pare che
sia una persona.”
N.: “E le sembrerebbe più un uomo… o più una donna?”
G.: “… non so… mi sembrerebbe… potrebbe essere un uomo…
ma non lo vedo bene…adesso è più vicino… mi parla… non sento
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
178
quello che mi dice… è ancora più vicino, mi parla… mi pare che le
sue parole mi entrino nelle orecchie e scendano giù, dentro di
me… non sento le parole… non so chi sia… sto male.”
N.: “Basta così. Bravissimo. Ora può distogliere lo sguardo da
quell’immagine e guardare invece le altre immagini che il sogno le
presenta… guardi solo le altre immagini e lasci che il sogno prosegua
per conto proprio… se lo guardi come quando si è al cinema e
si guarda un bel film.”
G.: “Va bene.”
Dopo una pausa lo ricontattiamo. Sta bene. Di comune accordo,
sfumiamo il sogno che sta vedendo davanti ai suoi occhi chiusi, e
approfondiamo un po’ l’ipnosi.
N.: “Ora, provi a pensare agli uomini che lei conosce e che frequenta
nella sua vita reale… provi a visualizzarli, ma lasci che le
immagini di questi uomini sorgano dalla sua memoria così come
vogliono loro, senza un ordine preciso… mentre lei tranquillamente
sta a guardare… Li vede?”
G.: “… sì… li vedo… ora l’uno, ora l’altro… si muovono… fanno
cose… escono di scena… ne arrivano altri… è tutto come in sogno…
eppure sono sveglio.”
N.: “Ha visto che si può benissimo sognare anche da svegli?”
G.: “Sì, è vero.”
N.: “Bene… e lei ricorda quando è cominciato questo suo disturbo
intestinale?”
G.: “… circa quattro mesi fa.”
N.: “Circa quattro mesi fa…ora, provi a pensare, a vedere, gli uomini
che ha frequentato nell’arco di tempo che va da circa quattro
mesi fa al giorno d’oggi… e, di nuovo, li lasci apparire nella sua
panoramica interiore come vogliono loro, senza un ordine preciso…
mentre lei semplicemente sta a guardare, con calma… Li vede?”
G.: “… sì … li vedo.”
N.: “Bene… fra questi ce n’è forse uno con il quale c’è stato qualche
problema particolare circa quattro mesi fa?… Qualcuno che
forse le ha detto qualcosa di spiacevole?… Che in qualche modo
l’ha turbata… disturbata… circa quattro mesi fa?”
G.: “… sto provando a ricordare… circa quattro mesi fa… mi pare…
mi pare di sì… sì… c’è un uomo… che mi disturba ma non
Vol. I - 2009 Casi Clinici
179
voglio parlarne, non voglio vedere, non voglio sentire!”
N.: “D’accordo, non serve parlarne più a lungo. Ha già visto e detto
tutto quello che le occorre per creare un’ottima premessa alla
soluzione del problema. Se vuole, concludiamo qui la nostra seduta.
Per oggi ha fatto davvero un ottimo lavoro.”
G.: “… no… vorrei andar via, ma sento che è meglio se resto… devo
capire ancora molto... Resto.”
N.: “Complimenti. Restando, lei sta in realtà andando. Sta andando
veloce verso la sua guarigione. Dunque, vuole che riparliamo di
tutta questa sua situazione vista oggi?”
G.: “Sì.”
N.: “Molto bene. Tra gli elementi da lei esposti oggi, c’è una coincidenza
molto interessante. Nel sogno, lei ha visto un certo uomo,
che ha per lei una evidente rilevanza emotiva. Circa quattro mesi
fa, quest’uomo ha detto, o fatto, qualcosa che l’ha disturbata, e circa
quattro mesi fa è cominciato il suo disturbo intestinale. Vero?”
G.: “Vero.”
N.: “Aveva già notato anche lei questa coincidenza?”
G.: “No.”
N.: “Lei è in qualche modo legato, collegato emotivamente o professionalmente,
o finanziariamente, o in altro modo, a questa persona?”
G.: “… sì… c’è una relazione.”
N.: “Lei potrebbe sciogliere questa relazione e andarsene tranquillo
ignorando d’ora in poi questa persona?”
G.: “No. Non potrei. Tra l’altro è un mio parente, e una persona
molto influente, che per certi aspetti stimo.”
N.: “Per “certi aspetti”, lei lo stima, ma per “altri aspetti”, che magari
sono emersi circa quattro mesi fa, lei non lo stima affatto. È
forse così?”
G.: “… sì … è così.”
N.: “Ha mai parlato a quell’uomo di questi “altri aspetti” a lei sgraditi?”
G.: “No.”
N.: “A questo punto, è tutto chiaro. Lei ha sviluppato un sintomo
psicosomatico, che da quattro mesi la perseguita.
Nel sogno, lei vedeva quel personaggio oscuro che le parlava ma
lei non poteva udire le parole. Nella realtà, questo significa che
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
180
l’uomo in questione le ha detto cose per lei dolorose e inaccettabili:
da non poter udire. Quelle cose le sono entrate e sono scese
molto in profondità nel suo essere, fin nelle viscere, fino
all’intestino, ma non sono mai state assimilate, metabolizzate, digerite:
funzioni che normalmente svolge l’intestino.
Quelle cose sono sempre rimaste in lei come corpi estranei, indesiderati
e tossici. La dissenteria costante rappresenta il suo tentativo
costante, e inconscio, di eliminare quelle brutte cose che ha dovuto
mandar giù.
Succede sempre così. Quando qualcosa in noi dev’essere espresso
attraverso la via psichica ma questa via è preclusa, allora quel qualcosa
trova una via somatica e si esprime attraverso un sintomo.
In questi mesi, lei ha provato tante cure, tutte rivolte a sopprimere
il suo sintomo, ma nessuna ha funzionato. Il sintomo non andava
combattuto, andava compreso.
Quando lo comprenderà, e farà ciò che il sintomo le dice, quel sintomo
scomparirà da solo, senza usare medicine.
Ora, vediamo in pratica che cosa si può fare.
Se non può interrompere la relazione con quella persona, allora
manterrà la relazione, ma in un altro modo. La relazione sarà da lei
modificata. Dovrà parlargli di quelle cose spiacevoli per cambiarle
e sistemarle.
Ciò che dovrà dire, le pare qualcosa di ragionevole e possibile, o
qualcosa di assurdo ed impossibile?”
Giacomo: “Ragionevole e possibile.”
Noi: “Bene. Glielo dirà. Ha già tutto chiaro in mente cosa dirgli?”
Giacomo: “… no… dovrei pensarci.”
Noi: “Se vuole, può pensarci adesso, qui.”
Giacomo: “Va bene. Devo dire ad alta voce i pensieri che mi vengono?”
Noi: “Non è necessario, può pensare in silenzio.”
Giacomo: “D’accordo … devo preparami bene i miei pensieri, perché
tante volte sono io che faccio confusione quando parlo, mi intorcolo
in pensieri lunghi e complicati, poi gli altri non capiscono
quello che volevo dire, si irritano e a volte va a finire che si litiga,
per niente… voglio prepararmi bene i pensieri, così dopo parlo
bene.”
Noi: “Bene. Così si fa. La preparazione mentale è la premessa indiVol.
I - 2009 Casi Clinici
181
spensabile per avere successo dopo… Con calma, ora lei si mette
qui a pensare … Invece di far pensieri lunghi e difficili con tante
idee dentro, provi a fare dei pensieri brevi e semplici… dove ogni
pensiero contiene una sola idea, semplice e chiara… così poi
quando parlerà, ogni cosa risulterà chiara e convincente… e andrà
tutto bene… Si prenda tutto il tempo che le occorre e prepari bene
tutti i suoi pensieri.”
Dopo una quindicina di minuti, Giacomo ci comunica che i pensieri
sono pronti.
N.: “Benissimo. Ora provi a immaginare una scena in cui lei e il
suo parente siete insieme, in un posto tranquillo… e lei gli parla
… Riesce a visualizzare questa scena?”
G.: “… sì… siamo io e lui… camminiamo nel parco… io sto parlando…
lui ascolta…”
N.: “Molto bene… continui a guardare questa scena in cui lei dice
tutte le cose che deve dire… le dice con calma, semplicità, chiarezza…
ma anche con fermezza… e il suo interlocutore capisce tutto
subito senza fare confusione.”
Lasciamo parlare Giacomo e noi restiamo in silenzio. Aspettiamo.
Dopo cinque minuti circa, Giacomo prende la parola.
G.: “Ecco… gli ho parlato… gli ho detto tutto…”
N.: “Bene … continui pure a visualizzare la scena di voi due nel
parco… ma stavolta mentre fate un dialogo … Dopo che lei ha parlato
e lui ha ascoltato, immagini che parli lui e le risponda qualcosa,
non si sa cosa, ma qualunque cosa sia, lei ascolta, tranquillo…
quindi, lei gli risponde, tranquillo… e così via, vi alternate nel parlare…
vi spiegate i punti di vista reciproci, con calma…
Si lasci andare a immaginare cosa potrebbe dire lui, cosa potrebbe
dire lei… resti un po’ così, a fantasticare sui possibili discorsi di
lui, di lei… e lei che parla sempre con calma, semplicità, chiarezza,
ma anche con fermezza…
Se fa attenzione a questo dialogo, e affina un po’ l’udito, può addirittura
arrivare a sentire le parole che i due personaggi si scambiano
durante il loro dialogo.”
Restiamo in silenzio. Lasciamo Giacomo nel suo dialogo fantastico,
perché ci si alleni e ci faccia confidenza. Aspettiamo.
Dopo una ventina di minuti, Giacomo ci avvisa che il suo immaginario
colloquio è terminato.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
182
G.: “Ho pensato e ripensato a cosa mi potrebbe rispondere lui, cosa
gli potrei rispondere io, e avanti così, abbiamo fatto botta e risposta
in tutti modi. Le prove sono finite e sono andate bene. Ho
tutto chiaro in mente. Sono pronto, in teoria, ma in pratica non ce
la faccio a sostenere per davvero questo colloquio.”
N.: “Perché?”
G.: “Perché mi sento debole… mi manca l’energia.”
N.: “Ma se lei avesse tanta energia dentro di sé, e si sentisse forte,
allora parlerebbe?”
G.: “Sì.”
N.: “Bene, quand’è così, faremo una bella scorta di energia.”
G.: “Magari si potesse, come quando si va al supermercato a fare
scorta di riso, pasta, zucchero, caffè…”
N.: “È anche più facile, e addirittura gratis.”
G.: “Ah, sì? Cosa devo fare?”
N.: “Per ora rimanga così com’è, con gli occhi chiusi, comodamente
sdraiato sulla sua poltrona e si goda questo relax. Al momento
non serve altro, fra poco faremo un altro sogno.”
Dopo una pausa, approfondiamo lo stato di trance di Giacomo e
lo prepariamo al nuovo sogno.
N.: “Immagini di essere in montagna, in una splendente giornata
di sole… è davanti ad una fonte di acqua pura… l’acqua della fonte
zampilla dalle rocce… lei ha una brocca in mano e la mette sotto
al getto d’acqua… la brocca sempre più si riempie… si riempie…
si riempie… ad un certo punto è ricolma… tracima… La vede?”
G.: “Si. La vedo.”
N.: “Ora veniamo a lei. Con la stessa facilità con cui la brocca si è
riempita d’acqua, fra poco lei si riempirà di energia vitale… è
pronto?”
G.: “Sono pronto.”
N.: “Bene. Tempo fa, lei aveva detto di aver praticato il Tai Chi
Chuan, quindi avrà familiarità con la parola “Chi”, che significa “energia”,
“energia vitale”. Vero?”
G.: “Sì.”
N.: “Bene. Ora provi semplicemente a visualizzare se stesso, così
com’è… lei, da solo… qui, adesso… Ci riesce?”
G.: “… sì… mi vedo.”
Vol. I - 2009 Casi Clinici
183
N.: “Molto bene… Nell’immagine che ha davanti ai suoi occhi
chiusi, c’è lei, beatamente disteso in poltrona… se ne sta così, senza
lavorare… senza muoversi… senza coltivare pensieri… in ozio:
in questo modo lei smette di consumare la sua energia… anzi, si
rigenera, cioè rigenera le sue scorte di energia… Questo fenomeno
di ricarica energetica accade naturalmente, spontaneamente, a tutti…
a tutti coloro che fanno come lei in questo momento … Basta
smettere ogni attività, entrare in relax, lasciarsi andare… e accade.
È stupendo, ed è un dono che ci fa l’Esistenza… a tutti noi… basta
rendersene conto e saperlo cogliere …
Quello che i cinesi chiamano “Chi” 1, è in realtà un oceano di energia…
un oceano smisurato… un oceano cosmico… in cui tutti
sono immersi e di cui tutti si nutrono, anche senza rendersene
conto… è energia cosmica, luce, magnetismo, onda, vibrazione…
energia vitale… che ci fa vivere e fa vivere tutto e tutti …
Quando lei respira, respira quest’energia…
Quando lei si addormenta, dorme in quest’energia…
Quando si risveglia, è ancora dentro a quest’energia…
Quando si muove, si muove dentro a quest’energia…
Quando lavora, consuma quest’energia…
Le fatiche, le tensioni, consumano quest’energia… ma lei ora ha
smesso di lavorare, ha smesso di affaticarsi, ha smesso di coltivare
pensieri, ha smesso tutto… lei ora è semplicemente qui, si lascia
andare, si rilassa, e così si rigenera… tutto accade spontaneamente
naturalmente…
Con un’immagine mentale, lei può visualizzare nei dettagli questo
fenomeno, tanto semplice quanto grandioso, così diventa ancora
più potente… l’immagine è questa: mentre inspira visualizza
l’energia vitale che entra dentro di lei… e mentre espira visualizza
questa stessa energia che scende, sempre all’interno del suo essere,
e va giù, giù in fondo fino alle dita dei suoi piedi… ecco, ora le
dita dei piedi sono piene di energia…
Con un’altra inspirazione prende nuova energia, e con
l’espirazione di nuovo l’energia scende nel suo interno fino ai piedi…
così dopo qualche respiro i piedi sono pieni, e lei comincia a
1 In India questa energia vitale universale è il “prana”. Giustamente vanno
usate le metafore che il paziente conosce (o che è in grado di capire) con
il linguaggio con cui le conosce. (R. A. di B.)
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
184
riempire le caviglie… Ora le caviglie sono piene, e lei comincia a
riempire le gambe… i polpacci… le ginocchia…le cosce… sempre
più su… sempre più su… continua a riempirsi di energia… si
riempie… si riempie… si riempie… ad un certo punto, succederà
anche a lei come alla brocca ricolma di acqua pura, che tracima…
anche lei si sentirà ricolmo e straripante… straripante di energia
vitale… si sentirà rigenerato, rivitalizzato, forte, di una grande forza
calma…”
Lasciamo Giacomo in silenzio, nella sua rigenerazione.
Dopo alcuni minuti, ci chiama.
G.: “Ecco… ho finito.”
N.: “Come si sente?”
G.: “Pronto … pieno … calmo … deciso… sto benissimo.”
N.: “Benissimo… Fra poco scioglieremo questa seduta, e lei continuerà
a sentirsi così anche quando aprirà gli occhi… anche quando
si alzerà dalla poltrona… anche quando ci saluteremo e andrà
via di qui… continuerà a sentirsi rigenerato, carico di energia, di
forza, di calma…
E se domani non si sentirà più così, nessun problema: potrà rifare
a casa sua quanto ha fatto oggi, qui. Ormai ha imparato, e ogni volta
che ne avrà bisogno saprà provvedere da solo a rigenerare la sua
energia, la sua forza, la sua calma…
Poi, quando sarà pronto, andrà a parlare al suo parente.
Quando vi incontrerete nella realtà, non si sa cosa vi direte, lo
scoprirete il giorno in cui vi parlerete. Quel giorno, ci sarà
senz’altro un dialogo in cui due persone intelligenti si capiscono e
si mettono d’accordo.”
È l’ultima induzione che facciamo a Giacomo. Dopo una pausa di
silenzio, lo ricontattiamo per sciogliere il suo stato di trance e riportarlo
allo stato normale di coscienza. Terminiamo la seduta. Ci
congediamo.
Quando ci saluta, Giacomo appare molto fiducioso, tranquillo,
sorridente.
Conclusione
Il lunedì successivo, ore 10, si ripresenta Giacomo e ci racconta le
Vol. I - 2009 Casi Clinici
185
sue vicende.
Giacomo: “Ho incontrato il mio parente, ci siamo parlati. È stato
più facile di quello che credevo, ci siamo chiariti… e non ho più la
dissenteria. Sto bene. Ma… è possibile che sia guarito?”
Noi: “Sì. È possibile. È guarito.”
Lo abbiamo rivisto alcuni mesi dopo, in un incontro casuale, in città.
Ci ha confermato che stava bene e non aveva più avuto ricadute.
Non succede sempre così. Di solito, occorrono più sedute per guarire,
ma a volte succede proprio così
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
186
Gudo Bozak
TRATTAMENTO IPNOTICO IN UN CASO DI DISTURBO
PSICOSOMATICO
Parole chiave: visualizzazione, capire, paura, sogno da svegli, energia, sintomo
psicosomatico, ipnosi.
RIASSUNTO
Partendo dalla base di una relazione empatica, in cui la persona malata
ripone la propria fiducia nel terapeuta, L’Autore la guida verso la scoperta
di capacità psicologiche proprie, che la rendono fiduciosa di se stessa e
capace di guarire. Inoltre, L’Autore mostra l’uso dinamico e la grande versatilità
di quello straordinario strumento chiamato ipnosi.
Gudo Bozak
HYPNOTIC TREATMENT IN A CASE OF PSYCHOSOMATIC DISEASE
Key words: to visualize, understanding, fear, waking dream, energy, psychosomatic
symptom, hypnosis.
SUMMARY
Starting from the base of an empathetic relation, in which a sick man is
confident on the therapist only, the Author leads that man to the discovery
of his own psychological capacities, so that man becomes self-confident
and capable to heal himself. Besides, the Author shows the dynamic use
and great versatility of that extraordinary tool called hypnosis.
L’Autore
Dr. Gudo Bozak, S.M.I.P.I.
Laurea in Lingue, Laurea in Psicologia, Counsellor
Viale Nazioni Unite 132, 31100 Treviso. Tel: 0422-430317
Vol. I - 2009 Casi Clinici
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Anna Rossi
VIAGGIO FRA MAGIA NERA
E DISTURBO PSICHIATRICO
Parole chiave: etnopsichiatria, magia nera, disturbo borderline di
personalità, ipnosi.
Introduzione
L’etnopsichiatria nasce dalla scuola di Tobie Nathan, psicologo
francese che ha applicato in campo terapeutico le teorie etnologiche
di Georges Devereux. È nata così una nuova disciplina complementarista
che, integrando conoscenze psicologiche, sociologiche
e antropologiche, ha lo scopo di prendersi cura della “psiche”
delle nuove minoranze etniche interpretando correttamente le loro
culture.
Da qualche anno, anche nel nostro Paese sono sempre più frequenti
e numerose le ondate di immigrati fuggiti dalle loro terre
natie per difficoltà economiche e/o persecuzioni politiche o religiose.
La fase immediatamente successiva alla migrazione rappresenta
per il singolo individuo un periodo di estrema vulnerabilità
psico-fisica. Le difficoltà ambientali che comprendono la mancanza
di una rete famigliare e amicale, il difficile inserimento lavorativo e
abitativo, l’esposizione ad un ambiente urbano, spesso notevolmente
differente da quello natio, la problematica integrazione per
diversità di lingua, credenze e tradizioni, possono far evolvere il
disagio in un disturbo vero e proprio.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
188
La gestione di un disagio o di un disturbo in una persona di
un’altra cultura deve tener conto di importanti variabili che condizionano
l’approccio diagnostico e terapeutico. L’etnopsichiatria
clinica di Nathan si propone l’esplorazione dei diversi saperi e delle
differenti pratiche terapeutiche proprie di altre società con piena
disponibilità a rivedere in modo critico i propri modelli psicoterapeutici,
mantenendo così un atteggiamento di apertura mentale,
flessibilità, onestà intellettuale e di sensibilità metodologica totale
nei confronti della sofferenza degli emigrati.
Pari dignità viene data dall’etnopsichiatria alle medicine tradizionali
di altre culture che, dirette ereditiere di tradizioni millenarie,
hanno affinato nel tempo tecniche di guarigione efficacissime basate
sul semplice funzionamento e non sulla costruzione teorica.
In caso di disagio psichico, nella medicina occidentale gli operatori
sono psichiatri e psicoterapeuti che lavorano su una diagnosi in
una prospettiva laica associando la sintomatologia alla persona.
Nella medicina non occidentale gli operatori sono sciamani, curandere,
che per la diagnosi utilizzano la divinazione per dissociare
il sintomo (che ha sempre una connotazione “sacra”) dalla persona.
Lo psicoterapeuta deve sì tener fede ai criteri della propria formazione
e della propria esperienza, ed evitare facili fascinazioni di
pratiche seducenti prive di valore scientifico, ma deve altresì effettuare
una doppia lettura della patologia che sta esaminando, non
solo dal punto di vista teorico filosofico sociale, ma anche dal punto
di vista terapeutico, consentendo al paziente di affidarsi contemporaneamente
alla psichiatria occidentale ma anche a rituali
magici e animistici.
Obiettivo della tesi 1
Gli obiettivi della tesi sono essenzialmente due:
a) Creare un rapporto di reciproca fiducia col paziente di un'altra
etnia guidando la sua psiche, macchina che crea e scioglie legami,
verso l’auto-guarigione.
1 Tesi di Specializzazione in Psicoterapia ad indirizzo Ipnosi Clinica, Scuola
S.M.I.P.I., A.A. 2008/2009.
Vol. I - 2009 Casi Clinici
189
b) Valutare se tecniche ipnotiche siano in grado di offrire un’attiva
e concreta possibilità di ristrutturazione del disagio e di ricostruzione
dell’unicità della persona, nel rispetto delle convinzioni, in
tutte le sue dimensioni e sfaccettature.
Un caso clinico
La storia
Paula è una giovane ballerina Brasiliana, residente in Italia da ormai
dieci anni, affetta da un disturbo borderline di personalità. Ella
conserva intatta la capacità di valutare razionalmente la realtà
per comprendere lo svilupparsi degli eventi ed il concatenarsi delle
relazioni. Racconta come i suoi disturbi, esorditi in età infantile,
siano collegati ad una vera e propria malattia psichica, e che su tale
sintomatologia si siano poi sovrapposti i disturbi collegati alla magia.
Secondo la sua stessa definizione, Paula avverte una “dimensione
spirituale della vita”, con un atteggiamento distaccato e razionalmente
consapevole. Questa dimensione animistica le viene
tramandata dal padre, in possesso di doti premonitrici relative ad
eventi negativi che si sarebbero sempre verificati ineluttabilmente
nonostante i suoi vani tentativi di modificarli.
I primi disturbi di Paula iniziano nella preadolescenza: ribelle,
provocatoria, aggressiva, violenta, entra in conflitto coi genitori
che sembrano non accorgersi della sua sofferenza, mostrando disinteresse
e profonda incapacità di accudimento affettivo. Su tali
disturbi si inserisce la componente magica, una “macumba” praticata
dall’amante del padre contro di lei, che aggrava la problematica
della ragazzina.
Paula infatti, scoperta la relazione del padre, aveva aggredito fisicamente
la donna ed informato il marito del tradimento, facendole
perdere la custodia dei figli.
Appare intuibile come si possa proporre una lettura dell’episodio
in termini di “senso di colpa” da parte della paziente, ma questo
non sminuisce l’importanza della spiegazione magica, che ne risulta
invece rafforzata, assumendo un significato ancora più preciso.
Da quando le erano state rivolte contro pratiche magiche, Paula
aveva iniziato a presentare allucinazioni uditive. Udiva la voce di
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
190
una donna che le intimava di procurarsi del male fisico, addirittura
di uccidersi, altrimenti lei stessa sarebbe stata spinta ad atti violenti
nei confronti dei suoi famigliari. Queste minacce e intimazioni erano
diventate ancora più pesantemente drammatiche e angoscianti
per Paula dopo la nascita dei suoi due figli perché si accaniva
proprio su di loro la voce persecutrice.
Le allucinazioni
Paula, ha la capacità di discriminare l’effetto disturbante e irrazionale
delle proprie allucinazioni, ed inserisce questa fenomenologia
nella propria cultura.
Queste esperienze, osservate in senso animistico, appaiono in totale
sintonia e coerenza con la realtà nella quale si muove la paziente,
conservando così una trama di significati che possono essere
condivisi. Paula stessa, introducendo le premesse teoriche e ideologiche
della propria cultura, ha la possibilità di spiegare la propria
sofferenza salvando i propri valori religiosi, che osserva e rispetta
ma dei quali ha paura.
Riesce così, rassicurata da un atteggiamento privo di pregiudizi di
ascolto e di accettazione della sua parte più genuina, a dare spiegazioni
culturali delle proprie allucinazioni, descrivendo le cause
che le determinano e le pratiche terapeutiche che le fanno scomparire.
Disperata per l’irrisolvibilità della situazione (le “voci” e l’angoscia
non erano svanite con la terapia farmacologia che pure assumeva
di buon grado 2) Paula decideva di tornare in Brasile per sottoporsi
ad un rituale di “ purificazione” dalla precedente fattura.
In un primo tempo si sottoponeva a massaggi con unguenti ed erbe
ma senza beneficio. La mancanza di risultati veniva spiegata dal
fatto che le era stata praticata una fattura di particolare forza che
richiedeva pertanto un intervento più complesso.
Per allontanare le forze negative responsabili di molte sofferenze si
rendeva così necessario l’intervento di tre terapeuti. Veniva quindi
allestito un rituale con un rogo purificatorio, in cui venivano bruciati
alcuni oggetti simbolici. Questo secondo trattamento aveva
garantito un deciso miglioramento delle condizioni della paziente:
2 Gli psicofarmaci non modificano le convinzioni profonde da cui nasce la
psicopatologia, al massimo possono attenuarne gli effetti. (R.A. di B.)
Vol. I - 2009 Casi Clinici
191
infatti erano sparite le voci che tanto l’avevano angosciata.
Modalità di intervento psicoterapeutico
Conosco Paula in una clinica psichiatrica durante il mio tirocinio
pratico: i motivi del ricovero sono simili a quelli di molti altri ricoveri
da lei effettuati in precedenza: uno stato di intensa angoscia,
con forti impulsi auto lesivi, indotti da una lite col marito avvenuta
per futili motivi. Sotto i motivi contingenti, che agiscono come fattori
scatenanti, si muove l’ambivalenza affettiva nei confronti del
marito che si esplica con fasi alterne di agitata conflittualità e di
avvicinamento.
La relazione terapeutica istituita con la paziente verte esclusivamente
sull’uso degli strumenti consueti: colloquio e farmaci. Al di
là dell’atteggiamento di reticenza sulla sua componente animistica,
per non esporsi a facili umiliazioni e derisioni che troppe volte ha
dovuto sopportare da terapeuti precedenti, Paula accetta di buon
grado le terapie.
Nulla fa intravedere l’esistenza di un mondo ancora taciuto: Paula
ha un titolo di studio equiparabile alla nostra maturità, proviene
da una famiglia agiata, con un padre che gestisce un’attività imprenditoriale
che si estende anche all’estero, ha vissuto in una
grande metropoli in una società industrializzata. So poco di lei, mi
raccontano che ha uno stile di vita un po’ disordinato, che fa frequenti
viaggi in Brasile, con grande disappunto del marito, e che
ha comportamenti autolesivi che vanno da ferite, scarificazioni e
bruciature, fino a veri e propri tentativi di suicidio con farmaci.
Paula ha la pelle ambrata, una fascia turchese le raccoglie i capelli
neri divisi in tante treccioline, è distesa sul letto e guarda le foto
dei suoi figli sul suo comodino.
Mi rivolgo a lei dicendole che sono molto belli. Lei allora mi spiega
che la bambina, avuta da una relazione precedente, è ora è affidata
ai nonni paterni e che lei, con rammarico, non la vede più da tempo,
mentre il bambino, che è la sua gioia, vive con lei e il marito.
Aggiunge che sono bravi mentre lei è stata una bambina “cattiva”.
Le chiedo quale sia stato il momento più sereno della sua vita. Mi
dice: “Quando aspettavo il mio bambino”.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
192
La invito pertanto a rilassarsi e mentre chiude gli occhi può pensare
a quel momento magico che è la gravidanza, …può tornare indietro
nel tempo e, mentre il suo respiro si fa più profondo, provare
le sensazioni di benessere che ha una madre nel permettere
che cresca dentro di lei una vita, il frutto del suo amore… la
mamma lo nutre, la mamma lo culla, la mamma lo protegge…
Mentre pensa al suo bambino, può pensare di amare nutrire proteggere
e coccolare quella bambina “cattiva” che non è cattiva ma
solo “birichina”… perché quella bambina ha bisogno di attenzioni,
ha bisogno di amore, ha bisogno di essere abbracciata.
Paula si accarezza il ventre e poi incrocia le braccia sulle spalle carezzandole
dolcemente… piano, piano riapre gli occhi e mi dice:
“grazie dottoressa”.
Incontro Paula la settimana successiva mi accoglie con un sorriso
orgogliosa di se stessa: “ho tenuto a bada la bambina “birichina”.
Mi spiega che andando al bar della clinica per prendere un caffè
era fortemente attratta dai rasoi monouso. Indecisa su come spendere
i suoi soldi, si era allora ricordata di abbracciare la bambina e
aveva deciso di ordinare il caffè!
Le dissi che ero molto contenta e che ora che aveva imparato ad
amare quella bambina avrebbe sempre deciso per il meglio.
In seguito le preparai dei disegni raffiguranti gli oggetti che lei usava
per farsi del male ed altri disegni di oggetti simili, ma innocui.
Montandoli insieme, in una sorta di cartone animato, glieli mostravo
in movimento in modo da trasformare un’immagine in
un’altra e decondizionare l’aspetto lesivo di tali strumenti: le forbici
diventavano un mazzo di fiori, il rasoio un microfono per cantare
e così via…
Le condizioni di Paula miglioravano grazie alla stabilità della terapia
e alla fiducia che si era instaurata nei confronti dei Curanti.
Ebbe così il coraggio di renderli partecipi delle proprie esperienze
animistiche per la ricerca e la valutazione di tali fenomenologie,
desiderando di essere creduta.
Durante un pomeriggio. ritornata a casa in permesso, ebbe ancora
qualche dissapore col marito senza però mettere in atto comportamenti
autolesivi.
Decisi quindi di aiutarla a capire con delle metafore ciò che stava
dietro la sua angoscia e a modificare le sensazioni di paura che lei
Vol. I - 2009 Casi Clinici
193
aveva nei confronti del marito. Le chiesi, visto che era una ballerina,
se voleva danzare con me le tappe per affrontare il “drago”,
cioè la sua angoscia, passando attraverso varie tappe per trovare
delle soluzioni del tutto nuove.
Lei mi rispose che non era pronta a farlo. La rassicurai dicendo che
gliele avrei illustrate io stessa e, se la cosa le fosse piaciuta, le avremmo
potute esplorare insieme.
Mi feci un po’ di spazio fra i due letti della camera e disegnai con
un gesso sul pavimento i 5 cerchi della diversa consapevolezza del
“drago” e misi al centro un telo simbolo del “mantello del mago”
ciò che può trasformare il “drago”.
Le spiegai, muovendomi da un cerchio all’altro che:
- il primo riguardava l’innocenza: il sapere dell’esistenza del drago,
ma non il sapere su come affrontarlo;
- il secondo la solitudine: la sottomissione al drago;
- il terzo il martirio: il sacrificio per il drago;
- il quarto la distrazione: il fare finta che il drago non esista e occuparsi
di altre cose;
- il quinto la guerra: il combattere il drago;
- quello al centro era il cerchio del” mago”, colui che col suo mantello
può vedere il “drago” in un modo diverso.
Incuriosita e affascinata da questa nuova prospettiva, Paula si affidò
completamente e mani nelle mani ad occhi chiusi cominciai ad accompagnarla
coraggiosamente e amorevolmente incontro alla trasformazione
di una realtà che si proponeva come un angosciante
macigno. Danzando di cerchio in cerchio ad occhi chiusi, con suggestioni
che calavano, nella diversa consapevolezza di elementi e
modalità già vissute su come affrontare la paura, arrivammo finalmente
al cerchio del mago. A questo punto la invitai ad indossare
il mantello del mago per ascoltare quello che la sua paura aveva da
dirle.
Paula si fermò fece il gesto di indossare il mantello, le lacrime
sgorgavano dai suoi occhi chiusi e piangendo gridò: “ti amo”.
Il giorno successivo fu inviata in permesso a casa per festeggiare il
compleanno del figlio e trascorse in famiglia una giornata armoniosa.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
194
Discussione e conclusioni
Ad una successiva visita di controllo ero curiosa di sapere quanta
importanza avrebbe attribuito Paula alle nostre terapie “occidentali”
e quanta alle terapie derivanti dalla sua tradizione per spiegare
il miglioramento.
Mi chiarisce che si tratta di due campi assolutamente separati.
Il primo, quello che aveva tratto beneficio dal trattamento farmacologico
e psicoterapeutico era il campo della patologia psichiatrica,
configuratesi come disturbo di personalità e responsabile
dell’ultimo ricovero legato ad una serie di situazioni reali angoscianti.
Il secondo era quello relativo alle influenze magiche collegate alle
voci e alla componente di malessere legata ad altre persone, sia
come autori della magia nera sia come vittime di essa. Era dunque
lei stessa uno degli oggetti di questi impulsi, e in questa dimensione
di vittima diveniva persona diversa da sé, sviluppando
nell’autolesionismo una sorta di involontaria e paradossale alleanza
con i propri aggressori. Il fatto pertanto che le voci fossero
scomparse dopo i trattamenti tradizionali in Brasile appariva perfettamente
in sintonia con questa suddivisione dei disturbi.
Tacciare questa guarigione di mera suggestione o manipolazione
potrebbe rientrare in una spiegazione assolutamente logica e coerente
con i nostri parametri nosografici e psicologici, ma priverebbe
la osservazione di questo caso del suo dato più interessante ed
appassionante cioè del vissuto della paziente riguardo alla propria
sofferenza.
L’ascolto e l’accettazione delle caratteristiche e la messa in atto di
interventi semplici e creativi attivi sulla parte emozionale di Paula
hanno permesso alla paziente, per la prima volta in tanti anni, di
aprire senza riserve il suo lato spirituale, permettendo che finalmente
le fosse restituita la sua unitarietà .
Paula era diventata così protagonista autentica della propria terapia,
percependo di essere accettata nella sua identità, dal momento
che le sue convinzioni poggiavano su tratti più profondi della
sua persona e venivano riconosciuti nella loro importanza e non
trattati come un residuo di credenze infantili e selvagge.
Il riconoscimento della dignità di significato, di importanza dei riVol.
I - 2009 Casi Clinici
195
spettivi riferimenti culturali sono alla base del rapporto terapeutico
che diventa così dilatato e carico di aspettative.
“Non è importante distinguere il vero dal falso di un pensiero ma
ciò che esso mobilita”. 3
Bibliografia:
Nathan T. (1990) - La follia degli altri. Saggi di etnopsichiatria.
(Ponte delle grazie, Firenze)
Nathan T. (1996) - Medici e Stregoni
(Bollati Beringhieri, Torino)
Haasen C. Yagdiran O. (2000) - Potential for misdiagnosis among Turkish
migrants with psichotic disorders a clinical controlled study in Germany.
(Acta Psychiatrica Scandinavica 101:125-129)
Fatos D. (2002) - Etnopsicologia, etnopsichiatria e l’idea dell’altro.
(Vertici network di psicologia e scienze affini)
Mallet R. LeffJ et al 2002 - Social enviroment, ethnicity and schizophrenia.
(Soc Psychiatr epidemiol 37: 329-335)
Grandsard C. (2003) Elementi di etnopsichiatria .Metodologia e propedeutica
al lavoro con i mediatori culturali
Hounkpatin L. (2003) - Rappresentazioni e visioni tradizionali: corpo,
mente, salute, identità e persona in Africa Occidentale.
Nathan T. (2003) - Non siamo soli al mondo.
(Bollati Beringhieri, Torino)
3 Spesso in psicoterapia l’operatore cerca di “convertire” il paziente alle
proprie convinzioni, comportamento che molto spesso è solo uno spreco
di tempo; invece accettare ed entrare nella mentalità del paziente per rielaborarne
in positivo gli elementi vissuti in modo patogenetico è il comportamento
efficace. (R.A. di B.)
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
196
Anna Rossi
VIAGGIO FRA MAGIA NERA E DISTURBO PSICHIATRICO
Parole chiave: etnopsichiatria, magia nera, disturbo borderline di personalità,
ipnosi.
RIASSUNTO
L'autrice descrive un caso di una paziente brasiliana affetta da un disturbo
borderline di personalità convinta di essere stata colpita da un maleficio in
età preadolescenziale.
Il rispetto delle sue profonde e immodificabili convinzioni, in assenza di
pregiudizi, e dei semplici interventi psicoterapeutici eseguiti in ipnosi
hanno portato sensibili miglioramenti sul piano comportamentale, restituendo
unitarietà e dignità alla persona.
Anna Rossi
A JOURNEY BETWEEN BLACK MAGIC
AND ETHNOPSYCHIATRIC
Key Words: ethnopsychiatry, black magic, borderline personality disorder,
hypnosis.
SUMMARY
The autor describes the case of a female brazilian patient with a borderline
personality disorder and with a history to have been fallen a victim to a
woman's charms in preadolescent age.
The respect of her traditional thoughts, without any prejudice, associated
with simple therapeutic interventions performed in hypnosis brought to
significant improvement in her behaviour, restoring unity and dignity to
her personality.
L’Autrice
Dottoressa Anna Rossi, terapeuta SMIPI,
medico, professore a contratto Università di Genova, specialista in Anestesiologia
e Rianimazione, specialista in Scienza dell'Alimentazione, specialista
in Psicoterapia ed Ipnosi Clinica S.M.I.P.I.
Via Belsito 7 - 16167 Genova, E mail: annarossi04@libero.it
Vol. I - 2009 Casi Clinici
197
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ODONTOSTOMATOLOGICHE
DELL’UNIVERSITÀ DI SIENA
SEZIONE DI ANESTESIOLOGIA RIANIMAZIONE E TERAPIA DEL DOLORE
(UNITÀ OPERATIVA DI ANESTESIOLOGIA IN ODONTOSTOMATOLOGIA)
Alberto Mori, Davide Celestino, Niccolò Maggiorelli,
Andrea Di Massa
IMPIEGO DELL’IPNOSI PER LA SEDAZIONE
DI UNA PAZIENTE ODONTOIATRICA
CON SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA
Il faut substituer l’ésprit de sistème avec l’ésprit d’observation.
(GEORGE CABANIS)
Parole chiave: sedazione, odontoiatria, ipnosi medica, Sclerosi Laterale
Amiotrofica.
Introduzione
La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una patologia neurodegenerativa
caratterizzata dalla progressiva morte dei motoneuroni che
permettono il movimento della muscolatura volontaria. Colpisce
sia i motoneuroni centrali, che si trovano nella corteccia cerebrale
e trasportano il segnale dal cervello al midollo spinale, sia quelli
periferici, che trasmettono il segnale dal midollo spinale ai muscoli1,2.
La morte dei motoneuroni avviene gradualmente in un periodo
che può andare da pochi mesi ad anni, in questo periodo i motoRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
198
neuroni superstiti sostituiscono nelle proprie funzioni quelli distrutti.
I primi segni della malattia compaiono quando la perdita
progressiva dei motoneuroni supera la capacità di compenso dei
motoneuroni superstiti fino ad arrivare ad una progressiva paralisi,
ma con il risparmio delle funzioni cognitive, sensoriali, sessuali e
sfinteriali (vescicali ed intestinali).
La SLA è una delle forme più comuni di malattie neuro degenerative
dell’adulto con un’incidenza di 0,5-3 casi su 100.000 abitanti.
I primi sintomi della SLA sono solitamente alterazioni motorie come
affaticamento delle braccia e delle gambe, difficoltà nel parlare
e crampi muscolari. Spesso le mani sono le prime ad essere colpite
risultandone un evidente ostacolo alle abituali occupazioni. Col
progredire della malattia i sintomi diventano sempre più importanti:
alla immobilità ed alla perdita della deglutizione fa seguito
l’insufficienza respiratoria, che può rendere necessaria la ventilazione
artificiale. L’esito è infausto.
Il presente lavoro ha lo scopo di sottolineare che pazienti incapaci
di collaborare a causa delle loro gravi condizioni psico-fisiche possono
essere trattati con opportuni accorgimenti, anche quando
l’impiego di usuali metodiche non ha prodotto i benefici sperati.
Descrizione
G.T. è una donna di 35 anni affetta da sclerosi laterale amiotrofica.
La paziente quando giunse alla nostra osservazione era trasportata
in sedia a rotelle poiché impossibilitata a muoversi autonomamente.
Era incapace di articolare parola; emetteva solo qualche fonema
che esclusivamente gli accompagnatori (il marito e un’amica di
famiglia) riuscivano, e non sempre, a decifrare.
Durante il nostro colloquio la paziente per comunicare con noi,
non abituati al suo linguaggio, annuiva serrando fortemente le
palpebre e negava scuotendo la testa.
Aveva necessità di estrazioni dentarie in seguito a patologie cariose
destruenti (primo e secondo molare inferiore di sinistra); era stata
inviata alla nostra attenzione dal suo dentista con richiesta di sedazione
cosciente. Richiesta motivata dal fallimento del trattamento
odontoiatrico programmato per insorgenza di sintomatologia anVol.
I - 2009 Casi Clinici
199
siosa. Per mezzo della “traduzione” degli accompagnatori, riusciamo
a capire che lei durante l’apertura della bocca non poteva respirare
dal naso e quindi provava un senso di soffocamento durante
le manovre odontoiatriche, forse anche a causa dell’accumulo di
secrezioni e di liquido di lavaggio nel faringe. Inoltre non si sentiva
tranquilla poiché chi l’aveva ricevuta in prima istanza non aveva
mostrato sufficiente pazienza.
Comportamento clinico
Inquadramento
Dopo un attento esame della storia clinica della paziente decidiamo
di non optare per una ansiolisi farmacologica poiché, almeno
in linea teorica, eventuali effetti collaterali da farmaci sedativi, sebbene
non siano di frequente osservazione se usati “lege artis”, in
una paziente con le limitazioni descritte non sono scevri da rischio.
Abbiamo anche rinunciato all’utilizzo del protossido d’azoto
in quanto non conoscevamo lo stato anatomo-funzionale delle vie
aree della paziente e volevamo assolutamente evitare in una paziente
con patologia grave tutti i fastidi che le ricerche cliniche,
necessarie per formulare un accurato giudizio di rischio, comportano
(spostamenti, prelievi, esami funzionali eccetera).
I farmaci sedativi, in particolare le benzodiazepine, possono eccezionalmente
provocare insufficienza respiratoria per inibizione del
centro del respiro a livello bulbare, e per rilasciamento dei muscoli
della lingua che può cadere all’indietro, obliterando le vie respiratorie.
Inoltre è stato accertata, attraverso studi scientifici, la pericolosità
del’uso di farmaci benzodiazepinici in pazienti affetti da SLA,
in quanto è presente un alterato legame recettoriale3. Inoltre avanzavamo
riserve relativamente al calcolo delle dosi di sedativi da
somministrare, non avendo in letteratura trovato specifiche indicazioni.
Quindi, avendo notato l’integrità delle facoltà cognitive della
paziente e la sua motivazione, abbiamo pensato di procedere a
mezzo di induzione ipnotica.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
200
Preparazione
- fase A
Dopo essersi rilassata, la paziente è stata invitata a sperimentare un
piacevole stato di benessere immaginando una passeggiata in
campagna con i suoi figli che spingono la carrozzina e raccolgono
fiori per lei. Durante la trance è stata esortata ad annusare i fiori
che i figli le avevano raccolto e a respirare, a pieni polmoni e a
bocca aperta, l’aria di quel luogo immaginario dove la passeggiata
si svolge. Successivamente è stata poi ancorata l’apertura della
bocca alla piacevole sensazione del profumo dei fiori raccolti dai
figli durante la passeggiata4,5.
-fase B
Dopo il risveglio dalla trance, viene condotta da noi in sala operatoria
direttamente dall’ambulatorio. Le abbiamo dato un occhialino
nasale per ossigeno terapia e l’abbiamo nuovamente invitata ad
aprire la bocca e a respirare solamente col naso; durante questo
esercizio, per simulare l’intervento odontoiatrico, abbiamo provato
a tappare con le mani la bocca già aperta della paziente, di modo
che non vi fosse alcun flusso di aria per via orale. Durante questa
manovra abbiamo detto alla signora che l’ossigeno erogato attraverso
l’occhialino nasale era come il profumo dei fiori colti dai
propri figli durante la passeggiata, e nonostante avesse la bocca
letteralmente tappata dalle nostre mani, riusciva a respirare bene,
come prima non accadeva.
In seguito si regala alla paziente un dispositivo per somministrazione
nasale di ossigeno, al fine di consentirle di esercitarsi a respirare
dal naso a bocca aperta, in vista del trattamento odontoiatrico.
Trattamento
Il giorno stabilito per l’intervento, abbiamo indotto in ipnosi la paziente
con le stesse modalità della prima volta, ripetendo la metafora
della passeggiata e del profumo dei fiori, di modo che, anche
mediante la somministrazione di ossigeno, riuscisse nuovamente a
respirare solo con il naso. Abbiamo raccomandato all’odontoiatra
Vol. I - 2009 Casi Clinici
201
di aspirare accuratamente e di usare con parsimonia il liquido di
lavaggio.
Al risveglio dalla trance dopo l’intervento la paziente,aiutata dal
marito ed amica interpreti, ha spiegato, pur non essendo in proposito
stata avanzata richiesta alcuna, i motivi della propria ansia.
L’abolizione della sensibilità e della motilità delle labbra in una
persona già pesantemente limitata nel controllo del proprio corpo
risultava particolarmente sgradevole e (aggiungiamo noi) forse anticipatoria
di maggiori sventure.
Il nostro intervento, basato su una corretta tecnica di comunicazione,
è fondamentalmente servito a farle accettare le conseguenze
dell’anestesia loco regionale, che nessuno immaginava fossero vissute
in modo così drammatico.
Il fatto che il trattamento di pazienti con così gravi limitazioni fisiche
sia eccezionale nella pratica odontoiatrica dà ragione degli errori
che l’équipe odontoiatrica può commettere nella comunicazione
con loro. In effetti la abolizione della sensibilità e motricità
in un piccolo territorio quale quello bloccato con una anestesia
loco regionale (ALR) in odontoiatria, in un paziente che non ha
padronanza della quasi totalità del corpo può avere effetti particolarmente
spiacevoli.
Conclusioni
Sul caso descritto gli autori possono trarre due conclusioni apparentemente
antitetiche: i medici che hanno trattato la paziente affetta
da SLA sono soddisfatti del risultato clinico; i ricercatori che
hanno descritto il caso sono insoddisfatti poiché non riescono a
dare spiegazione scientifica * di quanto hanno osservato.
Di certo la chiave del successo conseguito non può essere tanto
ricercata nella sfera cognitiva legata in gran parte allo stato di veglia,
quanto piuttosto nella possibilità dello stato mentale di ipnosi
* Chissà se mai sarà possibile dare una spiegazione scientifica di “miracoli”
come questo, d’altra parte sono più importanti: il risultato clinico pratico
e la dimostrazione della possibilità di realizzarlo. Questo esempio può essere
utile in altri casi con simili problematiche: gli interventi potranno essere
analoghi, ma naturalmente andranno di volta in volta adattati su misura
per il singolo paziente. (R.A. di B.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
202
di rendere fruibile risorse e materiale inconscio, comunque presente,
ma non disponibile allorché l’interessato compie sforzi per
esplorare razionalmente6 il patrimonio di conoscenze e potenzialità
che la sua mente ed il suo cervello contengono7.
Le metodiche terapeutiche basate sulla comunicazione interumana
rendono più ricco il patrimonio di conoscenze dell’odontoiatra, e,
all’occorrenza, contibuiscono alla risoluzione di casi “difficili” o,
apparentemente con le normali metodiche, “impossibili”.
L’odontoiatra durante i suoi studi dovrebbe essere reso edotto sulle
possibilità che queste metodiche offrono8.
Solo l’accettazione convinta e letterale di quanto sostenuto da George
Cabanis, citato all’inizio del presente lavoro, può modificare
le nostre acritiche convinzioni, che trovano nell’attaccamento
all’“ipse dixit” ottimo pabulum.
Bibliografia
1) Sasaki S.: - Phenotipes in ALS, clinical features and pathology.
Brain Nerve. 2007 Oct;59(10):1013-21.
2) Pradat P.F., Bruneteau G.: - Clinical characteristics of amyotrophic
lateral sclerosis subsets. Rev Neurol (Paris). 2006 Jun;162 Spec No 2:4S29-
4S33.
3) Turner M.R., Osei-Lah A.D., Hammers A., Al-Chalabi A., Shaw C.E.,
Andersen P. M., Brooks D. J., P.N. Leigh, K. R. Mills: - Abnormal cortical
excitability in sporadic but not homozigous D90A S0D1 ALS. J. Neurol.
Neurosurg. Psychiatry 2005;76;1279-1285 doi:10.1136/jnnp.2004.054429.
4) Erickson M. H.: - La mia voce ti accompagnerà. Astrolabio editore;
Roma, 1983.
5) R. Bandler, J. Grinder: - La struttura della magia. Astrolabio editore,
Roma,1981
6) Arone di Bertolino R.: - Lo Stato di Ipnosi. Rivista Medica Italiana
di Psicoterapia ed Ipnosi 1-1989: 21-34
7) Di Massa A,: - Lettera sul dolore. Rivista Medica Italiana di Psicoterapia
ed Ipnosi 2008(I):145-51
8) Arone di Bertolino R.: - L’ipnosi per un medico. Martina editore.
Bologna,2003.
Vol. I - 2009 Casi Clinici
203
Alberto Mori, Davide Celestino, Niccolò Maggiorelli, Andrea Di Massa
IMPIEGO DELL’IPNOSI PER LA SEDAZIONE
DI UNA PAZIENTE ODONTOIATRICA
CON SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA
Parole chiave: sedazione, odontoiatria, ipnosi medica, Sclerosi Laterale
Amiotrofica.
RIASSUNTO
La SLA è una malattia neurodegenerativa caratterizzata dalla progressiva
morte dei motoneuroni. La degenerazione avviene in modo graduale, in
mesi o addirittura anni, e la funzione perduta viene supplita dai motoneuroni
superstiti; quando la perdita progressiva supera la capacità di compenso
si ha la comparsa di una progressiva paralisi. La SLA si manifesta
inizialmente con disfunzioni motorie, fino a portare alla morte per compromissione
della funzione respiratoria.
Abbiamo trattato una giovane donna affetta da SLA, la quale era su una sedia
a rotelle impossibilitata a muoversi ed a parlare. La paziente necessitava
di un trattamento odontoiatrico ed era molto ansiosa, perché non riusciva
a respirare con il naso tenendo la bocca aperta durante l’intervento
odontoiatrico. Abbiamo deciso di non eseguire una sedazione con farmaci
perché temevamo di provocare effetti collaterali, quindi abbiamo optato
per un approccio psicoterapeutico: l’ipnosi.
Questo lavoro vuole evidenziare che un approccio non usuale, quale la
ipnosi, può essere proposto per risolvere la situazione di pazienti affetti
da patologie che rendono complicati anche i trattamenti più semplici.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
204
Alberto Mori, Davide Celestino, Niccolò Maggiorelli, Andrea Di Massa
THE USE OF HYPNOSIS IN A PATIENT
WITH AMYOTROPHIC LATERAL SCLEROSIS
Key words: sedation, dental, medical hypnosis, Amyotrophic Lateral Sclerosis.
SUMMARY
ALS is a neurodegenerative pathology. It makes increasingly die all the motoneurons.
The death of these motoneurons happens slowly, in an amount
of time that can go from a month at least to years at the most. The
motoneurons that are still working do the work even for the ones that are
already dead; when these ones can’t do the work of the dead ones, the
patient affected by ALS, can get a partial paralysis. ALS start to show up
with disfunctions of the motor system and it can brings to death because
the patient isn’t able to breath anymore.
We treated a woman affected by ALS. She on weelchair and was wasn’t able
to speak and she needed an odontoiatric treatment, but she was anxious
because she couldn’t breath with her nose while she was receiving
her treatment. We decided not to sedate her farmacologically because we
were afraid to cause some side effects. So we decided to go on with a
phsycotherapic approach: hypnosis.
This work wants to show a new approach to patients that because of their
situation don’t receive appropriate treatments.
Gli Autori
Dott. Alberto Mori, Dottore in Odontoiatria e protesi dentaria.
Località Tregozzano 31, 52100 AREZZO
Dott. Davide Celestino, Dottore in Odontoiatria e protesi dentaria.
Dott. Niccolò Maggiorelli. Dottore in Odontoiatria e Protesi Dentaria. Medico
interno. U.O. Anestesiologia in Odontostomatologia. AOUS Senese.
Viale Bracci 1, 53100 Siena. cell 3476440616
Prof. Dott. Andrea Di Massa, Docente S.M.I.P.I., Unità Operativa Di Anestesiologia
in Odontostomatologia AOUS Senese; Direttore del Servizio ed
Insegnamento di Anestesiologia e Rianimazione OPD Università
dell’Università di Siena; viale Bracci1 53100 Siena. Tel. 0577585611/021;
fax 0577586155 cell. 3336100364.
Vol. I - 2009 Casi Clinici
205
Massimo Arcella
UNA NEVRALGIA ATIPICA DEL TRIGEMINO
“Solcare il mare all’insaputa del cielo
- man tian guo hai”
TRENTASEI STRATAGEMMI - WU GU
Parole chiave: nevralgia del trigemino, metafore, comunicazione,
Koan.
Introduzione
Laddove la parola non è concessa, la mente trova la strada per agirne
i contenuti, cosa molto frequente in quelle situazioni dove
vigono importanti difese e forme di somatizzazione come dimostrazione
di un disagio più profondo e silente.
Attraverso l’identificazione di aree della persona bloccate e raramente
mostrate e vissute, si passa poi alla rielaborazione attraverso
strumenti e labirinti della linguistica, della comunicazione, per incamminarsi
sulla strada della guarigione.
In questo lavoro vi è una dimostrazione della risoluzione di un caso
di “nevralgia trigeminale atipica”, trattato con metafore e ristrutturazione
dei condizionamenti mentali educativi ed arcaici.
Dopo una descrizione del caso all’atto della presa in carico espanderò
il panorama al retroterra della paziente con un po’ di storia
famigliare, per poi passare ad una valutazione di tutti i fattori che
hanno concorso alla problematica; fattori predisponenti, fattori
precipitanti, fattori scatenanti e di mantenimento.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
206
A questo punto riferirò come si è sviluppato il percorso, soprattutto
identificando gli obiettivi principali, con citazioni prese da un
diario che la paziente ha tenuto e sul quale appuntava le sue riflessioni.
Per poi concludere con qualche commento e riferimento teorico
Descrizione problematica al momento della presa in carico
S. ha 45 anni, single, porta come causa principale del suo malessere
una nevralgia del trigemino atipica, che allo stato della presa in
carico, è gestita con sedute di pranoterapia e la terapia farmacologica
prescritta dal neurologo di 2.000 mg/die di Gabapentin, purtroppo
con scarsi risultati. I dolori si verificano in diversi momenti
della giornata, senza particolari stimoli fisici se non condizioni
climatiche che sensibilizzano la zona dolente, e si presentano con
scosse ripetute che creano forte disagio e insofferenza.
Storia sociale e anamnestica
La famiglia: un luogo dove vigevano sani principi, S. aveva un legame
privilegiato con la figura paterna e più ambivalente nei confronti
della madre. Il fratello, più grande, è sempre stato il più attivo
e indipendente della famiglia, ha sempre fatto la voce grossa nei
suoi confronti e comunque, appena maggiorenne, ha provato in
diversi modi a uscire di casa, sia con lavori che studi, modalità di
evitamento che poi ha mantenuto nel tempo.
Regole famigliari: il rispetto dell’altro, ma soprattutto come panacea
di tutti i disguidi, l’accettazione dell’altro senza contraddizioni
per sedare ogni possibile confronto o potenziale lite, bandendo le
ribattute. Fin da piccola S. è sempre stata vista come l’introversa e
la silenziosa, e questa sua chiusura è stata anche letta, in maniera
stigmatizzante da un lato, completamente erronea dall’altro, come
portatrice di disturbi del linguaggio (per una lieve forma di balbuzie
che ora non è più presente se non in rari casi) con probabile
ritardo mentale.
La madre è molto svalutante: spesso scarica le proprie tensioni
Vol. I - 2009 Casi Clinici
207
colpevolizzando la figlia in maniera sia diretta che indiretta, per il
“quieto vivere” si deve stare zitti e accettare quello che ci si sente
dire perché se questa viene contraddetta calza i panni della vittima.
Purtroppo la modalità relazionale materna, nelle fasi dello sviluppo
dell’indipendenza della figlia, ha alterato il naturale evolversi
dell’affermazione di sé, ingigantendo le tematiche di colpevolizzazione
e svalutazione che hanno segnato la paziente in diverse fasi
della sua vita e a diversi livelli. Se da un lato è stata abile nella cura
e nelle funzioni materne di base, dall’altro è andata a sviluppare
un’armatura caratteriale con sfumature sia orali che masochistiche,
secondo il paradigma bioenergetico che tutt’ora protegge le componenti
profonde della paziente.
Il fratello, attualmente, ha una famiglia con due figli entrambi poco
più che ventenni, lavora per un giornale correggendo bozze e questo
ruolo è un suo standard anche nel privato perché mostra un
falso Sé autoritario e giudice di tutto quello che gli gravita attorno.
La moglie è a tratti sottomessa e i figli sono sotto il controllo paterno,
in alcuni casi eccessivo e castrante.
La paziente è laureata e attualmente impegnata nel proprio campo
di specializzazione. Molto attiva e capace nel suo lavoro è dotata di
grande sensibilità e ottime doti di ascolto.
Per mantenere l’attenzione sul presente mi sono limitato a prendere
nota degli eventi che riportava, fonte di filtro emotivo ad alto
valore simbolico.
Poche esperienze affettive con l’altro sesso, e solamente una relazione
importante durata qualche anno. Le amicizie sono limitate
alla zona di origine, non ve ne sono nella residenza attuale. Amicizie
che riesce a incontrare occasionalmente, sono praticamente
tutte coppie con e senza prole. Il confronto con queste realtà innesca
tematiche di insoddisfazione e non realizzazione.
Attualmente vive con la madre anziana (78 anni). Spesso la domenica
si incontra con il fratello e la sua famiglia (moglie e i due figli);
con lui negli ultimi anni si è delineata una relazione scarna di
attenzione e di affetto, anzi spesso conflittuale, perché lui fa da capo
del “ritrovo” come maschio dominante ed ad ogni affermazione
o comunicazione che parte da lei reagisce in due modi: o sta zitto
o, se non ne condivide i contenuti, critica e svaluta.
In passato S., all’età di 20 anni circa, ha intrapreso un percorso di
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
208
psicoterapia di orientamento cognitivo–comportamentale, dal quale
ha ottenuto buoni risultati, anche se riporta ancora un vissuto
ansiogeno somatizzato, con forti dolori di “pancia” che precedevano
i giorni della psicoterapia.
Nell’agosto del 2003 muore il padre, figura carismatica nella vita
affettiva della paziente. Sicuramente lei era la più attenta ai bisogni
del padre, nella fase di assistenza, e la più sensibile e sofferente al
momento della perdita all’interno del nucleo familiare; il fratello
maggiore, persona boriosa. non ha mai portato la propria emotività
all’interno della famiglia, ha prudentemente evitato argomentazioni
in merito e prese di responsabilità. La madre, sofferente per
il lutto del marito, ha saputo gestire nel tempo l’accaduto, che
probabilmente è andato poi a mischiarsi con irrisolti personali,
mantenendo sempre attivo un pattern di relazione ambivalente nei
confronti della figlia rimasta vicino a lei.
Nel settembre 2005 compare un forte dolore caratterizzato da
scosse elettriche a livello dentale non imputabile a carie o malocclusioni.
Gli episodi di dolore diventano sempre più frequenti, sono
bilaterali, si estendono a diversi denti sia dell’arcata superiore
sia inferiore. Si rivolge ad un odontoiatra che in più visite non riscontra
niente di anormale. A questo punto dopo circa cinque mesi
dalla comparsa delle scosse, nel febbraio del 2006, si reca da un
neurologo che diagnostica subito una Nevralgia del Trigemino atipica.
Solitamente atipico è tutto ciò che si differenzia dal normale,
prendiamo anche come beneficio del modus intepretativo il lecito
conferire, in campo medico, l’etichetta di quelle patologie di difficile
inquadramento nosologico. Il più delle volte impropriamente
usato come contenitore di tutte quelle non ben spiegate problematiche
che vanno oltre alla spiegazione organica.
Le algie facciali atipiche o dolori oro-facciali atipici sono fra queste
patologie. Infatti c’è sempre una piacevole diatriba tra le varie eziopatogenesi,
i criteri di classificazione inclusivi o esclusivi, e del
trattamento stesso. Da indicazioni guida, il professionista interpellato
prescrive del Gabapentin 2000mg/die che la paziente inizia ad
assumere regolarmente. Purtroppo niente cambia sul piano del disagio
arrecato dalla nevralgia, al che si sottopone ad una angiorisonanza
con mezzo di contrasto dalla quale non si evidenziano
malformazioni artero-venose, aneurismi, né conflitti neuromuscoVol.
I - 2009 Casi Clinici
209
lari. Sconfortata S. decide di provare un altro specialista che, come
sappiamo tutti, non può certo confermare se non ritoccare la diagnosi
già esistente, infatti identifica una componente ansiosa che
potrebbe sviluppare le scariche o intensificare il dolore. Quindi
procede con l’affiancamento di un ansiolitico a base di prazepam,
indicato in quei casi dove la componente “psichica” è maggiore,
anche dette nevrosi organiche, grazie ad una sua azione come
tranquillante minore, simile a quella delle altre benzodiazepine ma
con un più ampio margine tra effetto tranquillante ed effetto ipnotico.
Un ulteriore consiglio da parte del medico è quello di fare attività
sportiva come mezzo compensatorio e scaricante la componente
ansiosa.
Questo interessante spunto specialistico riesce a far aumentare la
frequenza degli episodi dolorosi, probabilemente per una prima
presa di coscienza di un tratto psichico sconosciuto. A questo punto
la demotivazione e lo scoramento della paziente si accrescono
sensibilmente e inizia a crearsi un circolo vizioso, considerando le
tematiche svalutative di fondo, aumentano la possibilità di comparsa
degli episodi dolorosi e si allontana nella sua ottica la possibilità
di guarigione.
Siamo in aprile del 2006 e al momento la situazione non è ancora
chiara, ovvero diverse strade sono state tentate ma con pochi o
scarsi risultati. Una visita maxillo facciale non rileva nessun problema,
ma vene prescritta una visita gnatologica per valutare la
possibilità di utilizzare un byte per le ore notturne.
Strada che purtroppo si dimostra inefficace e a giugno la paziente
decide di iniziare un percorso di pranoterapia a cadenza settimanale
che l’accompagna per sette mesi, con lievi miglioramenti
nell’intensità del dolore. Viene anche consigliato un osteopata
specialista in maxillo facciale, il quale rileva dei “blocchi a livello
emozionale e ansia”: si inizia ad identificare il bersaglio su cui intervenire.
A gennaio 2007 S. si sottopone a sette sedute per verificare questa
metodica ma, purtroppo senza miglioramenti, un ulteriore consiglio
dice “psicoterapeuta”…
Nel frattempo, al vaglio della decisione, la rete (internet) suggerisce
la possibilità di un problema di “amalgama dentaria” al ché la
paziente mette in conto anche questo e inizia una “ristrutturazione
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
210
delle vecchie amalgame che più o meno tutti abbiamo” che durerà
diverso tempo, con risultati opinabili.
Nel marzo del 2007 l’ansia è sempre più presente e decide per una
psicoterapia.
La psicoterapia
Questi i pensieri della paziente:
“Scelgo il terapeuta. Lo conosco ma non troppo. Posso fidarmi di
lui. Si può provare. Che ansia suonare quel campanello. Torna il
mal di stomaco di 20 anni fa. Nel percorso precedente facevo fatica
a parlare ma ora mi sono comportata come un fiume in piena. Non
è facile spiegare tutto, come sono, come ero, i miei problemi. Dentro
me c’è un piccolo ma capiente vaso a cui si sta per sollevare il
tappo. Qualcosa dentro me vuole urlare. Devo piangere, voglio
piangere il mio babbo che non c’è più. Pensavo che il mio problema
fosse la dolorosissima nevralgia del trigemino. Volevo solo sopravvivere
all’ansia e al dolore delle scariche. In fondo in fondo il
mio timore era che fossero problemi di natura psicologica. Poi capisco
che la sintomatologia compare quando sono tesa, subisco
pressioni e non RESPIRO. Devo rompere questo circolo vizioso.
Imparare a cestinare le situazioni di stress per non accumulare
tensione e non somatizzare i problemi.”
Concettualizzazione del caso
All’interno di questa parte la valutazione, attraverso una declinazione
dei fattori determinanti la problematica in essere, del microcosmo
di interazioni che circondano la nevralgia.
Cercando di identificare i fattori predisponenti, molto probabilmente
il lutto della figura paterna, tutt’ora in fase di elaborazione,
è il più importante, una struttura normativa famigliare rigida è una
ulteriore causa. Il primo determinante e di sua libera consapevolezza,
il secondo molto meno visibile se non negato. Sicuramente
nei fattori precipitanti e/o accentuanti la sintomatologia,possiamo
includere i ripetuti fallimenti terapeutici che hanno affiancato i 18
Vol. I - 2009 Casi Clinici
211
mesi di incertezze e delusioni.
Poi la presa di coscienza di qualcosa di più sottile non localizzato
se non in uno spazio interiore mentale, difeso e ben celato, che
dopo tanti anni tornava a farsi sentire ma con un aspetto del tutto
nuovo e insolito. Questa presa di coscienza, all’inizio traumatica
perché considerata senza soluzione, ha spinto la paziente ad un
momento di riflessione per valutare una richiesta di aiuto.
Nei fattori esacerbanti dal punto di vista psicologico troviamo una
componente ansiosa che precede le scariche dolorose (ansia anticipatoria),
con conseguente sviluppo di ansia per quelle situazioni
sociali che “attivano” emotivamente S., sul luogo di lavoro e nei
momenti di socializzazione, per poi giungere a tutti quegli accorgimenti
medici come l’esposizione a climi o ambienti che “svegliano”
il trigemino, come la temperatura o i colpi d’aria che innestano
il dolore. Arriviamo ai fattori di mantenimento che hanno fatto
sì che la nevralgia persistesse nel tempo, come il bisogno di evitamento
delle situazioni sociali ed affettive emotivamente coinvolgenti.
Sentirsi inadeguata e non all’altezza l’ha incorniciata dentro
ad uno spazio vitale con pochi svaghi, come il sentirsi responsabilizzata
a rimanere in simbiosi ambivalente con la madre anziana,
che richiede attenzioni ma le limita una pianificazione di indipendenza.
Da tempo non ha relazioni affettive stabili e la cosa non le è indifferente,
anzi fa parte di quelle aree tabù di non facile accesso. Ha
un’esperienza di vita fuori casa per lavoro dai 23 ai 28 anni con
piacevoli ricordi sia lavorativi che relazionali, ma poi riavvicinandosi
a casa, anche per questioni economiche, le è convenuto fermarsi
vicino alla madre.
Trattamento
Gli obiettivi del percorso sono stati diversi. Prima cercando di liberare
la mente da preconcetti e modalità restrittive di sviluppo della
soluzione, questo ha aperto nuovi territori da esplorare e conoscere,
grazie all’implementazione di nuove strategie e abilità personali,
questo ha portato la consapevolezza di livelli multipli del suo
essere. La terapia è durata 35 sedute a cadenza mista, prima settiRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
212
manale poi quindicinale e poi mensile nell’arco di 20 mesi.
Di seguito le principali tappe intorno alle quali si è sviluppato il
cammino.
· Rielaborazione perdita del Padre.
· Dinamiche famigliari.
· Relazione con il fratello.
· Socializzazione.
· Convinzioni patogenetiche di malattia.
· Ansia anticipatoria delle scariche trigeminali.
· Profonda svalutazione e autocritica.
· Affetti e relazioni.
· Autostima.
L’impronta dei primi colloqui è stata all’insegna del non porsi regole
e della libertà di interpretazione come base sul quale sviluppare
una destrutturazione delle rigide e stoiche regole superegoiche.
“Dobbiamo solcare il mare all’insaputa del cielo” le dissi, aprendo
la porta sul non definito e sulla non consapevolezza, per accedere
all’ambiguità del percorso che fortunatamente si poteva fare, nelle
parole del diario che la paziente ha ri-iniziato (lo teneva anche nella
precedente psicoterapia) scrivendo di Sé e della strada che voleva
percorrere:
- “Chi è il mare? Cosè il cielo? Cosa significa? La mia mente è troppo
agitata e non capisce.”
Al suo orecchio questo è sembrato un po’ come un Koan Zen, un
concetto inusuale da meditare.
Trasmettendo un messaggio ambiguo nella forma e nel contenuto,
uno stratagemma da vagliare, forse le prime non regole di un sistema
di riferimento multidimensionale e per questo motivo stimolo
alle nuove personali regole che saranno poi trovate strada
facendo.
Arcaici i blocchi anche solo nel diritto di imporsi, soffocato e colpevolizzato.
Il messaggio che si voleva trasmettere era di orientarsi
comunque ad altro per ottimizzare se stessi al meglio, suggerendo
alla paziente di dedicare più tempo a se stessa per ri-bilanciare
DOVERI rispetto a PIACERI, i primi tempi facendo anche tenere
traccia giorno per giorno degli uni e degli altri, avendo cosi un dato
oggettivo dello squilibrio in essere.
Vol. I - 2009 Casi Clinici
213
Iniziamo a parlare del vuoto che ha lasciato la figura paterna, venuta
a mancare nel 2003. S. come nessun altro della famiglia ha
dedicato maggior parte del proprio tempo nell’assistere il padre
negli ultimi periodi della sua vita, stringendo ancora di più il grande
legame che già esisteva.
Anche in questo caso il consiglio di trovare dentro di Sé le componenti
paterne e di accedere a momenti di contatto con l’esterno,
nei tempi e nei modi da lei desiderati, per ritrovare le sensazioni,
le parole, le immagini, non solo nei luoghi dove il suo credo religioso
le suggerisce, ma ovunque lei ne carpisse un ricordo. Quindi
l’isolarsi all’occasione, cosa che per altro faceva ma, in maniera
sporadica, ascoltando le sensazioni che il suo corpo le rimandava,
ripensando a tutto quello che faceva parte degli insegnamenti paterni.
L’idea non era quella di risolvere un lutto ma semplicemente
di non dolerne al ricordo alla ricerca di un messaggio e un significato.
Si arriva così ad uno degli obiettivi, a mio avviso, più imponenti
su cui si è articolato il percorso, ovvero le dinamiche e le relazioni
famigliari.
Partendo da quella materna che appare evidentemente ancora Madre-
bambina (Genitore-bambino ) e quando la paziente, come natura
vuole, si confronta ad un ulteriore livello, innesta un conflitto
dove la madre agisce con aggressività ponendosi in maniera ambivalente:
madre punitiva o vittima, attivando sensi di colpa nella figlia.
Lavoriamo molto su questo tema, di seguito sempre dal diario:
- “Ci sono anch’io! Non sono più protetta da mio padre. Devo trovare
il mio spazio! Ho bisogno di aria. Libertà di parola. A me
qualcuno ha chiesto qualcosa?”
Ancora - “Diverse emozioni da tempo represse esplodono. Piango
sempre più di frequente”,
Inizia la consapevolezza e importante primo insight, si sbloccano
le emozioni, la strada è quella giusta, sinergicamente iniziamo anche
a lavorare sull’autostima e un’importante testimonianza ce lo
conferma:
- “Provo a emergere e provare a relazionarmi in modo diverso con
mia madre e mio fratello. Decido che qualsiasi decisione familiare
che può interferire con la mia vita anche la parte più insignificante
deve essere concordata con ME. Da quando ho deciso di rispetRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
214
tarmi di più molte situazioni mi stanno più strette e all’inizio provocano
ansia. Ho il diritto e il dovere di esprimermi.”
Utilizzando un’altra citazione di Wu gu
“Creare scompiglio a oriente e attaccare a occidente”
Continuano le attività per se stessa (camminate, bici e nuoto, giardinaggio,
libri) quindi il corpo torna ad essere libero di esprimersi
all’interno di un’ottica di relazione mente-corpo, iniziamo a muoverle
in maniera sinergica, abbassando il livello di carica tensiva.
Sempre all’interno delle relazioni in famiglia si approda ad un vero
e proprio macigno, il fratello, che vorrebbe incorporare la figura
autoritaria della casa, cercando di vestire i panni del Padre, ma fallisce
miseramente, sapendo solo criticare la sorella ed evitando, se
non scappando, il confronto diretto, il tutto contornato dalla madre
che ne prende le difese per sedare le discussioni. Sempre dal
diario:
- “Io la sorella minore, io la sorella che sbaglia a parlare, io la sorella
che è in casa per comodo suo. Io la sorella che rompe perché lo
contraddico. Sento rabbia per essere stata lasciata sola in diverse
situazioni da gestire..Sono stanca di subire le sue scenate isteriche.
Perché non hai mai portato un fiore a nostro padre?”
Senza scomodare tematiche edipiche e gelosie interne, inizia finalmente
anche in questa relazione una notevole voglia di cambiare
le regole, e ottimamente la paziente controbatte con ironia agli
ennesimi attacchi, questo spiazza la controparte che sfugge anche
ad un semplice chiarimento.
- “È giusto che inizi a mettere dei paletti. Devo rispettarmi di più.
Devo pensare al mio benessere … Io ci sono!”
Inizia una fase importante: gestisce meglio le relazioni con la
mamma e rimane sempre a debita distanza dal fratello appena si
comporta come al solito. Il lavoro va bene, all’occasione qualche
disguido con una datrice di lavoro (autorità materna?) ma, tutto
sommato riesce a gestirla al meglio.
Cosa molto importante da notare: una notevolissima creatività che
sfoggia in diverse occasioni e che viene utilizzata in terapia; racconti
settimanali estratti dal diario con spunti anche grafici notevoli
e mai banali né superficiali, quella fantasia che per tanto tempo è
stata la dimensione di sfogo e fuga ora si affaccia con tutte le sue
migliori caratteristiche ad un nuovo che necessita della sua forza.
Vol. I - 2009 Casi Clinici
215
Arriva il momento di accedere alla dimensione sociale e qui apriamo
altri capitoli da osservare attentamente: riattivare relazioni
chiuse o trascurate e crearne di nuove, con il fantasma di non essere
accettata, di non essere “normale”, ma soprattutto arriviamo
al dunque, la paura che il trigemino si “svegli” e inizi a scaricare in
situazioni dove non se lo può permettere. Grazie alle forme che
prende, nelle diverse metafore che all’occasione escono, l’ospite
scomodo si sincronizza (o inizia a esserne consapevole la paziente)
con i vissuti emotivi egodistonici e prende forse le sembianze,
all’interno della relazione terapeutica, di una fiera che controlla le
porte del Sé: non è attaccandola che si entra nelle sue grazie, forse
semplicemente accordandosi, che potrà diventare una nostra alleata,
ristrutturandola in senso positivo e utilizzandola come risorsa.
Per dare un idea di come che S. stia finalmente ridefinendo i contorni
di un disagio somatizzato, basta pensare che già dopo qualche
mese dall’inizio della terapia e in concomitanza con i nuovi
abiti indossati da lei dentro la sua vita, il dosaggio di gabapentin
inizia a diminuire fino ad essere sospeso, un po’ come togliere la
museruola ad un povero cucciolo che abbaiava per difendersi e
non per attaccare, ora alleato e guardiano fedele.
Per quanto riguarda le colonne della disistima e della svalutazione
riporta:
- “Sono un disastro per quello che penso, che dico, che sento. Ma
non c’è nulla da fare. Non sto bene né con me né con la mia famiglia.
Che ingrata che sono? Non sono riuscita costruire una mia
famiglia. Mi è tornata la paura dei blocchi della parola! No è terribile
Non sono normale perché se sono insieme ad altri non sempre
riesco a esprimere le mie emozioni. Per questo ho smesso di
andare agli incontri di meditazione di yoga. Mi procurava ansia il
momento di condivisione.”
La balbuzie, che nel tempo è andata via via scomparendo è stato
un altro modo che una parte di lei ha abilmente sviluppato per esprimere
l’inespresso, che conclamava a tutti l’etichetta che il
mondo (famiglia in primis ) le aveva attaccato. Ancora una volta le
metafore sull’etichettamento, dell’attribuzione di significato svalutante
che tranquillizzava il nucleo famigliare, facendo introiettare
alla paziente quell’immagine di Sé da “bruttto anatroccolo”, che
con il tempo noi abbiamo deciso che”diventerà cigno”. È ancora
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
216
altalenante la sicurezza che si poggia su ambivalenze cicliche, tra il
“posso essere accettabile” a “meglio stare chiusa in casa nel crogiolarsi”.
La socializzazione è comunque un momento importante e delicato
che, allo stato attuale, pone sempre dei grossi interrogativi, volutamente
la mia attenzione nell’indagine in sede di colloquio va a
“stuzzicare” quella parte e oltre alle risposte attese, in termini svalutanti
di Sé, arriva anche un po’ di grinta iniziando a far uscire un
po’ di rabbia (simbolicamente inizia anche la reazione contro
l’autorità).
Cerco di indicare i fattori che mantengono la resistenza nel socializzare
maggiormente e ne esce:
- “Sto uscendo di più ma spesso ho il terrore che il Trigemino si
svegli…”. Vantaggio secondario, provo anche in questa occasione
una dislocazione temporale, semplicemente chiedendole di accedere
alle memorie antecedenti lo status attuale, scendiamo ancora
nella consapevolezza e un altro po’ di nebbia si dirada allo orizzonte
e chiedo: - “Scusa ma, prima che ci fosse il trigemino cosa
c’era?”. E lei: - “Non so. Nulla? ...forse c’era il mio babbo!”.
Rimanendo sulle considerazioni in merito alla solitudine:
- “L’ansia è dentro il mio Dna. Ho paura di stare sola, di viaggiare
da sola”.
Questa era un’altra frase che nel tempo è stata eliminata da un
cambiamento, più spazi per la sua libertà nella vita, più sicurezza,
più libertà di parola. Qualcosa cambia e la paziente inizia a viaggiare
da sola e anche a dormire da sola.
Ci si addentra anche nella sua immagine corporea, che non le piace
a sé, per sicuramente non può piacere agli altri, come giustficazione
per una più profonda non accettazione:
- “Non accetto la mia emotività. Non accetto le mie scivolate. Non
accetto le mie illusioni anche se poi ci sguazzo dentro fino a che
non rischio di affogare. Quando sono lucida e razionale odio la
mia mente, le mie fantasie e i miei sentimenti”.
La gratificazione arriva anche dalla cura del corpo, per riscoprirlo
nella sua interezza, - “Lei non è il trigemino che duole”, e con
qualche automassaggio, attenzioni estetiche apriamo la consapevolezza
della non localizzazione in un punto, che è forse più economico
dedicarsi a quello che vedere cosa c’è altrove, cosi miglioVol.
I - 2009 Casi Clinici
217
rando la sintomatologia inizia a vedersi anche il resto. Stranamente
il consiglio di portare l’attenzione sul suo esistere agli occhi degli
altri nella domanda “come ti vedono gli altri secondo te?”, ha fatto
sì che si accorgesse che anche lei è stata oggetto di attenzioni del
mondo, non è tutto come dentro casa, se sei trascurata lì non è
detto che tu lo sia anche fuori. Si rende conto che in qualche occasione
ha carpito sguardi e attenzioni, dimostrando che la percezione
di sé ha bisogno di essere tarata in termini ottimistici e oggettivata.
Diversi gli obiettivi da raggiungere in buona parte soddisfatti.
Va da sé che nella poliedrica configurazione di un disagio, la possibilità
di migliorarne i contorni fa passare un messaggio metaforico
di estensione di una valutazione positiva ad altre aree di influenza
mentale, di pensiero e azione, che nella sua essenza diventa
di generale applicabilità.
Per concludere rispetto alla domanda iniziale di gestire in modo
alternativo il suo problema, considera raggiunta e soddisfatta la
richiesta, non prende più farmaci e le scariche sono molto meno
frequenti. Questa presa di coscienza vale un po’ come una psicoeducazione,
che di per sé in molti casi è già largamente risolutiva,
ora il sintomo è diventato un momento di consapevolezza e non
più la belva.
È comunemente riconosciuto che sotto ad un sintomo del genere
vi è un mondo da esplorare: se diverse aree ora sono più chiare e
in fase di ristrutturazione, altre sono e saranno nuovi obiettivi e
conquiste da fare.
Allo stato attuale la terapia è sospesa, quando lo chiede ci sono incontri
per fare il punto della situazione, il cammino è ancora lungo,
ma diverse abilità fanno parte dello zaino con il quale S. ha deciso
di incamminarsi e all’occasione una sosta rinfrescante ridona
vigore e lucidità cognitiva-decisionale.
Considerazioni conclusive e riferimenti teorici
L’uso della metafora e degli stratagemmi linguistico comunicativi
in chiave Ericksoniana, ingiunzioni paradossali reinterpretate e utilizzate
con vesti più orientaleggianti, hanno finalmente tolto il veto
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
218
alla mente per un suo libero scorrazzare. Con l’introduzione di
qualche Koan dove la commistione tra diversi livelli di significato,
contenuto e relazione, vi è stato lo scostamento da quella che è la
logica aristotelica, riferendomi al principio di non contraddizione,
secondo le parole dello stesso Aristotele: “È impossibile che, per il
medesimo rispetto, la stessa cosa sia e non sia”, significa che i due
termini sono perfettamente escludenti solo se sono perfettamente
contrari l’uno all’altro: quando vi è uno, è impossibile che vi sia
l’altro.(ad esempio, una cosa non può essere alta e bassa nel medesimo
rispetto, tuttavia può essere alta rispetto ad una cosa, e
bassa rispetto ad un’altra). In altri termini si crea una dissonanza
all’interno dei livelli di contenuto e relazione.
Le basi linguistiche significative vennero studiate in un articolo che
ebbe molto successo da C.Y. Cheng, definendo in quella sede una
declinazione di regole secondo cui sono articolati da un punto di
vista logico formale i Koan:
1. Quando nella frase si può rinvenire un elemento di apparente
contraddizione che è in realtà una pseudo-contraddizione. Il paradosso
è già presente nelle semplici domande.
2. Quando essa contiene una falsa inferenza o una implicazione
fuorviante. Il paradosso è presente sia nella relazione dialogica che
nelle domande o nelle risposte.
3. Quando le parole impiegate sono polisemiche ed il terapauta
gioca sui differenti sensi di un termine. Il paradosso è presente
nella relazione dialogica ma non nelle singole domande o risposte.
4. Quando vi è contrasto tra il piano del discorso e le intenzioni
di sfondo nell’interrogante. Spesso un singolo koan si attaglia a
due o più categorie. Per esempio, la domanda “Qual è il suono di
una mano sola che applaude?”, così come la sua originale versione
imperativa “Ascolta il suono dell’applauso di una mano sola!”, ricadrebbe
tanto nel primo quanto nel terzo caso. A questo punto
l’utilizzo di koan come semplice strumento linguistico agisce come
forma di spiazzamento, confusione paradossale, soprattutto in
quei soggetti dove una rigidità cognitiva-protettiva è una corazza
pesante e fastidiosa.
Una doppia funzione di confusione:
1 nell’utilizzo della metafora che pone il soggetto a chiedersi se
si sta parlando di lui;
Vol. I - 2009 Casi Clinici
219
2 si esce dal senso compiuto della proposizione, come sopra
accennato, confondendo ancora i sistemi logico razionali.
Quindi il risultato è una metafora che non sia isomorfa alla esperienza
del paziente bensì dissonante, concedendo un accesso a sistemi
simbolici più profondi, a questo punto un ulteriore metafora
che attiva identificazione, rapport e attinge alle risorse primarie
spurie di sovrastrutture Egoiche.
Niente di troppo dissimile dalle “metafore incastrate”,se non nella
strutturazione di una profondità diversa di risposta dell’individuo.
Fatto questo iniziamo a definire un vero e proprio ruolo attivo del
paziente nel cambiamento, attingo al paradigma costruttivista e alla
visione cibernetica di secondo ordine di Heinz von Foerster riguardo
alla funzione dell’osservatore rispetto ad un sistema:
- “L’osservatore è quindi colui che ordina e organizza un mondo
costruito dalla sua esperienza: egli è al tempo stesso il costruttore
e l’ordinatore della realtà, colui che stabilisce un ordine tra i tanti
possibili; non un ordine qualsiasi, bensì quello a lui più utile e
funzionale alle proprie attività. Il passaggio dalla cibernetica di
primo ordine a quella di secondo ordine come muta il rapporto
terapeuta-paziente all’interno di una concezione che considera il
soggetto come creatore della realtà.”
Le conseguenze dell’applicazione delle idee di Heinz Von Foerster
in ambito psicoterapeutico sono il passaggio da una visione statica
e passiva del paziente a una concezione dinamica che concede il
massimo spazio a un dialogo bidirezionale, dove ognuno presta
grande attenzione alle parole dell’altro, cercando per quanto possibile
di porsi nella prospettiva da cui questi muove. In maniera
attiva il terapeuta fa domande a cui il paziente non aveva mai pensato
prima. Più ambigue sono le domande, più esse sono aperte, e
meglio è, poiché costringono il paziente a uno sforzo creativo, a
immaginarsi realtà e contesti del tutto nuovi, a confrontarsi con
essi, uscendo dalla situazione attuale. Grazie anche alle doti di creatività
della paziente si è arrivati ad un ottimo risultato a diversi livelli.
Per concludere, la strategia terapeutica ha attinto da diverse correnti
di pensiero per trovare un risultato ottimale e cucito in base
alle esigenze alle risorse di S.
Partendo dall’uso della metafora e dello stile comunicativo- linguiRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
220
stico ericksoniano, rivisto con l’introduzione (come tecnica di confusione)
di koan Zen, per poi ritornare alla metafora nella sua forma
più forte e semplice allo stesso tempo. Il tutto basandosi su un
inquadramento sistemico dove il soggetto è colui che nell’agire
all’interno del mondo da lui creato ristruttura e riorganizza le parti
dissonanti e disturbanti.
Ora l’obiettivo di consapevolezza di un disagio apparentemente
organico, risoltosi lavorando altrove, ha metaforicamente dimostrato
la funzione sistemica di equilibrio all’interno della organizzazione
psichica, dove le false credenze e l’insidia di un “esterno
destrutturante” avevano minato la stabilità stessa.
Bibliografia
A. Lowen - Il linguaggio del corpo.- (2003, Feltrinelli editore)
L.V.Arena - I 36 stratagemmi L’arte cinese di vincere.- (2006,BUR Biblioteca
Univ Rizzoli)
E. Berne - A che gioco giochiamo.- (2000,Bompiani)
G.Reale - Guida alla lettura della metafisica di Aristotele.-
(2007,Laterza)
C.Y. Cheng - On Zen Language And Zen Paradoxes.-(1983. Journal of Chinese
Philosophy Vol.10)
H. Von Foerster - Sistemi che osservano.- (1987,Astrolabio)
P.Watzlawick - Il linguaggio del cambiamento.-(1997,Feltrinelli)
M.H. Erickson - Le nuove vie dell’ipnosi.- (Astrolabio 1978)
Vol. I - 2009 Casi Clinici
221
Massimo Arcella
UNA NEVRALGIA ATIPICA DEL TRIGEMINO
Parole chiave: nevralgia, trigemino, metafore, comunicazione, Koan.
RIASSUNTO
Un caso di nevralgia del trigemino atipica come sintomo di un disagio
comunicativo arcaico. L’utilizzo della metafora e dei vizi della linguistica
tra occidente e oriente come strumento di ristrutturazione in terapia, la
strada della consapevolezza. Inquadramento del caso, dalla storia passata
ai fattori oggettivabili; dalla rilettura e ristrutturazione delle relazioni famigliari
al miglioramento dei temi di colpa e vergogna. Il brutto anatroccolo
diventerà un cigno.
Massimo Arcella
ONE ATIPIC TRIGEMINAL NEURALGIA
Key words: neuralgia, trigeminal, metaphor, communication, Koan.
SUMMARY
A case of atipic trigeminal neuralgia as a symptom of an archaic communicative
discomfort. The metaphor and the use of linguistic vices, between
the West and the East as an instrument of restructuration into the therapy,
the way of consciousness. The definition of the case, from the past history
to objectivable factors; from the rereading and the restructuration of the
family relations to an improvement of themes of blame and shyness.
“The ugly duckling will become/is going to become a swan…”.
L’Autore
Dr. Massimo Arcella
psicologo, specialista in Psicoterapia ed Ipnosi Clinica S.M.I.P.I.
Via Bellaria 39 - 40139 BOLOGNA BO
tel. 051.490034 - 339.1834681
Vol. I - 2009 Casi Clinici
223
REVISIONI
DELLA LETTERATURA
Vol. I - 2009 Revisioni della Letteratura
225
Federica Panzanini, Riccardo Arone di Bertolino
LA GESTALT
Parole chiave: Psicologia della Gestalt, realtà, consapevolezza, responsabilità,
autoregolazione organismica, meccanismi di difesa,
psicoterapia, tecniche repressive, tecniche espressive.
Introduzione
Le teorie dovrebbero nascere dalla comprensione di una realtà ed
essere modificate o abbandonate qualora non servano o risultino
addirittura dannose. Uno stesso farmaco prescritto per una patologia
simile in pazienti diversi può risultare utile o nocivo.
La psicoterapia è terapia e come tale deve avere un ben preciso
scopo: la guarigione del paziente o, qualora non sia possibile, almeno
l’alleviamento delle sue sofferenze.
Già le variazioni e le reazioni individuali fisiche hanno ampie eterogeneità
e complessità, quelle mentali sono talmente personali da
non poter essere codificate e previste.
È lo psicoterapeuta che deve interagire con il paziente ed adeguarsi
ogni volta alle strutture della personalità e della patologia e non
il paziente alle teorie e alle prassi del terapeuta: in alcuni tipi di
psicoterapia, determinati costrutti teorici e ipotetici assumono persino
il valore di una fede, con propri rituali e linguaggi a cui prima
il soggetto va convertito.
Ognuno è un’entità unica nell’eternità e nell’universo, pur se molti
meccanismi di pensiero possono essere nella stessa cultura in parte
simili.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
226
Quella che oggi chiamiamo psicoterapia non è nata nella nostra
epoca ma è sempre esistita da quando esiste l’uomo: il guaritore, il
sacerdote, lo stregone, lo sciamano, i riti sacri eccetera. Tutti basati
sul valore del rapporto e della parola.
Oggi vi sono tante psicoterapie e ne spuntano in continuazione di
nuove; in quasi tutte possiamo trovare spunti ed elementi utili e/o
inutili. L’importante è conoscerli e poterli scegliere ed usarli sempre
e solo allo scopo di ottenere effetti benefici il più rapidamente
e profondamente possibile.
In molte psicoterapie, al contrario, vi sono teorie francamente tossiche,
che comportano quasi esclusivamente interpretazioni e messaggi
negativi, che risultano potenti suggestioni anche per una
persona sana, figuriamoci in una persona già sofferente di suo.
Ipotesi e teorie devono essere considerate non verità assolute, 1
ma fasi di passaggio spesso da abbandonare completamente qualora
la pratica le disconfermi.
La suggestione, termine usato per svalutare lo stato mentale di ipnosi,
2 che secondo alcuni otterrebbe solo risultati fasulli e transitori,
se è negativa, pessimista ed elimina la speranza tocca immediatamente
e profondamente chiunque, anche in stato di veglia,
perché stimola e muove timore ed ansia. Se invece è positiva ma
non riesce a toccare e coinvolgere le parti inconsce ed emotive,
non serve a nulla.
Presupposti teorici
Perls e i suoi collaboratori nel dar vita alla psicologia della Gestalt
hanno compiuto un’opera d’integrazione di svariate correnti psicologiche,
filosofiche e psicoterapeutiche europee, americane ed orientali.
Sono stati tra i maggiori sostenitori della psicologia umanistico
- esistenziale, da cui è derivata l’idea che l’intervento terapeutico
debba restituire alla persona il suo diritto alla propria uni-
1 Non esistono verità assolute nei molteplici universi mentali di persone
diverse.
2 Lo stato mentale di ipnosi non serve per somministrare suggestioni, ma
per rielaborare e cambiare le concettualità ed i vissuti da cui deriva la sofferenza.
Vol. I - 2009 Revisioni della Letteratura
227
cità e originalità, a valorizzare ed esprimere le emozioni e le esperienze
legate al corpo, a realizzarsi secondo i propri desideri e bisogni
e a creare un proprio sistema di valori personale.
Un altro principio della Gestalt è l’idea che il comportamento e
l’agire dell’uomo siano basati sul riconoscimento e la identificazione
di bisogni. La soddisfazione del bisogno ripristina
l’equilibrio dell’organismo, secondo il principio della autoregolazione
organismica, fino all’emergere di un nuovo bisogno.
La patologia è dovuta a un blocco del ciclo del contatto - ritiro,
che è il processo di soddisfazione dei bisogni.
Perls non nega l’inconscio, ma preferisce ricondurlo al presente,
aiutando il paziente ad arrivare alla consapevolezza di ciò che in
questo momento, ora, è escluso dalla coscienza. Per fare ciò non è
necessario che il terapeuta faccia interpretazioni, ricercando le
cause dei disturbi nella prima infanzia: questo lavoro, invece di
promuovere la guarigione o il cambiamento, rischia di rinforzare la
nevrosi. L’attenzione non deve essere rivolta al perché, alle cause,
ma piuttosto a come si manifestano nel presente i processi nevrotici;
ciò facilita l’assunzione di consapevolezza e responsabilità
da parte del paziente, agevolando il cambiamento o l’eliminazione
del sintomo. Non è il terapeuta che, attraverso l’interpretazione e
le sue conoscenze, ha la chiave per sciogliere i nodi del disagio,
ma la persona stessa può comprendere come cambiare per arrivare
ad un’esistenza più piena e più sana. La terapia gestaltica si basa
sul come e sull’ora: si deve osservare ciò che succede adesso e in
che modo accade, il come è sufficiente a capire come funzioniamo.
I fenomeni “di superficie” sono il modo migliore per accedere
all’inconscio: si tratta di movimenti del corpo, modalità di respirazione,
sensazioni ed emozioni che il paziente descrive. Chiedersi il
perché serve solo a darsi una spiegazione astuta e non porta alla
comprensione. L’“ora” comprende tutto ciò che esiste, esperienza
e “consapevolezza”. La consapevolezza è l’unica base possibile di
conoscenza e di comunicazione, ma non può essere raggiunta attraverso
le libere associazioni, l’interpretazione delle resistenze,
come sosteneva Freud, occorre invece portare l’attenzione e la
consapevolezza del paziente su ciò che egli mostra di evitare, sui
suoi atteggiamenti fobici o di fuga. La maggior parte delle tecniche
gestaltiche è mirata ad attivare, visualizzare, portare alla consapeRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
228
volezza emozioni, sensazioni, percezioni corporee e sentimenti,
lavorando con essi direttamente, prima che vengano ricoperti e
nascosti da contenuti di carattere razionale/cognitivo che intervengono
successivamente (preconcetti, regole, immagini sociali di sé,
eccetera).
Il ciclo del contatto - ritiro
Si può anche definire “ciclo di gratificazione dei bisogni”.
L’individuo sano è in grado di riconoscere il bisogno dominante
del momento e di agire per soddisfarlo in attesa che emerga un bisogno
successivo. Il ciclo del contatto comprende le seguenti fasi:
1) il pre - contatto, la fase in cui agisce l’Es, la funzione del Sé che
riconosce i bisogni, gli stimoli interni ed esterni, le pulsioni vitali e
le loro traduzioni a livello corporeo; il riconoscimento del bisogno
mobilita l’individuo, lo spinge all’azione.
2) Il contatto: si attiva l’Io, che prende la decisione di agire
sull’ambiente per soddisfare il bisogno, è la funzione del “fare”,
quella che compie scelte, decide (l’Io dà l’autorizzazione a fare o a
non fare, ad agire o a trattenersi, rappresenta la responsabilità).
3) Il contatto finale o contatto pieno è un momento in cui si
raggiunge l’appagamento pieno del bisogno, l’individuo si fonde
in una confluenza sana con l’oggetto desiderato, in un contatto
pieno e forte con l’ambiente. I confini dell’Io sembrano essere aboliti,
il soggetto e l’oggetto, anche solo per qualche istante, si
fondono in un tutt’uno indifferenziato, l’organismo e l’ambiente,
l’Io e il Tu entrano in una relazione di confluenza perdendo i loro
confini.
4) Nel ritiro o post - contatto l’individuo, una volta portata a
compimento l’azione e vissuta la fase di confluenza con
l’ambiente, si stacca e si differenzia di nuovo, ritirandosi. Quando i
confini si sono ristabiliti, incomincia il ripensare, il “percepire dopo”,
che sostanziano il processo di assimilazione con cui la persona
si appropria della sua esperienza. Se l’esperienza viene “digerita”
e assimilata, è favorita la crescita. In questa fase è attiva la funzione
Personalità: è la rappresentazione che il soggetto costruisce
di se stesso, l’immagine di sé, permette di assimilare l’esperienza e
Vol. I - 2009 Revisioni della Letteratura
229
in tal modo di crescere, di evolvere. La Personalità integra
l’esperienza nel bagaglio precedente, riportandolo alla dimensione
del qui ed ora. A questo punto il ciclo si chiude e si instaura una
condizione di riposo e di equilibrio chiamata “vuoto fertile”, che
può durare anche solo qualche secondo, in ogni caso fino
all’emergere di un nuovo bisogno che riattiva il ciclo.
Se non viene soddisfatto il bisogno dominante, lo stato di insoddisfazione
determina una situazione irrisolta, non chiusa, cioè una
Gestalt. Può capitare, ad esempio, che una persona non si permetta
o non possa esternare o vivere un’emozione: si tratta di una resistenza
al contatto, dovuta a rigidità e controllo; il bisogno soffocato
determina una situazione irrisolta che rimane aperta e preme
per essere risolta, quindi può avere ripercussioni sulla vita successiva.
Il benessere dipende dal funzionamento del ciclo del contatto
- ritiro, il malessere deriva da un blocco o da un cattivo funzionamento
di una di queste fasi, che può essere ostacolata o disturbata
e interrompere il ciclo. I disturbi sono causati dall’interruzione del
processo di soddisfazione dei bisogni, cioè dall’interruzione del
ciclo del contatto.
Le Gestalt incompiute premono per essere risolte, per essere chiuse
o completate. Nel corso degli anni è come se si stratificassero e
spingessero sotto un masso per emergere: in terapia dapprima affiora
e può essere risolto lo strato più superficiale, le situazioni irrisolte
più urgenti per il benessere immediato, poi poco alla volta,
strato dopo strato, si arriva a quelli più profondi, è come “pelare
una cipolla”. Non è il terapeuta che strappa gli strati, né occorre
compiere scavi archeologici, bensì le situazioni irrisolte del passato
emergono nella relazione con il paziente e osservando quello che
porta. Non è un lavoro superficiale, poiché, man mano che vengono
risolte le Gestalt più superficiali e immediate, possono affiorare
quelle più profonde e antiche, così si possono presentare anche
regressioni molto profonde, ma senza forzature.
L’obiettivo della terapia è aiutare la persona ad autodeterminarsi e
realizzarsi; lo strumento che viene utilizzato è la consapevolezza.
La consapevolezza è la capacità di stare in contatto con i propri bisogni,
di riconoscerli, riguarda quello che accade all’interno
dell’organismo, al confine con l’ambiente e all’esterno.
Il “continuum di consapevolezza” è un fermarsi ad ascoltare il flusRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
230
so ininterrotto di percezioni ed emozioni dentro e fuori di sé.
Consapevolezza significa anche riconoscere come in un dato momento
si stia bloccando il ciclo del contatto: in terapia non si affronta
direttamente la soluzione del sintomo, ma si lavora su queste
interruzioni. I blocchi di questo processo, oltre a generare malessere,
compromettono la crescita dell’individuo, poiché essa è
promossa dall’assimilazione dell’esperienza del contatto nella fase
del post - contatto. Nella nevrosi le Gestalt restano irrisolte per
molto tempo e il soggetto rimane in quello stato senza reagire, vivendo
continue interruzioni al ciclo del contatto. Nella psicosi, invece,
o c’è un blocco e un ritiro totale dall’azione o una reazione
eccessiva.
La pulsione aggressiva in questo processo ha una funzione importante:
mobilita le energie che occorrono per appagare i bisogni,
per agire sull’ambiente in tal senso. Se la pulsione aggressiva è ritirata
o non attiva non è possibile soddisfare i propri bisogni, è una
forza propulsiva, non basta la pulsione libidica per arrivare
all’autorealizzazione.
Il contatto è un fenomeno che avviene sulla linea di confine interno
- esterno (fra individuo e ambiente).
Riassumendo: se è attiva la consapevolezza l’Es percepisce un bisogno,
segnalato da un’emozione, il bisogno 3 riconosciuto mobilita
l’energia per l’azione, che produce l’appagamento del bisogno,
seguito da una fase in cui ci si ritira e si assimila l’esperienza. Dopo
l’appagamento del bisogno si vive una condizione di equilibrio e
di riposo, detta vuoto fertile, che dura fino all’emergere di un altro
bisogno.
Il disagio psicologico deriva da una serie di ostacoli o resistenze al
contatto, riconducibili ai meccanismi di difesa dell’introiezione,
proiezione, retroflessione, deflessione ed egotismo.
- L’introiezione è il meccanismo di funzionamento mentale alla
base dell’educazione e dell’apprendimento; diventa patologica con
interruzione al contatto quando non si “mastica” quello che si ap-
3 Vi sono necessità vitali per il corpo: mangiare, bere, dormire, eccetera. E
bisogni indotti da pulsioni fisiologiche (sesso ed altro) e desideri psichici
personali o indotti culturalmente Poiché non è sempre possibile, a questo
mondo, realizzare ed appagare questi bisogni, perché non creino problemi
basta accettare armonicamente la scelta di non poterli realizzare, senza
conflitti o concetti di sconfitta.
Vol. I - 2009 Revisioni della Letteratura
231
prende, ma ci si limita ad ingoiarlo (a volte non si può fare altrimenti).
Non c’è quindi assimilazione, che richiede trasformazione,
elaborazione per appropriarsi di quello che si apprende, c’è solo
accettazione passiva. Ciò che viene ingoiato è costituito da ingiunzioni
genitoriali (idee, valori, abitudini, concetti) che vengono incorporate
nell’infanzia e rimangono incistate sotto forma di “devo”,
“è giusto”, “è necessario”, espressioni tipiche che possono denotare
introiezione. Nell’introiezione l’aggressività è soffocata, di
conseguenza non c’è la capacità di attivazione che porta all’azione
e si permette al mondo esterno di invadere i propri confini, non si
è in grado di definirli e di difenderli. L’intervento terapeutico deve
avere l’obiettivo di sviluppare l’autonomia e la responsabilità personale,
tenendo conto del fatto che regole e valori introiettati possono
essere anche dei rifugi. 4
Riguardo al ciclo del contatto - ritiro, l’introiezione causa
un’interruzione al livello della percezione e della presa di coscienza
del bisogno: la persona pensa che non sia giusto o appropriato
avere un determinato bisogno, perciò non lo ascolta e lo sostituisce
con ingiunzioni genitoriali. Questi apprendimenti precedenti
che l’individuo ha incorporato (soprattutto durante l’infanzia) impediscono
o distorcono la consapevolezza del bisogno, egli non è
in grado di centrarsi sulla sua esigenza, ha paura di andare nel
vuoto (opposto percettivo del bisogno) e si aggrappa a ciò che gli
è stato detto da altri sul proprio bisogno.
Se non c’è introiezione, si riconosce il bisogno e il ciclo procede,
ma nel momento in cui si sta per attivare l’energia per l’azione può
intervenire un altro meccanismo di difesa, la proiezione, che porta
a trattenersi, a non mobilitare l’energia.
- La proiezione è il contrario dell’introiezione: è l’individuo che
invade il mondo esterno anziché viceversa, perché attribuisce ad
altri ciò che non vuole riconoscere in sé. La proiezione in sé è un
meccanismo utile: permette di entrare in contatto con gli altri e di
comprenderli, è alla base della capacità di mettersi nei loro panni,
dell’empatia. Diventa un meccanismo patologico quando viene
protratto e utilizzato in maniera abituale e stereotipata, così non è
più un mezzo per entrare in relazione con gli altri, ma al contrario
4 O dei blocchi. Ma molte regole sono accettabili ed indispensabili per una
vita sociale decente.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
232
porta a dissociarsi dall’interazione e dal contatto, perché prescinde
dal comportamento effettivo degli altri e dal loro reale sentire.
È rivelata da espressioni del tipo: “Quella persona non mi comprende”,
“Lui mi ha provocato”, “Tu mi fai soffrire”. Ricorrendo a
questo meccanismo si evita di assumersi la responsabilità di ciò
che trae origine da sé, attribuendo la responsabilità all’altro.
Nella terapia della Gestalt si chiede al paziente di esprimersi in
prima persona, non in terza o in termini generici (ad esempio “Io
sto vivendo questo…”, “Io credo che tu non mi comprenda”, “Io
sto soffrendo perché una persona o una situazione ha riattivato in
me una sofferenza antica”. Noi soffriamo come adulti che si portano
dentro un bambino sofferente ed è importante non il fatto in
sé, ma quello che la persona sta vivendo).
All’interno del ciclo del contatto, la proiezione fa sì che l’individuo
attribuisca ad altri una risposta propria, non si identifica con quello
che sente e sta vivendo e colloca le proprie emozioni, sensazioni
e vissuti nell’ambiente. In questo modo non può procedere per
assecondare il bisogno (non riconoscendolo come proprio) e interrompe
il ciclo.
- La retroflessione può agire tra la mobilitazione dell’energia e
l’azione, in modo che l’energia già attivata venga ritirata rivolgendola
verso di sé, trattenendosi dall’azione. È il meccanismo alla base
della somatizzazione. La retroflessione sana è necessaria: è indice
di maturità, permette l’adattamento alle regole sociali e
l’autocontrollo (non è possibile esprimere sempre in maniera
spontanea e impulsiva l’aggressività o determinati bisogni e desideri).
Quando è sana la retroflessione permette inoltre alla persona
di darsi da sola ciò che si aspettava dagli altri ma che non ha ottenuto
(affetto, gratificazioni, sostegno, conferme, eccetera). Se
questo meccanismo è eccessivo e prolungato, può portare ad inibizione
cronica, masochismo, esasperata soddisfazione narcisistica
e soprattutto è all’origine di somatizzazioni. Chi usa questo meccanismo
rinuncia a qualsiasi tentativo di influenzare il proprio ambiente,
isolandosi in una condizione di autosufficienza e riducendo
notevolmente lo scambio con l’esterno.
Nell’intervento occorre invitare alla libera espressione, a tirar fuori
l’energia che solitamente si rivolge verso o contro se stessi, esternando
emozioni come la rabbia: la retroflessione della rabbia porVol.
I - 2009 Revisioni della Letteratura
233
ta la persona ad autoaggredirsi, oppure la rende una bomba che
rischia di esplodere. Aiutare il paziente ad esprimere le emozioni
permette di compiere una catarsi emozionale che libera l’energia.
Se non c’è retroflessione si arriva all’azione e al contatto, ma tra il
contatto e il ritiro può esserci deflessione.
- La deflessione è un meccanismo che non permette di assimilare
l’esperienza, di viverne la pienezza sentendosi profondamente appagati,
perché l’individuo sposta l’attenzione da quello che gli sta
accadendo. I modi per deflettere sono tanti: esprimersi con astrazioni
o generalizzazioni impersonali, deviare o distogliere lo
sguardo dalla persona con cui si sta parlando, parlare troppo o
tramite giri di parole, eccetera. La deflessione è un meccanismo
sano quando costituisce una strategia di adattamento, diventa patologica
quando toglie vitalità e intensità alle esperienze e ostacola
la crescita dell’individuo. Nei casi estremi la deflessione è una fuga
dalla realtà di tipo psicotico.
- L’egotismo: è un modo per evitare il contatto finale; l’Io diventa
ipertrofico e il confine - contatto s’irrigidisce. È uno stato di differenziazione
che prende il posto della confluenza: quando due entità
dovrebbero fondersi e se lo impediscono sono in uno stato di
egotismo. Nell’egotismo patologico manca qualsiasi contatto nutriente,
viene attuata una chiusura totale al mondo, finché
l’organismo s’inaridisce profondamente.
I pazienti che intraprendono un percorso di riappropriazione di sé
devono fare esperienza di questa condizione: in questi momenti
l’egotismo è sano, permette alla persona di riacquistare le proprie
dimensioni più profonde, escludendo temporaneamente gli altri e
occupandosi di sé, alimentando autostima e assertività.
L’egotismo è sano quando permette una chiusura selettiva funzionale
alla crescita nei casi in cui è richiesta una separazione (dire di
no, delimitare il proprio spazio e i propri confini). L’egotismo è
invece patologico quando non viene superato e sostituito dalla interdipendenza,
in cui il soggetto è autonomo ma può scegliere di
vivere anche momenti di dipendenza e di confluenza con gli altri.
- La confluenza è il meccanismo che interviene tra il contatto e il
ritiro. L’individuo ha vissuto l’esperienza dell’appagamento del
suo bisogno con pienezza e sta bene, ma non vuole chiudere
l’azione, vuole mantenere il contatto, non riesce a ritirarsi nei proRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
234
pri confini. Nella confluenza la persona è priva di confini tra sé e
l’ambiente esterno, pretende la somiglianza, non accetta le differenze,
gli altri devono essere uguali a sé in modo da poter evitare
l’idea di un eventuale conflitto. Così si crea una confusione tra ciò
che appartiene a sé e ciò che è proprio dell’altro, quindi il Sé non
viene identificato, l’individuo non si riconosce una propria identità
differenziata e distinta da quella degli altri. La confluenza è sana
all’inizio di una relazione (ad esempio nel rapporto di coppia o
nella simbiosi madre - bambino), ma dopo una prima fase di confluenza
deve esserci un ritiro nei propri confini per ripristinare la
propria individualità. La confluenza è patologica quando non si
riesce a ritirarsi. Ne consegue un’incapacità di vivere la solitudine
come sana, come momento che permette di ritrovare il proprio Sé:
nella simbiosi non si è in grado di reggere la separazione e la distanza,
vissute come un abbandono.
Tutti questi meccanismi di difesa in origine sono sani, naturali, necessari,
ma se protratti o eccessivi diventano patologici.
La teoria del Sé
Il Sé per la Gestalt non è un’entità fissa, né un’istanza psichica,
come nella psicoanalisi, ma è un processo, un divenire, non è
l’essere, ma l’essere al mondo. È l’agente di contatto con
l’ambiente che consente, momento per momento, l’adattamento
creativo e lo scambio fra individuo e ambiente, mondo interno e
ambiente esterno.
La funzione - Sé agisce secondo tre modalità, chiamate Es, Io e
Personalità. La funzione - Es è l’insieme delle pulsioni interne, bisogni
vitali, tracce di memoria del passato ed è molto legata al corpo.
Questa funzione agisce secondo un sistema automatico di autoregolazione,
a meno che non venga bloccata da impedimenti interni
o esterni. In tal caso si ha un disturbo della funzione - Es per
il quale la persona non sente più, non percepisce ciò di cui ha bisogno
in un dato momento.
La funzione - Personalità è l’immagine che il soggetto ha di se stesso
e il sistema di atteggiamenti assunti nei rapporti interpersonali.
Vol. I - 2009 Revisioni della Letteratura
235
Permette di riconoscersi responsabili di ciò che si sente e si fa, può
essere più o meno congrua con l’autenticità dell’individuo e quindi
più o meno strutturata in modo sano. Permette di definire il
proprio senso d’identità perché è l’artefice della ristrutturazione e
reintegrazione unitaria delle esperienze attuali con quelle precedenti.
La funzione - Io è attiva e di scelta, di risposta positiva o negativa di
fronte all’emergere dei bisogni. Stabilisce cosa fare, come, quando
entrare in contatto. Prende coscienza dei bisogni e gestisce la loro
soddisfazione. È il fare creativo che collega la funzione - Esempio
(di cosa ho bisogno) con la funzione - Personalità (chi sono).
L’origine della malattia
Sia Perls che Goodman hanno una visione positiva della natura
umana, che sarebbe originariamente buona, tendente alla autorealizzazione
e all’“adattamento creativo” all’ambiente. Se incontra un
ambiente favorevole, l’individuo non deve far altro che lasciare a
questa tendenza la possibilità di realizzarsi e di svilupparsi. La natura
umana va solo “lasciata essere”. Dietro la corazza delle regole
e dei sintomi che sembrano formare la “personalità” di ogni individuo,
esiste un nucleo primordiale positivo che deve essere riportato
alla luce: questo è il compito prioritario della terapia.
Al riguardo Goodman parla di “Prima Natura” 5 e di “Seconda
Natura” 6, intendendo nel primo caso il nucleo immutabile, che
possiamo anche rimuovere e nascondere sotto varie “incrostature”,
ma che è sempre presente. Se all’essere umano è impedito, o egli
stesso si impedisce, di seguire tale natura, vivrà disagio e malessere
e la sua Prima Natura cercherà sempre l’occasione per riemergere
e completare il suo sviluppo: si tratta delle Gestalt irrisolte che tornano
a bussare, non sempre in modi comprensibili e ortodossi,
per arrivare alla chiusura soddisfacente che non si è potuta realizzare.
Se la mancanza di chiusura è temporanea, come dovrebbe
essere, la Prima Natura può riemergere e continuare un percorso
di crescita sano. Se invece questi meccanismi di emergenza e di
5 Genetica?
6 Dovuta alla formazione educativa?
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
236
supporto temporaneo (utili per la sopravvivenza in un ambiente
sfavorevole) non vengono applicati solo per il tempo necessario,
ma continuano ad essere usati anche in seguito, finiscono per diventare
“naturali”, connaturati. Si tratta dei comportamenti appresi
che definiscono la Seconda Natura e che portano alla nevrosi.
La psicoterapia della Gestalt (come gran parte delle psicoterapie
della corrente umanista) rivolge la sua attenzione soprattutto
all’uomo sano.
La malattia è vista prevalentemente come un incidente di percorso
dovuto all’incontro dell’individuo con un ambiente sfavorevole
e come la risposta migliore e più creativa (quindi
una forma di “adattamento creativo”) che l’organismo possa
dare per “salvarsi la pelle” in un dato momento. La nevrosi è
stata definita da Perls come “personalità velenosa”, “fuga dal dolore”,
“difetto della consapevolezza”, ma soprattutto come “difetto
della crescita” e “disturbo dello sviluppo”.
Secondo Perls e Goodman alla nascita siamo persone sane, complete,
dotate di una natura positiva. La malattia deriva da una serie
di introiezioni, atteggiamenti, comportamenti e regole ambientali
che vanno contro la tendenza all’autoregolazione organismica. Il
bambino assume questi introietti soprattutto dai genitori, perché
essi sono indispensabili per la sua sopravvivenza materiale, quindi
hanno la meglio sulla tendenza organismica quando si contrappongono
ad essa. Secondo Perls gli introietti sono un qualcosa che
possiede il paziente e che esiste tramite lui; nel nevrotico sono dei
veri e propri “corpi estranei”. La persona, invece di sintonizzarsi in
maniera sana con i propri bisogni e di “autoregolarsi”, deve tener
conto delle richieste di questi introietti. Quando invece le regole
dell’ambiente sono buone e in linea con la tendenza organismica,
vengono assimilate e favoriscono la crescita della Personalità sana.
Perls distingue diversi livelli di nevrosi:
- livello dei cliché: quando si incontra l’altra persona non si fa altro
che constatarne l’esistenza;
- livello dei ruoli e dei giochi: è il livello relazionale superficiale, in
cui si fanno giochi e si assumono parti, è il livello sociale, del “come
se”. La persona non mobilita la sua energia, non tiene conto
dei suoi desideri e delle sue attitudini autentiche e spontanee.
Vol. I - 2009 Revisioni della Letteratura
237
Molti ruoli tendono alla manipolazione dell’altro: il seduttore, il
bravo ragazzo, la brava bambina, l’adulatore, il duro, il bambino
piagnucoloso, eccetera. I ruoli e i giochi sono mezzi per fuggire
dal dolore, per non affrontarlo.
- Livello di implosione: ci si trova nella paralisi dovuta alla contrapposizione
fra mondo interno e ambiente, la persona si contrae
e si comprime fino ad esplodere al suo interno. Se si riesce ad entrare
in contatto con questo livello, può succedere che dalla implosione
si passi alla esplosione.
- Livello di esplosione: si può cominciare ad entrare in contatto
con la persona autentica, in grado di vivere ed esprimere le proprie
emozioni. L’esplosione può essere l’emergere di un dolore
prima evitato, uno sblocco di emozioni e sentimenti, può essere
un’esplosione di rabbia, di gioia di vivere, eccetera. Se non ci si
spaventa si può accedere al livello di autenticità.
- Livello di autenticità: si creano e si rendono duraturi i legami con
il vero Sé.
Secondo Perls i nevrotici hanno delle carenze in alcune aree vitali:
alcuni non hanno occhi, altri non hanno orecchie, altri non hanno
cuore, gambe o mani, eccetera e sostituiscono questi “buchi” con
delle “extracompensazioni” artificiose, che non aiutano la persona
a ricentrarsi. È uno degli obiettivi della terapia far scomparire queste
incompletezze trasformando il “vuoto sterile” in “vuoto fertile”:
mentre il primo può essere vissuto come nulla, il vuoto fertile
è il “nulla” orientale, cioè il vuoto in cui esiste soltanto il processo,
il qui ed ora di quanto sta accadendo. È un vuoto pieno di contenuti
vivi e autentici.
Metodologia e tecniche d’intervento
La Gestalt - Terapia non può essere ridotta alla descrizione di alcune
tecniche. L’uso delle tecniche può essere inappropriato, o
addirittura dannoso, se non è inserito in un percorso complesso e
a più livelli che abbia come obiettivo la crescita e la maturazione
complessiva dell’individuo. Nella terapia gestaltica le tecniche non
costituiscono l’orientamento terapeutico primario, al centro di
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
238
questa pratica troviamo piuttosto i suoi tre temi fondamentali: realtà,
consapevolezza e responsabilità.
La consapevolezza è alla base della possibilità di rendere la propria
vita “reale” e responsabilmente determinata, ma la consapevolezza
non basta, perché se non ci riconosciamo, se non cominciamo ad
essere quello che realmente siamo, non possiamo considerarci vivi
e trovare un appagamento esistenziale più importante e significativo
del semplice soddisfacimento dei bisogni particolari.
La nostra “realtà” particolare, così come la consapevolezza e il senso
di responsabilità, possono essere percepiti e fatti propri soltanto
attraverso la sperimentazione. Sperimentare è già di per sé terapeutico:
è il momento in cui si può entrare in contatto con tutto
quello che non conosciamo o che abbiamo evitato e che fa paura,
è un addestramento all’esperienza, intesa come l’entrare in contatto
con il fluire dinamico di ciò che c’è dentro e fuori di noi.
L’esperienza non deve essere ricercata all’esterno, ma ricongiungendo
la persona a ciò che sente. Nel linguaggio della Gestalt si
parla al riguardo di “esperienza correttiva riparativa”, che si ottiene
con due tipi fondamentali di tecniche: le tecniche repressive, utilizzate
per smettere di evitare e coprire l’esperienza, e le tecniche
espressive, mirate allo sviluppo della consapevolezza attraverso
l’ampliamento dell’attenzione su quello che accade e
l’amplificazione delle emozioni scoperte.
Tecniche repressive
Sono tutte le modalità d’intervento con cui il terapeuta pone al
paziente la richiesta di smettere di perpetuare giochi o comportamenti
particolari che costituiscono meccanismi ripetitivi di evitamento
dell’esperienza. Perls e Naranjo ritengono che molte attività
degli individui siano orientate ad evitare di percepire appieno le
sensazioni relative al momento in cui vivono: tutto ciò che impedisce
di prestare attenzione e di vivere profondamente l’esperienza
del momento serve ad evitare il presente. Questo significa perdere
consapevolezza ed allontanarsi dalla propria realtà più vera.
Una delle tecniche più semplici per uscire da tali circoli viziosi è
smettere di fare qualsiasi cosa che sia diversa dallo sperimentare:
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239
occorre “non fare nulla”, limitandosi a prestare attenzione a quello
che emerge momento per momento. Stare solo nel presente, attraverso
la tecnica del “continuum di consapevolezza”, è tutto ciò
che occorre fare per ascoltare davvero quello che avviene dentro di
noi e apprendere a non aver paura delle parti che più ci spaventano
e che ci spingono a fuggire dalla consapevolezza della loro esistenza.
La repressione degli evitamenti conduce all’esperienza del nulla,
cioè al momento in cui il vuoto sterile si trasforma in vuoto fertile,
aprendo le possibilità che la nevrosi aveva ostacolato per proteggere
da tutto ciò che crea ansia e paura se non viene contattato ed
elaborato.
I meccanismi di evitamento che la Gestalt reprime sono principalmente:
- il “girare intorno”
- il “doverismo”
- la manipolazione.
Il girare intorno (detto anche “intornismo”) sono le “chiacchiere”,
come le definiva Perls, che permettono di evitare il contatto con
altre dimensioni. Quando una persona parla “intorno” alle cose, fa
filosofia, ci erudisce, cerca di comprendere intellettualmente, non
sperimenta veramente quello che gli sta accadendo. In terapia il
girare intorno si esprime con l’offerta di informazioni diagnostiche,
la ricerca di spiegazioni di causa ed effetto, la discussione di
temi filosofici e morali o del significato di alcune parole. 7
Il girare intorno è un cattivo uso della razionalità, funzionale
all’evitare di fare esperienza. Se ci accorgiamo che un paziente sta
intellettualizzando, lo fermiamo e gli facciamo notare che così non
riesce a trovare soluzioni creative. Per evitare che la persona continui
con queste verbalizzazioni, dopo averla fermata la aiutiamo a
comprendere che cosa sta accadendo in quel momento, interrompendo
il lavorio mentale, che porta ad un inutile consumo di energie
e a tormentarsi. Bisogna aiutare il paziente a ristrutturare il
suo modo di pensare, a renderlo funzionale, occorre fargli vedere
che la sua razionalità viene messa al servizio di ciò che non c’è.
7 La psicoterapia non deve essere filosofia: complica solo le situazioni e
non solo non serve a nulla, ma può essere dannosa.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
240
Chi utilizza molto il “girare intorno” di solito ha schemi mentali
rigidi, tende a reiterare un pensiero.
Perls disdegna i “perché” e i “poiché” nella comunicazione paziente
- terapeuta, Naranjo invece non li considera sempre negativi
(anche se condivide la necessità di evitare le intellettualizzazioni),
perché rispetta il desiderio del paziente della comprensione intellettuale
e riconosce che a volte le razionalizzazioni non servono
tanto ad evitare, ma solo a fare un lungo giro per arrivare al cambiamento.
Nell’incontro terapeutico diventa allora molto più importante
osservare cosa fa il paziente della regola del non girare
intorno (non spiegare e non cercare spiegazioni, non filosofeggiare
e non cercare altre verità oltre l’evidenza, non fare diagnosi e
interpretazioni), piuttosto che insistere sulla sua sacralità e non
accettare in nessun modo che il paziente non la rispetti. Il fatto
che in alcuni momenti o in generale il paziente non sia in grado di
adeguarsi alla regola può dare indicazioni al terapeuta riguardo a
problemi centrali del suo modo di essere al mondo, ai temi su cui
è necessario focalizzare l’attenzione.
La regola del non girare intorno dovrebbe essere applicata non solo
alla verbalizzazione, ma anche a tutta la sfera del pensiero, per
aumentare il livello di consapevolezza e rendere più disponibili al
contatto e alla percezione di ciò che si incontra grazie alla aumentata
consapevolezza. Questo non significa che non si debba più
pensare, ma piuttosto vuol dire fare in modo che venga allentato il
controllo di tutto ciò che ci spaventa, perché possiamo entrare in
contatto con quei sentimenti che sono sì dolorosi, ma vitali e che
permettono di vivere in maniera autentica.
Il doverismo è il dire a noi stessi e agli altri cosa si deve fare e come
si dovrebbe essere: questo è considerato dalla terapia della Gestalt
un altro modo per non essere quello che si è. Il dover essere
e il dover fare ci allontanano dall’esperienza, che è possibile vivere
solo abbandonando l’atteggiamento giudicante e valutativo verso
noi stessi e verso gli altri. Occorre recuperare la capacità di sentire
e assaporare tutto quello che accade, vivendo nel presente, nel qui
ed ora. Smettendo il doverismo, si smette di autotorturarsi e si
scoprono sentimenti che erano rimasti sullo sfondo e non avevano
avuto la possibilità di emergere, perché ci si impediva di sentirli.
Vol. I - 2009 Revisioni della Letteratura
241
Nel doverismo rientrano il senso di colpa, l’autovalutazione, il
giudizio. Per superare questi atteggiamenti la terapia della Gestalt
ricorre alla regola della non - valutazione. Anche nell’intornismo
c’è autovalutazione e incapacità di accettarsi come si è.
Frasi del tipo “Non sono triste”, “Non sono teso” esprimono doverismo,
perché equivalgono a: “Non devo essere triste”, “Non devo
essere teso”. Infatti non si può far esperienza di qualcosa che non
c’è, si può dire come ci si sente, non come non ci si sente. Le formulazioni
al negativo esprimono doverismo perché ci si paragona
mentalmente a come si dovrebbe essere, ci si valuta.
Mentre l’intornismo è un cattivo uso della razionalità, il doverismo
è un cattivo uso della vita emotiva: tutto deve essere come si vuole,
secondo quello che si è introiettato, così ci si impedisce di sentire
certi sentimenti ed emozioni.
La manipolazione è invece un cattivo uso dell’azione, a cui si ricorre
per evitare l’esperienza, la consapevolezza e la responsabilità.
Molte azioni hanno lo scopo di cercare di evitare il contatto con i
sentimenti meno accettabili della nostra vita (noia, sofferenza, ansia,
tristezza, eccetera). In contrapposizione con l’azione funzionale
all’evitamento, c’è invece l’azione che consente l’esperienza e la
esprime, che rivela piuttosto che nascondere, che esprime piuttosto
che reprimere. Queste azioni (con riferimento alla filosofia
Zen) scorrono naturalmente, senza che ci sia costrizione, auto -
manipolazione e neanche scelta, dal momento che la loro forza
motrice primaria è la preferenza. La non - manipolazione è legata
alla fiducia nella capacità di autoregolazione dell’organismo e di
sentire e gestire quello che fluisce dall’interno. La terapia della Gestalt
al riguardo ha formulato la regola della non - automanipolazione
(indispensabile per non cadere nel gioco della manipolazione
degli altri), che si attua attraverso il “continuum di consapevolezza”.
Fanno parte della manipolazione le convenzioni, le buone
maniere, il chiedere il permesso, perché vorrebbe dire non assumersi
la responsabilità delle proprie azioni e manipolare gli altri
perché se la assumano loro.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
242
Il continuum di consapevolezza
È una tecnica che consente al paziente di essere costantemente attento
e presente al flusso delle proprie sensazioni e dei propri sentimenti.
Il lavoro con la consapevolezza (di quello che accade a livello
esterno e interno) permette di essere sempre al confine del
contatto, che è il punto in cui entriamo in contatto con gli altri e
con noi stessi. Lo scopo è recuperare il contatto con il mondo esterno
e interno attivando la consapevolezza. Le quattro domande
formulate da Perls per favorire la consapevolezza sono:
- “Cosa stai facendo in questo momento?” (comportamento)
- “Cosa senti in questo momento?” (contatto con il mondo interno,
con emozioni, sensazioni e pensieri)
- “Cosa stai cercando di evitare?”
- “Cosa vuoi?” (contatto con la responsabilità intenzionale: far emergere
un bisogno e attivarsi di conseguenza) e “Cosa ti aspetti
da me?” (contatto tra sostegno e autosostegno).
Solitamente interrompiamo il continuum: la consapevolezza di sé
e del mondo è intervallata da illusioni, fantasie, sogni ad occhi aperti
(che costituiscono il Maya e comprendono anche ciò che vorremmo,
quello che vorremmo ottenere), oppure da intellettualizzazioni.
Tutto questo ci stacca dall’esperienza di quello che c’è, del
presente: la vita è fatta di piccole esperienze che deturpiamo.
La tecnica del continuum di consapevolezza ha la funzione di far sì
che la persona si accorga di ciò da cui sta fuggendo, di cosa evita,
impedendosi di essere l’autore della propria vita. Ad esempio, una
persona può far fatica ad entrare in relazione con gli altri se teme
di essere criticata, giudicata, ha paura di sbagliare, eccetera. In tal
caso restringe il suo confine e si impedisce di allargarlo. Una persona
senza confini, senza un’identità ben definita e delimitata, non
può fare realmente esperienza del contatto, perché per questo occorre
avere la propria individualità: il contatto è tanto più profondo
quanto più si è persone integre e con un senso forte della propria
identità e individualità, perché non si ha paura di perdersi al
momento del contatto e della confluenza, invece se si ha paura di
perdere l’individualità, di essere invasi, il contatto con gli altri è
vissuto come pericoloso. In questo caso si oscilla tra la paura di
Vol. I - 2009 Revisioni della Letteratura
243
perdersi (il bisogno di mantenere l’individualità e l’autonomia) e il
bisogno d’incontro (fusionalità).
Tecniche espressive
La capacità di espressione di sé è considerata dalla Gestalt il modo
migliore per acquisire consapevolezza della propria essenza e nello
stesso tempo per “realizzare” se stessi, nel senso di rendersi reali.
Senza questa realizzazione non ci si può sentire del tutto vivi. Esprimersi
(e quindi realizzarsi) sarebbe un processo naturale, ma,
avendo sperimentato una serie di angosce, frustrazioni, sofferenze,
molti hanno imparato ad usare strategie per manipolare la realtà,
piuttosto che aprirsi ed essere se stessi. L’insieme di queste strategie
costituisce il “carattere”, con cui si finisce per identificarsi,
mentre la natura reale si ritira fino a non essere più percepita.
Le tecniche espressive della Gestalt hanno l’obiettivo di riparare
questo danno, riportando alla luce le dimensioni più reali
dell’individuo. Attraverso la messa in atto dell’espressione di sé, il
paziente impara che può essere se stesso senza che succeda niente
di catastrofico (come temeva sulla base dei suoi precedenti modelli
e apprendimenti) e può sentirsi più libero, maggiormente in contatto
con se stesso e con gli altri.
Cito in seguito alcune delle tecniche espressive più usate dai terapeuti
della Gestalt (e a volte anche da noi ma a modo nostro).
“La sedia che scotta” (detta anche “bollente” o “vuota”)
Si invita il paziente a immaginare su una sedia vuota parti di sé,
rappresentazioni interne di figure significative o proiezioni di propri
traumi, e a dialogare con queste parti, prima immaginando di
averle sulla sedia vuota, poi occupando quella stessa sedia e rispondendo
come risponderebbe quella rappresentazione o parte
proiettata di sé. Al posto della sedia vuota si può utilizzare un oggetto
qualsiasi, come un cuscino, una borsa, un capo di vestiario,
che svolga la funzione di “oggetto transizionale” per simboleggiare
personaggi, parti del corpo, eccetera, lasciando che sia il paziente
a scegliere l’oggetto che sente più adatto. Il lavoro viene svolto atRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
244
traverso scene reali rievocate, in cui vengono messi in atto sentimenti
ed emozioni repressi, arrivando gradualmente alla espressione
e alla chiusura di situazioni incompiute o irrisolte.
“Il monodramma”
È una variante dello psicodramma in cui il paziente gioca di volta
in volta i diversi ruoli della situazione da lui evocata: può rappresentare
vari personaggi o parti diverse di una persona o di se stesso.
Per chiarezza si invita il paziente a cambiare posto ogni volta
che cambia ruolo. Il monodramma dà la possibilità di mettere in
scena i propri vissuti via via che emergono. Quello che conta non è
raffigurare un personaggio vero, ma esprimere le proprie rappresentazioni
interne, per poi arrivare a dare una nuova forma a tali
rappresentazioni.
“Le polarità”
Il monodramma e la tecnica della sedia bollente permettono di riconoscere
e integrare le polarità opposte di una relazione, senza
ridurle ad un compromesso artificiale, e neanche ad un equilibrio
statico (come “il giusto mezzo”): ad esempio, è possibile provare
contemporaneamente per qualcuno sentimenti contrastanti, come
amore e odio, che attraverso queste tecniche vengono chiariti, sentiti
intensamente ed eventualmente messi in atto simbolicamente.
“La messa in atto”
La “messa in atto” volontaria non va confusa con il “passaggio
all’atto” impulsivo, detto in inglese “acting out”: mentre questo ultimo
serve ad evitare la presa di coscienza di qualcosa, la messa in
atto volontaria è, al contrario, una sottolineatura che favorisce la
consapevolezza, ricorrendo ad un’azione visibile e tangibile in cui
si mobilitano il corpo e le emozioni. In questo modo il paziente
può vivere la situazione più intensamente e provare sentimenti che
non aveva identificato bene, o dimenticati, repressi, a volte anche
sconosciuti.
“L’amplificazione”
È una delle tecniche più utilizzate nella terapia della Gestalt, che
permette di rendere più esplicito ciò che è implicito: il gestaltista è
attento ai diversi indici di reazioni emozionali, come le modificazioni
del colorito del volto, le piccole contrazioni della mascella, i
cambiamenti del ritmo respiratorio, della deglutizione, della tonalità
della voce, della direzione dello sguardo, i micro - gesti delle
Vol. I - 2009 Revisioni della Letteratura
245
mani, dei piedi o delle dita. Si invita il paziente ad amplificare questi
gesti inconsapevoli, da lui inavvertiti, che sono considerati come
dei “lapsus del corpo”, rivelatori di emozioni latenti, spesso
trattenute. L’amplificazione fa emergere queste emozioni o sensazioni,
permettendo così di esprimere quello che il corpo contiene
o trattiene, ciò di cui la persona si impedisce di fare esperienza. È
un modo per ascoltare il proprio corpo, anziché cercare di ridurlo
al silenzio, sforzo che spesso lo costringe ad esprimersi attraverso
dei sintomi. Un tipo di amplificazione può consistere anche nel
ripetere a voce alta un’affermazione, accentuando l’espressione di
un’emozione o di un sentimento.
“La comunicazione diretta”
In Gestalt si evita di parlare di qualcuno, si invita invece il paziente
a rivolgere direttamente la parola (parlare a, anziché parlare di)
alla persona, presente o assente, coinvolta in una situazione irrisolta
che è emersa. Ciò consente di passare da una riflessione interna,
di ordine intellettuale, ad un contatto relazionale ed emozionale
con l’altra persona. Permette inoltre di smascherare le
proiezioni all’interno di ciò che si dice all’altro e di riappropriarsene,
evitando di rimproverarle alla persona a cui sono state attribuite.
Se quest’ultima è presente, ha la possibilità di rispondere,
così il paziente può confrontare con lei le proprie percezioni, la
propria realtà con quella dell’altro. L’obiettivo non è quello di
mettersi d’accordo, in una confluenza superficiale, bensì di mettere
in chiaro; non ci si deve giustificare, né convincere, né spiegare,
le persone sono invitate semplicemente ad esprimersi, facendo attenzione
non ai perché, ma ai come di determinate scelte e azioni.
Si tratta di constatare la realtà dei fatti, senza ricorrere a considerazioni
“a proposito” degli avvenimenti o su come “dovrebbero essere”.
I partecipanti sono invitati a rispondere onestamente, senza
fingere e senza timore di esprimere disaccordo o aggressività.
Conclusioni
Il costrutto teorico e filosofico della psicologia della Gestalt non
solo non ci trova in tante sue parti d’accordo, ma da un punto di
vista pratico e clinico in psicoterapia non ci serve.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
246
Invece metodiche e tecniche possono essere molto utili per riportare
all’armonia e alla guarigione alcuni pazienti.
Nel nostro lavoro l’uso di tecniche per non risultare dannoso deve
rispondere a ben precisi canoni:
- si cura con un sorriso, non delle labbra ma del cuore;
- non ci si lascia prendere dalla prepotenza delle proprie convinzioni,
né si tenta di imporle, anche se con levità possiamo esprimerle.
Errori gravi da evitare: pessimismo, messaggi negativi, connotazioni
negative, generalizzazioni negative o interpretabili come tali, interpretazioni
negative e spiegazioni che non hanno nessuna possibilità
di soluzione: labirinti senza uscita costruiti intellettualmente.
E ancora: qualsiasi modalità o messaggio di colpevolizzazione della
sofferenza e della malattia, che non è una colpa ma solo sofferenza.
Come si può constatare questi errori sono purtroppo piuttosto
diffusi.
Noi non siamo giudici ma esseri umani con una nostra etica ed
una nostra morale, per cui possiamo individuare nel nostro interlocutore
fatti, pulsioni e comportamenti totalmente inaccettabili.
In questo caso non possiamo né sopportare, né tantomeno prendere
in terapia un paziente.
Tranne che in casi di questo tipo dobbiamo solo valutare le possibilità
di cura e di successo del nostro intervento.
Bibliografia
Giusti E., Rosa V., “Psicoterapie della Gestalt”, 2002, A.S.P.I.C. Edizioni
Scientifiche, Roma
Perls F., Hefferline R. F., Goodman P., “Teoria e pratica della Terapia della
Gestalt“, 1971, Astrolabio, Roma
Perls F., “La terapia gestaltica parola per parola”, 1980, Astrolabio, Roma
Perls F., “Qui ed ora”, 1991, Sovera, Roma
Vol. I - 2009 Revisioni della Letteratura
247
Federica Panzanini, Riccardo Arone di Bertolino
LA GESTALT
Parole chiave: Psicologia della Gestalt, realtà, consapevolezza, responsabilità,
autoregolazione organismica, meccanismi di difesa, psicoterapia, tecniche
repressive, tecniche espressive.
RIASSUNTO
Si espongono e commentano principi e concetti teorici della Psicologia
della Gestalt riguardo il funzionamento dell’individuo sano e la genesi della
psicopatologia. In particolare viene descritto il processo di gratificazione
dei bisogni (“ciclo del contatto - ritiro”) che sarebbe alla base della vita
psicologica di tutti gli individui. Se questo processo viene ostacolato con
varie forme di blocchi, si creano il disagio psicologico o la patologia.
Vengono trattati i temi principali su cui si fonda la pratica della psicoterapia
della Gestalt e si descrivono le tecniche più usate, suddivise in due tipi
fondamentali: le tecniche “repressive” e quelle “espressive”.
Federica Panzanini, Riccardo Arone di Bertolino
GESTALT THERAPY
Key word: Gestalt psychology, reality, awareness, responsibility, organismic
self-regulation, defence mechanisms, psychotherapy, repressive techniques,
expressive techniques.
SUMMARY
Basic principles and theoretic concepts of Gestalt psychotherapy, concerning
healthy individual and the origin of psychotherapy, are presented
and commented on. Particularly, needs gratification process (“cycle of
contact-withdrawal”) which may give rise to psychological life, is described.
Psychological distess or psychopathology arise if this process is blocked.
Basic topics of Gestalt psychotherapy practice are treated. The most
used techniques are described, distinguished in “repressive” and “expressive”.
Gli Autori
Dr. Riccardo Arone di Bertolino
Presidente della Società Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
Via Porrettana 466 - 40033 CASALECCHIO di RENO BO
Dr.ssa Federica Panzanini, S.M.I.P.I.
psicologa, specialista in Psicoterapia ed Ipnosi Clinica S.M.I.P.I.
Via Vasari 32 - 40128 BOLOGNA BO
tel. 328.6848503
RUBRICHE
Vol. I - 2009 Leggi e Decreti
251
Vincenzo Amendolagine
LA PSICOTERAPIA E LO PSICOTERAPEUTA FRA
SCELTE CULTURALI E RIFERIMENTI LEGISLATIVI
Il presente lavoro non vuole essere un’interpretazione personale
della giurisprudenza in materia, bensì una semplice illustrazione,
sicuramente parziale, della legislazione italiana vigente, riferita alla
psicoterapia. Considerata la brevità del lavoro e che il fine dello
stesso non è quello di invadere competenze, spettanti ad altre professionalità,
si sottolinea che l’obiettivo perseguito è solo quello di
un’ informativa, storico – culturale, senza nessuna pretesa esaustiva
e di completezza dell’argomento trattato.
La legge n. 56 del 18 febbraio 1989 (1), denominata: “Ordinamento
della professione di psicologo”, all’articolo 3 detta le norme
per l’esercizio della psicoterapia. Esso afferma:
1. “L’esercizio dell’attività psicoterapeutica è subordinato ad
una specifica formazione professionale, da acquisirsi, dopo
il conseguimento della laurea in psicologia o in medicina e
chirurgia, mediante corsi di specializzazione almeno quadriennali
che prevedano adeguata formazione e addestramento
in psicoterapia, attivati ai sensi del decreto del Presidente
della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162, presso
scuole di specializzazione universitaria o presso istituti a
tal fine riconosciuti con le procedure di cui all’articolo 3
del citato decreto del Presidente della Repubblica.
2. Agli psicoterapeuti non medici è vietato ogni intervento di
competenza esclusiva della professione medica.
3. Previo consenso del paziente, lo psicoterapeuta e il medico
curante sono tenuti alla reciproca informazione.”
In sede di prima applicazione, per i primi 5 anni dall’entrata in vigore
della legge, l’articolo 35 prevedeva il riconoscimento
dell’attività psicoterapeutica. Infatti, esso recita:
1. “In deroga a quanto previsto dall’articolo 3, l’esercizio
dell’attività psicoterapeutica è consentito a coloro i quali o
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
252
iscritti all’ordine degli psicologi o medici iscritti all’ordine
dei medici e degli odontoiatri, laureati da almeno cinque
anni, dichiarino, sotto la propria responsabilità, di aver acquisita
una specifica formazione professionale in psicoterapia,
documentandone il curriculum formativo con
l’indicazione delle sedi, dei tempi e della durata, nonché il
curriculum scientifico e professionale, documentando la
preminenza e la continuità dell’esercizio della professione
psicoterapeutica.
2. È compito degli ordini stabilire la validità di detta certificazione.
3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 sono applicabili fino
al compimento del quinto anno successivo alla data di entrata
in vigore della presente legge.”
Dall’articolo 35 della legge n. 56, si evince che il possesso di una
specifica formazione professionale in psicoterapia debba essere
frutto di un curriculum formativo, scientifico e professionale.
All’epoca dell’approvazione della legge, le maggiori e più accreditate
scuole di psicoterapia [scuole che successivamente, ai sensi
dell’articolo 3, hanno avuto l’autorizzazione ad istituire dei corsi di
specializzazione in psicoterapia (D. M. 11 dicembre 1998, n. 509)
(2)] rilasciavano il diploma di formazione in psicoterapia, dopo un
minimo di quattro anni di corso. In queste scuole trovavano posto
tradizioni culturali e scientifiche rapportabili ai paradigmi epistemologici
della psicoterapia cognitivo – comportamentale, della
psicoterapia ipnologica moderna, della psicoterapia strategica, della
programmazione neurolinguistica e l’elenco potrebbe continuare,
che poca eco suscitavano nelle scuole di specializzazione universitarie
di area psicologica – psichiatrica, ancorate, spesso, ai costrutti
delle psicoanalisi e della psicoterapia ad orientamento psicoanalitico.
In virtù dell’articolo 35 della legge n. 56, in quel periodo, gli Ordini
dei Medici - Chirurghi e degli Odontoiatri di ogni provincia e gli
Ordini degli Psicologi di ogni regione italiana istituirono delle
commissioni per la psicoterapia, che analizzavano la validità delle
certificazioni prodotte dai medici o dagli psicologi e, una volta ritenute
valide, i Consigli Direttivi degli stessi Ordini provvedevano
ad iscrivere tali medici nell’elenco dei medici - psicoterapeuti e tali
Vol. I - 2009 Leggi e Decreti
253
psicologi nell’elenco degli psicologi - psicoterapeuti e ad autorizzarli
all’esercizio della psicoterapia.
Il percorso legislativo della psicoterapia e della figura professionale
dello psicoterapeuta è proseguito con altre tre leggi.
Nel 1999, è stata approvata la legge n. 4 del 14 gennaio 1999 (3),
dal titolo: “Disposizioni riguardanti il settore universitario e della
ricerca scientifica, nonché il servizio di mensa nelle scuole”.
L’articolo 1, al comma 2 e 3, apporta delle modifiche all’articolo
35 della legge n. 56 del 18 febbraio 1989. I commi 2 e 3
dell’articolo 1 affermano:
2. “All’articolo 35, comma 1, della legge 18 febbraio 1989, n. 56, le
parole: “laureati da almeno cinque anni” sono sostituite dalle seguenti:
“laureatisi entro l’ultima sessione di laurea, ordinaria o
straordinaria, dell’anno accademico 1992 – 1993.
3. Il termine di cui all’articolo 35, comma 3, della legge 18 febbraio
1989, è differito fino al centottantesimo giorno successivo
alla data di entrata in vigore della presente legge.”
In altre parole, a seguito della legge n. 4 del 14 gennaio 1999,
l’articolo 35 della legge n. 56 del 18 febbraio 1989 subisce le modifiche
sopra riportate, che portano il termine di scadenza delle domande
di riconoscimento dell’attività psicoterapeutica fino al centottantesimo
giorno dopo la pubblicazione della legge in Gazzetta
Ufficiale, ovvero sei mesi dopo il 19 gennaio 1999.
Nel 2000, è stata approvata la legge n. 401 del 29 dicembre
2000 (4), denominata: “Norme sull’organizzazione e sul personale
del settore sanitario”. Essa al comma 3 dell’articolo 2 afferma:
“Il titolo di specializzazione in psicoterapia, riconosciuto, ai sensi
dell’articolo 3 e 35 della legge 18 febbraio 1989, n. 56, come equipollente
al diploma rilasciato dalle corrispondenti scuole di specializzazione
universitaria, deve intendersi valido anche ai fini
dell’inquadramento nei posti organici di psicologo per la disciplina
di psicologia e di medico o psicologo per la disciplina di psicoterapia,
fermi restando gli altri requisiti previsti per i due profili
professionali.”
Il comma 3 dell’articolo 2 della legge n. 401 del 29 dicembre 2000
ha dato origine ad una serie di contenziosi. Questi contenziosi vertevano
sul fatto se il titolo di specializzazione (articolo 3 e 35) dovesse
essere preso in considerazione solo come inquadramento
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
254
legislativo all’interno del Servizio sanitario nazionale o anche come
titolo di accesso per i concorsi nelle strutture pubbliche, per le discipline
menzionate. Il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca,
più volte sollecitato sull’argomento, ha ribadito la completa
equipollenza di tale titolo con i titoli conseguiti presso le scuole
universitarie di specializzazione (5). Il legislatore ha pensato di dirimere
i vari contenziosi, emanando la legge 28 febbraio 2008, n.
31 (6), denominata: “Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto – legge 31 dicembre 2007, n. 248, recante proroga di termini
previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in
materia finanziaria”.
La legge 28 febbraio 2008, n. 31, all’articolo 24 – sexies, intitolato:
“Equiparazione dei titoli ai fini dell’accesso ai concorsi presso
il Servizio sanitario nazionale e vigilanza sull’Ordine nazionale degli
psicologi”, afferma al comma 1:
1. “I Titoli di specializzazione rilasciati ai sensi dell’articolo 3
della legge 18 febbraio 1989, n. 56, e il riconoscimento di
cui al comma 1 dell’articolo 35 della medesima legge, e
successive modificazioni, sono validi quale requisito per
l’ammissione ai concorsi per i posti organici presso il Servizio
sanitario nazionale, di cui all’articolo 2 comma 3, della
legge 29 dicembre 2000, n. 401, e successive modificazioni,
fermi restando gli altri requisiti previsti.”
In altre parole, sia il comma 3 dell’articolo 2 della legge n. 401 del
29 dicembre 2000 che l’articolo 24 sexies della legge n. 31 del 28
febbraio 2008 stabiliscono un’equipollenza – equiparazione di titoli
ai fini dell’esercizio della psicoterapia. I due termini usati dal legislatore,
equipollenza ed equiparazione, risultano sovrapponibili.
Infatti sul Grande Dizionario Garzanti della lingua italiana (7), si
possono leggere le due definizioni, in base alle quali “equipollenza
significa di ugual valore, equivalenza, corrispondenza” ed “equiparazione
significa rendere pari, mettere sullo stesso piano”.
In aggiunta a quanto detto, il Decreto Ministeriale del 24 luglio
2006 (8), denominato: “Riassetto delle scuole di specializzazione
di area psicologica”, richiamandosi alla normativa, dettata
dall’articolo 3 della legge 18 febbraio 1989 (ricordata nelle premesse
del decreto), stabilisce che determinate specializzazioni abilitano
all’esercizio della psicoterapia. Infatti all’articolo 6 si dice:
Vol. I - 2009 Leggi e Decreti
255
“Le specializzazioni di cui all’allegato del presente decreto, nonché
quelle in Psicologia clinica, Psichiatria e Neuropsichiatria infantile,
di cui all’allegato del sopra citato DM 1. 8. 2005, sono abilitanti
all’esercizio della psicoterapia, purché almeno 60 CFU siano dedicati
ad attività professionalizzanti psicoterapeutiche espletate sotto
la supervisione di qualificati psicoterapeuti.”
Le specializzazioni dell’allegato del decreto (Allegato – Ordinamenti
didattici – Scuole di Specializzazione di Area Psicologica)
sono rappresentate da: 1) Neuropsicologia; 2) Psicologia del ciclo
di vita; 3) Psicologia della salute; 4) Valutazione psicologica e consulenza
(counselling). A tal proposito, si ricorda che 60 Crediti
Formativi Universitari corrispondono a 1500 ore di formazione.
Per cui alla luce della normativa vigente, la professione di psicoterapeuta
e, quindi l’esercizio della psicoterapia, è permessa a chi,
medico o psicologo, abbia una specializzazione – formazione professionale
specifica in Psicoterapia (articoli 3 e 35 della legge n. 56
del 18 febbraio 1989; articolo 1, comma 2 e 3, della legge n. 4 del
14 gennaio 1999; articolo 2, comma 3, della legge n. 401 del 29
dicembre 2000; articolo 24 – sexies della legge n. 31 del 28 febbraio
2008) o abbia una specializzazione, con almeno 60 CFU di
attività professionalizzanti psicoterapeutiche, in Psicologia clinica,
Psichiatria, Neuropsichiatria infantile, Neuropsicologia, Psicologia
del ciclo di vita, Psicologia della salute e Valutazione psicologica e
consulenza (counselling) (articolo 6 del Decreto Ministeriale del
24 luglio 2006).
A ragione di questa giurisprudenza, nei regolamenti relativi alla
pubblicità, elaborati dagli Ordini Regionali degli Psicologi e dagli
Ordini Provinciali dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, nei cui
albi sono iscritti, rispettivamente, gli psicologi – psicoterapeuti e i
medici – psicoterapeuti, e realizzati alla luce delle leggi italiane e
dei codici di deontologia professionale, si ritrova la ricezione delle
normative, riguardanti la psicoterapia, illustrate in questo lavoro.
A titolo semplicemente di esempi, si riportano una parte del regolamento
in materia di pubblicità delle attività oggetto della professione
di psicologo, elaborato dall’Ordine degli Psicologi della Toscana
(9) e una parte dei regolamenti di pubblicità sanitaria, elaborati
dagli Ordini Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri
di Venezia (10) e Massa Carrara (11).
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
256
Nel regolamento dell’Ordine degli Psicologi della Toscana,
all’articolo VI si dice:
“1. Titoli di studio:
b) titoli di specializzazione o (senza abbreviazioni che possano indurre
in equivoco) come “Specialista in…” (titolo della scuola di
specializzazione universitaria), “Specialista in Psicoterapia” nel caso
di diploma ottenuto presso un corso di specializzazione in psicoterapia
attivato presso un istituto privato riconosciuto dal MIUR,
oppure ai possessori di riconoscimento dell’attività psicoterapeutica
ottenuto dall’Ordine di appartenenza in base all’art. 35 della
legge 56/1989 o all’art. 1 della legge 4/1999. La dicitura “Psicoterapeuta”
è considerata un sinonimo di “Specialista in Psicoterapia”
ed è quindi consentita negli stessi casi descritti sopra.”
Nei regolamenti di pubblicità sanitaria degli Ordini Provinciali dei
Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Venezia e Massa Carrara si
legge:
“Titoli di specializzazione.
Le persone fisiche possono indicare il titolo di “Medico Psicoterapeuta”,
se inserite nell’elenco speciale annesso all’Albo dei Medici
e Chirurghi, previsto dalla legge 56/89.”
Bibliografia
1. Gazzetta Ufficiale n. 46 del 24 febbraio 1989, Supplemento Ordinario.
2. Gazzetta Ufficiale n. 37 del 15 febbraio 1999.
3. Gazzetta Ufficiale n. 14 del 19 gennaio 1999.
4. Gazzetta Ufficiale n. 5 del 8 gennaio 2001.
5. Notiziario “Psicologi”, n. 3 – 4 2004, pag. 42 (Sito Internet dell’Ordine
degli Psicologi della Liguria).
6. Gazzetta Ufficiale n. 51 del 29 febbraio 2008, Supplemento Ordinario
n. 47.
7. A. A. V. V. – Grande Dizionario Garzanti della lingua italiana – Garzanti
– Milano – 1993.
8. Gazzetta Ufficiale n. 246 del 21 ottobre 2006.
9. Regolamento in materia di pubblicità delle attività oggetto della professione
di psicologo (prestazioni dirette e on line). Regolamento approvato
dal Consiglio dell’Ordine degli Psicologi della Toscana nella riunione del
21 dicembre 2006 con delibera G/552 e poi modificato in data 17 marzo
2007 con delibera G/577 e in data 1 dicembre 2007 con delibera G/618.
Vol. I - 2009 Leggi e Decreti
257
10. Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Venezia
– Linee d’indirizzo a servizio degli iscritti, a seguito dell’entrata in
vigore della LG. 248/06 (legge Bersani). Approvate dal Consiglio Direttivo,
con deliberazione n. 20/07 del 29 maggio 2007.
11. Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di
Massa Carrara – Pubblicità Sanitaria – Linee d’indirizzo – Approvate dal
Consiglio Direttivo, con deliberazione n. 33 del 29/03/2007
L’Autore
Vincenzo Amendolagine
Medico – Psicoterapeuta
Via R. Leoncavallo, 35/B, 70123 Bari.
Tel. 080 5346005/3683666622
Vol. I - 2009 Leggi e Decreti
259
RIVISTA MEDICA ITALIANA DI PSICOTERAPIA ED IPNOSI
Volume I – giugno 2009
Cenni riassuntivi e recensioni di Patrizio Bellini
Nei LAVORI ORIGINALI:
- Un caso di Disturbo Narcisistico della Personalità, di Federica
Panzanini.
L’Autrice espone la sua conoscenza accurata sulle caratteristiche e
sulla Psicoterapia del Disturbo Narcisistico della Personalità. Illustra
le personalità narcisistiche ed i loro stili relazionali, poi spiega
la paura del legame e l’amore come fusione che vivono nel divario
tra l’immagine ideale e la realtà, esponendoli a continue delusioni
e ferite con conseguenti rassegnazioni, cinismi ed amarezze. Scrivendo
della Personalità Narcisistica, ricorda la classificazione di J.
Willi in due tipi fondamentali: il narcisista schizoide-empatico ed il
narcisista esibizionista-fallico e ne descrive i caratteri comportamentali
più comuni. Leggere questa pagina sui caratteri, è certamente
utile al terapeuta che vuole cogliere quanto comunemente
aspetti narcisistici di personalità si miscelino ad aspetti del vivere
comune senza doversi per forza trovare nel caso di un disturbo
narcisistico puro. Interessanti sono poi i capitoli sulla genesi della
Personalità Narcisistica secondo autori come Kohut e Miller poiché
ci familiarizzano con le dinamiche che tale disturbo di Personalità
pone solitamente in essere.
Il Caso Clinico analizzato con cura dall’Autrice è preceduto da
spunti per la psicoterapia che senz’altro permetteranno al lettore
di comprendere la vivacità che l’incontro con tali pazienti impone.
- L’Obesità, di Daniela Lazzarotti.
Ecco un lavoro da “divorare con gli occhi e con la mente” dove
l’Autrice ci offre informazioni storiche, definizione, epidemiologia,
fattori di rischio, psicopatologia, terapia e considerazioni conclusive
che ci motivano a strutturare una presa di coscienza tale
sull’argomento da consentirci una migliore gestione terapeutica.
NOTA PERSONALE: anch’io che, costituzionalmente non sono tra i
magri, ho trovato piacere nel recensire questo lavoro. Potere e sapere
leggere in chiave personale lavori come questo, ci permette
senz’altro di aggiornare l’immanente ansia di conoscenza e non di
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
260
lasciare la rassegnazione del “tutto comunque vano”… quasi… “a
bocca asciutta!”.
- Aspetti Psicologici del Trattamento Ortognatodontico, di Roberto
Olivi e Francesca Olivi.
Lavoro interessante sull’inquadramento psicologico che, pensando
all’ORTODONZIA, dovremmo sempre avere a portata di mente. È
luogo comune paragonare l’Ortodonzia ad aspetti di perfezione
dentale e stomatologia che spesso, come sottolineano gli autori,
però portano i pazienti a ritrovarsi diversi ed, ahimè a volte, anche
con sorrisi ortodontici che ne abbattono la soggettiva naturalezza.
Gli autori motivano il lettore a considerare come risultato fondamentale
la ricerca dell’armonia denti/sorriso in cui, spesso, anche
la “sfumatura” di qualche allineamento positivamente percepito
evidenzia e garantisce la chiave per una piacevole caratterizzazione
personale.
- Psicologia della Personalità, di Vincenzo Amendolagine.
Interessante lavoro che permette di aggiornare meglio le conoscenze
che abbiamo sulla struttura della Personalità. Un lavoro
molto snello che a 360 gradi aiuta lo psicoterapeuta a comprendere
ed interpretare la propria interazione con il paziente.
NOTA PERSONALE: ho sempre apprezzato la sintesi espositiva
dell’Autore.
Soffermarci tra le righe dei suoi lavori ci consente di stilizzare meglio
anche le nostre conoscenze essenziali.
- Analisi Multidisciplinare di un caso di Malattia Psicosomatica,
di Arianna Tangerini.
Bel lavoro in cui l’Autrice riporta, con la descrizione di un caso
clinico, il proprio modo di condurre una psicoterapia e di com’è
giunta a volersi specializzare Psicoterapeuta.
L’anamnesi è molto approfondita, la descrizione dei componenti
familiari rivela molti aspetti di senso alla problematica psicopatologica
della paziente. Leggere poi le spiegazioni sul mondo dei
Chakra, dello psicosoma, della bioenergetica, della caratterologia e
dell’ipnosi ci porta alle conclusioni dell’Autrice nelle parole di Aldo
Carotenuto con la sua: “Lettera aperta ad un apprendista streVol.
I - 2009 Leggi e Decreti
261
gone” pubblicata da Bompiani nel 1988 che stupendamente completano
questo interessante lavoro.
NOTA PERSONALE: ho scritto interessante, poiché nel mio quasi
ventennale recensire e riassumere la Rivista, raramente ho trovato
linguaggio così chiaro, sintetico ed affascinante sulla multidisciplinarietà
in Psicoterapia e l’Autrice ce ne ha offerto un apprezzabile
e piacevole esempio.
- L’ipnosi, che magia, di Cristina Sirilli.
Altro lavoro, direi capolavoro che merita riletture rilassanti ed espone
l’interpretazione dell’Ipnosi alla luce della moderna e più
recente Neurofisiologia. Si parte ovviamente dall’accenno Mitologico
del SONNO tra gli dei, sull’uso che già ne facevano per curare
e si approda ad una rivisitazione dell’Ipnosi alla luce appunto dei
contributi lasciatici da M. H. Erickson e dal Prof. Giacomo Rizzolatti
dirigente del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di
Parma. Con i suoi “Neuroni a specchio” nuova luce “riflessa”, che
illumina l’interpretazione dell’Ipnosi nella sua estrinsecazione fenomenologia
e psicologica. Le parole dell’Autrice: “Ogni storia,
ogni racconto ha per noi un significato diverso, a seconda del bisogno
e della problematica del momento… In fondo l’ipnosi è un
recuperare un passato, il nostro passato e nel momento in cui lo
recuperi lo elabori. La fantasia è un meraviglioso strumento terapeutico
che può molto”.
NOTA PERSONALE: al finale dell’Autrice mi permetto di aggiungere:
“Nuovi schemi di racconto, nuovi percorsi d’emozione, neuroni
a specchio forse più numerosi e migliore luce nell’ombra del nostro
voler capire, comprendere ed infine elaborare”.
Siamo così giunti alla corposa sezione del X CONVEGNO sulle
modalità d’intervento psicologico in Anestesia e Rianimazione. Rivista
nella Rivista.
Dopo l’interessante lavoro di Luca Cimino (… E se 11 ore vi
paion troppe!) in altre parole: considerazioni Medico Legali in
merito all’errore da sovraccarico di lavoro. (Riflessioni che con perizia
giungendo alla conclusione che si debba essere attenti più alla
valutazione della conoscenza delle cause, piuttosto che perseguire
un’accanita ricerca pregiudiziale delle colpe), troviamo la
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
262
comunicazione di Edoardo De Ruvo e Raffaella Grassi avente per
titolo: “Stress e Comunicazione degli operatori sanitari nelle
prestazioni di Urgenza”. Discutono ed illustrano come il Burn
Out, i fattori di stress, la sofferenza ed il lutto negli operatori sanitari
agiscono conferendo stress ed esaurimento all’interno del sistema
sanitario stesso. Completano il lavoro proponendo modelli
di cura, formazione, strumenti didattici attivi e concludono motivando
l’utilizzo del gruppo esperenziale e la formazione al lavoro
di equipe spiegando, infatti, come: “…la formazione del personale
sanitario non si acquisisce una volta per sempre, ma è un obiettivo
che dura tutta la vita. La proposta di una formazione “permanente”…
diventi l’aspetto fondante di qualsiasi cura”.
Il CONVEGNO prosegue con la presentazione di Antonio De Caria:
“Counselling e Ipnosi nel trattamento dell’Acufene Invalidante”.
Aggiornamento interessante che confronta il trattamento multimodale
con la classica terapia cognitivo comportamentale
dell’acufene. L’Autore conclude come il ricorso al counselling ed
all’Ipnosi permettano di modificare il vissuto sgradevole di disturbi.
Da qui, la maggior efficacia di tale trattamento combinato, rispetto
alla sola terapia cognitivo comportamentale.
Andrea Di Massa, Niccolò Maggiorelli, Riccardo Marchini discutono
Sulla origine dell’ansia odontoiatrica. Parlano delle recenti acquisizioni
neurofisiologiche di Joseph Le Doux, della percezione
inconscia e della rielaborazione cosciente, del ruolo dell’amigdala
e della corteccia sui livelli di ansia che percepiamo, del test di Corah
per l’ansia nel paziente odontoiatrico, del DAS, del VAS e dello
STAI… il tutto per giungere alla conclusione che il dentista, oltre
la competenza specifica odontoiatrica, debba sentirsi obbligato e
motivato all’apprendimento di tecniche utili a riconoscere e trattare
l’ansia odontoiatrica dei suoi pazienti.
Roberto Olivi e Francesca Olivi presentano un Rapporto e Tecniche
di Anestesia in Odontoiatria Infantile che, a mio avviso, oltre
che ipnotizzare il lettore alla bellissima premessa ed ai suggerimenti
utili per la prima visita, gli permette di prendere in considerazione
l’utile ricorso a combinazioni tecniche come la sedazione
cosciente con protossido d’azoto (perfezionata a New York dal
Vol. I - 2009 Leggi e Decreti
263
dott. H. Langa, appunto per i dentisti). Gli autori terminano affermando:
“Pertanto la conoscenza di buone tecniche di approccio
più l’utilizzo delle attrezzature tecniche più moderne permettono
di effettuare un’odontoiatria infantile di buona qualità, senza problemi
di collaborazione, con la massima soddisfazione
dell’operatore, del bambino e dei suoi genitori, facendo scoprire
una branca dell’Odontoiatria spesso ingiustamente trascurata”.
Maurizio Zomparelli ha presentato Tecniche di preconditioning
operatorio, giustificando la presenza dello Psicoterapeuta in sala
operatoria a totale vantaggio dei pazienti e degli operatori sanitari.
Rileva l’importanza del raggiungimento di un consenso condiviso
dal paziente puntando appunto sull’umanità e sensibilità degli operatori
coinvolti.
Malvina Mazzotta ha parlato dell’Ipnosi tra Biologia e rappresentazione
emotiva della malattia.
Descrivendoci il caso di Cristina, ha spiegato come l’esperienza di
Cristina in Ipnosi è stata come se avesse portato un raggio di luce
che l’ha ri-orientata nel buio della sua mente. Cristina è riuscita ad
includere nella sua vita la malattia: c’è ma non ne fa un dramma
come succedeva un tempo.
Edoardo De Ruvo ha esposto un lavoro sulla Sedazione in Endoscopia
Digestiva
Carlo Pastorino ha esposto Un caso insolito di guarigione “On
line”
Filippo Sentimenti, Nicola Ferrari chiudono il Convegno presentando
Corrispondenze: Un Servizio per l’elaborazione del Lutto.
Come sempre la relazione di questi lavori testimonia la lungimiranza
degli autori che nella SMIPI trovano ospitalità e valorizzazione
professionale.
Concludo queste mie recensioni ricordando con piacere la Recensione
di Riccardo Arone di Bertolino al libro di Nino Giangregorio
VIVERE PER MORIRE le metafore della vita (IBN Editore Roma, euro
14). Una recensione estesa, ricca, riservata a Giangregorio, Medico
e Psicologo, Filosofo e Bioetico, già docente di PsicologiaMedica
e Medicina Psicosomatica presso l’Università La “Sapienza” di
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
264
Roma, con un amore quasi filantropico per la Cultura: la sua formazione
umanistica si è perfezionata ed arricchita frequentando,
per alcuni anni i “corsi Balint” di Ascona in Svizzera sulla preparazione
psicosomatica dei Medici. COLLABORA a questa nostra Rivista
sin dalla sua fondazione e ne è componente del Comitato di
Redazione.
Dr. Patrizio Bellini, Docente S.M.I.P.I.
Medico Psicoterapeuta
Via Dante, 9 – 21057 OLGIATE OLONA VA
Tel. 0331.649796 – E-mail:pabellini@libero.it
Vol. I - 2009 Leggi e Decreti
265
Rassegna della letteratura internazionale sull’ipnosi
di Oriano Mercante
Ipnosi e Medicina Legale 2009
Questa revisione nasce da un caso in cui mi è stata richiesta una
relazione in un consesso di avvocati. Il caso riguardava una sentenza
di un giudice della corte d’appello di Trento - sezione distaccata
di Bolzano (n. 63/08) relativa ad uno stupro ripetuto su minore
da parte di un sacerdote. Il sacerdote è stato condannato sulla
base della testimonianza della vittima elicitata dopo 4 anni di trattamento
di psicoanalisi con l’uso della “distensione immaginativa”
(così definita dalla terapeuta) ed il giudice afferma numerose volte
nella motivazione della sentenza che non è stata usata alcuna tecnica
ipnotica! Ma spero di scrivere al più presto, magari nel prossimo
numero alcune considerazioni più approfondite sul caso. Per
il momento ho raccolto un po’ di materiale sull’argomento che vi
sottopongo.
Nervenarzt. 1999 Nov;70(11):1009-13.
- Diagnostic, forensic and therapeutic-ethical aspects of false
memory of sexual abuse induced by psychotherapy.
Simmich T.
Questo articolo esamina il rischio di memorie false indotte dallo
psicoterapia, soprattutto per quanto riguarda l’abuso sessuale. Le
costruzioni psicologiche correnti basate sulla psicologia del profondo
sono esaminate criticamente. Il gran numero di disordini
psicologici relativi ad abuso sessuale nel tempo recente e un malinteso
soggettivistico sull’empatia conducono frequentemente a
volte all’accettazione non critica dei rapporti anamnestici circa
l’abuso sessuale. Può essere indicato che le costruzioni orientate
psicologiche e psichiatriche descrittive di profondità e di vista tendono
a farsi concorrenza a vicenda con la conseguenza di risultati
differenti in terapia. L’autore indica come distinguere fra i sintomi
maniacali indotti ed i fenomeni dissociativi. Ancora richiama
l’attenzione sui risultati a lungo termine moralmente dubbiosi di
un uso non correttamente indicato delle costruzioni psicologiche
basate sulla psicologia del profondo circa il trauma nella psicoteRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
266
rapia di pazienti fortemente suggestionabili.
Am J Psychiatry. 1993 Jun;150(6):954-8.
Comment in: Am J Psychiatry. 1994 Jun;151(6):948. Am J Psychiatry.
1994 Jun;151(6):948.
- Adult reconstruction of childhood events in the multiple
personality literature.
Frankel F.H.
L’autore esamina l’affidabilità dei rapporti adulti di abuso e del
trauma infantile, che stanno emergendo nella terapia con allarmante
frequenza. Esamina la letteratura sul disordine di personalità
multipla per esplorare quanto è studiata la conferma dei rapporti
di adulti degli eventi dell’infanzia. Inoltre ricapitola gli studi relativi
sulla memoria sia con che senza l’aiuto dell’ipnosi. Trova che vi
è conferma minima nella letteratura sui rapporti di abuso
nell’infanzia. Le memorie prodotte con l’aiuto dell’ipnosi sono inaffidabili
a causa del grande numero di inesattezze introdotte dai
soggetti ipnotizzati. Le memorie prodotte senza ipnosi sono state
indicate essere inclini a distorsione intenzionale così come a distorsioni
involontarie. L’autore conclude che l’entusiasmo recente
per la scoperta adulta di abuso nell’infanzia è stato accompagnato
da poca attenzione ai fattori che potenzialmente distorcono i ricordi,
compreso l’effetto della psicoterapia. L’uso dell’ipnosi può
essere un fattore aggravante nei ricordi distorti. L’accettazione acritica
del ricordo del paziente ha serie conseguenze etiche e legali.
Law Hum Behav. 2008 Aug;32(4):314-24. Epub 2007 Sep 25.
- How can we help witnesses to remember more? It’s an
(eyes) open and shut case.
Perfect T.J, Wagstaff G.F., Moore D., Andrews B., Cleveland V.,
Newcombe S., Brisbane K.A., Brown L.
Cinque esperimenti hanno verificato il fatto che suggerire ad un
testimone a chiudere gli occhi durante il tentativo di ricordare potrebbe
aumentare il successo del recupero. In generale la chiusura
degli occhi ha aumentato il recupero sia di particolari visivi che dei
particolari uditivi, senza aumento di particolari falsi. Nell’insieme
questi dati dimostrano in modo convincente i benefici della chiusura
degli occhi come sussidio al recupero ed a comprendere il
Vol. I - 2009 Leggi e Decreti
267
perché l’ipnosi, che solitamente richiede la chiusura degli occhi,
può facilitare il ricordo nel testimone oculare.
Memory. 2008 Jan;16(1):58-75.
- Trauma and memory: effects of post-event misinformation,
retrieval order, and retention interval.
Paz-Alonso P.M., Goodman G.S.
Questo studio si è interessato agli effetti di informazione sbagliate,
ordine di recupero e dell’intervallo del richiamo sulla memoria del
testimone oculare per un evento traumatico (un omicidio). Immediatamente
o 2 settimane dopo la visione della pellicola in oggetto,
232 adulti hanno letto una descrizione (fuorviante o controllo) circa
l’omicidio e poi sono stati sottoposti a test sui particolari importanti
e secondari. Effetti significativi di disinformazione sono stati
ottenuti. Inoltre, i partecipanti del controllo erano più esatti nella
risposta sui particolari importanti che per le informazioni secondarie;
tuttavia non era così per i partecipanti malinformati. L’ordine
del recupero ha provocato una proporzione elevata delle risposte
corrette per le informazioni importanti. Il ritardo del recupero ha
aumentato la suggestionabilità dei partecipanti e diminuito
l’esattezza del ricordo. I risultati indicano che anche per un evento
altamente negativo, la memoria dell’adulto non è immune dalle
inesattezze e dalle influenze suggestive.
Am J Psychol. 2005 Summer;118(2):213-34.
- The cognitive interview: does it successfully avoid the dangers
of forensic hypnosis?
Whitehouse W.G., Orne E.C., Dinges D.F., Bates B.L., Nadon R.,
Orne M.T.
Settantadue studenti non laureati hanno osservato una videotape
di una rapina in banca che è culminata nell’uccisione di un ragazzo.
Parecchi giorni dopo, i partecipanti sono stati intervistati sul
ricordo degli eventi nella pellicola sia oralmente sia con scritti seguiti
dall’assegnazione casuale all’ipnosi (HYP), all’intervista cognitiva
(CI), o ad un motivato richiamo ripetuto (MRR) di controllo. I
partecipanti inoltre hanno completato una prova di richiamo di
interrogatorio forzato. In termini di informazioni fornite la prima
volta durante le interviste, HYP porta a maggior rendimento riRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
268
guardo a CI o MRR, che non hanno differito significativamente
l’uno dall’altro. Prova che queste differenze nel richiamo sono derivate
soprattutto dalle differenze dei test di verifica di rapporto
piuttosto che dalle differenze nella memoria, sono state ottenute
dalla prova di richiamo forzato. In questa prova, nessuna differenza
è stata osservata fra i tre stati di intervista. Inoltre, i dati hanno
rivelato che l’abilità ipnotica dei partecipanti è stata associata con il
richiamo di materiale errato e confabulatorio per quelli provati
negli stati di CI e di HYP ma non in MRR. Ciò suggerisce che CI
possa usare processi ipnotici in persone ipnotizzabili.
J Am Acad Psychiatry Law. 1999;27(3):462-70.
- Memory as power: who is to decide?
Beahrs J.O.
Dopo una disamina di come la memoria abbia una funzioni importanti
nella mediazione dei rapporti tra persone e l’utilizzo
dell’ipnosi nei casi di abuso su minori, si afferma, dopo la presunzione
di innocenza, un altro principio di democrazia fondamentale:
che l’ultimo giudizio della credibilità del testimone deve essere
decisa non da un esperto, ma dalla cittadinanza in sé rappresentata
nella giuria.
Memory. 2006 May;14(4):486-501.
- Social suggestibility to central and peripheral misinformation.
Dalton A.L., Daneman M.
Questo studio ha usato un paradigma di laboratorio basato per
studiare le influenze sociali sulla predisposizione dei partecipanti
ai suggerimenti ingannevoli. I partecipanti hanno osservato un video-
clip di una sequenza di azione e dopo sono stati tenuti per discutere
l’evento con il co-testimone o con il gruppo di cotestimoni.
I risultati hanno indicato che i partecipanti erano più
suscettibili ai suggerimenti ingannevoli durante le discussioni tra
due persone che durante le discussioni del gruppo. In più, i partecipanti
erano suscettibili ai suggerimenti ingannevoli sulle caratteristiche
centrali dell’evento testimoniato, anche se in grado inferiore
rispetto ai suggerimenti ingannevoli circa le caratteristiche
secondarie.
Vol. I - 2009 Leggi e Decreti
269
Int J Clin Exp Hypn. 1990 Oct;38(4):283-97.
- Sexual abuse and the abuse of hypnosis in the therapeutic
relationship.
Hoencamp E.
Nei Paesi Bassi gli individui accusati di violenza possono essere
proseguiti soltanto nei casi in cui il sospetto sapeva che la vittima
era incosciente o in una condizione di impotenza. L’ipnosi potrebbe
essere considerata come metodo con cui una persona senza
scrupoli potrebbe indurre una tal condizione dell’impotenza in
una vittima. Come esperto, l’autore ha partecipato ad una causa
contro un ipnotista che è stato accusato di abuso su 9 donne. I metodi
e la strategia usati dall’ipnotista sono presentati così come sono
le varie reazioni delle donne. Le sensibilità sembra essere un
fattore importante nella coercizione, particolarmente in donne che
hanno dimostrato i fenomeni ipnotici quali levitazione del braccio,
catalessia, eccetera. La base per coercizione sessuale è stata stabilita
solo dopo che il rapporto tra persone era stato ridefinito come
rapporto terapeutico. Può essere supposto che i pazienti altamente
ipnotizzabili siano specificamente a rischio per questo genere di
abuso quando l’ipnosi è utilizzata nel contesto di un rapporto terapeutico.
Int J Clin Exp Hypn. 1990 Oct;38(4):266-82.
- Hypnosis with a criminal defendant and a crime witness:
two recent related cases.
Perry C., Laurence J.R.
Due casi legali che coinvolgono l’ipnosi recentemente sono stati
giudicati dalle corti americane. In Rock v. Arkansas (1987) la Corte
suprema degli Stati Uniti ha stabilito che la testimonianza ipnotica
era ammissibile in tribunale per la difesa. Questa decisione è stata
collegata ai Diritti Costituzionali di un difensore sia per testimoniare
che per scegliere i testimoni a proprio favore. Poco tempo
dopo, citando Rock come precedente, una Corte d’Appello del Texas
ha ammesso la testimonianza ipnotica di un testimone oculare
in Zani v. lo Stato (1988), considerando che sarebbe ingiusto ammettere
la testimonianza ipnotica dei difensori e proibirla per le
vittime ed i testimoni. Non è chiaro che effetto questa dottrina
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
270
dell’equità avrà su altre cause della giustizia nordamericana che
coinvolgono l’ipnosi.
JAMA. 1985 Apr 5;253(13):1918-23.
- Scientific status of refreshing recollection by the use of hypnosis.
Council on Scientific Affairs.
Il Consiglio trova che i ricordi ottenuti durante l’ipnosi possono
coinvolgere confabulazioni e pseudomemorie e non solo non riuscire
ad essere più esatti, ma realmente sembrano essere meno affidabili
che il ricordo non ipnotico. L’uso dell’ipnosi con i testimoni
e le vittime può avere conseguenze gravi per il processo legale
quando la testimonianza è basata su materiale che è tratto da un
testimone che è stato ipnotizzato allo scopo del ricordare.
Aviat Space Environ Med. 1984 Dec;55(12):1136-42.
- Hypnosis in the investigation of aviation accidents.
Hiland D.N., Dzieszkowski P.A.
L’efficacia delle tecniche ipnotiche di inchiesta con dieci testimoni
per sei recenti incidenti aerei è stata valutata in questo studio. Otto
testimoni direttamente erano stati coinvolti in un incidente, cinque
come co-piloti. Le interviste sono state condotte dopo la conclusione
dell’inchiesta ufficiale. Informazioni importanti riguardo agli
incidenti sono state ottenute nella maggior parte delle interviste.
Informazioni secondarie sono pure state ottenute in un certo numero
di casi. Nessuno dei testimoni ha avuto problemi di carriera
o psicologici come conseguenza delle interviste e l’ipnosi è sembrata
in alcuni casi altamente terapeutica. I risultati indicano che le
tecniche delle interviste ipnotiche con i testimoni possono essere
di gran valore nelle indagini su determinati incidenti di velivoli.
Vol. II - 2008 Corsi e Congressi
271
SCUOLA MEDICA ITALIANA DI PSICOTERAPIA ED IPNOSI
LA PSICOTERAPIA
La Psicoterapia è un intervento condotto con mezzi verbali e relazionali,
finalizzato a ottenere modificazioni positive e stabili nella
salute, nella personalità e nella vita di relazione di persone sofferenti
per alterazioni, problemi e disturbi psichici, psicosomatici,
somatopsichici, somatici e comportamentali.
Non esiste una psicoterapia, ma la Psicoterapia. Alla perenne ricerca,
come qualsiasi altra scienza, umanistica o tecnica, di estendere
le proprie frontiere e di migliorare le proprie possibilità. La complessità
dell’essere umano e l’unicità assoluta di ogni individuo
rendono impossibile elaborare teorie e codificare metodiche di intervento
sempre ed universalmente valide.
Poiché si tratta di terapia ogni metodologia deve essere valutata
non per i suoi contenuti filosofici né per il suo corpus teorico, più
o meno colti ed affascinanti, ma per i concreti risultati clinici che
è in grado di ottenere, allo stesso modo con cui si valuta l’efficacia
e la pericolosità di un farmaco.
Sono state contate più di trecento metodiche psicoterapeutiche.
Ma poiché molte risultano simili per teorie e prassi, si può valutare
vi siano, ridotti all’essenziale, più di venti modi diversi, a volte totalmente
antitetici, di considerare e trattare la mente e la sua patologia.
In quasi tutte le metodiche esistenti vi sono elementi positivi,
se usati bene, nei casi e nei contesti giusti, che possono però
divenire dannosi se applicati fuori luogo. Non esiste, né potrà mai
esistere, una definita, rigida, immutabile e indiscutibile metodologia
di intervento. Vi sono innumerevoli tecniche e possibilità di
operare che, caso per caso, situazione per situazione, hanno diverse
potenzialità operative.
L’IPNOSI
L’applicazione terapeutica corretta di uno stato mentale naturale
eteroindotto, cioè lo stato di ipnosi, si è sempre rivelata clinicamente
utile in medicina, in chirurgia e in psicologia, per le variazioni
intrapsichiche, fisiologiche e biologiche che si instaurano nei
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
272
rapporti fra mente e corpo, parte conscia e parti inconsce, livello
mentale razionale e livello emotivo. Variazioni di rapporti e di capacità
di elaborazione che il terapeuta può usare e modellare per
necessità operative e terapeutiche, nell’ambito della disponibilità,
dei desideri e dei bisogni del paziente.
È fondamentalmente un atto medico, integra la psicoterapia, ma la
trascende: è metodica efficace nella terapia del dolore, nel parto,
in anestesiologia, in oncologia, in ortopedia, in odontoiatria e in
molte altre applicazioni cliniche, perché la vastità delle applicazioni
dell’ipnosi è data dalla vastità delle potenziali interazioni intrapsichiche
e psicofisiche, la maggior parte delle quali è ancora sconosciuta.
L’ipnologia non è un rigido e determinato corpus teorico: nello
stato di ipnosi possono essere applicate tutte le tecniche psicoterapeutiche.
L’eventuale insuccesso clinico delle prassi usate non è
dovuto ai limiti dell’ipnosi, ma quasi sempre all’uso di teorie e di
metodologie inadeguate o errate, sia generalmente che per lo specifico
caso in trattamento.
L’ipnologia contemporanea più avanzata non è quindi una determinata
tecnica o un insieme di metodiche, ma una formazione ed
un allenamento personale dello psicoterapeuta perché possa intervenire,
a livello conscio, inconscio ed emotivo, efficacemente
nell’ambito relazionale ed intrapsichico del paziente.
L’induzione di ipnosi è definibile precipuamente come un processo
di apprendimento a manifestare, ampliare e usare finalisticamente
potenzialità psichiche, psicosomatiche e biologiche inespresse.
L’Ipnositerapia può essere considerata essenzialmente comunicazione,
rivolta al paziente, di stimoli, idee e concezioni, in modo
tale che egli possa essere sì ricettivo, ma liberamente critico e non
passivo, alle idee presentate e quindi motivato ad esplorare e mettere
in atto tutte le potenzialità di controllo delle risposte e del
comportamento psicologico e fisico del proprio corpo.
LO PSICOTERAPEUTA
Lo psicoterapeuta è un operatore sanitario in grado, nello studio
del caso, di formulare una diagnosi somatica e psichica operativaVol.
II - 2008 Corsi e Congressi
273
mente esatta, una prognosi realistica sui risultati richiesti e ottenibili
ed una prognosi (necessariamente ipotetica ma potenzialmente
realizzabile) sulla durata del trattamento.
Nell’ambito della cura deve essere in grado di instaurare un rapporto
terapeutico positivo, di interagire consciamente, inconsciamente
ed emotivamente con il paziente, in modo efficace e finalizzato
agli scopi proposti, per stimolare le risorse psichiche e fisiche
al fine di elaborare e risolvere le problematiche e ottenere, quando
possibile, la guarigione od un significativo miglioramento della
qualità della vita.
È indispensabile per lo psicoterapeuta una preparazione ipnologica
completa, strumento essenziale non solo per curare ma anche
per identificare ed elaborare le variazioni spontanee dello stato
mentale del paziente in terapia.
Come un medico ha possibilità di scelta fra un numero enorme di
farmaci e di modalità di intervento, uno psicoterapeuta, pur rimanendo
nell’ambito della propria personalità e delle proprie caratteristiche
interattive, deve avere non solo una altrettanto grande
possibilità di scelta fra tecniche e metodologie, ma deve sviluppare
anche la creatività e l’intuizione necessarie per elaborare, quando
è il caso, modalità di intervento originali.
LA SCUOLA
È pragmatica e operativa: in essa si insegna, si usa ed elabora solo
quanto, ad un riscontro clinico, è stato dimostrato valido per ottenere
i risultati richiesti. Fornusce tutte le competenze mediche e
psicologiche necessarie alla professione di psicoterapeuta.
Uno dei concetti innovativi di fondo è che operativamente non è
necessario soffermarsi tanto sull’analisi storica delle problematiche,
quanto invece nella pratica è utile elaborare e modificare le
strutture presenti della patologia e della psicopatologia, operando
anche sullo stimolo e la mobilitazione delle risorse psicofisiche
consce, inconsce ed emotive, per ottenere una stabile soluzione
delle problematiche disturbanti e la guarigione della patologia psichica,
comportamentale, psicosomatica e somatopsichica, nel modo
ottimale e nel tempo più breve possibile.
Questi concetti si riflettono anche nelle metodiche di insegnamenRivista
Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
274
to e di formazione, che viene raggiunta in tempi significativamente
brevi.
I contenuti scientifici, operativi e culturali della Scuola sono
un’evoluzione dell’opera di M.H.Erickson e di Franco Granone: si
riallacciano quindi alle più avanzate correnti della psicologia e della
psicoterapia moderna, quali, fra le altre, quelle del Mental Research
Institute di Palo Alto, alcune dinamiche, clinicamente comprovate,
della Programmazione Neurolinguistica, la psicoterapia
paradossale, la terapia sistemica e familiare, la psicoterapia cognitivo-
comportamentale.
La Scuola organizza due tipi di corsi:
- IL CORSO DI SPECIALIZZAZIONE IN PSICOTERAPIA, che rilascia il Diploma
di Specializzazione in Psicoterapia, a valore legale. L’anno
accademico inizia a settembre.
- I CORSI TRADIZIONALI PER LA FORMAZIONE CONTINUA ED IL MASTER IN
PSICOTERAPIA ED IPNOSI MEDICA, che rilasciano crediti formativi
ECM.
Vol. II - 2008 Corsi e Congressi
275
IL CORSO DI SPECIALIZZAZIONE IN PSICOTERAPIA
Sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (serie generale
n.142 del 19/6/2002) è pubblicato: “Abilitazione dell’Istituto
“S.M.I.P.I. - Società Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi” ad
istituire ed attivare... corsi di specializzazione in psicoterapia ai
sensi del regolamento adottato con decreto dell’11 dicembre 1998,
n.509”. Il numero massimo degli allievi per ogni anno di corso è di
20, pari a 80 per l’intero ciclo.
Per legge l’iscrizione è riservata a laureati in medicina ed a laureati
in psicologia, iscritti o in corso di iscrizione ai rispettivi Ordini.
Il Corso fornisce una preparazione completa: tutte le conoscenze
teoriche e la formazione pratica e clinica necessarie
per la professione di Psicoterapeuta.
Nella parte generale all’Allievo vengono fornite la conoscenza di
base (storica, culturale e scientifica) e le competenze necessarie
per una corretta diagnosi differenziale fra somatico, somatopsichico,
psicosomatico, psicopatologico; nella parte specifica si insegna,
si usa ed elabora quanto, ad un riscontro oggettivo, è stato dimostrato
utile per ottenere risultati clinici validi, con approfondimenti
per intervenire efficacemente in tutti i campi della medicina.
Il Corso è quindi strutturato in modo da fornire le competenze
mediche, psichiatriche, psicologiche e gli strumenti operativi
indispensabili, come quelli derivati dall’ipnositerapia ericksoniana.
Consta di quattro anni per 500 ore all’anno, suddivise in 350 di
lezioni, 50 di supervisioni e 100 di tirocinio pratico. Il tirocinio, di
cui al comma 2 dell’art. 8 del Decreto Ministero dell’Università e
della ricerca Scientifica e Tecnologica del 11 dicembre 1998, n.
509, è svolto in strutture del Servizio Sanitario Nazionale, delle Università
o di Strutture private accreditate.
Al completamento del Corso quadriennale, la Scuola rilascia il Diploma
di Specializzazione in Psicoterapia per il titolo di Specialista
in Psicoterapia, legalmente valido a tutti gli effetti.
Note
Il costo totale per anno di corso è di 4.000 euro versabile in due
rate, all’inizio di ogni semestre. Non è obbligatoria nessuna psicoterapia
didattica individuale.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
276
L’anno accademico va da settembre a giugno. Le lezioni iniziano a
settembre e occupano circa dodici week end e due settimane intensive
all'anno. La sede del Corso è a Bologna.
Le sedi con cui siamo convenzionati per il tirocinio sono diverse in
Italia, ma ogni allievo potrà farci accendere una convenzione in
una sede accreditata per lui più comoda.
Per iscriversi alla Scuola è necessario un colloquio di ammissione.
Durante la frequenza di un Corso di specializzazione non è necessario
acquisire crediti ECM, e per questo tipo di Specializzazione si
può continuare la propria attività professionale.
PROGRAMMA
I ANNO
Parte Generale: Psicologia Generale. Psicologia dello sviluppo.
Epistemologia e metodologia nella ricerca in psicologia clinica.
Psicopatologia e diagnostica clinica. Neurofisiologia clinica. Psiconeuro-
endocrino-immunologia. Psicopatologia dell’età evolutiva.
Diagnostica differenziale. Diagnostica psichiatrica. I principali indirizzi
psicoterapeutici. Teoria della psicoterapia. Storia della psicoterapia.
Teorie psicoanalitiche. Teorie cognitivo-comportamentali.
Legislazione e Diritto Sanitario. Etica e deontologia professionale.
Parte Speciale: Psicoterapia psicoagogica e relazionale. Ipnologia.
Pratica della psicoterapia. Psicologia della comunicazione. Psicologia
dei gruppi. La comunicazione in medicina generale. Evidence
based medicine.
II ANNO
Parte Generale: Psicologia generale II. Psicologia dello sviluppo
II. Psicopatologia e diagnostica clinica II. Psicopatologia dell’età evolutiva
II. Epistemologia e metodologia nella ricerca in psicologia
clinica II. Psicologia del colloquio. Metodologia clinica. Diagnostica
psichiatrica II. Diagnostica differenziale II. Neurofisiopatologia
clinica. Neurofarmacologia. Psicofarmacologia. Diagnostica cardiologica
differenziale.
Parte Speciale: Psicoterapia psicoagogica e relazionale. Tecniche
di induzione ipnotica. Anestesiologia ipnotica. Psicoterapia familiare.
Psicodramma. Tecniche di regressione ipnotica. Formazione
all’accoglimento del malato. Pratica della psicoterapia II. Musicoterapia.
Evidence based medicine avanzata.
Vol. II - 2008 Corsi e Congressi
277
III ANNO
Parte Generale: Psicologia generale III. Psicopatologia e diagnostica
clinica III. Psicofarmacologia applicata. Neuropsicologia. Nosologia
psichiatrica. Fisiopatologia del dolore. Teorie e tecniche
dei tests. Emergenze psichiatriche. Basi relazionali della medicina.
Rapporto medico-paziente.
Parte Speciale: Psicoterapia psicoagogica e relazionale. Ipnositerapia.
Psicoterapia familiare. Psicodramma. Tecniche di regressione
ipnotica II. Terapie corporee. Pratica della psicoterapia III. Seminario
di ipnologia applicata. Seminario di psicodiagnostica. Psicoterapia
Geriatrica.
IV ANNO
Parte Generale: Psicofarmacologia applicata. Psicologia forense.
Teorie e tecniche dei tests. Emergenze mediche. Basi relazionali
delle medicine alternative.
Parte Speciale: Psicoterapia psicoagogica e relazionale. Ipnositerapia.
Pratica della psicoterapia IV. Tecniche di comunicazione metaforica.
Tecniche immaginative. Psicoterapia della coppia. L’ipnosi
in medicina generale. L’ipnosi in ostetricia e ginecologia. L’ipnosi
in pediatria. L’ipnosi in geriatria. L’ipnosi in odontostomatologia.
L’ipnosi in odontostomatologia pediatrica. L’ipnosi in dermatologia.
L’ipnosi in gastroenterologia. Ipnosi e dolore. L’ipnosi in oncologia.
Ipnosi ed alterazioni della coscienza. Eyes movements desensitization
and reprocessing.
Il programma di ogni anno è completato dalla partecipazione ai
Convegni S.M.I.P.I., dalla formazione e supervisione personale (50
ore) e dal Tirocinio (100 ore).
Informazioni ed iscrizioni
S.M.I.P.I., Via Porrettana 466, 40033 Casalecchio di Reno BO
tel. 051.573046, fax 051.932309 cell.347.3910625, e-mail inedita@
tin.it.
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
278
I CORSI TRADIZIONALI PER LA FORMAZIONE CONTINUA
ED IL MASTER IN PSICOTERAPIA ED IPNOSI MEDICA
L’iscrizione ai Corsi è riservata a medici, odontoiatri e psicologi,
senza alcun obbligo di completare i quattro anni di formazione.
Qui si acquisiscono conoscenze e capacità di intervento psicoterapeutiche
ed ipnologiche adeguate per un’interazione terapeutica
ottimale con i propri pazienti. Hanno valore anche di perfezionamento
per psicoterapeuti provenienti da altre scuole.
I Corsi di base sono affiancati da Seminari di approfondimento di
particolari tematiche il cui programma è stabilito anno per anno.
L’iter si svolge in quattro livelli al compimento dei quali viene rilasciato
il Master di Psicoterapia ed Ipnosi Medica.
Per tutti i Corsi, i Seminari ed i Convegni viene richiesta al Ministero
della Salute l’attribuzione di crediti formativi ECM (Educazione
Continua in Medicina).
La Scuola Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
ha istituito annualmente
due edizioni (Ancona e Bologna) del
CORSO DI PSICOTERAPIA ED IPNOSI MEDICA
PRIMO LIVELLO
Struttura: Ciclo di tre Seminari di due giorni ciascuno.
Primo Seminario: 1) Indicazioni, possibilità e limiti nella applicazione
di tecniche di intervento psicologico e dell’ipnosi. 2) Psicoterapia
ed ipnosi: preparazione formativa. 3) Organizzazione del
lavoro terapeutico: valutazione delle richieste del paziente e formulazione
di un obiettivo. 4) Lo stato mentale di ipnosi. 5) Struttura
formale ed informale dell’induzione di ipnosi. 6) Bibliografia:
indicazioni e critica.
Secondo Seminario: 1) Colloquio, induzione diretta ed indiretta
dello stato di ipnosi, utilizzazione dello stato di trance e delle risposte
inconsce. 2) Elementi base di Programmazione Neurolinguistica.
3) Condizionamento e decondizionamento, ristrutturazione,
tecniche di modificazione del comportamento, creazione ed
uso dell’atteggiamento responsivo. 4) Esercitazioni pratiche: induzione
dello stato di trance ed interventi terapeutici. 5) Supervisione
e commento critico di alcuni casi clinici.
Terzo Seminario: 1) Somatizzazioni primarie, secondarie e sindromi
da conversione. 2) Malattie e disturbi di interesse psicoteraVol.
II - 2008 Corsi e Congressi
279
peutico: disturbi comportamentali, psiconevrosi, psicosi, malattie
psicosomatiche, somatopsichiche, somatiche. 3) Esercitazioni pratiche:
induzione dello stato di trance ed interventi terapeutici. 4)
Supervisione e commento critico di alcuni casi clinici.
Il Corso è formativo e pratico: è esaustivo per parte delle applicazioni
di queste metodiche in diverse specialità mediche (medicina
interna, odontoiatria, anestesiologia, dermatologia, ginecologia ed
altre); è di base per una formazione psicoterapeutica medica, che
viene completata in quattro anni.
SEDI e DATE
CORSO DI PSICOTERAPIA ED IPNOSI MEDICA PRIMO
LIVELLO
BOLOGNA
Primo seminario: - sabato 3 e domenica 4 ottobre
Secondo Seminario: - sabato 17 e domenica 18 ottobre
Terzo Seminario: - sabato 7 e domenica 8 novembre 2009
Sede: Starhotel Excelsior, Via Pietramellara 51 (Piazza della
Stazione) Bologna
Quota di partecipazione: EURO 800 + IVA 20% - Orari: 9/12-14/17
ANCONA
Date da stabilire: marzo-aprile 2010
Sede del Corso: Hotel Passetto, Via Thaon de Revel 1, Ancona,
tel.071.31307. Quota di partecipazione: EURO 800 + IVA 20%
Numero massimo di partecipanti: 25.
Informazioni ed iscrizioni
Presso la Sede per il Corso di Bologna (S.M.I.P.I., Via Porrettana
466, 40033 Casalecchio di Reno BO, tel. 051.573046, fax
051.932309, e-mail inedita@tin.it).
Presso la Sezione Marche per il Corso di Ancona (Dr. Oriano Mercante,
Via Loretana 190, 60021 CAMERANO (AN) tel.071.732050 -
0336.631167, o.mercante@fastnet.it).
Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi
280
Inserzioni
Lorenza Cavalli pag. 10
Glauco Fiorini pagg. 6, 250
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